25 GIUGNO 2024
 
MARTEDÌ DELLA XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
 
2Re 19,9-11.14-21.31-35.36; Salmo Responsoriale Dal Salmo 47 (48); Mt 7,6.12-14
 
Colletta
Donaci, o Signore,
di vivere sempre nel timore e nell’amore per il tuo santo nome,
poiché tu non privi mai della tua guida
coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Entrate per la porta stretta: Giovanni Paolo II (Omelia, 24 agosto 1980): L’interpellanza circa il problema fondamentale dell’esistenza: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,23), non ci può lasciare indifferenti. A tale domanda Gesù non risponde direttamente, ma esorta alla serietà dei propositi e delle scelte: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non vi riusciranno” (Lc 13,24). Il grave problema acquista sulle labbra di Gesù un’angolazione personale, morale, ascetica. Egli afferma con vigore che il raggiungimento della salvezza richiede sacrificio e lotta. Per entrare per quella porta stretta, bisogna, afferma letteralmente il testo greco, “agonizzare”, cioè lottare vivacemente con ogni forza, senza sosta, e con fermezza di orientamento. Il testo parallelo di Matteo sembra ancor oggi più categorico: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via, che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta, invece, è la porta e angusta la via che conduce alla vita e quanti pochi sono quelli che la trovano” (Mt 7,13-14).
La porta stretta è anzitutto l’accettazione umile, nella fede pura e nella fiducia serena, della parola di Dio, delle sue prospettive sulle nostre persone, sul mondo e sulla storia; è l’osservanza della legge morale, come manifestazione della volontà di Dio, in vista di un bene superiore che realizza la nostra vera felicità; è l’accettazione della sofferenza come mezzo di espiazione e di redenzione per sé e per gli altri, e quale espressione suprema di amore; la porta stretta è, in una parola, l’accoglienza della mentalità evangelica, che trova nel discorso della montagna la più pura enucleazione.
Bisogna, insomma, percorrere la via tracciata da Gesù e passare per quella porta che è egli stesso: “Io sono la porta; se uno entra attraverso di me sarà salvo” (Gv 10,9). Per salvarsi bisogna prendere come lui la nostra croce, rinnegare noi stessi nelle nostre aspirazioni contrarie all’ideale evangelico e seguirlo nel suo cammino: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).
 
Prima Lettura: Antonio González-Lamadrid (Commento della Bibbia Liturgica) - Non entrerà in questa città -: Come nel combattimento fra Davide e Golia (1Sam 17) o nello scontro fra Giuditta e Oloferne, la questione impostata nel nostro testo è la tesi della fede in Yahveh davanti alla forza delle armi.
Nella sua preghiera, Ezechia mette avanti la gloria e il buon nome di Yahveh: Ora, Signore Dio nostro, liberaci dalla sua mano, perché sappiano tutti i regni della terra che tu sei il Signore, il solo Dio. In virtù dell’alleanza, Yahveh era il Dio d’Israele e Israele era il popolo di Yahveh. Fra i due, quindi, vi era un impegno reciproco e gl’interessi dell’uno erano gl’interessi dell’altro. Perciò, se il popolo d’Israele era umiliato e sconfitto, l’umiliazione e la sconfitta ricadevano, in ultima istanza, su Dio.
Per conseguenza, in certe occasioni, Dio agiva non tanto per difendere il popolo quanto piuttosto per salvaguardare la gloria del suo santo nome. «Ma io ho avuto riguardo del mio nome santo che gl’israeliti avevano disonorato fra le genti presso le quali sono andati. Annunzia alla casa d’Israele: Così dice il Signore Dio. Io agisco non per riguardo a voi, gente d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato presso le genti presso le quali siete andati. Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro» (Ez 36,21-23). Merita di essere notato l’intervento di Isaia. Nato nella città santa, Isaia prediligeva la sua città natale; e tanto in occasione della guerra siro-efraimita (Is 7) quanto in questa occasione, egli ebbe una parte così importante da raggiungere il prestigio dell’eroe nazionale.
Per cause non del tutto conosciute (forse per qualche insurrezione a Ninive), Sennacherib fu costretto a interrompere l’assedio di Gerusalemme, e il popolo interpretò il fatto come un miracolo e si confermò sempre più nella convinzione che la città fosse inespugnabile e inviolabile, principalmente per il tempio nel quale si rendeva presente la gloria di Dio.
 
Vangelo
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.
 
Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, queste parole si riferiscono, molto probabilmente, all’insegnamento del vangelo, e, in questa ipotesi, i cani e i porci non possono essere se non coloro che sono i più ostili al vangelo. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano: Gesù vuole ricordarci che la via che conduce al Regno è lastricata di fatica e di dolore, è la via della croce, infatti al “di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo.” (Santa Rosa da Lima).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 7,6.12-14
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!».
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 6 L’immagine si rifà al culto antico, nel quale erano offerte a Dio la carne delle vittime ed i frutti della terra (cf. Levitico, 22, 1-14; Esodo, 22, 30-31). L’idea tuttavia eccede l’immagine con la quale è espressa. Gesù afferma che non bisogna offrire una dottrina santa e preziosa a persone incapaci di comprenderla. I cani ed i porci non hanno valore allegorico, almeno l’allegoria non è trasparente; non sembra che Gesù voglia indicare con quei nomi i pagani oppure gli Ebrei ostili al suo messaggio. Il ricordo di questi animali è forse dovuto al parallelismo che governa il pensiero semitico. Questi animali quando sono affamati si gettano su qualsiasi oggetto, ma quando vedono che si tratta di pietre, anche preziose, le calpestano e si rivolgono con ferocia contro chi voleva beffarsi della loro avidità. Si voltino a dilaniarvi: si adatta propriamente ai cani, ma per estensione (apo-koinou) va riferito anche ai porci. Il versetto costituisce un aforisma indipendente.
versetto 12 Il detto costituisce la regola d’oro del seguace di Cristo. Esso è presentato come il compendio della Legge e dei Profeti. In effetto la carità, il perdono, il giudizio degli altri... sono condizionati dall’applicazione di questa norma. Il messaggio morale contenuto nella Legge e proclamato dai Profeti è riepilogato da questo principio che suggerisce di trattare gli altri come si amerebbe di essere trattati da loro. La norma allontana dall’uomo ogni forma d’interesse e di parzialità, le quali costituiscono le cause di tutte le ingiustizie che vengono commesse. Quantunque non si parli dell’amore di Dio, tuttavia esso è presupposto, anzi è il vero fondamento di questo principio. La regola d’oro è formulata in modo affermativo, non già negativo (per formulazione negativa cf. Tobia, 4, 16). Per Cristo non basta astenersi dal male, ma è necessario compiere il bene.
versetto 13 Alcuni codici eliminano la ripetizione del termine porta ed hanno: perché larga e spaziosa è la via che conduce alla perdizione. Le immagini della porta e della via erano familiari ai dottori ebrei. Occorre osservare che Gesù non stabilisce un principio, ma constata un fatto; egli dice con tristezza: «pochi entrano per la porta angusta e seguono la via stretta!». Con queste immagini sono indicate le difficoltà che il seguace di Cristo incontra nella sua vita; Gesù, come un accorto educatore, esorta tutti ad entrare per la porta stretta, la quale introduce nella vita. Il Redentore lamenta un fatto che l’esperienza quotidiana presenta alla vista di ciascuno. Egli non dice che pochi raggiungono la vita, ma che pochi percorrono il cammino angusto del bene. Il passo non può essere portato come un argomento per definire il numero degli eletti. Gesù non vuol parlare della misericordia di Dio, della quale egli non intende segnare i confini. Alla questione del numero degli eletti Gesù rifiuta di dare una precisa risposta (cf. Lc., 13, 23-24), la quale, del resto, non gioverebbe alla vita dell’individuo; ogni uomo infatti deve sforzarsi ad entrare per la porta angusta ed a seguire la via stretta. Questo aspetto pratico è la verità che interessa Gesù, come apertamente mostra Luca nel passo parallelo.
 
Le due porte e le due vie - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): All’immagine delle due porte, una stretta e l’altra larga, l’evangelista sovrappone quella delle due vie, molto più nota nell ‘ambiente biblico.
Se ne veda una delle prime formulazioni in Geremia 21,8 (cf. pure Sal l19,29-30; Pro 12,28). È classica la descrizione in Dt 30,15-20 della via che conduce alla vita e al bene, e della via che porta alla morte e al male.
L’immagine delle due porte, stretta e larga, probabilmente è quella originaria. Infatti, nel passo parallelo di Luca si parla soltanto della porta stretta, benché in un contesto diverso (13,23-24). Forse Matteo ha inserito questo detto alla conclusione del di corso programmatico di Gesù per stimolare i credenti all’impegno nella loro adesione a Cristo. La comunità viveva in un periodo difficile di persecuzioni dall’esterno, ma anche di tiepidezza e di torpore all’interno. Matteo, il più moralista degli evangelisti, animato da zelo pastorale, cerca di spronare i credenti per una ripresa morale, per una condotta di vita più coerente alle istanze del vangelo.
L’insegnamento di Gesù è molto esigente e impegnativo; tuttavia, per giungere alla salvezza eterna è necessario seguirlo sul cammino difficile che porta al Calvario. Ora, sono pochi quelli che trovano la porta stretta e che si sforzano seriamente di percorrere la via angusta che conduce alla vita (v. 14). Bisogna quindi imitare Gesù, seguirlo sulla via della sofferenza e della persecuzione, per entrare nel regno dei cieli.
 
Lettera di Barnaba: La via delle tenebre è tortuosa e piena di maledizione. È infatti la via della morte eterna, la via del castigo. In essa vi è tutto ciò che rovina l’anima: idolatria, sfrontatezza, esaltazione per il potere, simulazione, doppiezza di cuore, adulterio, omicidio, rapina, superbia, inganno, scaltrezza, malvagità, arroganza, veneficio, magia, avarizia, mancanza di timor di Dio. Perseguitano i buoni, odiano la verità, amano la menzogna, non conoscono il premio della giustizia, non si attaccano al bene, non si accostano alla vedova e all’orfano né fanno per loro giusto giudizio, non si curano del timor di Dio, ma del male, sono lontani assai dalla mitezza e dalla pazienza, amano le vanità, cercano le ricompense, non hanno pietà del misero, non si danno da fare per chi soffre, sono pronti al pettegolezzo, non riconoscono colui che li ha creati, uccidono gli infanti, mandano in rovina, con l’aborto, le creature di Dio, aborriscono il bisognoso, opprimono l’afflitto, difendono il ricco, giudicano ingiustamente il povero, commettono ogni peccato. È bene dunque che chi ha imparato tutti i precetti del Signore che vi ho scritti, cammini in essi. Chi fa così, sarà glorificato nel regno di Dio; chi sceglie le altre opere, con le sue opere andrà in rovina. Per questo vi è la risurrezione, per questo vi è la retribuzione.
 
Il Santo del Giorno - 25 Giugno 2024 - San Massimo di Torino, Vescovo: Massimo guidò la diocesi di Torino, di cui è considerato il fondatore, nel travagliato periodo delle invasioni barbariche. Nato verso la metà del IV secolo, fu discepolo di sant’Ambrogio e di sant’Eusebio di Vercelli. Nonostante il suo carattere mite, che traspare dalle «Omelie» e dai «Sermoni» che ci sono pervenuti, propose ai sui fedeli un esempio di fermezza. «È figlio ingiusto ed empio - così li spronava a non lasciare la città - colui che abbandona la madre in pericolo. Dolce madre è in qualche modo la patria». Li esortava a anche a mantenersi irreprensibili nei costumi e a non confidare in superstizioni come l’invocazione della luna: «Veramente presso di voi la luna è in travaglio - scriveva con ironia -, quando una copiosa cena vi distende il ventre e il capo vi ciondola per troppe libagioni». La data della sua morte non è certa: avvenne tra il 408 e il 423. (Avvenire)
 
O Padre, che ci hai rinnovati
con il santo Corpo e il prezioso Sangue del tuo Figlio,
fa’ che l’assidua celebrazione dei divini misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.