30 Giugno 2025
Lunedì XIII Settimana T. O.
Gen18,16-33; Salmo Responsoriale dal Salmo 102 (103); Mt 8,18-22
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Catechismo degli Adulti: Vocazioni particolari e vocazione comune [800]: Molti ritengono che la vita sia un’avventura solitaria, un farsi da sé, contando unicamente sulle proprie risorse. Secondo la fede cristiana, la vita è dialogo, risposta a una vocazione, dono che diventa compito.
Il concetto di vocazione è tipico della rivelazione biblica. Dio, soggetto trascendente e personale, entra liberamente, come una novità inaspettata, nell’esistenza delle persone. Ad alcuni, come Abramo, Mosè, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, rivolge direttamente la sua parola. Ad altri, come Aronne e David, fa pervenire la sua chiamata attraverso mediazioni umane. Nell’Antico Testamento, dirette o mediate, le vocazioni particolari si collocano nell’ambito della comune vocazione degli israeliti ad essere il popolo dell’alleanza. La vocazione comporta sempre un disegno di amore da parte di Dio, una missione da compiere e una forma di vita corrispondente. Attende una risposta libera e fiduciosa di obbedienza da parte dell’uomo.
Ancora maggiore è il rilievo che la vocazione ha nel Nuovo Testamento. Sono chiamati i Dodici, Paolo, i cristiani tutti; alcuni purtroppo rimangono sordi. Le vocazioni a particolari servizi e forme di vita stanno dentro la comune chiamata alla fede, alla santità, alla missione, alla gloria celeste.
I Lettura: Nonostante l’accorata preghiera di Abramo, Sòdoma e Gomorra, furono distrutte da Dio a motivo del loro peccato, un evento ricordato spesso nella Bibbia come esempio del giudizio e dell’ira di Dio (Cf. Dt 29,22; Sir 16,8; Is 1,9-10; 13,19; Ger 49,18; 50,40; Lam 4,6; Am 4,11; Sof 2,9; Mt 10,15; 11,23-24; Lc17,29; ecc.) e come esempio di malvagità (Dt 32,32; Is 3,9; Ger 23,14; Ez 16,44-58; Ap 11,8). Da questo racconto nascono i termini gonorrea, sodomia, sodomita: la «Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2357).
Vangelo
Seguimi.
Le due sentenze di Gesù rivolte a coloro che lo vogliono seguire mettono in evidenza il tema della sequela e le esigenze del discepolato. La prima sentenza suggerisce che farsi discepolo non è semplicemente seguire un messaggio e accettare una dottrina ma è condividere in tutto il destino del Figlio dell’Uomo, è lasciare la propria sicurezza per una vita incerta, è perdere la vita per causa di Cristo (Mt 10,39). La seconda sentenza pone la rinuncia ai legami di famiglia come una delle condizioni per il discepolato: non si può procrastinare o aspettare finché si sia assolto a tutti i doveri familiari, non si sarebbe mai in grado di seguire la propria vocazione. Il tempo è adesso: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).
Dal Vangelo secondo Matteo
8,18-22
In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.
Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Parola del Signore.
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v.18 Gesù … ordinò di passare all’altra riva. Al comando di partenza seguirà l’imbarco effettivo solo più tardi (v. 23). Non è indicato il motivo per cui Gesù vuole allontanarsi dalla folla. Forse evangelista intende distinguere i cristiani, associati a Gesù perché membri della comunità, dalla folla dei giudei, che non avevano aderito al vangelo.
v. 19 «Maestro, ti seguirò ovunque vada». Dapprima compare in scena uno scriba, cioè un esperto della Legge mosaica, che intendeva seguire Gesù. Nei vangeli vengono menzionati altri scribi disponibili al suo messaggio, perché avevano compreso che rappresentava il compimento delle Scritture (cf. Mt 13,52; Gv 3,1-20; 12,42). II verbo akoloutheîn (= seguire) è il termine tecnico per indicare la sequela di Gesù.
v. 20 «Le volpi hanno le tane ..., ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». La risposta di Gesù è solenne e strutturata con perfetta simmetria.
Mentre i rabbini offrivano ai loro discepoli la prospettiva allettante di una professione redditizia e onorata, Gesù disinganna crudamente il suo ammiratore; gli descrive la sua situazione di estrema indigenza, essendo privo persino di una dimora fissa. Per la prima volta in Mt Gesù si autodesigna come «Figlio dell’uomo». Una caratteristica che contraddistingue il discepolato di Gesù da quello degli scribi è costituita dalla situazione di povertà e dalla mancanza d’ogni sicurezza materiale.
Anche la vita del Maestro fu «un unico ininterrotto vagabondare ... , la rinuncia a dimora e famiglia, a succeso e sicurezza» (Schniewind, p. 202). Non si sa se lo scriba abbia seguito Gesù. Probabilmente no. A Mt non interessa la storia di questo individuo, quanto la lezione permanente, valida per ogni vocazione cristiana. Il detto ha un’impronta sapienziale, con una probabile allusione alla sapienza rifiutata dagli uomini (cf. Pro 1,20-33).
Ciò spiega anche la situazione precaria di Gesù, dovuta non ad una scelta di vita ascetica, bensì all’ostilità degli uomini (cf. Gnilka, I, p. 458). I suoi discepoli devono predisporsi a sopportare le medesime privazioni per conseguire la vita eterna nella parusia del Figlio dell’uomo, quando tornerà come giudice escatologico per la piena attuazione del regno di Dio.
vv. 21-22 «Permettimi prima di andare e di seppellire mio padre». Questa domanda di «un altro dei discepoli», cioè di uno ch’era già al suo seguito, sembrava più che ragionevole, anzi doverosa. La sepoltura del genitore rientrava nella serie dei doveri più importanti nel giudaismo, in ossequio al quarto comandamento. La risposta negativa di Gesù è perentoria: «Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Sono tate proposte varie ipotesi per attenuare la portata di questo comando di Gesù. Egli non intendeva certo abolire il quarto comandamento (cf. 15,3ss.), bensì sottolineare l’importanza del regno, che va preposto ad ogni altro obbligo, persino agli affetti familiari più profondi (cf. 10,37). La sequela di Gesù dev’essere radicale e incondizionata. Il suo linguaggio risulta iperbolico e paradossale, tuttavia esprime una esigenza reale. «La causa di Cristo fa passare in seconda linea, fa persino trascurare tutte le altre occupazioni e preoccupazioni, anche quelle che sembrano più sacre, qual è la cura dei defunti» (Ortensio da Spinetoli, pp. 219-220).
«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti»: questa espressione non va intesa come biasimo ai parenti del discepolo per loro cattiva condotta, ma ha un significato simbolico per indicare in generale gli esseri umani che «restano nella morte (1Gvv 3,14), che sono preda della morte eterna e ne portano i segni già adesso» (Schniewind.p, 203-204). In questo secondo apoftegma emerge un’altra caratteristica del discepolato: la subordinazione di ogni interesse terreno alla chiamata Tutto deve passare in secondo ordine rispetto alle sigenze radicali del regno, il bene più prezioso per la persona umana.
Vocazione dei discepoli e vocazione dei cristiani - Jacques Guillet: Se Gesù, per suo conto, non sente la chiamata di Dio, in compenso moltiplica le chiamate a seguirlo; la vocazione è il mezzo mediante il quale egli raggruppa attorno a sé i Dodici (Mc 3,13), ma fa sentire anche ad altri un’analoga chiamata (Mc 10,21; Lc 9,59-62); e tutta la sua predicazione ha qualcosa che comporta una vocazione; una chiamata a seguirlo in una via nuova di cui egli possiede il segreto: «Chi vuol venire dietro di me...» (Mt 16,24; cfr. Gv 7,17). E se «molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti», si è perché l’invito al regno è una chiamata personale, alla quale taluni rimangono sordi (Mt 22,1-14). La Chiesa nascente ha subito inteso la condizione cristiana come una vocazione. La prima predicazione di Pietro a Gerusalemme è un appello ad Israele, simile a quello dei profeti, e cerca di suscitare un passo personale: «Salvatevi da questa generazione perversa!» (Atti 2,40). Per Paolo c’è un parallelismo reale tra lui, «apostolo per vocazione», e i cristiani di Roma o di Corinto «santi per vocazione» (Rom 1,1.7; 1Cor 1,1s). Per rimettere i Corinzi nella verità, egli li riporta alla loro chiamata, perché essa costituisce la comunità di Corinto così com’è: «Considerate la vostra chiamata, non ci sono molti sapienti secondo la carne» (1Cor 1,26). Per dar loro una regola di condotta in questo mondo la cui figura passa, li impegna a rimanere ciascuno «nella condizione in cui l’ha trovato la sua chiamata» (7,24). La vita cristiana è una vocazione perché è una vita nello Spirito, perché lo Spirito è un nuovo universo, perché «si unisce al nostro spirito» (Rom 8,16) per farci sentire la parola del Padre e risveglia in noi la risposta filiale. Poiché la vocazione cristiana è nata dallo Spirito, e poiché lo Spirito è uno solo che anima tutto il Corpo di Cristo, in seno a quest’unica vocazione c’è «diversità di doni... di ministeri... di operazioni...», ma in questa varietà di carismi non c’è infine che un solo corpo ed un solo Spirito (1Cor 12,4-13). Poiché la Chiesa, la comunità dei chiamati, è essa stessa la Ekklesìa, «la chiamata» , come è la Eklektè, «l’eletta» (2Gv 1), tutti coloro che in essa sentono la chiamata di Dio rispondono, ognuno al suo posto, all’unica vocazione della Chiesa che sente la voce dello sposo e gli risponde: «Vieni, o Signore Gesù!» (Apoc 22, 20).
Il radicalismo evangelico: Pastores dabo vobis 27: Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e a imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con lui, operata dallo Spirito (cfr. Mt 8,18ss; Mt 10,37ss; Mc 8,34ss; 10,17-21; Lc 9,57ss). Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono “nella” chiesa, ma anche perché sono “di fronte” alla chiesa, in quanto sono configurati a Cristo capo e pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi “consigli evangelici”, che Gesù propone nel discorso della montagna (cfr. Mt 5-7) e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono.
Il discepolo che vuole essere perfetto - Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 41, 4: Questo discepolo credeva certamente con spirito religioso e con mente illuminata dalla fede, ma non disponeva ancora di una scienza della fede che fosse completa. Non aveva ancora sentito dire dal Signore: Se uno non lascerà suo padre a sua madre, i suoi figli a i suoi fratelli, a le sue sorelle, e non mi avrà seguito, non potrà essere mio discepolo. Perciò non conoscendo la perfezione richiesta dalla fede, non comprese quello che andava dicendo. Il Signore, che approva più il cuore che non le parole dei discepoli che credono in lui volle istruire quel tale che era nell’ignoranza. E poiché desiderava che quel discepolo fosse in tutto perfetto, gli dice che non deve essere legato da nessuna preoccupazione del mondo; lo ammonisce col dire: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Era certo una cosa disdicevole che quel tale, avendo creduto per la prima volta nel Figlio di Dio e avendo ormai cominciato ad avere per padre il Dio vivo e celeste, si interessasse ancora del padre terreno ormai morto. Perciò il Signore tagliò corto dicendogli solo di seguire lui: Seguimi!
Il Santo del Giorno - 30 Giugno 2025 - Primi Martiri della Chiesa di Roma. Quella ferita nella storia da cui entra la luce di Dio: Fare memoria dei martiri significa ricordare una ferita che da sempre accompagna il Vangelo nella storia. Una ferita dalla quale, però, s’intravede la luce della vita divina che raggiunge ogni essere umano. Così la testimonianza dei cristiani della Chiesa di Roma uccisi nell’anno 64 perché accusati ingiustamente da Nerone dell’incendio della città, ci ricorda ancora oggi che spesso la voce del Vangelo è messa a tacere dai potenti, ma continua a farsi sentire grazie alla fede del popolo di Dio. Erano passati pochi anni dalla morte e risurrezione di Gesù a Gerusalemme, ma nella capitale dell’Impero il suo messaggio si era già diffuso.
La crisi era dietro l’angolo e serviva un capro espiatorio: si decise che il pericolo veniva dai cristiani, con quella loro fede rivoluzionaria e per questo Nerone li incolpò del grande incendio. Un’accusa che scatenò una persecuzione feroce. Lo storico Tacito nei suoi «Annali» descrivendo il martirio dei cristiani narrava: «Alcuni ricoperti di pelle di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco al termine del giorno in modo che servissero da illuminazione notturna». La persecuzione contro i cristiani si protrasse fino all’anno 67. (Avvenire)
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.