20 Luglio 2024
 
Sabato della XV Settimana T. O.
 
Mi 2,1-5; Salmo Responsoriale Dal Salmo 9 (10); Mt 12,14-21
 
Colletta
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità
perché possano tornare sulla retta via,
concedi a tutti coloro che si professano cristiani
di respingere ciò che è contrario a questo nome
e di seguire ciò che gli è conforme.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXXII Giornata del Malato (11 febbraio 2024): Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.
Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo.
A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.
In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.
 
I Lettura:  Guai ai capitalisti! - Epifanio Gallego: Questa lettura, fra le più originali e genuine del profeta Michea, è un’aperta denunzia dei peccati sociali caratteristici del suo tempo, ma che sono sempre d’attualità. È un duro attacco al capitalismo, quale che ne sia l’espressione, colpevole di sfruttamento e di corruzione. Le azioni specifiche che egli ricorda non sono una lista esauriente, ma riflettono solo, a modo di esempio, la malizia imperdonabile degli oppressori del debole, quali che siano i mezzi di cui si servono.
Nel secolo VIII, la ricchezza consisteva principalmente, come ai nostri giorni, in beni immobili, per quanto questi fossero quasi esclusivamente terreni, così che la ricchezza d’una persona era misurata in base alle terre e ai capi di bestiame che possedeva. Il possesso dei terreni divenne, per conseguenza, il sogno di coloro che avevano la possibilità di procurarseli. Si noti che Michea non denunzia il possesso di detti terreni, ma il modo di procurarselo; non la proprietà privata, per quanto essa fosse estesa, ma l’uso dell’ingiustizia e della violenza per rubare a man salva. Quello che essi vanno macchinando, tramando e facendo ai margini della legge è detto, senza sottintesi, malvagità e iniquità.
Nel decalogo (Dt 5,21), era severamente proibita la cupidigia. Nulla di quello che appartiene al prossimo può essere oggetto di cupidigia; e fra i beni del prossimo, del paterfamilias, era inclusa anche la moglie o le mogli.
Dall’accusa di Michea vediamo quale sia il vero senso di cupidigia: non semplicemente « desiderare ardentemente una cosa », ma appagare questo desiderio in tutti i modi possibili, anche, se è necessario, ricorrendo al furto, alla violenza, all’oppressione e all’uso della giustizia. Questo era il grande peccato che già Elia aveva rinfacciato ad Acaz, che aveva spogliato Nabot della vigna che egli aveva ereditata (1Re 21,1-4). Questo fu il peccato dell’alta società israelita del secolo VIII, il peccato di ogni società, a dispetto della denunzia dei suoi profeti.
Con la metafora del giogo, fatto di ignominia, tirannia ed esilio, il profeta minaccia « questa genia » e tutto il popolo. Il principio dell’individualità colpevole era ancora assai lontano. Una minaccia nella quale tutta la forza del potente di fronte all’indifeso si trasforma in totale impotenza di fronte ai disegni di Dio espressi in castigo.
«In quel tempo », il tempo, il giorno concreto che non tarderà a divenire escatologico, la loro calamità si trasformerà in tema di satire e lamentazioni: contro di essi si intoneranno elegie. Sarà l’umiliazione totale. Perderanno la loro terra promessa, quella che aveva loro assegnata Giosuè (13-21). È una quasi-scomunica del popolo eletto, un anatema contro i monopolizzatori. Quello che essi si attribuiscono con rapina, violenza e oppressione, altri se l’attribuiranno senza che essi possano avere parte nella divisione, È il castigo di Dio coniato a misura del peccato dell’uomo.
 
Vangelo
Impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto.
 
All’odio dei farisei Gesù risponde con l’amore, sanando compassionevolmente tutti i malati. L’imposizione di non divulgare il miracolo forse potrebbe far pensare al segreto messianico, in verità raramente presente nel Vangelo di Matteo (cfr. Mt 8,4). La citazione, con la quale si chiude il brano evangelico, è  tratta dal libro del profeta Isaia (42,1-4), e si riferisce non solo alla missione del Servo del Signore a favore dei pagani, ma è intesa come una forte contrapposizione all’accusa dei farisei riportata nel brano successivo dove Gesù verrà accusato di  scacciare i demòni per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 12,14-21
 
In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.
Porrò il mio spirito sopra di lui
e annuncerà alle nazioni la giustizia.
Non contesterà né griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto trionfare la giustizia;
nel suo nome spereranno le nazioni».
 
Parola del Signore.
 
Speranza delle nazioni - Felipe F. Ramos: La scena ha origine da una guarigione compiuta da Gesù in giorno di sabato. Il legalismo giudaico, per salvaguardare la santità del sabato, era giunto a estremi ridicoli. Non si poteva guarire un uomo di sabato, ma si potevano invece soccorrere gli animali che ne avessero bisogno. Certo, dal loro punto di vista, era logico questo atteggiamento, poiché si era giunti persino ad affermare che l’uomo era stato creato per il sabato, per santificare quel giorno santo. Gesù non la pensava così. La cosa più importante è sempre l’uomo e tutto, compreso il sabato, dev’essere al suo servizio (Mr 2,27).
Poco mancò che questo atteggiamento scandaloso di Gesù, in quell’occasione, gli costasse la vita. Lo avrebbero ucciso per osservare la legge! Gesù si ritira per scongiurare il pericolo, ma continua ad agire per portare a compimento l’opera di liberazione dell’uomo. A quelli che sono stati i beneficiari del suo potere e della sua misericordia chiede solo di non denunziarlo. Egli impone il silenzio a quelli che hanno ricevuto i suoi benefici.
Perché? Nel vangelo di Marco, questa raccomandazione di silenzio è attribuita esplicitamente al celebre «segreto messianico». Matteo ci offre un punto di vista diverso: Gesù vuole passare inosservato per due ragioni: a) vuole evitare, per ora, le controversie con i farisei, nelle quali dovrebbe necessariamente esporre le ragioni del suo modo d’agire che erano inseparabili dalle sue pretese messianiche. Questo provocava indignazione e persecuzione. Una ragione di prudenza consigliava, per il momento, di evitare quegli scontri diretti.
b) La seconda ragione è teologica: Gesù è il servo di Dio per eccellenza, e come tale intende agire segretamente. Questo comporta che sia citato qui il testo di Isaia (41,4): Non farà udire la sua voce sulle piazze (v. 19); appoggerà i deboli e cercherà i prodighi (v. 20). Come il servo di Yahveh, Gesù concederà la sua giustizia a tutti, compresi i pagani (vv. 18-21). In Gesù si realizzano le speranze giudaiche che erano legate al servo di Yahveh. Gesù è il servo di Dio che visse nascosto, nel mistero, e la cui vita fu determinata dalla sua morte-risurrezione, per la sua piena solidarietà con l’uomo che veniva a salvare.
 
... egli li guarì tutti - Daniel J. Harrington (Il Vangelo di Matteo): Il sommario delle guarigioni operate da Gesù presso il Mare di Galilea presentato da Marco (3,7-12) è stato notevolmente condensato da Matteo (Mt 12,15-16) e trasformato in un’occasione per presentare una citazione di adempimento (Mt 12,17-21 = Is 42,1-4). In un contesto incentrato sul rifiuto di Gesù (Mt 12,1-4.22-50) Mt 12,15-21 ha la funzione di ricordare quale sia la vera identità di Gesù come Servo/Figlio di Dio, così come Mt 11,25-30 aveva messo Gesù in relazione alla sapienza di Dio.
La citazione riguardo al mite e benigno Servo di Dio (Is 42,1-4) spiega perché Gesù si sia semplicemente allontanato dalla sinagoga dei farisei (vedi Mt 12,9) e perché abbia voluto di proposito evitare di rendere pubblica la sua vera identità: questo è il modo di operare del mite e benigno Servo di Dio. Da questo punto di vista la parte più importante della citazione l’abbiamo in Mt 12,19 («non contesterà né griderà»). Tuttavia, vi sono anche altri elementi nel libero adattamento fatto da Matteo del testo biblico (la sua versione non coincide esattamente con nessun ltro testo antico) che contribuiscono a completare il quadro che l’ vangelista fa di Gesù.
Gesù è il Servo e il Figlio di Dio, poiché il termine greco pais è ambiguo, avendo il senso sia di servo che di figlio; e tale ambiguità è stata probabilmente sfruttata di proposito da Matteo che in altri passi si preoccupa di presentare Gesù come Figlio di Dio. L’altra parte di Mt 12,18a («mio prediletto, nel quale ho posto il mio amore») ricorda la voce dal cielo in occasione del battesimo di Gesù (vedi Mt 3,17) e prelude alla voce dal cielo al momento della trasfigurazione (vedi Mt 17,5). La citazione serve anche a identificare Gesù con il portatore dello Spirito Santo («Porrò il mio spirito sopra di lui»), forse in contrasto con quelli che comandano «nella loro sinagoga» (12,9). Infine, la citazione contiene due elementi che evidenziano la rilevanza di Gesù per i non Giudei: «annunzierà ai popoli la giustizia» (12,18); e «nel suo nome spereranno i popoli» (12,21).
Per gli appartenenti alla comunità matteana, Mt 12,15-21 doveva servire a sottolineare i poteri di Gesù come guaritore già evidenziati nei capitoli 8-9 in 12,9-14. Doveva anche completare il quadro che avevano dell’identità di Gesù in base alle caratteristiche accennate nel capoverso precedente. Nel contesto polemico del capitolo 12 (e dei cappo 11-14 nel loro insieme) questo testo si prestava anche ad essere inteso come una critica ai farisei e alla «loro sinagoga» per la loro incapacità di riconoscere in Gesù il Servo di Dio e il portatore dello Spirito Santo.
Nell’applicazione di questo testo è importante distinguere il Cantico del Servo (Is 42,1-4) citato qui dagli altri Cantici del Servo, in particolare Is 52,13-53,12, con la loro chiara enfasi sulle sofferenze del Servo. In Mt 12,15-21 l’accento è posto sulla mitezza e bontà del Servo, assieme ad altri temi cristologici: Servo/Figlio, il prediletto da Dio, il portatore dello Spirito Santo, e la rilevanza di Gesù per i non Giudei.
 
Egli non griderà - Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 40, 2: Con tali parole il profeta canta l’ineffabile mitezza e il potere di Cristo, apre alle genti una porta larga e spaziosa, mentre predice ai giudei le sciagure che un giorno li colpiranno. Manifesta inoltre la perfetta armonia di Gesù che è con il Padre. Ecco - dice - il mio servo che mi sono scelto, non è certo per opporsi a lui che egli abroga la legge, né come nemico del legislatore, ma lo fa in pieno accordo con il Padre. E per proclamare la sua mansuetudine, il profeta dice: Non contenderà né parlerà forte (Is 42, 2). Gesù intendeva personalmente prendersi cura degli uomini; ma poiché lo respingono, egli se ne fa senza resistenza.
 
Santo del giorno - 20 Luglio 2024 - Sant’Apollinare, Vescovo e Martire: Originario di Antiochia, per primo rivestì la carica episcopale nella città imperiale di Ravenna, forse incaricato dallo stesso apostolo San Pietro, di cui si dice fosse stato discepolo. Si dedicò all’opera di evangelizzazione dell’Emilia-Romagna, per morire infine martire, come vuole la tradizione. Le basiliche di Sant’Apollinare in Classe e Sant’Apollinare Nuovo sono luoghi privilegiati nel tramandarne la memoria. Il suo culto tuttavia si diffuse rapidamente anche oltre i confini cittadini. I pontefici Simmaco (498-514) ed Onorio I (625-638) ne favorirono la diffusione anche a Roma, mentre il re franco Clodoveo gli dedicò una chiesa presso Digione. In Germania probabilmente si diffuse ad opera dei monasteri benedettini, camaldolesi e avellani. Una chiesa era a lui dedicata anche a Bologna nell’area del Palazzo del Podestà, ma siccome fu demolita nel 1250 il cardinale Lambertini gli dedicò un altare nell’attuale Cattedrale cittadina. Sant’Apollinare è considerato patrono della città di cui per primo fu pastore, nonché dell’intera regione Emilia-Romagna. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con i tuoi doni,
fa’ che per la celebrazione di questi santi misteri
cresca in noi il frutto della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.