22 Giugno 2024
 
Sabato XI Settimana T. O.
 
2Cr 24,17-25; Salmo Responsoriale dal Salmo 88 (89); Mt 6,24-34
 
Colletta
O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto,
soccorrici sempre con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Dio realizza il suo disegno: la provvidenza divina - Catechismo della Chiesa Cattolica 302 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. È creata «in stato di via» («in statu viae») verso una perfezione ultima alla quale Dio l’ha destinata, ma che ancora deve es ere raggiunta. Chiamiamo divina provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.
«Dio conserva e governa con la sua provvidenza tutto ciò che ha creato, “essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap 8,1). Infatti “tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi” (Eb 4.13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature».
303: La testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata: essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti: «Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole» (Sal 115,3), e di Cristo si dice: «Quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno apre» (Ap 3,7): «molte sono le idee della mente dell’uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo» (Prov 19,21).
305 Gesù chiede un abbandono filiale alla provvidenza del Padre celeste, il quale si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli: «Non affannatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?”" [ .. .]. II Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,31-33).
 
I Lettura: Antonio González-Lamadrid (Commento della Bibbia Liturgica): Secondo il cronista, Il regno di Ioas si svolge in due parti. Durante la prima (2Cron 24,1-16), Ioas tiene una condotta esemplare e compie anche una riforma religiosa, e le sue imprese sono accompagnate da successo. Però, morto il sacerdote Ioiada, che era stato suo precettore nella prima metà del regno, Ioas e il popolo abbandonarono Yahveh per correre dietro agli idoli, non diedero ascolto ai profeti, e il re arrivò anche a far uccidere uno di essi, Zaccaria. Tutti questi fatti provocarono la collera di Dio, che consegnò il popolo di Giuda nelle mani degli aramei, i quali ferirono gravemente il re che morì poi per mano dei suoi. E tutto questo era un castigo per aver abbandonato Yahveh.
Questo insegnamento circa una retribuzione così rigida e meccanica appartiene al periodo precristiano della rivelazione, e quindi, porta in sé le imperfezioni e i limiti propri dell’AT. E vero tuttavia che certi ambienti del
NT alimentano ancora gli stessi pensieri. Si ricordi, per esempio, la spontaneità con cui i discepoli chiedono a Gesù, davanti al cieco nato: «Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?» (Gv 9,2).
Anzi, l’uomo di tutti i tempi (principalmente se appartiene a una società molto sacralizzata), inclina a lasciarsi guidare da questo concetto meccanico e automatico della retribuzione.
Già nell’AT si sollevarono forti proteste contro questo insegnamento che semplifica eccessivamente le cose, come possono dimostrare i libri di Giobbe e del Qoèlet.
Specialmente noi, che viviamo dopo il mistero dell’Incarnazione e la rivelazione del Figlio di Dio, sappiamo che Dio è amore: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se
infatti, quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati. saremo salvi mediante la sua vita» (Rm 5,8-10).
Non possiamo ridurre Dio a un semplice contabile che va annotando nel libro della vita 1’«avere» e il «dare», per poi compensare in modo freddo e meccanico. Dio è certamente giusto e ricompenserà ciascuno secondo le sue opere (Rrn 2,6), ma Dio è soprattutto buono e dà il «denaro» anche a coloro che sono giunti all’ultima ora (Mt 20,1-15).
 
Vangelo
 
Gesù non dice di imitare i clochards, ma invita l’uomo a mettere Dio al centro della sua vita. Il credente ha fiducia nella Provvidenza, ma non è una fiducia passiva, tantomeno non è disprezzo delle necessità materiali. Fidarsi di Dio per il cristiano significa ricercare nella vita ciò che è essenziale, tenendo ben piantati i piedi sulla terra con lo sguardo fisso al Cielo. Ciò che rovina tutto sono le preoccupazioni e gli affanni per il domani, così come insegna Gesù: la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto (cfr. Mt 13,22).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 6,24-34
 
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.
Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».
 
Parola del Signore.
 
Non preoccupatevi per la vostra vita... - Il brano evangelico di Matteo può essere diviso in due parti: la prima parte (v. 24), una nota negativa sulla ricchezza presentata come padrone, fa da introduzione alla seconda parte (vv. 25-34) nella quale Gesù invita i suoi discepoli a non affannarsi per i beni terreni e, affidandosi alla Provvidenza divina, a cercare anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia.
  Senza voler scendere nei particolari, la ricchezza (in ebraico mammôn) e la prosperità, generalmente, erano ritenute come segni della benevolenza divina. Era comune sentire credere, anche ai tempi di Gesù, che Dio elargisse abbondanti beni ai giusti e li negasse agli empi, anche se la realtà quotidiana molto spesso contraddiceva questo assunto.
Quindi, la ricchezza non era ritenuta cattiva in se stessa, ma diventava malvagia invece se invadeva il cuore dell’uomo permettendole di distorcere le relazioni con il prossimo, sopra tutto se indigente, e con Dio: «È meglio la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia, che la ricchezza con l’ingiustizia. Meglio praticare l’elemosina che accumulare oro» (Tb 12,8).
Agli empi, maledetti perché confidano nella loro forza e si vantano della loro grande ricchezza (Sal 49,7; Cf. Sal 52,9), spesso viene rivolto questo consiglio: «Non confidate nella violenza, non illudetevi della rapina; alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore» (Sal 62,11).
Poiché la ricchezza rende perfidi (Ab 2,5), prima o poi chi confida nella propria ricchezza, assoggettandosi al suo fascino, cadrà, mentre i giusti rinverdiranno come foglie (Pro 11,28).
Molto vicino a questa affermazione è l’insegnamento che il credente trae dalla parabola del seminatore: «Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto» (Cf. Mt 13,22).
E poiché in medio stat virtus, il vero anelito dell’uomo giusto può essere racchiuso in questa preghiera: «Signore, io ti domando due cose, non negarmele prima che io muoia: tieni lontano da me falsità e menzogna, non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il mio pezzo di pane» (Pro 30,8).
Da questa breve introduzione possiamo comprendere la brutta fama che si era rovesciata sulla ricchezza e il suo accumulo nella riflessione veterotestamentaria. L’esortazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli verrà raccomandata con insistenza ai cristiani soprattutto se convertiti di fresco: poiché l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali; e alcuni presi da questo desiderio, hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti... a «quelli che sono ricchi in questo mondo ordina di non essere orgogliosi, di non porre la speranza nell’instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché possiamo goderne. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1Tm 6,9-10.17-19).
Nella seconda parte, Gesù per fare veicolare il suo insegnamento usa due similitudini: quella degli uccelli del cielo e quella dei gigli del campo.
Gli uccelli del cielo non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai eppure il Padre celeste li nutre. Quanto più egli provvederà ai discepoli di Gesù. La vita è nelle mani di Dio e nessuno, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita. La similitudine dei gigli del campo si riferisce alla preoccupazione del vestito.
I discepoli, anziché affannarsi per le necessità materiali, devono imparare ad avere fiducia in Dio che conosce i bisogni dell’uomo e di accontentarsi quando hanno di che mangiare e di che coprirsi (1Tm 6,8). Una essenzialità, quest’ultima, non fine a se stessa ma tesa a liberare la mente e il cuore da tante preoccupazioni, molto spesso inutili, per donarsi totalmente alla causa del Vangelo.
L’insegnamento si conclude con una massima sapienziale con la quale Gesù invita i suoi discepoli a mettere al bando ogni forma di ansia, perché ad ogni giorno basta la sua pena.
 
Non potete servire Dio e la ricchezza: Papa Francesco (Angelus, 2 Marzo 2014): Un cuore occupato dalla brama di possedere è un cuore pieno di questa brama di possedere, ma vuoto di Dio. Per questo Gesù ha più volte ammonito i ricchi, perché è forte per loro il rischio di riporre la propria sicurezza nei beni di questo mondo, e la sicurezza, la definitiva sicurezza, è in Dio. In un cuore posseduto dalle ricchezze, non c’è più molto posto per la fede: tutto è occupato dalle ricchezze, non c’è posto per la fede. Se invece si lascia a Dio il posto che gli spetta, cioè il primo, allora il suo amore conduce a condividere anche le ricchezze, a metterle al servizio di progetti di solidarietà e di sviluppo, come dimostrano tanti esempi, anche recenti, nella storia della Chiesa. E così la Provvidenza di Dio passa attraverso il nostro servizio agli altri, il nostro condividere con gli altri. Se ognuno di noi non accumula ricchezze soltanto per sé ma le mette al servizio degli altri, in questo caso la Provvidenza di Dio si rende visibile in questo gesto di solidarietà. Se invece qualcuno accumula soltanto per sé, cosa gli succederà quando sarà chiamato da Dio? Non potrà portare le ricchezze con sé, perché - sapete - il sudario non ha tasche! È meglio condividere, perché noi portiamo in Cielo soltanto quello che abbiamo condiviso con gli altri. La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori. Egli dice: «La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?» (Mt 6,25). Per fare in modo che a nessuno manchi il pane, l’acqua, il vestito, la casa, il lavoro, la salute, bisogna che tutti ci riconosciamo figli del Padre che è nei cieli e quindi fratelli tra di noi, e ci comportiamo di conseguenza.
 
Considerate i gigli dei campi… - Ambrogio, Hexamer. 3, 36: Ma quale spettacolo è quello di un campo in pieno rigoglio, quale profumo, quale attrattiva, quale soddisfazione per i contadini! Come potremmo spiegarlo degnamente con le nostre parole? Ma abbiamo la testimonianza della Scrittura dalla quale vediamo paragonata la bellezza della campagna alla benedizione e alla grazia dei santi, quando Isacco dice: “L’odore di mio figlio è l’odore d’un campo rigoglioso” (Gen 27,27). Perché descrivere le viole dal cupo colore purpureo, i candidi gigli, le rose vermiglie, le campagne tinte ora di fiori color d’oro ora variopinti ora color giallo zafferano, nelle quali non sapresti se rechi maggior diletto il colore dei fiori o il loro profumo penetrante? Gli occhi si pascono di questa gradevole visione e intorno ampiamente si sparge il profumo che ci riempie del suo piacevole effluvio. Perciò giustamente il Signore dice: E la bellezza del campo è con me” (Sal 49,11). È con lui, perché ne è l’autore: quale altro artefice infatti avrebbe potuto esprimere una così grande bellezza nelle singole creature? “Considerate i gigli del campo” (Mt 6,28), quale sia il candore dei loro petali, come questi, l’uno stretto all’altro, si rizzino dal basso verso l’alto in modo da riprodurre la forma d’un calice, come nell’interno di questo risplenda quasi un bagliore d’oro che, difeso tutt’intorno dalla protezione dei petali, non è esposto ad alcuna offesa. Se si cogliesse questo fiore e si sfogliassero i suoi petali, quale mano di artista sarebbe così abile da ridargli la forma del giglio? Nessuno saprebbe imitare la natura con tanta perfezione da presumere di ricostituire questo fiore, cui il Signore diede un riconoscimento così eccezionale da dire: “Nemmeno Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di questi” (Mt 6,29). Un sovrano ricchissimo e sapientissimo è giudicato da meno della bellezza di questo fiore.
 
Santo del giorno - 22 Giugno 2024 - San Tommaso Moro, Martire: Tommaso Moro è il nome italiano con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese. More ha coniato il termine «utopia», indicando un’immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, «L’Utopia», del 1516. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica conducendolo alla pena capitale con l’accusa di tradimento. Nel 1935, è proclamato santo da Papa Pio XI; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all’amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro. Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II. (Avvenire) 
 
La partecipazione ai tuoi santi misteri, o Signore,
come prefigura la nostra unione in te,
così realizzi l’unità nella tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.