27 LUGLIO 2024
 
SABATO DELLA XVI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
 
Ger 7,1-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo 83 (84); Mt 13,24-30
 
Colletta
Sii propizio a noi tuoi fedeli, o Signore,
e donaci in abbondanza i tesori della tua grazia,
perché, ardenti di speranza, fede e carità,
restiamo sempre vigilanti nel custodire i tuoi comandamenti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

I Lettura: Epifanio Gallego: La superstizione nel tempio - Con questa pericope, inizia, nell’opera di Geremia, una nuova sezione formata di oracoli frammentari, che hanno in comune e riflettono una mescolanza di situazione storica, morale e religiosa. La stesura attuale fu opera dei discepoli di Geremia.
Il pio re Giosia era morto, e sedeva sul trono l’empio re Ioiakim. L’Assiria era vicina all’agonia e l’Egitto, sebbene sconfitto a Karkemish, era forte e ambizioso. Erano tempi d’instabilità a tutti i livelli. Cento anni prima, di fronte all’attacco di Sennacherib, Isaia aveva garantito l’inviolabilità di Sion. Essendo stato spezzato l’assedio per ragioni meravigliose e straordinarie ed essendo stata liberata Gerusalemme, le parole di Isaia erano divenute il domma della sicurezza. Gerusalemme e il suo tempio erano la migliore e l’unica garanzia di stabilità.
In un giorno di festa, Geremia si presenta improvvisamente all’entrata fra l’atrio esteriore e l’interno del tempio, dove il popolo si riuniva per i sacrifici. In nome di Dio, egli infrange la superstizione della città e del tempio stesso ricordando che il domma dell’inviolabilità non è una garanzia assoluta, ma condizionata. Essi devono pentirsi e convertirsi. Solo i retti di cuore entrano nel regno di Dio. Rettitudine di vita, e non slogans pubblicitari!
La rettitudine della vita suppone l’adempimento degli obblighi sociali e morali. A livello sociale, egli ricorda, a modo di esempio, i casi più abbandonati e indifesi, come sono quelli del trittico: straniero, vedova e orfano.
A livello morale, rinfaccia loro i sacrifici dei loro figli a Moloch e l’abbandono dell’alleanza per correre dietro ad altri dèi: idolatria, immoralità, ingiustizia.
Essi confidavano in parole ingannatrici che non erano quelle di Isaia, ma l’interpretazione incondizionata che ne avevano data i falsi profeti. Gerusalemme e il tempio; sono inviolabili solo se la loro vita è retta, In questo caso Dio abiterà realmente in mezzo a loro e solo la sua presenza li renderà inviolabili.
I giudei si erano fatta una duplice religione: quell, personale e individuale, piena di abominazioni di genere, e quella ufficiale, rituale, esterna e cultuale, la yahvista, altrettanto pomposa quanto vuota. Con la seconda miravano a giustificare la prima; e quanto più erano scrupolosi nell’osservanza dei piccoli particolari del culto tanto più colpevole era la loro vita individuale e sociale. Si rifugiavano nel culto per nascondere le bruttura della loro vita. Avevano fatto del tempio una spelonca di ladri, il rifugio nel quale i malfattori potevano sentirsi sicuri. Geremia grida loro audacemente: «Attenzione - è parola di Yahveh - io vedo tutto questo». Dio non può lasciarsi ingannare.
Gesù ricorre a questo passo profetico quando scaccia i venditori e i cambiavalute dal tempio, sebbene gli dia un senso nuovo. Il tempio, in sostanza, non è un nascondiglio per vite colpevoli né un posto di transazioni: è il trono di Yahveh, la casa della preghiera, il luogo in cui l’uomo può incontrare serenamente Dio e dialogare con lui. Andare al tempio per altri motivi o con altre intenzioni, varcare le sue soglie col capo eretta e il cuore storto vuol dire attirare su di sé la parola di condanna di Dio attraverso Geremia o Gesù; «Se presenti la tua offerti all’altare ...».
 
Vangelo
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura.
 
Il tema del Vangelo è quello della pazienza. Se l’uomo è impaziente, Dio invece dà un’impostazione più ampia e più tollerante al suo piano di salvezza: «Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,9).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13,24-30
 
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».
 
Parola del Signore.
 
Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Ecco qui un raccolto compromesso dall’invasione delle erbe cattive seminate da un vicino malevolo (vv. 25,27-28). A rigor di logica, nel racconto l’insistenza sul nemico» evidenzia semplicemente un punto: il seminatore non ha seminato che del buon grano, ma il male è fatto. Il succo della parabola si trova nel seguito del dialogo.
Secondo l’impulso naturale dell’uomo e le regole dell’agricoltura, non è necessario strappare la cattiva erba subito? In questo caso, però, se ne trova davvero troppa e, sembra, esiste una specie di zizzania simile, tanto da ingannarsi, al grano ancora verde. Piuttosto che compromettere l’intero raccolto, è meglio attendere la mietitura per effettuare la scelta.
La parabola è una lezione di pazienza: è meglio tollerare la presenza del male che distruggere il ben quando non si dispone di mezzi per un efficace discernimento e lasciare questo compito a chi ne è capace («i mietitori»), Gesù applica la parabola al regno: nel corso della storia umana, i discepoli devono coltivare una paziente fiducia, accettare che il regno sia una comunità in cui si mescolano il bene e il male: il giudizio «ultimo» non è né di loro giurisdizione né di loro competenza. Più avanti (vv. 36-43) seguirà un «sermone» illuminante che sposterà in parte il culmine della parabola.
 
Il nemico ha fatto questo - La parabola della zizzania è propria di Matteo e forma una coppia con quella del seminatore, con la quale è affine per il contenuto. La parabola del granello di senapa è comune a tutti e tre i Sinottici.
La spiegazione della parabola della zizzania è data dallo stesso evangelista: l’uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo è il Cristo, il campo è il mondo e il buon seme i figli del regno, la mietitura è il tempo del giudizio (Cf. Ger 51,33; Gl 4,13; Os 6,11). Il nemico è il diavolo, il quale, a differenza dei servi che dormono, è l’irrequieto, l’insonne, colui che «come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare» (1Pt 5,8). Il Figlio dell’uomo semina di giorno, il nemico di notte. Da qui si deduce che lì dove semina Dio, semina anche Satana: bisogna arrendersi «alla Parola di Dio e alle prove che la storia e la cronaca offrono ad ogni istante attraverso le edicole dei giornali, le vetrine delle librerie, il piccolo e il grande schermo. I “fiori del male” sono visibili in tutte queste aiuole; se ci sono gli effetti, ci sarà una causa, ci sarà un seminatore di zizzania e un coltivatore di malerba» (Rosario F. Esposito). Conoscere ciò è un ottimo antidoto a un falso ottimismo.
La parabola, al di là del suo vero intento, dà diversi spunti di riflessione. È un invito alla vigilanza, una buona virtù che può limitare efficacemente l’azione nefanda del «nemico» nel mondo e nella Chiesa. Ma è anche vero che i «figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8), da qui il monito evangelico sempre attuale: noi «non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (1Ts 5,5-6).
Forse nella comunità cristiana, alla quale si indirizzava il Vangelo di Matteo, il «lievito dei farisei e dei sadducei» (Mt 16,6) aveva fatto fermentare un po’ di farina e i cristiani, emuli delle «guide cieche» del popolo di Dio (Cf. Mt 23,16.24), avevano preso gusto a tranciare giudizi, mettendo da una parte i buoni, qualificati così chissà da quali metri di giudizio, e dall’altra i cattivi, chissà per quali falli o peccati, occulti o manifesti. Proprio da tanto spettacolo di nequizia nasceva il desiderio di voler anticipare il giudizio finale di Dio. Una cosa, invece, è certa: il regno, finché dura questo mondo, è composto da grano e zizzania. In questa luce, nell’insegnamento evangelico della parabola del grano e della zizzania è nascosta «una lezione di pazienza perché non sta a noi decidere chi è il buono e chi è il cattivo, anche perché la parabola ci sottolinea l’aspetto escatologico della crescita, quando si realizzerà il vero discernimento; ma vi è anche la consapevolezza del valore del “seme”, da parte del padrone, perché sa bene che alla “fine” la zizzania sarà estirpata e bruciata» (G. Carata). A conclusione, il discepolo deve imparare ad avere e ad usare pazienza, predicare il pentimento e il perdono, imitando il buon Dio, il quale non gode «della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33,11).
 
I Giorni del Signore (Commento delle Letture Domenicali): «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura». Dio non ha premura di fare la cernita tra la zizzania e il grano: ci penserà al momento della mietitura. Prima di allora, siamo nel tempo della crescita e della speranza. Dio, si potrebbe dire, ha un’esperienza più lunga dei suoi servi. Egli sa che nel campo del regno, germogli vigorosi di zizzania possono scomparire prima di arrivare a maturazione; che alcuni semi di grano producono spighe più tardi di altri; che certi semi sviluppano le loro spighe appena prima della mietitura. Ma sa altresì che, al contrario, germogli di grano che erano spuntati rapidamente possono disseccarsi; che altri non riescono a superare il primo stadio di crescita e non arrivano alle spighe, e che una certa parte di queste si rivelano assai poco ricche di chicchi di grano maturo. Ora tutto questo - come ha ricordato la parabola della semente e dei diversi terreni - non dipende dai rischi stagionali. E non si può neppure dare la colpa ai semi, tutti di alta qualità, e nemmeno a uno sbaglio del seminatore: non è stato lui a seminare la zizzania nel campo, è stato il suo nemico. La responsabilità sta nel cuore dell’uomo: è lui che ha accolto la zizzania, che ha o non ha permesso alla zizzania di dare i suoi frutti. La pazienza, il temporeggiamento di Dio insegnati dalla parabola vengono perciò dalla sua chiaroveggenza, dalla sua misericordia che non dispera mai, dal fatto, insomma, che sino al giorno della mietitura egli dà a ciascuno la grazia che può fare miracoli.
 
Raymond Deville: Nei confronti sia del suo popolo «dalla dura cervice», sia delle nazioni peccatrici, Dio si rivela paziente perché li ama e li vuole salvare. L’uomo dovrà imitare questa pazienza divina, di cui Gesù dà la rivelazione suprema ed il modello perfette (Ef 5,1; Mt 5,45). Sull’esempio del suo maestro il discepolo dovrà affrontare la persecuzione e le prove con una fedeltà costante e lieta, piena di speranza; più umilmente, dovrà pure sopportare ogni giorno i difetti degli altri nella mitezza e nella carità.
I. LA PAZIENZA DI DIO - Antico Testamento - «Dio afferma la sua giustizia non tenendo conto dei peccati commessi una volta al tempo della pazienza divina» (Rom 3,2s).
L’Antico Testamento è così concepito da S. Paolo come un tempo in cui Dio sopportava i peccati del suo popolo e quelli delle nazioni al fine di manifestare la sua giustizia salvifica «nel tempo presente» (cfr. 1Piet 3,20; Rom 9,22ss). Nel corso della sua storia il popolo santo ha preso coscienza sempre più profonda di questa pazienza di Dio.
Nella rivelazione fatta a Mosè, Jahve proclama: «Dio di tenerezza e di pietà, tardo all’ira, grande in grazia e fedeltà, che esercita la sua grazia verso migliaia, perdona colpe e trasgressioni e peccati»; ma è pure colui che «non lascia nulla impunito e castiga le colpe dei padri sui figli e sui nipoti fino alla terza ed alla quarta generazione» (Es 34,6s; cfr. Num 14,18). Le successive rivelazioni insisteranno sempre più sulla pazienza, sull’amore misericordioso del Padre, il quale «sa di che cosa siamo impastati; tardo all’ira, e pieno di amore, egli non ci tratta secondo le nostre colpe» (Sal 103,8; cfr. Eccli 18,8-14). Se i temi dell’ira e del giudizio non scompaiono mai, i profeti mettono maggiormente l’accento sul perdono divino, e taluni testi mostrano Dio pronto a pentirsi delle sue minacce (Gioe 2,13s: Giona 4,2). Ma questa pazienza di Dio non è mai debolezza: è appello alla conversione: «Ritornate a Jahve vostro Dio perché egli è tenerezza e pietà, tardo all’ira, grande in grazia ... » (Gioe 2,13; cfr. Is 55,6). Israele comprende pure a poco a poco di non essere il solo beneficiario di questa pazienza: anche le nazioni sono amate da Jahve; la storia di Giona ricorda che la misericordia di Dio è aperta a tutti gli uomini che fanno penitenza.
Nuovo Testamento - 1. Gesù, con il suo atteggiamento nei confronti dei peccatori e con i suoi insegnamenti, illustra ed incarna la pazienza divina; rimprovera i suoi discepoli impazienti e vendicativi (Lc 9,55); le parabole del fico sterile (13,6-9) e del figliol prodigo (15), quella del servo spietato (Mt 18,23-35) sono nello stesso tempo rivelazioni della pazienza di Dio, che vuole salvare i peccatori, e lezioni di pazienza e di amore ad uso dei suoi discepoli. Il coraggio di Gesù nella sua passione, posto in rilievo specialmente nel racconto di Luca, diventerà il modello di ogni pazienza per l’uomo esposto alle persecuzioni, ma che incomincia a comprendere ora il significato ed il valore redentore di queste sofferenze.
2. Gli apostoli, nell’apparente tardare del ritorno di Gesù, vedono una manifestazione della longanimità divina: «Il Signore non ritarda il compimento di ciò che ha promesso, ma usa pazienza verso di voi, volendo che nessuno perisca, ma che tutti giungano al pentimento» (2Piet 3,9.15). Ma se l’uomo disprezza questi «tesori di bontà, di pazienza, di longanimità di Dio», «accumula contro di sé, con il suo indurimento e con l’impenitenza del suo cuore, un tesoro di ira, nel giorno dell’ira, in cui si rivelerà il giusto giudizio di Dio» (Rom 2,5).
Perciò, finché dura l’oggi della pazienza di Dio e della sua chiamata, gli eletti devono ascoltare la sua parola e sforzarsi di entrare nel riposo di Dio (Ebr 3,7- 4,11).
 
Fino alla Mietitura - Girolamo (Commento al Vangelo di Matteo 2 , 13, 29-30): Le parole che seguono, e cioè: Lasciate che l’uno e l’altro crescano fino alla mietitura, sembrano essere in contraddizione col precetto che dice: Togliete il male di mezzo a vot, e col consiglio del profeta di non mantenere alcun rapporto con coloro che usurpano il nome di frai telli, mentre sono adulteri e fornicatori. Se infatti ci viene proibito di sradicare il loglio e se dobbiamo aver pazienza fino alla mietitura, in che modo potremo allontanare il male che sta in mezzo a noi? Tra il grano e la zizzania, che noi chiamiamo loglio, finché questa resta erba e il suo stelo non produce la spiga, grande è la somiglianza e poca o nessuna la differenza che li distingue. Ebbene, il Signore ci ammonisce, sulle cose dubbie, a non trinciare giudizi con troppa sommazrietà; riserbiamo pertanto a Dio il giudizio definitivo, affinché, quando verrà il giorno del giudizio, egli allontani dalla famiglia dei santi non chi è sospetto, ma chi è manifestamente reo. E quanto dice poi, e cioè che i fasci di loglio saranno gettati nel fuoco mentre il grano sarà raccolto nel granaio, chiaramente indica che gli eretici e quanti nutrono una fede ipocrita saranno arsi nel fuoco della Geenna. I santi invece, raffigurati nel grano, saranno accolti nel granaio, cioè nelle dimore celesti.
 
Santo del giorno  27 Luglio 2024 - San Pantaleone. Curare non è solo sanare il corpo ma è anche prendersi cura dell’anima - Nella tradizione cristiana la cura di una persona non è mai solo quella del corpo, della quale si occupa con ottimi risultati la medicina, ma è quella più ampia che si esprime anche in un’attenzione verso le ferite dell’anima e del cuore. Il Vangelo non nega la scienza medica, ma il suo messaggio ne può però ampliare l’impegno, ricordando che ogni malato è prima di tutto una persona con una dignità da custodire.
Questo fu l’orizzonte nel quale san Pantaleone decise di praticare la medicina: una scelta che gli costò la vita.
Nato a Nicomedia nel III secolo, fu cresciuto dalla madre cristiana ma avviato dal padre pagano allo studio della medicina. L’incontro con un presbitero che gli parlò di una medicina «più grande», il messaggio del Risorto, lo portò sulla strada della conversione e del Battesimo. Decise quindi di esercitare la propria professione da medico gratuitamente ma questo suscitò il risentimento dei colleghi e gli costò la denuncia. Secondo la tradizione venne quindi martirizzato tra atroci sofferenze forse nell’anno 305. Assieme a Cosma e Damiano è il patrono dei medici e delle ostetriche. Viene considerato uno dei quattordici santi ausiliatori e viene invocato contro le infermità di consunzione. (Matteo Liut)

Assisti con bontà il tuo popolo, o Signore,
e poiché lo hai colmato della grazia di questi santi misteri,
donagli di passare dall’antica condizione di peccato
alla pienezza della vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.