4 GIUGNO 2024
 
MARTEDÌ DELLA IX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
 
2Pt 3,11b-15a.17-18; Salmo responsoriale Dal Salmo 89 (90); Mc 12,13-17
 
Colletta
O Dio, che nella tua provvidenza
tutto disponi secondo il tuo disegno di salvezza,
ascolta la nostra umile preghiera:
allontana da noi ogni male e dona ciò che giova al nostro vero bene.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio - Benedetto XVI (Omelia, 16 Ottobre 2011): Gesù risponde con un sorprendente realismo politico, collegato con il teocentrismo della tradizione profetica. Il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza. I Padri della Chiesa, prendendo spunto dal fatto che Gesù fa riferimento all’immagine dell’Imperatore impressa sulla moneta del tributo, hanno interpretato questo passo alla luce del concetto fondamentale di uomo immagine di Dio, contenuto nel primo capitolo del Libro della Genesi. Un Autore anonimo scrive: “L’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità … Pertanto da’ la tua ricchezza materiale a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato … Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo, che egli ha creato, per riflettere la sua gloria” (Anonimo, Opera incompleta su Matteo, Omelia 42). E Sant’Agostino ha utilizzato più volte questo riferimento nelle sue omelie: “Se Cesare reclama la propria immagine impressa sulla moneta - afferma -, non esigerà Dio dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui?” (En. in Ps., Salmo 94, 2). E ancora: “Come si ridà a Cesare la moneta, così si ridà a Dio l’anima illuminata e impressa dalla luce del suo volto … Cristo infatti abita nell’uomo interiore” (Ivi, Salmo 4, 8). Questa parola di Gesù è ricca di contenuto antropologico, e non la si può ridurre al solo ambito politico. La Chiesa, pertanto, non si limita a ricordare agli uomini la giusta distinzione tra la sfera di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e quello religioso. La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita.
 
Prima Lettura: La speranza che la “venuta del giorno di Dio” era dietro l’angolo era svanita, e così l’apostolo Pietro con le sue lettere cerca di rassicurare i cuori smarriti. Il “giorno di Dio” verrà e bisogna attenderlo “nella santità della condotta e nelle preghiere”. In quel giorno, che soltanto Dio conosce, “i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno”. Alla Chiesa Gesù ha promesso la sua venuta nella gloria, e in quel giorno vi saranno “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia”. Bisogna puntare tutto su questa promessa infallibile.
Ora, invece di perdere il tempo a fare calcoli o a frignare come bambini impauriti, l’apostolo Pietro invita i cristiani a vivere “in pace, senza colpa e senza macchia”. E invece di porgere l’orecchio a millantatori e a falsi profeti è bene vivere il presente “nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo”.
 
Vangelo
Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio.
 
I Farisei cercano di screditare Gesù dinanzi al popolo. La moneta presentata a Gesù era quella del tributo e se avesse detto che era lecito pagarlo avrebbero potuto tacciarlo di essere amico dei Romani. Accettare quella moneta e consegnarla agli esattori dello Stato straniero era come riconoscere a questi il diritto di governare e automaticamente rinunziare alla potestà di Dio e del suo messia. Sarebbe stato un atto formale di apostasia.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 12,13-17
 
In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.
 
Parola del Signore.
 
 
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia - Ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo, che avevano contestato l’autorità di Gesù, ora subentrano altri interlocutori (Cf. Mt 21,23-27), i discepoli dei farisei e gli erodiani.
Quest’ultimi, partigiani di Erode il grande e dei suoi discendenti, in particolare di Erode Antipa, a differenza dei farisei, erano a favore del pagamento del tributo a Cesare. Le due fazioni sempre in lite a motivo delle innumerevoli divergenze religiose e politiche, si ritrovano in questa disputa alleate per osteggiare Gesù, declarato nemico comune: la combutta, quindi, la dice lunga sulla buona intenzione e sull’onestà di questi approcci, che come denuncia l’evangelista Luca erano suscitati unicamente per tendergli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca  (Lc 11,54).
Le leggi di Roma, pur essendo assai repressive e spesso disumane, erano da quasi tutti gli Israeliti accettate obtorto collo e la questione del tributo a Cesare non era cosa da prendere sottogamba, perché pagarlo «costituiva un tacito riconoscimento del dominio straniero e la rinunzia implicita alla speranza messianica. Si trattava di un problema di coscienza, data la persistente concezione teocratica in Israele, che determinò la ribellione di alcuni rivoluzionari, contrari al versamento del tributo» (Angelico Poppi).
Alla domanda se era lecito, naturalmente secondo la Legge di Dio, pagare il tributo a Cesare, Gesù risponde in modo da evitare la trappola che gli era stata tesa. Rispondendo, infatti, che quelli che usano la moneta di Cesare sono tenuti a restituirla, Gesù evita di prendere posizione sulla liceità o meno del pagamento del tributo.
Il tranello preparato dagli interlocutori ipocriti era comunque molto evidente: se, infatti, avesse risposto che non era lecito, l’avrebbero accusato di disprezzare le leggi di Roma, se invece avesse risposto che era lecito «l’imputazione sarebbe quella esattamente contraria. Gesù si rivelerebbe un pessimo israelita, un collaborazionista, un fiancheggiatore dei romani. E Gesù se ne libera con una risposta ad hominem: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Risposta che tutto sommato lascia assolutamente aperto il problema, benché si sia soliti ascrivere a questo logion il principio nuovo e inedito della separazione del potere temporale da quello religioso» (Cettina Militello).
Dalla risposta si evince come Gesù, rifiutando di entrare in questioni prettamente politiche, abbia voluto impartire alle guide spirituali d’Israele «un profondo insegnamento teologico circa la priorità assoluta di Dio su ogni dominatore terreno, anche se usurpava titoli divini. Riguardo alle disquisizioni teologiche e giuridiche nella storia della Chiesa dei rapporti tra il potere civile e quello religioso sulla base della sentenza di Gesù, si tratta di deduzioni dottrinali posteriori, talvolta discutibili, che non riguardano direttamente l’esegesi» (Angelico Poppi). Quindi la risposta va al di là della mera questione di pagare il tributo a Cesare, per il quale, oltre tutto, la Chiesa non ha avuto mai dubbi, così come insegna l’apostolo Paolo: «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto» (Rom 13,7).
E quello che bisogna dare a Dio era oltremodo chiaro ai farisei e agli erodiani, bisogna dare tutto; tutto se stessi, senza infingimenti e riserve: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo dei comandamenti» (Mt 22,37-38).
La risposta di Gesù supera «l’orizzonte umano dei suoi tentatori; si pone aldilà del sì e del no che avrebbero voluto carpirgli. La dottrina di Gesù Cristo trascende qualsiasi concezione politica, e se i fedeli, nell’esercizio della loro libertà, scelgono una determinata soluzione per le questioni temporali, “ricordino essi che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”» (La Bibbia di Navarra, I quattro Vangeli).
 
Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio - Vincent Taylor (Marco): La risposta di Gesù non vuol dire che il mondo della politica e quello della religione sono sfere separate, ognuno con i propri principi e le proprie direttive. Gesù è convinto che i diritti di Dio abbracciano tutto (cfr. Mc. 12, 29 s); ma egli riconosce che le obbligazioni dovute allo Stato appartengono all’ordine divino. In particolare, accettazione e uso della moneta di Cesare sono il riconoscimento implicito della sua autorità e quindi dell’obbligo di pagare i tributi; cfr. M t. 17, 27. Questo dovere non è in conflitto con l’esigenza di rendere a Dio tutto ciò che gli è dovuto, né semplicemente parallelo a quest’esigenza. Radicalmente diverso fu l’atteggiamento di Giuda di Galilea nel 6 d. C.; costui, al tempo del censimento ordinato da Quirino, affermò che si trattava né più né meno che «di una introduzione alla schiavitù», ed esortò la popolazione ad affermare la propria libertà (cfr. Giuseppe Flavio, Ant. 18, 1, 1).
Nella cristianità primitiva l’atteggiamento nei confronti dello Stato, descritto in Rom. 13,7 e in 1Pt. 2,13s, concorda in pieno con l’insegnamento di Gesù; e trovava la sua giustificazione nella pace, nella giustizia e nella tolleranza di cui il mondo godette nei giorni migliori dell’Impero. Nel tempo in cui venne scritta l’Apocalisse di Giovanni la situazione era cambiata: cfr. Apoc. 18,1 ss. [...].
La storia marciana s’interrompe sull’accenno alla grande meraviglia di coloro che avevano interrogato Gesù.
Gli altri evangelisti sviluppano il racconto. Matteo dice che, all’udire queste parole, essi stupirono, lo lasciarono e se ne andarono (22,22). Luca spiega che essi non riuscirono a prendere in fallo Gesù davanti al popolo, e che meravigliati della sua risposta tacquero (20,26).
 
Il tributo a Cesare - Ambrogio, Exp. Ev. sec. Luc. 9, 34-36: “Di chi è l’immagine e l’iscrizione?” (Lc 20,24). In questo passo Egli c’insegna che dobbiamo essere cauti nel respingere le accuse degli eretici oppure dei Giudei. In un altro punto ha detto: “Siate astuti come i serpenti”. Questo, diversi lo interpretano così: poiché la croce di Cristo fu preannunciata nel serpente levato in alto, affinché venisse distrutto il veleno serpigno degli spiriti del male, parrebbe che si debba essere accorti come il Cristo, e semplici come lo Spirito. Ecco dunque chi è il serpente che tiene sempre protetto il capo, ed evita così le ferite mortali. Quando i Giudei gli chiedevano se avesse ricevuto dal Cielo la sua autorità, Egli rispose: “Il battesimo di Giovanni di dov’era, dal Cielo o dagli uomini?” (Mt 20,4). E lo scopo era che essi, non osando negare che era dal Cielo, si convincessero da soli della propria demenza nel negare che Colui che lo dava era dal Cielo. Egli chiede un didramma e domanda di chi è l’effigie: infatti diversa è l’effigie di Dio, diversa l’effigie del mondo. Per questo anche colui ci ammonisce: “E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo l’immagine dell’uomo celeste” (1Cor 15,49).
Cristo non ha l’immagine di Cesare, perché Egli è “l’immagine di Dio”. Pietro non ha l’immagine di Cesare, perché ha detto: Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Mt 19,27). Non si trova l’immagine di Cesare in Giacomo o in Giovanni, perché sono i figli del tuono, ma essa si trova nel mare, dove vi sono sulle acque quei mostri dalle teste fracassate, e lo stesso mostro principale, col capo mozzo, vien dato come cibo ai popoli degli Etiopi. Ma se non aveva l’immagine di Cesare, perché mai ha pagato il tributo? Non l’ha pagato del suo, ma ha restituito al mondo ciò che apparteneva al mondo. E se anche tu non vuoi esser tributario di Cesare, non possedere le proprietà del mondo. Però hai le ricchezze: e allora sei tributario di Cesare. Se non vuoi esser assolutamente debitore del re della terra, abbandona ogni tua cosa e segui Cristo.
E giustamente Egli ordina di dare prima a Cesare ciò che è di Cesare, perché nessuno può appartenere al Signore, se prima non ha rinunziato al mondo. Tutti, certo, rinunziamo a parole, ma non rinunziamo col cuore; infatti, quando riceviamo i sacramenti, facciamo la rinunzia. Che pesante responsabilità è promettere a Dio, e poi non soddisfare il debito! “È meglio non fare voti”, sta scritto, “piuttosto che farne e non mantenerli” (Qo 5,4). L’obbligo della fede è più forte di quello pecuniario. Rendi quanto hai promesso, finché sei in questo corpo, prima che giunga l’esecutore 2e questi ti getti in prigione. In verità ti dico che non ne uscirai prima di aver pagato fino all’ultimo spicciolo2(Lc 12, 58; Mt 5,25s).
 
Il Santo del Giorno - 4 Giugno 2024 - Filippo Smaldone. Visse il proprio servizio accanto ai sordomuti: Vivere la profezia significa ascoltare i segni dei tempi e dare risposta con il Vangelo, vuol dire prendersi cura dell’umanità nei suoi bisogni, aiutando tutti a realizzare la propria vocazione. Per san Filippo Smaldone la “profezia” si realizzò accanto ai sordomuti, per i quali fu padre, amico e accompagnatore. Era nato a Napoli nel 1848 e visse in uno dei momenti più turbolenti della storia della Penisola: gli anni dell’unità d’Italia e della difficile costruzione di un’identità nazionale. Nella sua città già da studente di teologia iniziò a prendersi cura dei sordi, di cui di fatto nessuno si occupava. Dopo aver vissuto per un periodo a Rossano Calabro, venne ordinato prete nel 1871 a Napoli. Ammalatosi durante una grave epidemia si affidò alla Vergine di Pompei e fu guarito miracolosamente. Nel 1885 partì per Lecce per fondare con don Lorenzo Apicella un istituto per sordi.
Radunando alcune religiose fondò poi la Congregazione delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori. Fu consigliere e confessore di molti sacerdoti e seminaristi; morì a Lecce nel 1923 ed è santo dal 2006. (Matteo Liut)
 
O Padre, che ci nutri con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
guidaci con il tuo Spirito,
perché, confessandoti non solo a parole e con la lingua,
ma con i fatti e nella verità,
possiamo entrare nel regno dei cieli.
Per Cristo nostro Signore.