12 Luglio 2022
 
Venerdì XIV Settimana T. O
 
Os 14,2-10; Salmo Responsoriale dal Salmo 50 [51]; Mt 10,16-23)
 
Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi: Ad gentes 5: La missione della Chiesa si esplica attraverso un’azione tale, per cui essa, in adesione all’ordine di Cristo e sotto l’influsso della grazia e della carità dello Spirito Santo, si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l’esempio della vita, con la predicazione, con i sacramenti e con i mezzi della grazia, alla fede, alla libertà ed alla pace di Cristo, rendendo loro facile e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo. Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, egli uscì vincitore. Proprio con questa speranza procedettero tutti gli apostoli, che con le loro molteplici tribolazioni e sofferenze completarono quanto mancava ai patimenti di Cristo a vantaggio del suo corpo, la Chiesa. E spesso anche il sangue dei cristiani fu seme fecondo.
 
I Lettura: Epifanio Gallego: La profezia di Osea si chiude con questo capitolo di speranza. Nel primo versetto che qui non è riportato, è descritta la drammatica fine di Samaria: «Periranno di spada, saranno sfracellati i bambini, le donne incinte sventrate». E di fronte a questo estremo orrore, ecco l’estremo amore divino.
La struttura del capitolo risponde a una liturgia penitenziale. Forse, lo era di fatto, e l’ultimo redattore l’ha inserita alla fine come fedele espressione del messaggio di Osea. Naturalmente, ci muoviamo nel mondo del possibile, finché non avremo maggiori sicurezze, preferiamo vedere in questa lettura il messaggio del profeta a conclusione al suo ministero, come adeguata espressione della sua fede incrollabile nell’amore inesauribile di Dio.
Di fronte allo spettacolo della strage prevista profeticamente, anche se non provata, il profeta lancia l’ultimo grido d’allarme per la conversione del popolo, il ritorno all’unico vero Baal o Signore, Yahveh. Se hanno inciampato e sono caduti dalla solidità della loro fede, si convertano ora ritornando alla fede d’un tempo.
In questo ritorno-conversione, sarà necessario offrire qualche cosa a Yahveh. Egli non vuole sacrifici né olocausti, ma un cuore sincero, un «perdonami» simile a quello del figlio prodigo, accompagnato da un discorso preparato o frutto delle sue labbra, che comporta riflessione, riconoscimento della propria colpa e un «mi alzerò e andrò» amoroso e generoso. Questo è il vero sacrificio interiore tante volte inculcato dai profeti, che comporta l’abbandono dell’idolatria e delle alleanze straniere.
Dato questo primo passo penitenziale, entra in azione Yahveh col suo amore misericordioso, indulgente e salvatore. Il profeta, tornando al linguaggio della natura e dei culti della fecondità, ormai assimilati nello yahvismo, scoprirà questo amore gratuito e generoso di Yahveh «senza che lo meritino», come un’odissea d’origini paradisiache. Ora come allora, Dio «cerca l’uomo», perché egli è «come un cipresso sempre verde dal quale provengono tutti i frutti».
Il finale dell’opera è senza dubbio un’aggiunta di stile sapienziale, con la quale l’ultimo redattore volle coronare lo scritto profetico. È un invito al «saggio e intelligente», ossia ai fedeli che temono Dio, ad apprendere bene gli insegnamenti del profeta che cerca di sintetizzare alla fine del versetto. Giustamente intesi, questi insegnamenti porteranno benedizioni; per i peccatori, sarà un disastro. Infatti la via del Signore è la sua parola che viene a noi affinché per mezzo di essa l’uomo possa tornare a Dio,
 
Vangelo
Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro.
 
L’essere cristiani pone nella condizione di essere perseguitati, calunniati, odiati per il nome di Cristo, anche dal padre o dal fratello. Il martirio, affrontare la morte per la fede, per il cristiano non è un incidente di percorso o qualcosa di molto improbabile, infatti, il «Battesimo impegna i cristiani a partecipare con coraggio alla diffusione del Regno di Dio, cooperandovi se necessario col sacrificio della stessa vita» (Benedetto XVI). Essere cristiani non significa non subire alcun danno o offesa, ma che ogni sofferenza verrà ricompensata e niente andrà perduto, neppure un capello. Essere discepoli di Cristo è una scelta che riserva un calice amaro: è il prezzo della verità.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 10,16-23
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».
 
Parola del Signore.
 
Felipe F. Ramos: Profezia o esperienza? Probabilmente l’una e l’altra cosa. Gesù annunziò ai suoi discepoli che avrebbero subito la sua stessa sorte, che avrebbero bevuto il suo calice. Da questo punto di vista, le parole di Gesù sarebbero profezia, avvertimento per il futuro, quando egli non sarebbe più stato in mezzo a loro. Questo sarebbe il primo livello del testo. Nei testi biblici, si riscontrano spesso diversi livelli di profondità. Il primo è quello del fatto raccontato o dell’avvenimento; il secondo, un livello di maggiore profondità, è quello dell’esperienza posteriore, che ha scoperto tutta la dimensione del primo livello.
Il nostro testo raccoglie la parola-avvertimento di Gesù per i suoi discepoli: primo livello; ma raccoglie insieme anche l’esperienza amara della Chiesa nascente: secondo livello. Quando Matteo scrive il suo vangelo, i cristiani hanno già avuto esperienze d’ogni genere: sono stati perseguitati, imprigionati, portati davanti ai tribunali... (seguendo le orme dell’apostolo Paolo, troveremo in esse un’illustrazione pratica, personale, di quanto, in teoria, è detto nel nostro testo. Egli fu trascinato davanti ai tribunali, fu odiato a morte dai giudei, dovette fuggire da una città all’altra... E naturalmente non fu solo. Egli è come la personificazione della sorte dei discepoli di Gesù in quella prima ora, e forse in ogni momento).
Quando Matteo scriveva, era già sorto l’odio nel seno delle famiglie. Perché? Verso l’anno 70, fu emanato il decreto del giudaismo ufficiale col quale erano espulsi dalla Sinagoga tutti quelli che credevano che Gesù era il Messia. Ecco la causa dei dissensi familiari: alcuni si dichiaravano a favore di Gesù e altri stavano contro di lui; alcuni appartenevano alla Chiesa e altri alla Sinagoga. La scomunica aveva separato e reso nemici genitori, fratelli, figli. Le parole di Gesù raccomandano la prudenza: non si sfida il martirio per il prurito di essere martire. Le pecore fuggono dai lupi. È necessario ricorrere all’astuzia del serpente (Gn 3,1) e alla prudenza proverbiale della colomba. Prudenza di fronte agli uomini. Quando parla degli uomini, il vangelo si riferisce in modo generale agli empi, ai lontani da Dio, uomini nemici di Dio e di quelli che credono in lui (8,27; 10,32), gli uomini che non sanno comprendere le vie di Dio (16,23).
Saranno trascinati davanti ai tribunali e giudicati in quanto messaggeri e annunziatori della parola di Dio (il libro degli Atti ci offre una buona illustrazione pratica di questo nella persona di Pietro e Giovanni e degli apostoli in generale). La parola di Dio è portata davanti al tribunale degli uomini. E siccome l’oggetto del giudizio è Dio - la sua parola - egli si difenderà e darà ai suoi discepoli la parola opportuna per la loro difesa (rimandiamo ancora una volta all’illustrazione pratica del libro degli Atti: gli apostoli, nella loro difesa, riducono al silenzio i dottori e le autorità giudaiche, con loro grande sorpresa, dato che gli apostoli erano «uomini illetterati»). La frase finale è la più difficile: il Figlio dell’uomo verrà prima che abbiate finito di percorrere le città d’Israele.
La frase alludeva all’ultimo tempo, a quello del giudizio finale. Per questo, si è detto che, su questo punto Gesù ha sbagliato. Il testo è molto oscuro. Forse, per una spiegazione generica del problema, basterà affermare quanto segue: a) la prima missione fu indirizzata ai giudei. Era necessario salvaguardare il loro privilegio «cronologico»; b) rigettandola essi, la Chiesa si rivolse ai gentili, che accettarono il vangelo; c) questo però non significa che la missione indirizzata a Israele sia terminata. Resta sempre la speranza che il rifiuto d’Israele non sia definitivo; resta la speranza che si converta e accetti quello che, un tempo, ha rigettato. Matteo si muoverebbe sulla stessa linea di Paolo (Rm 11), ma esprimerebbe le sue speranze con un linguaggio diverso.
 
Il Vangelo caccia via ogni forma di irenismo. La missione a cui tutti i battezzati sono chiamati si presenta ardua in quanto le forze sono impari: «vi mando come agnelli in mezzo a lupi». I discepoli si trovano come pecore tra i denti affilati dei lupi. E i lupi quando azzannano scarnificano la preda. Una missione tutta in salita. La persecuzione sarà sempre in agguato (cfr. Lc 6,22-23). Gli inviati avranno in eredità il destino di Colui che li manda nel mondo: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Non è una probabilità, è pura certezza: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» (Gv 16,2). Gli inviati dalla loro parte avranno soltanto lo Spirito Santo: «Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire: perche lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12)». Il loro sangue non sarà sparso invano, testimonierà contro i carnefici, cosicché ricadrà su di essi «tutto il sangue innocente versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l’altare» (Mt 23,35). Il vangelo caccia via ogni forma di eroismo: “siate prudenti come i serpenti … Quando sarete perseguitati in una città fuggite in un’altra”. La missione è difficile perché dietro ogni angolo si nascondono i lupi travestiti da pecore, ma è anche difficile perché prima di mettersi in cammino bisogna atterrare i lupi che il credente ha dentro il suo cuore: la smania dell’apparire, la vanagloria, la falsa umiltà, l’imprudenza …, ed è assai difficile perché non è facile essere “semplici come le colombe”.
 
La persecuzione - Raymond Deville (Dizionario di Teologia Biblica): La persecuzione degli amici di Dio non è che un aspetto della guerra secolare che oppone Satana e le potenze del male a Dio ed ai suoi servi, e che si risolverà con lo schiacciamento del serpente. Dall’apparizione del peccato (Gen 3) fino alla lotte finali descritte nell’Apocalisse, il dragone «perseguita» la donna e la sua discendenza (Ap 12; cfr. 17; 19). Questa lotta si estende a tutta la storia, ma si amplifica sempre più a mano a mano che il tempo avanza. Raggiunge il vertice al momento della passione di Gesù, che è nello stesso tempo l’ora del principe delle tenebre e l’ora di Gesù, l’ora della sua morte e l’ora della sua glorificazione (Lc 22, 53; Gv 12, 23; 17,1). Nella Chiesa, le persecuzioni sono il segno e la condizione della vittoria definitiva di Cristo e dei suoi. A questo titolo hanno un significato escatologico, perché sono un prodromo del giudizio (1Pt 4,17 ss) e della instaurazione completa del regno. Legati alla «grande tribolazione» (Mc 13,9-13.14-20), esse preludono alla fine del mondo e condizionano la nascita di una nuova era (Ap 7,13-17). Se i perseguitati rimasti fedeli nella prova (Apoc 7,14) sono fin d’ora vincitori e «sovrabbondano di gioia», la loro sorte gloriosa non deve far dimenticare l’aspetto tragico del castigo dei persecutori. L’ira di Dio, che si rivela fin d’ora nei confronti dei peccatori (Rom 1,18), alla fine dei tempi cadrà su coloro che si saranno induriti, specialmente sui persecutori (1Ts 2,16; 2 Ts 1,5-8; Ap 6,9 ss; 11,17s; 16,5s; 19,2). La loro sorte era già annunziata nella fine tragica di Antioco Epifane (2Mac 9; Dan 7,11; 8,25; 11,45) che quella di Erode Agrippa ripete (At 12,21 ss). Questo nesso delle persecuzioni con il castigo escatologico è sottolineato nelle parabole dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-46 par.) e del banchetto nuziale (22,l-14). L’ultimo delitto dei vignaioli ed i cattivi trattamenti subiti dagli ultimi servi costituiscono l’anello finale di una serie di oltraggi e scatenano l’ira del padrone o del re. «Poiché hanno versato sangue dei santi, sangue hai dato loro da bere; ne sono meritevoli» (Apoc 16,6; 19,2).
 
Leone Magno (Sermone 70,4-5): La passione del Signoredura sino alla fine del mondo; e come nei suoi santi lui è onorato, lui è amato; e come nei poveri lui viene nutrito, lui viene vestito; così in tutti coloro che soffrono avversità per la giustizia, è lui che patisce. A meno non si debba ritenere che, diffusasi nel mondo la fede e diminuito il numero degli empi, siano finite tutte le persecuzioni e tutte le lotte che incrudelirono contro i martiri beati, e che furono soggetti al dovere di portare la croce solo quelli cui furono inflitti supplizi atroci per conquistare lamore di Cristo. Ma ben diversa è lesperienza di chi serve Dio con fedeltà, ben diversa è la predicazione dellApostolo; egli asserisce: Tutti coloro che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo soffriranno persecuzioni [2Tm 3,12]. Questa asserzione dimostra che è troppo tiepido, troppo pigro colui che non è battuto dalla persecuzione. In pace con questo mondo non può stare se non chi ama questo mondo, e non vi è mai società tra giustizia e iniquità, concordia tra verità e menzogna, accordo tra luce e tenebre.
 
Il Santo del Giorno - 12 Luglio 2023 - Ermagora e Fortunato Martiri - Fu san Marco evangelista, inviato da san Pietro ad Aquileia, a portare Ermagora - neo convertito - a Roma da san Pietro, convinto che fosse di «vir christianissimus et elegans persona» (uomo di salda fede e persona corretta). Ritornato in patria, Ermagora continuò a predicare con fervore, compiendo miracoli, battezzando, ordinando sacerdoti e diaconi, inviando missionari nelle città della regione aquileiese. Insediatosi il nuovo preside, Sebasto, i sacerdoti pagani gli chiesero di intervenire nei confronti di Ermagora, colpevole di sedurre il popolo con la nuova religione e di allontanarlo dai templi degli dei romani.
Ermagora venne così arrestato e invitato ad offrire agli idoli: di fronte al suo rifiuto, fu torturato a tal punto che il popolo stesso chiese di sospendere tale crudeltà. Durante la prigionia egli non smise mai di parlare di Cristo tanto che Ponziano, suo carceriere, chiese il battesimo. Considerando che ormai sentiva vicina la sua fine, indicò il suo diacono Fortunato quale suo successore, ma alla fine il preside Sebasto li martirizzò entrambi. I loro corpi furono raccolti da Ponziano, Gregorio e Alessandria e sepolti nel recinto funerario di quest’ultima, in un cimitero non lontano dalle mura della città. Tutti i malati che si recavano a venerarne la tomba riacquistavano la salute.
Il racconto della vita dei santi Ermagora e Fortunato è oggi custodito nella cripta della basilica di Aquileia da affreschi del XII secolo, dove in venti episodi è narrata la passio dei santi martiri. (Vatican News),
 
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.