5 GIUGNO 2024
 
SAN BONIFACIO, VESCOVO E MARTIRE – MEMORIA
 
2Tm 1,1-3.6-12; Salmo Responsoriale Dal Salmo 122 (123); Mc 12,18-27
 
Colletta
Interceda per noi, o Signore, il santo martire Bonifacio,
perché custodiamo con fermezza e professiamo con coraggio
la fede che egli ha insegnato con la parola
e testimoniato con il sangue.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale, 11 Marzo 2009): A distanza di secoli, quale messaggio possiamo noi oggi raccogliere dall’insegnamento e dalla prodigiosa attività di questo grande missionario e martire? Una prima evidenza si impone a chi accosta Bonifacio: la centralità della Parola di Dio, vissuta e interpretata nella fede della Chiesa, Parola che egli visse, predicò e testimoniò fino al dono supremo di sé nel martirio. Era talmente appassionato della Parola di Dio da sentire l’urgenza e il dovere di portarla agli altri, anche a proprio personale rischio. Su di essa poggiava quella fede alla cui diffusione si era solennemente impegnato al momento della sua consacrazione episcopale: «Io professo integralmente la purità della santa fede cattolica e con l’aiuto di Dio voglio restare nell’unità di questa fede, nella quale senza alcun dubbio sta tutta la salvezza dei cristiani». (Epist. 12, in S. Bonifatii Epistolaeed. cit., p. 29) [...] La testimonianza coraggiosa di Bonifacio è un invito per tutti noi ad accogliere nella nostra vita la parola di Dio come punto di riferimento essenziale, ad amare appassionatamente la Chiesa, a sentirci corresponsabili del suo futuro, a cercarne l’unità attorno al successore di Pietro. Allo stesso tempo, egli ci ricorda che il cristianesimo, favorendo la diffusione della cultura, promuove il progresso dell’uomo. Sta a noi, ora, essere all’altezza di un così prestigioso patrimonio e farlo fruttificare a vantaggio delle generazioni che verranno. Mi impressiona sempre questo suo zelo ardente per il Vangelo: a quarant’anni esce da una vita monastica bella e fruttuosa, da una vita di monaco e di professore per annunciare il Vangelo ai semplici, ai barbari; a ottant’anni, ancora una volta, va in una zona dove prevede il suo martirio. Paragonando questa sua fede ardente, questo zelo per il Vangelo alla nostra fede così spesso tiepida e burocratizzata, vediamo cosa dobbiamo fare e come rinnovare la nostra fede, per dare in dono al nostro tempo la perla preziosa del Vangelo.
 
Prima Lettura: Tutta la lettera ha la forma di un testamento spirituale e pastorale rivolto al diletto figlio Timoteo. L’apostolo Paolo, riferendosi al messaggio da lui predicato e trasmesso a Timoteo, raccomanda al suo discepolo di “rendere testimonianza” a Cristo con l’aiuto dello Spirito Santo.
 
Vangelo
Non è Dio dei morti, ma dei viventi!
 
Gesù giunto in Gerusalemme, accolto dalla folla osannante, scaccia i mercanti dal tempio aprendo così l’ennesimo fronte conflittuale con i detentori del potere israelitico. Come per l’inizio del Vangelo in Galilea, Marco ha ricordato cinque conflitti (cfr. Mc 2,1-3.6), così ora in Gerusalemme, alla fine del suo ministero pubblico, l’evangelista raccoglie cinque questioni, intramezzate dalla parabola dei vignaioli: l’autorità di Gesù, Dio e Cesare, la risurrezione, il comandamento più grande, il rapporto Cristo-Davide. Il brano odierno si colloca all’interno di questo conflitto ed è teso ad enunciare l’unicità di Dio Signore. Qui, sulla bocca di Gesù l’unicità di Dio si basa sullo Shema (cfr. Dt 6,4-5). 
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 12,18-27
 
In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».
 
Parola del Signore.
 
Il racconto odierno è comune a Matteo (22,23-33) e a Luca (20,27-38). I sadducèi per dottrina erano in contrapposizione con i farisei. Si ritroveranno amici quando sarà necessario far fronte comune per neutralizzare Gesù. Inoltre, a differenza dei farisei, i sadducéi consideravano valido soltanto quanto era scritto nella Torah e non trovando in essa alcun testo che affermasse una nuova vita nell’aldilà non credevano nella risurrezione. Non credevano nemmeno nell’esistenza degli angeli (Cf. At 23,8).
Nell’interrogare Gesù, per dare maggior autorità alle loro parole e screditare la dottrina dei farisei, citano la legge del levirato (Dt 25,5ss). Secondo questa legge se un uomo moriva senza lasciare figli, il fratello era obbligato a sposare la vedova per dare una discendenza al defunto.
I sadducèi, «setta più rozza di quella farisaica» (san Giovanni Crisostomo), con la storia dei sette fratelli non soltanto vogliono mettere in difficoltà Gesù, ma puntano a ridicolizzare la fede nella risurrezione dei morti professata dai farisei, loro acerrimi nemici. Infatti, con accenti tra il grottesco e l’ironico, alla fine del loro racconto, chiedono a Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Ma al di là dei toni e degli intenti si può pensare ragionevolmente che al ragionamento dei sadducèi «sottende una concezione materialistica della risurrezione, come se la vita dei risorti potesse essere valutata alla stregua di quei valori d’oggi: matrimonio, appartenenza di una persona all’altra, morte» (Carlo Ghidelli).
Gesù risponde affermando inequivocabilmente la realtà della risurrezione e illustrando i requisiti dei corpi risorti confuta sapientemente l’argomento dei sadducèi: se in questo mondo gli uomini contraggono nozze per assicurare la continuità della specie,  «nella risurrezione» cesserà questa necessità: gli uomini «giudicati degni della vita futura e della risurrezione», partecipando a una nuova vita, saranno «uguali agli angeli» e non potranno più morire. L’evangelista Luca dicendo saranno uguali agli angeli non vuole fare un paragone, ma spiegare in cosa consiste la risurrezione: non in una «rianimazione di un cadavere, bensì nella spiritualizzazione di tutto l’essere umano, reso simile agli angeli in cielo, per partecipare alla vita di Dio, come dono sublime della sua liberalità» (Angelico Poppi).
Gesù per affermare il mistero della risurrezione cita la Parola di Dio, così come avevano fatto i suoi interlocutori per negarla. È infatti la Sacra Scrittura a dimostrare il grave errore dei sadducèi: il Signore, nella teofania del roveto ardente, dichiarandosi «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6) rivela una comunione vera con degli esseri che anche dopo la morte continuano a vivere.
«Vivono per sempre» (Sap 5,15) perché da Dio sono stati creati per l’immortalità: «Dio non ha creato la morte; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale [...]. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo ha fatto a immagine della propria natura» (Sap 1,13.15-2,23).
 La morte non può spezzare la comunione di coloro che si addormentano nel Signore con il Dio vivo e fedele (Cf. Rom 6,10): Dio, non intendendo lasciare i suoi amici nella corruzione del sepolcro (Cf. Sal 16,10s), saprà trarli col suo Spirito dalla polvere (Cf. Ez 37,3; Gv 11,24s).
Una comunione che coinvolgerà interamente l’uomo: nel giorno della risurrezione dei morti i corpi si ricongiungeranno alle anime per godere eternamente.
La risposta di Gesù zittisce i sadducèi e appaga i farisei i quali plaudono con vero entusiasmo: una volta tanto si sono trovati d’accordo con il giovane rabbi di Nazaret.
 
La potenza della risurrezione Jean Radermakers e Pierre Grelot: La risurrezione di Gesù risolve il problema della salvezza quale si pone a ciascuno di noi. Oggetto primo della nostra fede, essa è pure la base della nostra speranza, di cui determina il fine. Gesù è risorto «come primizie di coloro che dormono» (1Cor 15,20); ciò motiva la nostra attesa della risurrezione nell’ultimo giorno. Più ancora, egli è in persona «la risurrezione e la vita: chi crede in lui, anche se è morto, vivrà» (Gv 11,25); questo motiva la nostra certezza di partecipare fin d’ora al mistero della nuova vita, che Cristo ci rende accessibile attraversa segni sacramentali.
1. La risurrezione nell’ultimo giorno. - La fede giudaica nella risurrezione dei corpi è stata avallata da Gesù con le sue prospettive di integrità ritrovata e di radicale trasformazione (Mt 22,30ss par.); se questo tratto manca al quadro dell’ultimo giorno delineato dall’apocalisse sinottica (Mt 24 par.), ciò è accidentale. Tuttavia questa fede non acquista il suo significato definitivo se non dopo la risurrezione personale di Gesù. La comunità primitiva ha coscienza di rimanere fedele, su questo punto, alla fede giudaica (Atti 23,6; 24,15; 26,6ss); ma è la risurrezione di Gesù a darle ormai una base oggettiva. Noi tutti risusciteremo, perché Gesù è risuscitato: «Colui che ha risuscitato Cristo Gesù di tra i morti, darà pure la vita ai vostri corpi mortali mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rom 8,11; cfr. 1Tess 4,14; 1Cor 6,14; 15,12-22; 2Cor 4,14). Nel vangelo di Matteo il racconto della risurrezione di Gesù sottolinea già questo punto in modo concreto: nel momento in cui Gesù, disceso agli inferi, ne risale vittorioso, i giusti, che vi attendevano il loro accesso alla gioia celeste, sorgono per fargli un corteo trionfale (Mt 27,52s). Non si tratta di un ritorno alla vita terrena, ed il racconto non parla che di apparizioni strane. Ma è un’anticipazione simbolica di ciò che avverrà nell’ultimo giorno. Non è forse questo anche il senso delle risurrezioni miracolose operate da Gesù durante la sua vita? S. Paolo sviluppa ancor più lo scenario della risurrezione generale: voce dell’angelo, tromba per radunare gli eletti, nubi della parusia, processione degli eletti... (1Tess 4,15ss; 2Tess 1,7s; 1Cor 15,52). Questa cornice convenzionale è classica nelle apocalissi giudaiche; ma il fatto fondamentale è più importante delle sue modalità. Contrariamente alle concezioni greche, in cui l’anima umana liberata dai legami del corpo va sola verso l’immortalità, la speranza cristiana implica una restaurazione integrale della persona; suppone nello stesso tempo una trasformazione totale del corpo, divenuto spirituale, incorruttibile ed immortale (1Cor 15,35- 53). Nella prospettiva in cui si pone, Paolo non affronta d’altronde il problema della risurrezione degli empi; non pensa che a quella dei giusti, partecipazione all’ingresso di Gesù in gloria (cfr. 1Cor 15,12 ...). L’attesa di questa «redenzione del corpo» (Rom 8,23) è tale che, per esprimerla, il linguaggio cristiano conferisce alla risurrezione una specie di imminenza perpetua (cfr. 1Tess 4,17). Tuttavia, l’impazienza della speranza cristiana (cfr. 2 Cor 5,1-10) non deve portare a vane speculazioni sulla data del giorno del Signore. L’Apocalisse delinea un quadro splendido della risurrezione dei morti (Apoc 20,11-15). La morte e l’Ade li restituiscono tutti, affinché compaiano dinanzi al giudice, sia i cattivi che i buoni. Mentre i cattivi sprofondano nella «seconda morte», gli eletti entrano in una nuova vita, in seno ad un universo trasformato che si identifica col paradiso primitivo e con la Gerusalemme celeste (Apoc 21-22). Come esprimere altrimenti che sotto forma di simboli una realtà indicibile, che l’esperienza umana non può afferrare? Questo affresco non è ripreso nel quarto vangelo. Ma costituisce lo sfondo di due brevi allusioni che sottolineano soprattutto il compito affidato al figlio dell’uomo: i morti risorgeranno al suo appello (Gv 5,28; 6,40.44), gli uni per la vita eterna, gli altri per la condanna (Gv 5,29).
2. La vita cristiana, risurrezione anticipata. - Se Giovanni sviluppa così poco il quadro della risurrezione finale, si è perché lo vede realizzato in anticipo già nel tempo presente. Lazzaro che esce dal sepolcro rappresenta in concreto i fedeli strappati alla morte dalla voce di Gesù (cfr. Gv 11,25s). Anche il discorso sull’opera di vivificazione del figlio dell’uomo contiene affermazioni esplicite: «Viene l’ora, ed è adesso che i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e tutti coloro che l’avranno ascoltata, vivranno» (Gv 5,25). Questa netta dichiarazione sintetizza l’esperienza cristiana qual è espressa dalla prima lettera di Giovanni: «Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita...» (1Gv 3,14). chiunque possiede questa vita non cadrà mai in potere della morte (Gv 6,50; 11,26; cfr. Rom 5,8s). certamente una simile certezza non sopprime l’attesa della risurrezione finale; ma trasfigura fin d’ora una vita che è entrata nella sfera d’azione di Cristo. S. Paolo diceva già la stessa cosa sottolineando il carattere pasquale della vita cristiana, partecipazione reale alla vita di Cristo risorto. Sepolti con lui al momento del battesimo, noi siamo pure risorti con lui, perché abbiamo creduto alla forza di Dio che lo ha risuscitato dai morti (Col 2,12; Rom 6,4ss). La nuova vita in cui allora siamo entrati non è altro che la sua vita di risorto (Ef 2,5s). Di fatto, in quel momento, ci è stato detto: «Svegliati, o tu che dormi! sorgi di tra i morti, e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14). Questa certezza fondamentale dirige tutta l’esistenza cristiana. Domina la morale che ormai si impone all’uomo nuovo, nato in Cristo: «Risuscitati con Cristo, cercate le cose dell’alto, là dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1ss). Essa è pure la fonte della sua speranza. Infatti, se il cristiano attende con impazienza la trasformazione finale del suo corpo di miseria in corpo di gloria (Rom 8,22 ; Fil 3,10s.20s), si è perché possiede già il pegno di questo stato futuro (Rom 8,23; 2Cor 5,5). La sua risurrezione finale non farà che manifestare chiaramente ciò che egli è già nella realtà segreta del mistero (Col 3,4).
 
La coscienza della risurrezione - Cirillo di Gerusalemme, Catech., 18, 5-7: Se la risurrezione dei morti per te non esiste, perché condanni i violatori dei sepolcri? Se il corpo si dissolve e la risurrezione è senza speranza, perché chi viola il sepolcro incorre in una pena? Vedi che anche se tu neghi con le labbra, rimane piena in te la coscienza della risurrezione.
Un albero abbattuto rifiorisce e l’uomo abbattuto non rifiorisce? Ciò che è stato seminato e mietuto rimane sull’aia e l’uomo reciso da questo mondo non rimane sull’aia? I tralci della vite e i rami degli alberi completamente tagliati, trapiantati ricevono la vita e portano frutto, l’uomo, poi, per il quale le piante esistono, una volta sotterrato non risorgerà? Al confronto delle fatiche, quale è più grande, plasmare una statua che da principio non c’era, o rifare di nuovo con la stessa forma una che si era rotta? Dio che ci fece dal nulla, non potrà di nuovo far risorgere quelli che c’erano e sono morti?
Ma tu non credi a quanto è scritto sulla risurrezione perché sei greco. Contempla dalla natura questo e rifletti sulle cose che sino ad oggi si vedono. Si semina il frumento, se piace, o qualsiasi genere di semi. Appena cade, come se morisse, va in putrefazione ed è inutile al nutrimento. Ma quello putrefatto risorge verdeggiante e caduto piccolo risorge bellissimo. Il frumento è fatto per noi. Per il nostro uso il frumento e i semi sono fatti, non per se stessi. Quelle cose che per noi sono state create, morte rivivono, e noi, motivo per i quali esse vivono, morti non risorgeremo?
È tempo d’inverno, come vedi. Gli alberi sono come morti. Dove ora le foglie del fico? Dove i grappoli della vite? Nell’inverno questi sono morti e nella primavera verdeggianti e quando viene il tempo, allora, come dalla morte, rinasce la forza della vita. Dio guardando la tua infedeltà in queste cose fenomeniche opera ogni anno la risurrezione perché, vedendo ciò nell’inanimato, lo ritieni anche sull’animato.
 
Il Santo del Giorno - 5 Maggio 2024 - San Bonifacio. Nell’Europa di oggi la sua eredità spirituale: È il Vangelo ad aver dato forma e sostanza all’Europa: i semi dei valori fondamentali nei quali oggi l’intero continente si riconosce sono stati gettati dai numerosi testimoni che hanno dato la vita per portare in ogni angolo il messaggio del Risorto. A quest’opera si dedicò san Bonifacio, senza la cui iniziativa l’impero di Carlo Magno – e quindi le basi dell’Europa moderna – non avrebbe potuto esistere. Si chiamava Vinfrido ed era nato attorno al 673 nel Devonshire da una nobile famiglia inglese. Dopo essere diventato monaco, pronunciando i voti nell’abbazia di Exeter e di Nurslig, si fece missionario tra le popolazioni germaniche sulla riva destra del Reno, dove però dovette fare i conti con numerose difficoltà, inclusi gli scontri politici tra signori locali e sovrani. Chiamato a Roma da papa Gregorio II, venne ordinato vescovo e ricevette il nome di Bonifacio. Tornato in terra germanica fondò l’abbazia di Fulda, vero centro propulsore spirituale di tutto il suo apostolato, e fissò la sede episcopale a Magonza. Attaccato da alcuni pagani, morì nel 754 a Dokkum, nell’odierna Olanda. (Matteo Liut)
 
La partecipazione ai tuoi santi misteri
ci comunichi, o Signore,
lo spirito di fortezza che rese il tuo santo martire Bonifacio
fedele nel servizio e vittorioso nella passione.
Per Cristo nostro Signore.