27 Giugno 2024
 
Giovedì XII Settimana T. O.
 
2Re 24,8-17; Salmo Responsoriale Dal salmo 78 (79); Mt 7,21-29
 
Colletta
Donaci, o Signore,
di vivere sempre nel timore e nell’amore per il tuo santo nome,
poiché tu non privi mai della tua guida
coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gesù insegnava come uno che ha autorità - Catechismo della Chiesa Cattolica 581: Gesù è apparso agli occhi degli Ebrei e dei loro capi spirituali come un “rabbi”. Spesso egli ha usato argomentazioni che rientravano nel quadro dell’interpretazione rabbinica della Legge. Ma al tempo stesso, Gesù non poteva che urtare i dottori della Legge; infatti, non si limitava a proporre la sua interpretazione accanto alle loro: “Egli insegnava come uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Mt 7,29). In lui, è la Parola stessa di Dio, risuonata sul Sinai per dare a Mosè la Legge scritta, a farsi di nuovo sentire sul Monte delle Beatitudini. Essa non abolisce la Legge, ma la porta a compimento dandone in maniera divina l’interpretazione definitiva: “Avete inteso che fu detto agli antichi ... ma io vi dico” (Mt 5,33-34). Con questa stessa autorità divina, Gesù sconfessa certe “tradizioni degli uomini” (Mc 7,8) care ai farisei i quali annullano “ la Parola di Dio ” (Mc 7,13).
 
I Lettura: Antonio González-Lamadrid (Commento della Bibbia Liturgica): Nell’anno 612, cadde Ninive; nel 605, fu incoronato Nabucodonosor, l’anima dell’impero neobabilonese. Il Medio Oriente cambiava padrone: agli assiri succedevano i babilonesi. L’Egitto non vedeva di buon occhio la piega che avevano presa gli avvenimenti, e organizzò una spedizione, capeggiata dal faraone Necao, con lo scopo di appoggiare l’Assiria e aiutarla a frenare l’avanzata babilonese.
Necao però fu battuto da Nabucodonosor a Karkernish, dove si erano radunati i resti dell’esercito assiro; e l’esercito egiziano fu costretto a ripiegare verso le sue terre. Tuttavia, la politica egiziana continuò a cospirare contro Babilonia e tesseva intrighi con i reucci della fascia siropalestinese, per guadagnarli alla sua causa e costituire la fronte comune contro il grande colosso della Mesopotamia. Entrò in questo gioco anche il piccolo regno di Giuda.
Nabucodonosor organizzò una spedizione punitiva e giunse con le sue truppe fino alle porte di Gerusalemme.
In questa occasione, egli si contentò di assediare la città e di deportare la famiglia reale e il personale dirigente qualificato del regno. È la cosiddetta prima deportazione, che avvenne nell’anno 598. Fra i deportati, figura Ezechiele, il profeta che doveva esercitare il suo ministero durante la prima parte dell’esilio.
Le riflessioni teologiche su questa prima deportazione e sulla tragica fine del regno di Giuda si possono trovare nel profeta Geremia, che fu il portavoce di Dio in tutto questo tempo. Il pensiero di Geremia è in linea con la tesi deuteronomista: le deportazioni e la distruzione di Gerusalemme sono il giusto castigo che riceve un popolo impenitente. Il profeta di Anatot aveva moltiplicato i suoi inviti alla conversione, ma tutto era stato inutile; il male era ormai così inveterato e così congenito nel popolo, che Geremia perdette ogni speranza:
« Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se trovate un uomo, uno solo che agisca giustamente e cerchi di mantenersi fedele, e io le perdonerò, dice il Signore. Anche quando esclamano: “Per la vita del Signore!” certo giurano il falso. Signore, i tuoi occhi non cercano forse la fedeltà? Tu li hai percossi, ma non mostrano dolore; li hai fiaccati, ma rifiutano di comprendere la correzione. Hanno indurito la faccia più di una rupe, non vogliono convertirsi» (Ger 5,1-3).
«Anche la cicogna nel cielo conosce i suoi tempi; la tortora, la rondinella e la gru scrutano la data del loro ri torno; il mio popolo, invece, non conosce il comando del Signore » (Ger 8,7).
La prima deportazione era il risultato finale della politica errata del re Ioiachin del quale Geremia traccia il seguente ritratto:
« Guai a chi costruisce la casa senza giustizia e il piano di sopra senza equità, che fa lavorare il suo prossimo per nulla, senza dargli la paga, e dice: “Mi costruirò una  casa grande con spazioso piano di sopra” e vi apre finestre e la riveste di tavolati di cedro e la dipinge di rosso.
Forse tu agisci da re, perché ostenti passione per il cedro? Forse tuo padre non mangiava e beveva? Ma egli praticava il diritto e la giustizia e tutto andava bene. Egli tutelava la causa del povero e del misero e tutto andava bene. Questo non significa infatti conoscermi? Oracolo del Signore. I tuoi occhi e il tuo cuore, invece, non badano che al tuo interesse, a spargere sangue innocente, a commettere violenza e angherie» (Ger 22 .13-17).
 
Vangelo
La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia.
 
Una pagina che fa tremare i polsi ai soliti cristiani della domenica. Non basta aver ricevuto il battesimo per salvarsi, perché chi non crede sarà condannato (cfr. Mc 16,16). Anche gli esorcisti se la loro fede è solo di facciata non si salveranno, così quelli che vomitano preghiere immaginando di allontanare il diabolico dalla vita dell’uomo o quelli che vanno avanti a forza di visioni o messaggi ultraterreni. La Parola di Gesù è chiara: solo chi mette in pratica la sue parole, tutti i santi giorni dell’anno, si salverà. Il contrario è sinonimo di eterna perdizione. L’immagine della casa era così chiara che per la folla venne spontaneo fare un confronto tra l’insegnamento di Gesù e quello degli scribi: pur non addentro alla teologia e alla esegesi, la folla riconosce la veridicità dell’insegnamento di Gesù da cui scaturisce autorità e prestigio.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 7,21-29
 
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.
 
Parola del Signore.
 
Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli  - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): La voce del falso profeta risuona qualche volta nel cuore dello stesso cristiano. Egli cerca di illudersi di essere seguace di Cristo, mentre in realtà è solo un «ciarlatano», come tale è il profeta che parla senza un incarico. Per entrare nel regno, ottenere cioè la salvezza, non basta stare a ripetere solennemente e pomposamente il nome del Signore, ma occorre convertirsi e fare penitenza, come ha già ricordato più sopra (3,8; 4,17); ora aggiunge che bisogna, prima di tutto, compiere la volontà di Dio, cioè quello che egli comanda a ciascuno (cfr. Mt. 5,17-19). La volontà ... è il disegno salvifico di Dio, ma si estende anche alle esigenze pratiche della vita quotidiana.
Fare la volontà del Padre è la sintesi della spiritualità vetero-neotestamentaria. Quel che Gesù e la chiesa esigono dai fedeli è una pietà fattiva, operosa, impegnata. Non bastano le buone parole, la buona fede, le buone aspirazioni; non è sufficiente camminare per la via spaziosa con il pensiero verso il regno, invocando di tanto in tanto o anche frequentemente il nome del Signore, per aver parte alla salvezza. Se durante la vita si è vissuti fuori del regno, senza rapporti di reale sudditanza con il sovrano, alla fine egli rifiuterà di riconoscere per suoi sudditi questi suoi nascosti adoratori. Possono aver fatto miracoli, la condanna che li attende è inevitabile.
Quando avverrà questo dialogo? Tutto fa pensare che si tratti di un momento dell’ultimo giudizio, sia per la somiglianza con Mt. 25,36, che per la moltitudine indistinta che è in scena, come per la forma categorica o definitiva della condanna: «Allontanatevi da me», cui si potrebbe aggiungere: «nel fuoco eterno», riprendendo l’idea sottintesa in 7,19 e chiaramente espressa alla fine della grande sintesi escatologica (Mt. 25, 41).
Il discorso della montagna si va chiudendo con un tono minaccioso. È l’ultima carta, l’alternativa della perdizione, che ogni predicatore gioca con il suo uditorio. Se fallisce anche questa non c’è più nulla da fare e da sperare.
 
Non chiunque mi dice: “Signore, Signore” - Gottfried Hierzenberger: Il nome Signore fu riferito soltanto un po’ alla volta a Gesù. La comunità primitiva che professava Gesù come il Risorto, lo confessava “alla destra di Dio” acquisendo in tal modo, al di là del rapporto discepolo-maestro, una comprensione religiosa fondata sulla fede.
Quando i discepoli si identificarono con i servi delle parabole, ciò suggerì di riferire a lui stesso le affermazioni fatte da Gesù sul Signore (per es. Mt 13,27). Ciò veniva favorito dall’esperienza della pretesa assoluta di sequela. Quando nella vita di fede della chiesa primitiva, nell’annuncio dell’evangelo, nella preghiera, durante il pasto del Signore, nell’atteggiamento d’amore verso il fratello e perfino verso il nemico, nella complessiva comprensione di sé, del mondo e di Dio, Gesù dimostrò di essere il centro totale della comunità, superiore a tutti i tipi di relazioni del passato, l’assunzione del titolo tradizionalmente religioso di signore diventò ovvio. Nell’ambito cristiano questo titolo fu assunto in senso assoluto per esprimere la signoria illimitata, onnicomprensiva, divina di Gesù (Mt 28,18).
Negli scritti più recenti del Nuovo Testamento il titolo di Signore è già ovvio: tutti i passi della LXX (JHWH = Signore) vengono riferiti senza esitazione a Gesù; ciò significa che si riconosce che in Gesù, Dio agisce così come l’Antico Testamento proclama nei riguardi di JHWH. Così Dio manda il Signore (cf. Sal 110,1) in maniera definitiva per attuare la pienezza conchiusa del tempo e per ricapitolare tutto - quello che è in cielo e quello che è sulla terra - in Cristo, il capo (Ef 1,10). Al tempo stesso, però, il “Figlio” manda lo Spirito (At 2,33) e guida la comunità cristiana in modo tale che essa può dire: “Il Signore è lo Spirito!” (2Cor 3,17). Nella teologia storico-salvifica cosmica e cristologico ecclesiale della Lettera agli Efesini e di quella ai Colossesi, questo pensiero raggiunge il suo vertice (Col 1,18-20).
Nella preghiera al Signore (2Tm 2,22) questa visuale acquista anche un ‘espressione religiosa personale.
 
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Iniziato con le metafore della via e della porta, l’avvertimento si conclude con l’immagine della casa. Costruire la propria abitazione simboleggia perfettamente i progetti più importanti (non si dice «costruire la propria vita»?). Ora, il salmista scriveva già: «Se il Signore non costruisce la casa, invano ci faticano i costruttori» (Sal 127,1). E spesso i salmi contengono anche quest’invocazione: «Signore, mia roccia!»: risultano quindi evidenti le fonti dell’immagine adoperata da Gesù. Come può il vero discepolo basare la propria vita su Dio? Non solo ascoltando quello che Gesù ha insegnato, ma mettendolo in pratica (cfr. i versetti 24 e 26).
 
Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): Allorché il Signore ebbe terminato il discorso della montagna, «le turbe restarono stupite». Motivo: il suo modo di parlare: «Le ammaestrava come uno che ha autorità». Cristo non espone una problematica oscura, come i filosofi, non parla in concetti astratti inanimati o in sillogismi classicamente elaborati, come i sofisti. Le sue parole non sono neppure impregnate di untuoso pietismo, che in realtà mette in mostra se stesso e spiega solennemente la ruota della vanità personale, come un pavone, secondo l’uso dei farisei. Le sue esposizioni non sono una noiosa casistica morale, in cui vengono spiegati i paragrafi della legge e casi artificiosamente costruiti, lontani dalla vita reale e ancor più lontani dalla schietta religiosità. Questo era il modo degli scribi. Non parla neppure come i demagoghi che lusingano le masse e rinfocolano le passioni soltanto per esaltare la propria volontà di potenza. Cristo parla in tutt’altro modo, non come uno che cerca la potenza, ma come uno che ha autorità. Ed egli la possiede. Egli è il plenipotenziario dell’Onnipotente. La sua persona è il Logos, la parola di Dio e perciò egli è il linguaggio di Dio. L’incarnazione del Logos è il linguaggio di Dio nell’umanità. Nelle sue parole si rivela in tal modo la sua personalità. La forza e la grandezza di questa personalità sono il mistero del suo linguaggio. Egli è l’Onnipotente. Perciò parla come uno che detiene il potere. E la sua personalità è anche quella che trascina le masse. Egli non è soltanto l’annunziatore, ma anche la personificazione del discorso della montagna, il suo autentico interprete. La sua vita è commento alle sue parole. Le beatitudini si concretizzano nella sua persona e nella sua azione. Egli è il sale della terra e la luce del mondo. Egli è la città, visibile da lontano, in vetta al monte. La sua vita nasce dall’intimo, perché in lui tutto è vivificato dallo spirito dell’amore.
Egli non fa mai il bene per egoismo, ma con lo sguardo rivolto al Padre ch’è nei cieli. Ci ha offerto l’esempio vivente del retto contegno di fronte a quanto appartiene alla terra, non si è preoccupato dei tesori materiali, non è mai stato preda di cure timorose per il cibo e il vestiario. Col suo amore fino alla fine ha illustrato visibilmente anche i rapporti verso il prossimo. Dai frutti si riconosce la bontà del tronco e della radice. Perciò egli ha costruito la Chiesa come la casa che sta sulla roccia e non sulla sabbia. La tempesta del Venerdì santo e tutti gli uragani nella storia della Chiesa non l’hanno potuta travolgere.

Giovanni Crisostomo (Exp . in Matth., XXIV): Non vi conosco. . .: tremiamo, dunque, o carissimi, e vigiliamo con cura sul nostro modo di vivere, né riteniamoci da meno per il fatto che noi non compiamo miracoli. Se saremo stati virtuosi, l’aver fatto miracoli non ci procurerà alcun vantaggio in più; né saremo meno ricompensati, se non li avremo compiuti. Noi siamo debitori verso Dio per tali azioni prodigiose, mentre Dio sarà nostro debitore per le opere buone che noi compiamo.
 
Il Santo del Giorno - 27 Giugno 2024 - San Cirillo d’Alessandria. Difensore dell’unicità di Cristo Dio e uomo - Uomo e Dio, insieme, nella stessa persona, due nature apparentemente inconciliabili, eppure pienamente operanti in Cristo. È così incredibile questo concetto fondamentale del cristianesimo da aver provocato non poche dispute, fratture, divisioni. Ci furono però anche antichi padri che fecero proprio questo “scandalo” del cristianesimo e lo difesero, mostrandone al mondo la carica profetica e lavorando allo stesso tempo l’unità della Chiesa. Tra questi va di sicuro ricordato san Cirillo di Alessandria, vero e proprio apostolo dell’ortodossia, araldo di una fede affidata all’intero popolo di Dio in tutta la sua complessità. Nato tra il 370 e il 380, nipote di Teofilo, vescovo di Alessandria, nel 403 era a Costantinopoli al seguito dello zio, che prese parte al Sinodo detto «della Quercia». Nel 412 fu il successore dello stesso parente alla guida della Chiesa di Alessandria, comunità che guidò poi fino alla propria morte, avvenuta nel 444. Il confronto teologico vide Cirillo (difensore anche del titolo mariano di “Madre di Dio”) contrapposto soprattutto a Nestorio, la cui dottrina, basata sulla divisione tra le due nature di Cristo e sull’attribuzione a Maria del semplice titolo di “Madre dell’uomo”, fu condannata dal Concilio di Efeso del 431. Papa Leone XIII nel 1882 proclamò san Cirillo di Alessandria dottore della Chiesa. (Matteo Liut)
 
O Padre, che ci hai rinnovati
con il santo Corpo e il prezioso Sangue del tuo Figlio,
fa’ che l’assidua celebrazione dei divini misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.