28 Luglio 2024
 
XVII Domenica T. O.
 
2Re 4,42-44; Salmo Responsoriale Dal Salmo 144 (145); Ef 4,1-6; Gv 6,1-15
 
Colletta
O Padre, che nella Pasqua domenicale
ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, 
aiutaci a spezzare nella carità di Cristo
anche il pane terreno,
perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 25 Luglio 2021): Noi cerchiamo di accumulare e di aumentare quel che abbiamo; Gesù invece chiede di donare, di diminuire. Noi amiamo aggiungere, ci piacciono le addizioni; a Gesù piacciono le sottrazioni, il togliere qualcosa per darlo agli altri. Noi vogliamo moltiplicare per noi; Gesù apprezza quando dividiamo con gli altri, quando condividiamo. È curioso che nei racconti della moltiplicazione dei pani presenti nei Vangeli non compare mai il verbo “moltiplicare”. Anzi, i verbi utilizzati sono di segno opposto: “spezzare”, “dare”, “distribuire”. Ma non si usa il verbo “moltiplicare”. Il vero miracolo, dice Gesù, non è la moltiplicazione che produce vanto e potere, ma la divisione, la condivisione, che accresce l’amore e permette a Dio di compiere prodigi. Proviamo a condividere di più, proviamo questa strada che Gesù ci insegna.
 
I Lettura: Il racconto del miracolo della moltiplicazione dei pani compiuto dal profeta Eliseo appartiene al cosiddetto ‘ciclo di Eliseo’. Il brano è reticente per quanto riguarda la modalità del miracolo, ma fa comprendere che il prodigio avviene per la potenza della parola di Dio e per l’intercessione del profeta. La moltiplicazione dei venti pani d’orzo è anche una risposta di amore e di pazienza alla stupida ottusità e alla reiterata iniquità d’Israele (Cf. 2Re 1,16; 3,1). Dio alla malvagità e all’infedeltà risponde con il perdono e con l’amore: la miracolosa moltiplicazione dei pani vuol testimoniare che Egli non si è stancato del suo popolo e solo lui può sfamare la sua fame. Nel pane prodigioso di Eliseo v’è tutta la tenerezza del Signore Dio che sazia la fame di ogni vivente (Cf. Sal 145 [144],16). È chiaro il riferimento al Vangelo giovanneo dove è raccontato lo stesso prodigio anche se con sfumature molto diverse e che nell’intenzione del quarto evangelista prefigura l’istituzione dell’eucaristia.
 
II Lettura: Ad una comunità litigiosa e divisa, l’apostolo Paolo ricorda il pericolo della discordia: essa non soltanto minaccia l’unità della Chiesa, ma porta anche il frutto amaro della gelosia, dell’invidia e dell’odio. Un buon antidoto sono le virtù dell’umiltà, della mansuetudine, della pazienza e della sopportazione: queste virtù innaffiate dalla grazia e sostenute con la preghiera, come albero fecondo, possono portare il bel frutto dell’unità e della pace.
 
Vangelo
Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano.
 
La moltiplicazione dei pani e dei pesci ha un posto di rilievo nel quarto Vangelo: il prodigio segna il culmine del ministero di Gesù in Galilea e segna anche il momento decisivo per la opzione di fede o per il rifiuto nei confronti di Gesù. Il miracolo è ambientato in un contesto liturgico ben preciso: la pasqua dei Giudei. Questa indicazione temporale liturgica orienta il lettore alla comprensione del vero significato del gesto di Gesù: il pane dato da lui sarà la nuova pasqua. La moltiplicazione dei pani è registrata anche dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,1-15
 
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
 
Parola del Signore.
 
Era vicina la Pasqua - I capitoli 6-12 del Vangelo di Giovanni formano il ‘Libro dei segni’. Contiene il racconto di sette miracoli che dall’evangelista vengono chiamati ‘segni’ perché hanno lo scopo di svelare in modo progressivo il mistero della identità di Gesù. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è il quarto ‘segno’ ed è presente anche in Matteo, Marco e Luca.
È incerto il luogo dove avviene il miracolo, ma più che il luogo è importante sottolineare alcune indicazioni che Giovanni non trascura di registrare: la traversata di Gesù, «Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea»; la sua salita sul monte dove «si pose a sedere con i suoi discepoli»; il contesto liturgico nel quale viene collocato il ‘segno’, «Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei».
Questi particolari stabiliscono un chiaro parallelismo tra Gesù e Mosé: rievocando il passaggio del mar Rosso in occasione della Pasqua di liberazione dalla cattività egiziana, Gesù, nuovo Mosè, sale sul monte e sfama miracolosamente «circa cinquemila uomini». A ridosso di queste considerazioni, possiamo dire che le intenzioni dell’evangelista sono oltremodo chiare: Gesù è la nuova guida spirituale e con la moltiplicazione prodigiosa dei pani dà inizio al nuovo esodo. Nel deserto, dove la Chiesa si è rifugiata per sfuggire all’ira di satana (Cf. Ap 12,14), Colui che è «disceso dal cielo» (Gv 3,16; 6,41-42.51.58) sfamerà il suo popolo non con un pane corruttibile, ma con un Pane misterioso: il suo Corpo offerto e inchiodato sulla croce per la salvezza di tutto il mondo (Cf. Gv 2,2).
La folla bracca Gesù ed è mesto il motivo adotto dallo stesso evangelista: «una grande folla» inseguiva Gesù «vedendo i segni che faceva sugli infermi». Non è dunque la fede a muovere la folla, ma la fame di pane e di miracoli.
Giovanni non fa cenno della pietà di Gesù dinanzi alla moltitudine sfinita e affamata, ma è lui a prendere l’iniziativa. Pur sapendo quello che stava per fare, il Signore interpella il discepolo Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
La libera e spontanea iniziativa del Signore non esclude la fattiva e operosa collaborazione del discepolo. Egli deve imparare, con grande umiltà, a mettere al servizio del Signore tutto ciò che ha pur se gli sembra insignificante o inutile. Gesù saprà moltiplicare l’efficacia di quei mezzi poveri. Deve imparare ad avere fede non in se stesso o nei suoi mezzi, ma in Gesù. Solo la fede, anche se piccolissima come un granellino di senape, è capace di operare grandi miracoli (Cf. Lc 17,5-6). La fede, che Gesù richiede fin dall’inizio del suo ministero apostolico (Cf. Mc 1,15), e che richiederà incessantemente, è un movimento di fiducia e di abbandono per il quale l’uomo rinunzia a far affidamento sulle proprie forze, per rimettersi alla Parola e alla potenza di Colui nel quale crede (Cf. Mt 21,25.32; Lc 1,20.45).
Se il sesto capitolo del Vangelo di Giovanni è una profonda e incisiva catechesi sull’Eucaristia, allora il miracolo della prodigiosa moltiplicazione dei pani e dei pesci va colto in questa prospettiva. A comprova di questo è da sottolineare che il verbo eucharisteo (essere grato, ringraziare) usato da Giovanni per iniziare il racconto del miracolo è lo stesso verbo usato dai Vangeli sinottici nel racconto dell’ultima cena (Cf. Gv 6,11; Mt 26,26-27; Mc 14,22-23; Lc 22,29; 1Cor 11,24,). Tale coincidenza sta ad indicare che il miracolo è tipo della santa Eucaristia, di cui il Signore Gesù parlerà alla folla più in avanti (Cf. Gv 6,26-59).
Il miracolo compiuto da Gesù non poteva non evocare il ricordo della manna e le promesse messianiche: Israele per il tempo messianico, tra i tanti segni, attendeva anche il rinnovarsi del miracolo della manna. Così si comprende perché la folla entusiasta, alla vista del prodigioso moltiplicarsi del pane, riconosce in Gesù il «profeta, colui che viene nel mondo!» (Gv 6,14). Questo è il motivo che spingerà la folla, dopo lo strepitoso prodigio, a tentare di rapire Gesù per farlo re. Per stroncare sul nascere questo progetto, Gesù si ritira  sul monte. Ma in ogni caso, «non poteva accogliere tale pretesa, perché la sua regalità presupponeva la salita sul Golgota. Il suo ritorno “sulla montagna, tutto solo”, sembra alludere «alla morte in croce. Il suo messianismo, sulla linea del Servo sofferente, escludeva ogni trionfalismo e grandezza mondana, in contrasto con la mentalità generale del tempo» (Angelico Poppi).
Ma a tutti è piaciuto il miracolo compiuto da Gesù? O qualcuno avrà visto in quel gesto una sfida? Un pericolo per la propria incolumità fisica?
Giovanni non ne fa cenno, ma è plausibile che mescolate tra la folla si trovassero anche le onnipresenti spie dei Farisei. Per le guide spirituali d’Israele, riconoscere Gesù come Messia da opporre a Roma sarebbe stato un passo insensato e i Farisei certamente non avrebbero incoraggiato questo tentativo maldestro. La mossa avventata della folla poteva spingere i Romani, gli odiati padroni della Palestina, ad un duro giro di vite e i guai sarebbero piovuti su Israele come un temporale estivo. I Farisei hanno sempre temuto i Romani e la folla che seguiva il Maestro di Nazaret, ecco perché possiamo pensarli, anche in questa occasione, appostati nell’ombra per spiare Gesù e i suoi discepoli pronti ad intervenire al momento più opportuno. Sarà un altro miracolo, la risurrezione di Lazzaro (Cf. Gv 11,1ss), a spingere i Farisei ad agire con determinazione e spietatezza. Siamo alla seconda pasqua, ancora un anno e i maggiorenti della nazione ebraica avrebbero consegnato Gesù a Pilato e inevitabilmente alla terrificante morte di croce.
 
Il pane, dono di Dio - A. Z. (Pane in Schede Bibliche Pastorali): Il pane è per gli uomini un mezzo di sussistenza, una necessaria sorgente di energia (Sal. 104,14-15); mancare del pane vuol dire mancare di tutto (Am. 4, 6; Cf. Gen. 28, 20).
Nella bibbia Dio, dopo avere creato l’uomo e dopo il diluvio (Gen. 1,29; 9,3), indica alla sua creatura ciò che può costituire il suo cibo. Ma solo a prezzo di una dura fatica l’uomo peccatore può procurarselo (Gen. 3,17-19). Dunque, se il pane per il suo carattere di necessità ricorda all’uomo che è una creatura (Cf. Dt. 8,10-18), per il faticoso lavoro che esige è il simbolo della maledizione alla quale egli è soggetto. Israele vede normalmente nell’abbondanza di pane il segno della benedizione di Dio (Sal. 37,25; Prov. 12,11) e nella mancanza di pane il segno del castigo per il peccato (Ger. 5,17; Ez. 4,16-17; Lam. 1,11; 2,12; 2Sam. 3,29).
In questa visione religiosa delle cose, è naturale che l’uomo chieda umilmente a Dio il pane, cioè tutto ciò che gli è necessario, e lo attenda con fiducia. Sono significativi, a questo riguardo, gli episodi di moltiplicazione dei pani dell’antico e del nuovo Testamento. La moltiplicazione operata da Eliseo vuole indicare la sovrabbondanza del dono divino («mangiarono e ne avanzarono», 2Re 4, 42-44). La stessa cosa nelle narrazioni evangeliche: come Iahvé nel deserto aveva nutrito il suo popolo distribuendo «il pane dei forti» (Sal. 78,25), così ora Gesù nutre sovrabbondantemente i suoi discepoli e ascoltatori: «Gesù dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini» (Mt. 14,19-21; Cf. testi par.; Mt. 15,37 e par.; Gv. 6,12.).
In questo contesto di idee può essere posto l’invito di Gesù a chiedere nella preghiera «il pane quotidiano» (Mt. 6,11; Lc. 11,3). Il pane sembra riassumere qui tutti i doni che ci sono necessari.
Epioùsion vuol dire appunto, probabilmente, «necessario alla sussistenza». Ma comunque si traduca questo termine difficile, la cui etimologia e il cui significato sono discussi dagli esegeti, il pensiero di Gesù è chiaro: si deve chiedere a Dio l’alimento indispensabile alla vita. La maggior parte degli studiosi ritiene che si tratti qui proprio dell’alimento materiale; tuttavia è evidente il carattere «spirituale» della preghiera: i credenti attendono tutto dalla bontà del loro Padre celeste e lo chiedono in vista del regno di Dio (Mt. 6, 24-34).
Se il pane è un dono di Dio ed è necessario alla vita, esso deve essere condiviso con chi non l’ha.
Nell’ospitalità, il pane di ognuno diventa il pane dell’ospite inviato da Dio (Gen. 18,5; Lc. 11,5-8).
In Israele, soprattutto a partire dall’esilio, si insiste sulla necessità di condividere il pane con l’affamato: questa è la espressione migliore della carità fraterna (Prov. 22,9; Ez. 18,7.16; Is. 58,7; Giob. 31,17; Tob. 4,16).
Il pane è presentato anche come uno dei doni caratteristici dei tempi escatologici: un pane «sostanzioso» sarà donato a tutta la comunità degli eletti raccolta nel banchetto messianico: «Egli darà la pioggia per la semente con cui avrai seminato il suolo; il pane, prodotto della terra, sarà pingue e sostanzioso...» (Is. 30,23; Cf. Ger. 31,12). È un pane che si potrà ottenere senza fatica e senza spesa. La manna, che si otteneva nel deserto senza fatica, era già un segno di questo pane: era un dono di Iahvé, un «pane (proveniente) dal cielo» (Es. 16,4.15). Anche i pasti di Gesù con i suoi amici e discepoli preludevano già al banchetto escatologico (Mt. 11,19); in particolare, il pasto eucaristico, dove si riceve in cibo il corpo stesso di Cristo, è l’anticipazione dell’autentico dono di Dio, riservato per gli ultimi tempi: «Poi prese un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Questo è il mio corpo che viene dato per voi; fate questo in memoria di me” » (Lc. 22,19).
 
Il significato della moltiplicazione dei pani - Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 49, 2: Cristo ha condotto la folla in un luogo deserto, perché il miracolo non sia assolutamente sospetto, e nessuno pensi che sia stato portato del cibo da qualche villaggio vicino. Per tale motivo l’evangelista ricorda anche l’ora, e non solo il luogo del miracolo.
Ma in questa circostanza noi apprendiamo anche un’altra cosa: l’austerità cioè degli apostoli nelle necessità della vita e il loro disprezzo per il lusso e per ogni delicatezza. Sono dodici e hanno soltanto cinque pani e due pesci. Tanto trascurabile e secondario è per loro ciò che riguarda il corpo, e tanto presi e interessati sono esclusivamente delle cose spirituali. E neppure tengono per sé quel poco che hanno, ma lo donano a chi lo chiede loro. Da ciò dobbiamo imparare che per quanto poco noi abbiamo, pure questo dobbiamo dare a chi ne ha bisogno. Infatti, quando Gesù chiede agli apostoli di portargli quei cinque pani, non rispondono: E da che parte verrà il cibo per noi? come potremo calmare la nostra fame?, ma obbediscono immediatamente.
Mi sembra inoltre che Gesù moltiplichi quei pochi pani che gli portano i discepoli, piuttosto che crearne altri dal niente, per spinger loro a credere, dato che la loro fede è ancora molto debole. Anche per questo il Signore leva gli occhi al cielo. Degli altri miracoli essi avevano molti esempi, ma del miracolo che ora sta per compiere, nessuno. Presi e spezzati i pani, li distribuisce per mano dei discepoli, onorandoli con tale incarico. Ma non solo intende render loro questo onore; vuole pure che al momento del miracolo non dubitino e che in seguito non se ne dimentichino, in quanto le loro stesse mani ne sono state testimoni. Per tale motivo permette anche, prima del miracolo, che la folla senta fame, e attende che gli apostoli si avvicinino e gli parlino. Per mezzo loro fa sedere tutti sull’erba e fa distribuire il pane, volendo prevenire sia gli uni che gli altri mediante le loro stesse dichiarazioni e i loro atti. Sempre per tale motivo prende dalle loro mani i pani, in modo che vi siano molte testimonianze del fatto ed essi abbiano molti ricordi del miracolo. Se infatti, dopo tante prove gli apostoli si dimenticano del miracolo, che avrebbero mai fatto se Gesù non avesse preso tali precauzioni? Gesù ordina alla folla di sedersi sull’erba, dando così una lezione di vita semplice, senza tante esigenze, poiché non vuole solo nutrire i corpi ma anche istruire le anime.
 
Il Santo del Giorno - 28 Luglio 2024 - Nazario e Celso. La testimonianza di un maestro che affascina e guida il discepolo: Ognuno di noi ha avuto i proprio maestri, guide che hanno segnato la nostra strada, che ci hanno aiutato a compiere le scelte fondamentali per la nostra vita. Oggi la liturgia ci presenta la figura di un maestro e del suo discepolo: la storia dei santi Nazario e Celso ci mostra chiaramente come “funziona” la trasmissione e la diffusione della fede cristiana. Nazario era cittadino romano e la tradizione lo vuole discepolo di san Pietro, forse battezzato da Lino prima che diventasse Papa. A causa della persecuzione, però, dovette fuggire da Roma, dirigendosi verso nord. Una volta superate le Alpi gli fu presentato un ragazzino di 9 anni, Celso, per il quale divenne maestro, guida e mentore: lo educò alla fede cristiana e lo battezzò. Insieme portarono il Vangelo a Treviri, dove vennero arrestati e poi mandati a Roma da Nerone: l’imperatore tentò di farli abiurare entrambi ma senza successo. Furono così condannati a essere gettati in mare, ma si salvarono miracolosamente e arrivarono così a Genova, per poi dirigersi verso Milano. Qui Nazario portò conforto in carcere ai due fratelli Gervasio e Protasio, ma il gesto costò il martirio a lui e a Celso. Vennero infatti arrestati e furono condannati dal prefetto Antolino alla decapitazione.  (Matteo Liut)
 
O Dio, nostro Padre,
che ci hai dato la grazia di partecipare a questo divino sacramento,
memoriale perpetuo della passione del tuo Figlio,
fa’ che il dono del suo ineffabile amore
giovi alla nostra salvezza.
Per Cristo nostro Signore.