6 Luglio 2024
 
Sabato della XIII Settimana del Tempo Ordinario
 
Am 9,11-11; Salmo responsoriale dal Salmo 84 (85); Mt 9,14-17
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Le immagini della Chiesa: Lumen gentium 6: La Chiesa è detta edificio di Dio (cfr. 1 Cor 3,9). Il Signore stesso si paragonò alla pietra che i costruttori hanno rigettata, ma che è divenuta la pietra angolare (Mt 21,42 par.). Sopra quel fondamento la Chiesa è costruita dagli apostoli (cfr. 1 Cor 3,11) e da esso riceve stabilità e coesione. Questo edificio viene chiamato in varie maniere: casa di Dio (cfr. 1 Tm 3,15), nella quale cioè abita la sua famiglia, la dimora di Dio nello Spirito (cfr. Ef 2,19-22), la dimora di Dio con gli uomini (cfr. Ap 21,3), e soprattutto tempio santo, il quale, rappresentato dai santuari di pietra, è l’oggetto della lode dei santi Padri ed è paragonato a giusto titolo dalla liturgia alla città santa, la nuova Gerusalemme. In essa infatti quali pietre viventi veniamo a formare su questa terra un tempio spirituale (cfr. 1 Pt 2,5). E questa città santa Giovanni la contempla mentre, nel momento in cui si rinnoverà il mondo, scende dal cielo, da presso Dio, « acconciata come sposa adornatasi per il suo sposo » (Ap 21,1s).
La Chiesa, chiamata « Gerusalemme celeste » e « madre nostra » (Gal 4,26; cfr. Ap 12,17), viene pure descritta come l’immacolata sposa dell’Agnello immacolato (cfr. Ap 19,7; 21,2 e 9; 22,17), sposa che Cristo « ha amato.. . e per essa ha dato se stesso, al fine di santificarla » (Ef 5,26), che si è associata con patto indissolubile ed incessantemente « nutre e cura » (Ef 5,29), che dopo averla purificata, volle a sé congiunta e soggetta nell’amore e nella fedeltà (cfr. Ef 5,24), e che, infine, ha riempito per sempre di grazie celesti, onde potessimo capire la carità di Dio e di Cristo verso di noi, carità che sorpassa ogni conoscenza (cfr. Ef 3,19). Ma mentre la Chiesa compie su questa terra il suo pellegrinaggio lontana dal Signore (cfr. 2 Cor 5,6), è come un esule, e cerca e pensa alle cose di lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio, dove la vita della Chiesa è nascosta con Cristo in Dio, fino a che col suo sposo comparirà rivestita di gloria (cfr. Col 3,1-4).
 
I Lettura: Parole di speranza - Epifanio Callego (Commento della Bibbia Liturgica): Dopo tante denunzie, tanti oracoli minacciosi, tante predizioni dure e amare, il libro di Amos non si poteva chiudere senza qualche parola d’incoraggiamento e di speranza, senza un ideale con prospettive di futuro. È la speranza messianica d’un Israele ideale in «quel giorno» prefissato negli eterni disegni di Dio.
Gli esegeti non sanno precisare se questo oracolo messianico pieno di speranza sia di Amos sia di qualcuno dei suoi discepoli che vide la rovina di Gerusalemme nell’anno 587. Le stesse ragioni di contenuto, di stile e di vocabolario conducono all’una e all’altra conclusione. Fino a che non avremo altri elementi di giudizio ci basti, come credenti, sapere che abbiamo davanti a noi un oracolo profetico, quale che sia l’uomo che l’ha scritto e il tempo in cui l’ha scritto.
Comunque, sia come previsione o come avvenimento già passato, il profeta contempla la casa di Davide trasformata in una capanna screpolata e caduta, in un mucchio di rovine. Ma Dio la «rialzerà», in perfetta armonia con tanti oracoli di restaurazione davidica.
E questo risorgimento sarà espresso con le plastiche immagini di dominio della casa di Davide su tutte le nazioni, fra le quali si trova Edom, per la sua proverbiale inimicizia nei riguardi di Davide, profeticamente riflessa nell’inimicizia dei due fratelli Esaù-Edorn e Giacobbe-Israele (Gen 27,30-41). Edom era l’Idumea dei tempi di Gesù, la zona nordica della penisola del Sinai, con capitale Bersabea.
L’ultima parte della lettura del libro di Amos rappresenta la classica immagine del tempo messianico, dipinto con tutti i caratteri di felicità idilliaca e paradisiaca. Era il linguaggio più appropriato, l’unico che potevano comprendere quelle menti giudaiche, avvezze a occuparsi della terra.
È un insieme di benedizioni in contrappunto con le maledizioni di 5,11, un insegnamento implicito per dire come il lavoro dell’uomo divenga fecondo sotto la benedizione di Dio. È un anello in più nella catena di profezie di restaurazione messianica, col loro duplice elemento di restaurazione della dinastia davidica e di proverbiale sovrabbondanza di beni temporali. Di fronte ai veri valori che ci sono stati rivelati nell’era messianica da essi sognata, le loro vive descrizioni sono rimaste sfumate come nebbiolina mattutina davanti al meriggio del vero Sole di giustizia.
 
Vangelo
Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?
 
La discussione tra Gesù e i discepoli di Giovanni Battista “riguarda il digiuno privato intrapreso come atto di pietà personale, non il digiuno solenne del Giorno dell’Espiazione (vedi Lv 16,31-34) né i digiuni pubblici proclamati in tempi di emergenza nazionale. Gesù è accusato di non aver istruito i suoi discepoli a osservare un regime che comprendesse il digiuno religioso in tempi stabiliti.
Nel racconto di Matteo quelli che sollevano la questione sono i discepoli dell’ascetico Giovanni il Battista. Si sa di altri Giudei che digiunavano regolarmente al lunedì e al giovedì (vedi Didaché 8,1). Sembra inoltre che dopo la morte di Gesù anche i primi cristiani abbiano adottato un’analoga pratica del digiuno. La soluzione cristiana a questo dilemma era che il ministero pubblico di Gesù costituiva un periodo speciale - il tempo della presenza dello sposo - che perciò il digiuno era fuori luogo. Ma dopo la morte di Gesù, il digiuno diventava ancora una pratica accettabile per i giudeo-cristiani” (Daniel J. Harrington, Il Vangelo di Matteo).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,14-17
 
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno.
Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».
 
Parola del Signore.
 
Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Conosciuta anche da Marco e da Luca, questa scena si divide in due parti: la prima è una breve discussione tra Gesù e i discepoli di Giovanni il Battista (vv. 14-15); la seconda (vv. 16-17) prolunga la disputa con due detti proverbiali.
I versetti 14-15 hanno una doppia portata: infatti sono i discepoli che si vedono provocare sul problema del digiuno. E, per Matteo, questi «discepoli» sono allo stesso tempo i membri delle Chiese degli anni 80 e il gruppo che circondava Gesù verso la fine degli anni 20. Ora la risposta che il vangelo attribuisce a Gesù gioca sui due fattori. Il gruppo guidato da Gesù non digiunava, segnalandosi piuttosto grazie a un’allegra comunità di tavolata, segno della venuta del regno. Esso si distingueva così dalla pietà dei farisei e dall’austerità dei battisti, al punto che qualcuno tacciava Gesù di «mangione» e «beone» (Mt 11,19).
Ma, come ha mostrato il discorso della montagna (cfr. 6,16-18), i cristiani tornarono alla pratica del digiuno che Mt 9,15b giustifica così: i discepoli vivono attualmente nella struggente attesa dello sposo scomparso. Ciò nonostante, le Chiese degli anni 80 non erano certo considerate come modelli nel digiuno. Così, i farisei e gli adepti dei movimenti battisti avevano buon gioco a criticare l’inferiorità dei cristiani in materia.
Nel contesto di questa sezione, l’accento batte sul motivo addotto da Gesù per sottolineare l’inopportunità del digiuno: egli è lo sposo e i discepoli sono gli invitati alle nozze. L’Antico Testamento presenta Dio più volte come lo sposo di Israele (cfr. Os 2,16-22; Is 54,5-7), in genere nelle promesse relative al futuro. I primi cristiani hanno amato prolungare quest’immagine con quella dell’unione nuziale tra il Cristo e la sua Chiesa (cfr. 2Cor 11,2; Ap 21,9-10).
Insomma, il tanto desiderato tempo delle nozze sta per giungere: non si tratta più di intorpidirsi su pratiche co­
me il digiuno, ma di adattare il proprio cuore alla mutata situazione.
Le due metafore complementari (vv. 16-17) accentuano l’idea che il nuovo va d’accordo solo col nuovo; occorre rinnovare se stessi per essere all’altezza dell’avvenimento.
Le immagini del vestito e del vino nuovo torneranno (cfr. Mt 22,11; 26,29). Per ora, questa controversia serve per illuminar in anticipo tre racconti che sottolineano la novità delle opere del Cristo.
 
Il digiuno di Gesù e della comunità cristiana - Roberto Tufariello e Giuseppe Barbaglio (Schede Bibliche Pastorali - Vol. II): Gesù ha iniziato la sua vita pubblica con un digiuno simile a quello di Mosè ed Elia: quaranta giorni e quaranta notti nel deserto (Mt 4,1-2 e Lc 4,1-2). Egli si prepara così al suo ministero tra gli uomini e al compimento del mistero pasquale, e lo fa in un contesto di tentazione, ci dicono i due evangelisti. La lotta contro satana e l’ascesi del digiuno sono pertanto strettamente uniti.
Egli però non ha imposto ai suoi discepoli la pratica di settimanali digiuni propri dei discepoli del Battista e dei farisei. Ecco il motivo: la sua presenza nel mondo deve essere salutata dalla gioia, non da espressioni di tristezza. Si fa forse digiuno il giorno delle nozze? Ora, come messia tra gli uomini egli chiama a gioia e a far festa. In breve, digiunare sarebbe un controsenso. La storia ha avuto con lui una svolta epocale, non si può dunque stare legati alle pratiche rituali del passato. Tutto è nuovo! Ecco le sue parole trasmesse dal vangelo di Marco: «Possono dunque digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare... Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altri menti il rattoppo nuovo strappa il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi» (2,19-22; cf. parr.). In breve, Gesù è lo sposo venuto a stabilire tra Dio e gli uomini la nuova alleanza (cf. Gv 3,29). Il digiuno è piuttosto segno della sua assenza, e diventa impossibile in sua presenza.
In modo analogo Gesù si rapporta al Battista. Questi era un asceta che non toccava pane e non beveva vino. Al contrario Gesù faceva vita comune allegra, a tal punto da essere qualificato, in opposizione a Giovanni, un mangione e un beone (Lc 7,33-34).
Ma dopo la morte di Cristo, la comunità cristiana palestinese riprende a vivere secondo lo stile di vita giudaico e a far sua la pratica ascetica del digiuno, motivandola con l’osservazione che Gesù è assente, essendosene andato alla casa del Padre. Il detto del Maestro sullo sposo dunque è riportato con una precisazione: «Ma verranno giorni in cui sarà loro (discepoli) tolto lo sposo e allora digiuneranno» (Mc 2,20).
Da parte sua, la comunità di Matteo legata alle tradizioni giudaiche di stretta osservanza, ha trasmesso un insegnamento di Gesù circa la pratica del digiuno: «E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu, invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,16-18). Nessuna strumentalizzazione del digiuno, espressione di un rapporto sincero con Dio.
 
Perché i tuoi discepoli non digiunano? Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 30, 4: Verrà tempo in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Il Signore fa loro intendere che se i suoi discepoli non digiunano non è per intemperanza, ma per un’ammirabile disposizione, e insieme anticipa l’annuncio della sua passione; da una parte ammaestra i discepoli alle dispute con gli avversari e dall’altra li esercita alla meditazione di eventi apparentemente tristi. Sarebbe stato troppo duro e insopportabile rivolgere loro direttamente questo annuncio: e difatti, quando fu loro rivolto in seguito, li turbò estremamente. Ora, sentendone parlare in un discorso indirizzato ad altri, l’impressione che ne ricevono è meno forte.
E poiché verosimilmente i discepoli di Giovanni si gloriavano della dolorosa situazione in cui si trovava il loro maestro, il Signore reprime anche questo loro orgoglio. Ora, comunque, non fa alcun ceno alla sua risurrezione: non era ancora il momento opportuno. Perché se la morte era conforme alla natura per chi era considerato uomo, la risurrezione era un fatto al di sopra della natura umana.
 
Santo del giorno - 6 Luglio 2024 - Santa Maria Goretti, Vergine e Martire: Nacque a Corinaldo (Ancona) il 16 ottobre 1890, figlia dei contadini Luigi Goretti e Assunta Carlini, Maria era la seconda di sei figli. I Goretti si trasferirono presto nell’Agro Pontino. Nel 1900 suo padre morì, la madre dovette iniziare a lavorare e lasciò a Maria l’incarico di badare alla casa e ai suoi fratelli. A undici anni Maria fece la Prima Comunione e maturò il proposito di morire prima di commettere dei peccati. Alessandro Serenelli, un giovane di 18 anni, s’innamorò di Maria. Il 5 luglio del 1902 la aggredì e tentò di violentarla. Alle sue resistenze la uccise accoltellandola. Maria morì dopo un’operazione, il giorno successivo, e prima di spirare perdonò Serenelli.
L’assassino fu condannato a 30 anni di prigione. Si pentì e si convertì solo dopo aver sognato Maria che gli diceva avrebbe raggiunto il Paradiso. Quando fu scarcerato dopo 27 anni chiese perdono alla madre di Maria.
Maria Goretti fu proclamata santa nel 1950 da Pio XII. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.