5 Luglio 2024
 
Venerdì XIII Settimana T. O.
 
Am 8,4.6.9-12; Salmo Responsoriale Dal Salmo 118 (119); Mt 9,9-13
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 Agosto 2006): Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l’opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18, 11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l’importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17).
Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Altrove, con la celebre parabola del fariseo e del pubblicano saliti al Tempio per pregare, Gesù indica addirittura un anonimo pubblicano come esempio apprezzabile di umile fiducia nella misericordia divina: mentre il fariseo si vanta della propria perfezione morale, “il pubblicano ... non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»”. E Gesù commenta: “Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,13-14). Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza. A questo proposito, san Giovanni Crisostomo fa un’annotazione significativa: egli osserva che solo nel racconto di alcune chiamate si accenna al lavoro che gli interessati stavano svolgendo. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto - commenta il Crisostomo - “poiché non c’è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario.
 
Prima Lettura: Celebrare le feste religiose per i ricchi mercanti, impazienti di realizzare i loro affari più o meno puliti, è una vera tortura che denuncia, in modo palese, la loro apostasia: fingono di  amare il Signore, ma, in verità, amano i loro affari, i loro denari, e i profitti, spesso frutto di ruberie. Il profeta Amos conosce le piccole e le grandi frodi dei commercianti, e senza riguardo alcuno, denuncia lo spirito di sopraffazione, di cui sono vittime soprattutto i poveri, le vedove, gli indigenti. Ma viene un giorno - la condotta dell’uomo non sfugge al giudizio di Dio - in cui invece di festa si avrà lutto, invece di gioia lamento, invece di pane fame. Ma il castigo peggiore sarà il silenzio di Dio: «Ecco, verranno giorni, - dice il Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore». Allora si cercherà da un confine all’altro di Israele un profeta che faccia udire la parola del Signore, ma non lo troveranno.
 
Vangelo
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,9-13
 
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Parola del Signore.
 
Il medico e gli infermi - Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): Questa lettura è divisa chiaramente in due parti: la vocazione di Matteo e la disputa originata dalla condotta di Gesù per la sua familiarità con i peccatori e con i pubblicani. La vocazione di Matteo ci è raccontata in funzione della scena seguente, ed è presentata dall’evangelista con due pennellate che raccolgono l’essenziale: Matteo che siede al banco delle imposte ed è, quindi, pubblicano, e la sua ubbidienza senza discussioni alla parola di Gesù che gli chiede di seguirlo.
È evidente che il racconto dell’evangelista sulla vocazione di Matteo non è determinato dall’interesse storico sul personaggio in questione; altrimenti ci avrebbe offerto una serie di quei particolari che sono indispensabili, nel momento di presentare una persona che dev’essere conosciuta, perché ha un innegabile interesse per il lettore. Si dice che era «pubblicano», il che equivaleva a dire che era peccatore, proscritto dalla società giudaica come una delle persone che si erano vendute a Roma e che, per questo, erano segnate a dito quando passavano per le strade. Era quello che oggi diremmo un peccatore pubblico. L’opinione pubblica giudaica considerava come mestieri «peccaminosi» quelli che, in un modo o in un altro, denotavano slealtà o qualcosa di simile nei riguardi del popolo.
Il centro d’interesse dell’evangelista è tutto nella parola esigente di Gesù: «Seguimi». Esigenza indiscutibile e inappellabile della parola del Maestro. Gesù chiama con lo stesso tono imperativo con cui Yahveh aveva chiamato nell’Antico Testamento. E teniamo presente che Matteo non aveva i presupposti psicologici sui quali oggi insistiamo tanto, e aveva anzi i presupposti contrari. Così si vede la ragione determinante dell’elezione che Dio fece del suo popolo o di determinate persone destinate a compiere una missione speciale. Nel corso di tutta la Bibbia, troviamo sempre la stessa legge, la legge dell’amore, senza meriti precedenti che la giustifichino. Insieme con questo imperativo di esigenza, si fa ammirare la risposta data nella piena libertà e ubbidienza, l’ubbidienza della fede.
«Lo scandalo farisaico» avvenne quando essi videro Gesù seduto a mensa con i pubblicani. Quali credenziali poteva avere un Maestro che frequentava quelle compagnie pericolose? Così i farisei presentarono il caso ai discepoli del Maestro sulla condotta del quale formulavano i loro dubbi. La risposta di Gesù risulta sconcertante. Tenendo conto di essa, potremmo argomentare così: Dato che Dio, come anche Gesù, si dà pensiero del peccatore più che del giusto, siamo peccatori!... È possibile che alcuni pensassero a questo modo, dato che un modo analogo di ragionare è ricordato anche dall’apostolo Paolo (Rm 6,1). Questo ragionamento è assurdo.
Non abbiamo qui un inno al peccato né una glorificazione del peccatore. Gesù vuole liberare e perdonare il peccatore, ma non vuole considerarlo come un nemico (come facevano i teologi del suo tempo). Quindi, invece di scomunicarlo e di buttarlo sdegnosamente fuori della società degli uomini e dell’amicizia di Dio, gli lancia una corda di salvataggio per riportarlo tanto nella società degli uomini come nell’amicizia di Dio.
Gesù si rivolge ai peccatori non perché disprezza o stima meno i giusti, ma perché sono più bisognosi. Ed è forse necessario ricordare che, in pratica, proprio quelli che si consideravano come giusti - coloro che confidavano nella loro giustizia, quella che viene dalla legge (Fil 3,6) - quelli che lo rigettarono e non lo riconobbero, avevano anch’essi bisogno del redentore ed erano malati incoscienti che credevano di non aver bisogno del medico. Gesù termina con una citazione del profeta Osea (6,6) che era divenuta classica ed era usata per mettere in evidenza la superiorità degli atti di generosità e di compassione nei confronti dei sacrifici offerti nel tempio.
 
Il volto della misericordia divina - J. Cambier e X- Léon Dufour: Gesù, «sommo sacerdote misericordioso» (Ebr 2, 17). - Dovendo compiere il disegno divino, Gesù ha voluto «diventare simile in tutto ai suoi fratelli», per esperimentare la stessa miseria di coloro che veniva a salvare. Perciò tutti i suoi atti manifestano la misericordia divina, anche se non sono così qualificati dagli evangelisti. Luca ha avuto una cura tutta speciale di mettere in rilievo questo punto. I prediletti di Gesù sono i «poveri» (Lc 4, 18, 7, 22); i peccatori trovano in lui un «amico» (7, 34), che non ha paura di frequentarli (5, 27. 30; 15, 1 s; 19, 7). La misericordia, che Gesù testimoniava in modo generale alle folle (Mt 9, 36; 14, 14; 15, 32), in Luca assume un volto più personale: concerne il «figlio unico» di una vedova (Lc 7, 13) od un determinato padre piangente (8, 42; 9, 38. 42). Gesù infine testimonia una benevolenza particolare verso le donne e gli stranieri. In tal modo l’universalismo è portato a compimento: «ogni carne vede la salvezza di Dio» (3, 6). Se Gesù ha così compassione di tutti, si comprende come gli afflitti si rivolgano a lui come a Dio stesso, ripetendo: «Kyrie eleison!» (Mt 15, 22; 17, 15; 20, 30 s).
2. Il cuore di Dio Padre. - Di questo volto della misericordia divina che mostrava attraverso i suoi atti, Gesù ha voluto dipingere per sempre i tratti. Ai peccatori, che si vedevano esclusi dal regno di Dio dalla grettezza dei farisei, proclama il vangelo della misericordia infinita, nella linea diretta degli annunzi autentici del VT.
Coloro che rallegrano il cuore di Dio non sono gli uomini che si credono giusti, ma i peccatori pentiti, paragonabili alla pecora od alla dramma perduta e ritrovata (Lc 15, 7. 10); il Padre spia il ritorno del figliol prodigo, e quando lo scorge di lontano, è «mosso da compassione» e corre ad incontrarlo (15, 20). Dio ha atteso a lungo, attende ancora con pazienza Israele che non si converte, come un fico sterile (13, 6-9).
3. La sovrabbondanza della misericordia. - Dio dunque è il «Padre delle misericordie» (2 Cor 1, 3; Giac 5, 11), che accordò la sua misericordia a Paolo (1 Cor 7, 25; 2 Cor 4, l; 1 Tim 1, 13) e la promette a tutti i credenti (Mt 5, 7; 1 Tim 1, 2; 2 Tim 1, 2; Tito 1, 4; 2 Gv 3). Del compimento del disegno di misericordia nella salvezza e nella pace, quale era annunziato dai cantici all’aurora del vangelo (Lc 1, 50. 54. 72. 78), Paolo manifesta chiaramente l’ampiezza e la sovrabbondanza. Il culmine della lettera ai Romani sta in questa rivelazione.
Mentre i Giudei finivano per disconoscere la misericordia divina, in quanto pensavano di procurarsi la giustizia con le loro opere, con la loro pratica della legge, Paolo dichiara che anch’essi sono peccatori, e quindi anch’essi hanno bisogno della misericordia mediante la giustizia della fede. Di fronte ad essi i pagani, ai quali Dio non aveva promesso nulla, sono a loro volta attratti nell’orbita immensa della misericordia. Tutti devono quindi riconoscersi peccatori per beneficiare tutti della misericordia: «Dio ha racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza per fare a tutti misericordia» (Rom 11, 32).
«Siate misericordiosi...» -  La «perfezione» che, secondo Mt 5, 48, Gesù esige dai suoi discepoli, secondo Lc 6, 36 consiste nel dovere di essere misericordiosi «com’è misericordioso il Padre vostro». È una condizione essenziale per entrare nel regno dei cieli (Mt 5, 7), che Gesù riprende sull’esempio del profeta Osea (Mt 9, 13; 12, 7). Questa tenerezza deve rendermi prossimo al misero che incontro sulla mia strada, come il buon Samaritano (Lc 10, 30-37), pieno di pietà nei confronti di colui che mi ha offeso (Mt 18, 23-35), perché Dio ha avuto pietà di me (18, 32 s). Saremo quindi giudicati in base alla misericordia che avremo esercitata, forse inconsciamente, nei confronti di Gesù in persona (Mt 25, 31-46). Mentre la mancanza di misericordia nei pagani scatena l’ira divina (Rom 1, 31), il cristiano deve amare e «simpatizzare» (Fil 2, 1), avere in cuore una buona compassione (Ef 4, 32; 1 Piet 3, 8); non può «chiudere le sue viscere» dinanzi ad un fratello che si trova nella necessità: 1’amore di Dio non rimane che in coloro che esercitano la misericordia (1 Gv 3, 17).
 
Senza alcuna esitazione - Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 45, l: Il Signore era sul punto di far dono della salvezza a tutti i peccatori che avrebbero creduto in lui; comincia con la scelta di Matteo, che era pubblicano; sua è l’iniziativa piena di bontà. In un atto di bontà di questa sorta precedono e il dono della condiscendenza misericordiosa del Signore e l’esempio del suo modo di procedere nel dare la salvezza; l’esempio è per noi: perché comprendiamo che chiunque viene scelto da Dio tra i peccatori, può pervenire alla grazia della salvezza eterna, purché non faccia difetto uno spirito religioso ed un animo devoto. Dio sceglie di
sua libera iniziativa Matteo; costui, quantunque fosse impegnato nei negozi di questo mondo e legato dagli obblighi del secolo, tuttavia meritò di essere chiamato Signore per lo spirito religioso del suo animo. Si sentì dire da colui che per l’onniscienza della sua divina natura conosce i segreti del cuore: Seguimi! Dagli avvenimenti che seguirono siamo in grado di poter affermare che questo Matteo venne scelto dal Signore non perché Dio faccia preferenze di persone, ma perché Matteo ne fu ritenuto meritevole per la sua fede e per la sua devozione. Infatti non appena gli fu detto: Seguimi!, non frappone indugi, non esita, ma subito, alzatosi, lo segui.
 
Santo del giorno - 5 Luglio 2024 - Sant’Antonio Maria Zaccaria, Sacerdote: Nasce a Cremona nel 1502. Nel 1524 si laurea in medicina a Padova. Ma poi, tornato a Cremona, decide di spiegare Vangelo e dottrina a grandi e piccoli. Viene consacrato prete nel 1528. Cappellano della contessa Ludovica Torelli, la segue a Milano nel 1530. Qui trova sostegno nello spirito d’iniziativa di questa signora e in due amici milanesi sui trent’anni come lui: Giacomo Morigia e Bartolomeo Ferrari. Rapidamente nascono a Milano tre novità, tutte intitolate a san Paolo. Già nel 1530 egli fonda una comunità di preti soggetti a una regola comune, i Chierici regolari di San Paolo. Milano li chiamerà Barnabiti, dalla chiesa di San Barnaba, loro prima sede. Poi vengono le Angeliche di San Paolo, primo esempio di suore fuori clausura. San Carlo Borromeo ne sarà entusiasta, ma il Concilio di Trento prescriverà loro il monastero. Terza fondazione: i Maritati di San Paolo, con l’impegno apostolico costante dei laici sposati. Denunciato come eretico e come ribelle Antonio va a Roma: verrà assolto. Durante un viaggio a Guastalla, il suo fisico cede. Lo portano a Cremona, dove muore a poco più di 36 anni. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.