13 Luglio 2024
 
SABATO DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO  
 
Is 6,1-8; Salmo Responsoriale dal Salmo 92 (93); Mt 10,24-33
 
Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La Geènna: Catechismo della Chiesa Cattolica 1034: Gesù parla ripetutamente della “Geenna”, del “fuoco inestinguibile”, che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe che egli “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno... tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente” (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Mt 25,41).
L’Inferno: Catechismo della Chiesa Cattolica 1036: Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,13-14). Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove “ci sarà pianto e stridore di denti”.
 
I Lettura: Nel 740 a.C., anno in cui morì Ozia, Isaia vide “il Signore seduto su un trono alto ed elevato”. Il testo odierno è il racconto della vocazione e della investitura di Isaia. La santità di Dio è il tema centrale del messaggio di Isaia e ci viene suggerito dal canto dei Serafini. La purificazione di Isaia, “uomo dalle labbra impure”, è necessaria perché il “Dio di santità richiede la santità del popolo [vedi  1,4; Lv 11,44-45]” (Bibbia di Gerusalemme). Nell’Antico Testamento “Signore degli eserciti” è il nome dato a Dio per esaltarne la potenza e il dominio universale. Questa visione di Isaia sarà ricordata dal Vangelo di Giovanni: “Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: Ha reso ciechi i loro occhi e duro il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore e non si convertano, e io li guarisca! Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui” (Gv 12,39-41). Una chiara affermazione della divinità del Cristo.

Vangelo
Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 10,24-33
 
I discepoli sono in difficoltà, la Parola sembra che abbia perduto la sua efficacia, la Chiesa stessa è perseguitata; sembra che tutto stia per risolversi in un sonoro fallimento... eppure Gesù infonde coraggio e dà ai suoi una speranza: Lui sarà sempre con la sua Chiesa e nessuno potrà distruggere quanto Dio stesso ha edificato. Per questa presenza divina i cristiani potranno e dovranno proclamare tutto senza alcun timore, se è necessario affrontando anche il martirio. Questa presenza divina, inoltre, svela ai credenti il vero volto di Dio: il «Dio vicino, previdente e provvidente, che mai fa mancare la sua assistenza; il Dio amico, che infonde coraggio e sostiene nelle avversità: il Dio ch’è sempre accanto all’uomo per difenderlo» (Mons. Marcello Semeraro).
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!
Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
 
Parola del Signore.

Non abbiate dunque paura di loro: Durante le prove della persecuzione e del martirio a sostenere i servi della Parola (cfr. Lc 1,1) sarà la memoria della vita, morte e risurrezione del loro Maestro: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Inoltre, nelle torture fisiche, i discepoli saranno assistiti dal Padre che li solleverà dalla prova e li renderà vittoriosi, e nulla permetterà se non per un solo disegno di salvezza.
La conclusione dell’esortazione (v. 31) è «introdotta con un dunque, costituita da un altro detto di Gesù, in cui si contrappongono due scene giudiziarie, l’una al cospetto degli uomini, e l’altra al cospetto di Dio; nell’una e nell’altra alternativa è fra riconoscere e rinnegare, con la differenza che nel tribunale umano è il cristiano ad essere interrogato a riguardo di Gesù, mentre nel tribunale divino le parti si rovesceranno: sarà Gesù ad essere interrogato a riguardo del cristiano, a riconoscerlo o a disconoscerlo» (Vittorio Fusco).
Anche se Matteo non prende in considerazione l’esistenza dell’anima separata dal corpo dopo la morte, possiamo ricordare il Magistero della Chiesa: l’uomo è «unità di anima e corpo» (GS 14) e nel giorno della sua morte «l’anima  viene separata dal corpo. Essa sarà riunita al suo corpo il giorno della risurrezione dei morti» (CCC 1005): «quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna» (Dan 12,2). Matteo ha voluto sottolineare la certezza che la Provvidenza divina tutto guida e tutto conduce a un porto di bene, nonostante le apparenti vittorie della malvagità e della cattiveria umane. Ma è chiaro che non basta conservare nel cuore queste belle promesse divine, occorre crederci sul serio, e questo non è facile, soprattutto quando la paura attanaglia il cuore; paralizza la mente; brucia, come febbre, sicurezze o certezze sulle quali erano stati costruiti ideali o progetti umani. Solo l’incosciente può ignorare tutto questo. Occorre allora una risposta a questo agire divino, e questa risposta si chiama: filiale e fiducioso abbandono alla volontà di Dio.
 
Uomo dalle labbra impure io sono; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti - Epifanio Callego - Così si scopre la chiamata di Dio - La visione di Isaia, forza motrice della sua vocazione profetica, è inquadrata perfettamente nella storia: l’annodella morte del re Ozia.
Questa precisione storica è stata spesso causa di deviazioni esegetiche, quando si cercò di penetrare nel contenuto di questo racconto vocazionale. Cedendo alla grandiosità descrittiva, non poche volte si è preteso di ricostruire fenomenologicamente quello che non fu altro che una profonda esperienza religiosa; e il quadro che ne risultò non poteva essere più caricaturale. Yahveh, seduto su un trono come un principe orientale, con un manto così ampio che copriva il tempio intero. Davanti a lui, esseri mitologici, metà uccello e metà uomo, con sei ali, esseri chiamati serafini. Al loro triplice grido di « santo », tremano le porte sui loro cardini e la casa si riempie di fumo del quale non si conosce l’origine. È inutile continuare la descrizione: nessuna persona di buon senso penserà che il profeta stia fotografando quello che vede.
Grande mistico e vitalmente unito a Yahveh, Isaia arriva a comprendere la santità e la trascendenza di Dio attraverso simbolismi liturgici. Quello che egli contempla, durante una festa d’intronizzazione o anniversario, sarà per lui il migliore strumento umano per trasmettere la sua profonda esperienza interiore. La grandezza di Yahveh è riflessa nel re che ha davanti a sé, seduto sul trono e il cui potere, identificato qui coi lembi del suo manto, è immaginato così grande da coprire tutta la terra. La sua presenza riempie tutto come il fumo dell’incenso riempiva tutto il tempio. Davanti a lui, tutti gli dèi mitologici, rappresentati dai serafini dell’arca, si inchineranno riconoscendo la sua santità in grado superlativo - tre volte santo -. L’uomo, Isaia, potrà solo riconoscere la sua impurità congenita e la necessità di purificarsi. Tale purificazione sarà conversione e indulgenza, che gli vengono unicamente da Dio e che purificano le sue labbra, come col fuoco si purifica l’oro nel crogiolo.
Isaia, ormai purificato dal peccato e in contrasto con l’opposizione degli altri profeti, si offre volontario per collaborare con Dio. È uno schema vocazionale rassomigliante a quello di Ezechiele e che non ha riscontro in tutta la storia biblica.
Chiunque fra noi avrebbe cominciato il libro di Isaia con questo racconto della sua vocazione. Nell’opera attuale si trova al capitolo 6 e fa da prologo a una collezione di scritti autobiografici (6,1-8,18) da mettere in relazione con la guerra siro-efraimita. È una testimonianza in più dell’esistenza di collezioni isolate di vaticini, e della mancanza d’interesse dello storico antico per l’ordine cronologico dei fatti.
La cosa realmente importante era il contenuto, il messaggio. La vita di Isaia, come più tardi quella di Saulo, potrà essere compresa solo partendo da questa visione iniziale: visione oggettiva - re, serafini sull’arca, fuoco dei sacrifici, fumo delle vittime immolate - comune a quanti erano presenti nel tempio, ma che produce in Isaia un’esperienza religiosa unica nel suo genere. Quando, più tardi, egli la racconterà ai suoi discepoli e al popolo, cercherà di suscitare in essi, servendosi delle stesse immagini, la profonda esperienza interiore che aveva trasformato la sua vita.
Il mistero della gratuita elezione di Dio è evidente. Tutti possiamo afferrare il contenuto dei segni, ma, in pratica, lo fanno solo coloro ai quali la forza dello Spirito acuisce la vista penetrante della loro fede.
 
Inferno - Wolfgang Winter: Nell’antichità era diffusa in generale l’idea di un luogo dei morti nel quale entrano tutti i defunti. Anche l’AT prende parte a questa tradizione del “luogo senza ritorno”.
Normalmente prevale la visione di una fossa, di un abisso nel quale regnano le potenze distruttrici delle tenebre e delle profondità dei mari, che non beneficiano dell’aiuto di Dio. Questa delimitazione nello spazio e nel tempo non esaurisce, però, la comprensione veterotestamentaria del regno dei morti; al contrario, esso tende la sua “bocca vorace” in mezzo alla vita: ostilità, malattia, sventure di ogni genere evidenziano la vicinanza dell’inferno, quale “sfera della morte” sempre e ovunque minacciosa, che separa l’uomo da Dio, dal suo volto e con ciò stesso dalla sua salvezza, dai suoi prodigi, dalla sua grazia e fedeltà, vale a dire dalla vita, in assoluto, davanti al volto di Dio (Sal 88).
Dio, però, rimane signore anche dell’inferno, da lui dipende se l’uomo affronta la morte disperato o in pace. Il tardo giudaismo trasforma questa concezione veterotestamentaria sotto l’influsso di rappresentazioni iraniane della risurrezione dei morti. L’inferno diventa un luogo di castigo dei morti, i quali, risorti nel giudizio escatologico, sono stati condannati alla pena eterna nelle tenebre e nel fuoco. Anche qui la rappresentazione spaziale
non è determinante; il luogo dell’inferno viene supposto il più delle volte sotto, ma in parte anche sopra la terra. Si tratta, piuttosto, della definitiva caduta in rovina dei peccatori - non c’è più nemmeno pentimento! - sotto il potere della morte che esclude dalla gloria di Dio. Anche nel NT è presupposta la comprensione tardo-giudaica dell’inferno che va al di là del senso soltanto situazionale (luogo nell’aldilà in cui si sperimenta l’abbandono
di Dio). Gesù lo combatte in quanto potenza attuale ostile a Dio, ma la sua risurrezione prova la sua vittoria definitiva sulle “porte dell’inferno” le cui chiavi sono in suo possesso (Ap 1,18), rendendo così possibile una  risurrezione generale nel regno di Dio.
È soprattutto Paolo che chiarisce la differenza nei confronti della rappresentazione giudaica: il Risorto è colui che sulla croce ci ha riscattati dalla maledizione della legge. La potenza del peccato, della morte e del diavolo non è infranta infatti dallo sforzo
umano, ma unicamente dall’azione ricreatrice di Dio nei confronti dell’empio.
 
Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo: «Chi sono coloro che uccidono il corpo? Sono i nemici. E che cosa comanda il Signore? Di non temerli. Preghiamo dunque affinché ci doni ciò che ci doni ciò che ci comanda. Dal timore del nemico libera l’anima mia. Liberami dal timore del nemico, e sottomettimi al tuo timore. Che io non tema colui che uccide il corpo, ma tema colui che ha il potere di uccidere e il corpo e l’anima nel fuoco dell’inferno. Non pretendo di vivere senza timore; fa’ però che io sia un libero per quanto concerne il timore del nemico, ma sia un servo pieno di timore del Signore» (Agostino, Esposizione sui Salmi 63,2).
 
Il Santo del Giorno - 13 Luglio 2024 - Sant’Enrico II - Il volto di una politica che si mette al servizio - Il Medioevo, età così spesso sottovalutata, ci consegna oggi una lezione di coerenza e coraggio che arriva dritta al cuore della vita politica del nostro Paese. Lo fa attraverso la figura di santEnrico II, che fu imperatore del Sacro Romano Impero tra il 1014 e il 1024. La sua testimonianza, ancora oggi profetica, mostra il volto di una politica che sa mettersi al servizio, soprattutto di chi ha più bisogno, e che vive i valori che proclama. Era nato nel 973 in Baviera, a Bamberga, e venne educato dai canonici di Hildesheim, poi dal vescovo di Regensburg, san Wolfgang. Prima duca di Baviera, nel 1014, quando era re di Germania e dItalia, papa Benedetto VIII lo incoronò a guida del Sacro Romano Impero. Saggio mediatore e riformatore dei costumi anche tra gli esponenti del clero, Enrico ebbe tra i suoi consiglieri anche labate di Cluny, Odilone. Nella sua opera fu sostenuto dalla moglie, santa Cunegonda, con la quale condivise uno stile di vita profondamente coerente con la fede e il Vangelo. Morì nel 1024 nella Bassa Sassonia e venne canonizzato nel 1146 da papa Eugenio III. (Matteo Liut)
 
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.