21 GIUGNO 2024
 
San Luigi Gonzaga, Religioso
 
2Re 11,1-4.9-18.20, Salmo Responsoriale Dal Salmo 131 (132); Mt 6,19-23
 
Colletta
O Dio, fonte di ogni dono del cielo,
che in san Luigi [Gonzaga] hai unito in modo mirabile
l’innocenza della vita e la penitenza,
per i suoi meriti e la sua intercessione
fa’ che, se non l’abbiamo imitato nell’innocenza,
lo seguiamo sulla via della penitenza evangelica.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

 ... se il tuo occhio è semplice: Evangelium vitae 24: È nell’intimo della coscienza morale che l’eclissi del senso di Dio e dell’uomo, con tutte le sue molteplici e funeste conseguenze sulla vita, si consuma. E in questione, anzitutto, la coscienza di ciascuna persona, che nella sua unicità e irripetibilità si trova sola di fronte a Dio. Ma è pure in questione, in un certo senso, la “coscienza morale” della società: essa è in qualche modo responsabile non solo perché tollera o favorisce comportamenti contrari alla vita, ma anche perché alimenta la “cultura della morte”, giungendo a creare e a consolidare vere e proprie “strutture di peccato” contro la vita. La coscienza morale, sia individuale che sociale, è oggi sottoposta, anche per l’influsso invadente di molti strumenti della comunicazione sociale, a un pericolo gravissimo e mortale: quello della confusione tra il bene e il male in riferimento allo stesso fondamentale diritto alla vita. Tanta parte dell’attuale società si rivela tristemente simile a quell’umanità che Paolo descrive nella Lettera ai Romani. E fatta “di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia” (1,18): avendo rinnegato Dio e credendo di poter costruire la città terrena senza di lui, “hanno vaneggiato nei loro ragionamenti” sicché “si è ottenebrata la loro mente ottusa” (1,21); “mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti” (1,22), sono diventati autori di opere degne di morte e “non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa” (1,32). Quando la coscienza, questo luminoso occhio dell’anima (Mt 6,22-23), chiama “bene il male e male il bene” (Is 5,20), è ormai sulla strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale. Eppure tutti i condizionamenti e gli sforzi per imporre il silenzio non riescono a soffocare la voce del Signore che risuona nella coscienza di ogni uomo: è sempre da questo intimo sacrario della coscienza che può ripartire un nuovo cammino di amore, di accoglienza e di servizio alla vita umana.
 
I Lettura - Antonio Gonzaález-Lamadrid (Commento della Bibbia Liturgica): Figlia della fenicia Gezabele, sposa di Acab e promotrice del baalismo nel regno del nord, Atalia seguì le orme della madre e sostenne, nel regno di Giuda, una politica anti-yahvista e pro-baalista; anzi, nell’uccisione di tutta la stirpe reale, pare che si possa scoprire la sua intenzione di detronizzare la dinastia davidica per sostituirla, qualora fosse possibile, con una fenicia.
In altre parole, i due temi teologici soggiacenti a tutta la storia di Atalia sono il pericolo in cui si trovano lo yahvismo e la dinastia davidica, e la loro salvezza dovuta all’iniziativa del sommo sacerdote e del personale del tempio. Questo aspetto clericale e cultuale si trova espresso molto più chiaramente nella versione del cronista (2Cron 22,9-23,31).
I due temi sono l’oggetto della duplice alleanza che viene a coronate il racconto: un’alleanza fra Yahveh, il re e il popolo. e un’altra fra il re e il popolo. II popolo giura nuovamente fedeltà al re, e così è riconfermata la dinastia davidica; e il popolo e il re giurano fedeltà a Yahveh, cosa che costituisce una solenne professione di yahvismo.
Fin dalla sua origine (2Sam 7,12-16), la dinastia davidica aveva avuto l’autenticazione da parte di Yahveh; e l’episodio di Atalia dimostra che Dio mantiene la sua parola ed è fedele.
Alcuni autori credono che vi fosse un rinnovamento annuale dell’alleanza come festa indipendente o, più probabilmente, come parte di qualche altra festa. Non è altro che un’ipotesi. È certo, invece, che in certi momenti di emergenza, quando lo yahvismo attraversava una grave crisi, il popolo si riuniva in assemblea per rinnovare i suoi impegni con Dio. Sono casi tipici quello che è ricordato nel nostro racconto e il rinnovamento dell’alleanza presieduto da Giosia (2Re 23).
 
Vangelo
Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
 
Senza dubbio la Parola di Dio ci mette in difficoltà, non tanto per il mucchietto di denari che teniamo ben nascosti in qualche angolo della casa, ma per quella sana armonia che dovrebbe regnare nel nostro povero cuore, e che spesso è latitante. L’uomo deve lavorare ed essere oculato, e questo significa che deve mettere da parte qualcosa per fronteggiare un futuro che spesso si manifesta minaccioso. E questo non è un problema, il problema nasce quando si diventa avari, quando la nostra vita dipende dalle ricchezze, quando il denaro diventa padre-padrone, quando tutto si riduce nel nascondere in una cassetta di sicurezza tutte le risorse economiche, quando l’avidità corrode la mente e il cuore, sradicando la carità, e l’attenzione ai bisogni del prossimo si riduce al lumicino. Ma v’è ancora qualcosa di più grave, e lo suggerisce san Paolo nella lettera ai Colossesi: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3,1-3). Se dunque siete risorti, chi si fa schiavizzare dal denaro non vive da risorto, è un morto che cammina, un uomo senza speranza e senza futuro. Da qui si comprende la necessità di accendere nella nostra vita la lampada della fede e allora la nostra povera vita sarà tutta luminosa. Il denaro, l’avidità, la spilorceria sono coltri pesanti che oscurano la mente e il cuore, e tutto diventa cattivo, tutto diventa tenebroso. Nel leggere il brano evangelico ci vengono in mente i “novissimi”: accumulare per noi tesori in cielo, significa slanciarci alla conquista del Paradiso; farci mettere le manette dell’avidità delle ricchezze, significa avviarci verso l’Inferno, e lì “quanto è grande la tenebra”!
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 6,19-23

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!».
 
Parola del Signore.
 
Il Vangelo di oggi mette in evidenza due temi: il primo indica ai cristiani il vero tesoro, che è il Cielo, il secondo tema individua l’occhio come lampada del corpo. Sia l’Antico Testamento che il Nuovo sono concordi nel rimproverare l’accumulo di ricchezza, sopra tutto quando scivola nella avarizia e nell’egoismo. Siracide 29,8-10, invita ad essere generosi verso chi è in difficoltà: “Sii paziente con il misero, e non fargli attendere troppo a lungo l’elemosina. Per amore del comandamento soccorri chi ha bisogno, secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello e un amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra”. Per Giacomo le ricchezze malamente accumulate ed egoisticamente custodite sono fonte di castighi divini: “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi!  Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme.  Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!” (Gc 5,1-3). 
La lampada del corpo è l’occhio … la “luce spirituale che si irradia dall’anima è paragonata alla luce materiale di cui l’occhio, sano o malato, dispensa o rifiuta il beneficio al corpo: se anch’essa si trova oscurata, l’accecamento sarà ben peggiore della stessa cecità fisica” (Bibbia di Gerusalemme, nota a Mt 6,23)
L’esortazione di Gesù a non accumulare tesori sulla terra ha come fulcro due ragioni: tutto è effimero, e tutto passa, anche le ricchezze, e, quello che è più grave, i tesori terreni, spesso oscurando il cuore e annebbiando la mente, pervertono l’uomo, lo fanno deviare da un sano giudizio morale, spegnendo in lui ogni barlume di umanità. Solo nella conquista del Paradiso c’è tutta la vita dell’uomo credente.
 
Dio e il denaro - Évode Beaucamp e Jacques Guillet: 1. La rivoluzione evangelica in rapporto alla ricchezza è brutale. Il «Guai a voi, o ricchi, perché avete la vostra consolazione» (Lc 6 24) ha l’accento di una condanna assoluta.
Questa assume tutto il suo rilievo quando si pone a confronto delle beatitudini e delle maledizioni del discorso della montagna, le benedizioni e le maledizioni promesse dal Deuteronomio (in occasione della grandiosa scena di Sichem), a seconda che Israele sarà, oppure no, fedele alla legge (Deut 28). Qui la distanza tra il VT ed il NT è una delle maggiori.
E questo perché il vangelo del regno annunzia il dono totale di Dio, la comunione perfetta, l’ingresso nella casa del Padre, e che, per ricevere tutto, bisogna dare tutto.
Per acquistare la perla preziosa, il tesoro unico, occorre vendere tutto (Mt 13,45 s), perché non si può servire due padroni (Mt 6, 24), ed il denaro è un padrone spietato: soffoca nel cupido la parola del vangelo (Mt 13,22); fa dimenticare l’essenziale, la sovranità di Dio (Lc 12,15-21); blocca sulla via della perfezione i cuori meglio disposti (Mt 19,21 s). Èuna legge assoluta, e che non pare ammettere né eccezioni né attenuazioni: «Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi beni, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33; cfr. 12, 33). Il ricco, che ha in questo mondo «i suoi beni» (Lc 16,25) e «la sua consolazione» (6,24), non può entrare nel regno; sarebbe «più facile ad un cammello passare attraverso la cruna di un ago» (Mt 19,23s par.). Soltanto i poveri sono capaci di accogliere la buona novella (Is 61,1 = Lc 4,18; Lc 1,53) e proprio facendosi povero per noi il Signore ha potuto arricchirci (2 Cor 8,9) con la sua «insondabile ricchezza » (Ef 3,8).
2. Dare ai poveri. - Rinunziare alla ricchezza non significa necessariamente non comportarsi più da proprietario. Persino al seguito di Gesù vi furono alcune persone agiate, e proprio un ricco uomo di Arimatea accolse il corpo del Signore nella sua tomba (Mt 27,57). Il vangelo non vuole che ci si sbarazzi della propria fortuna come di un peso ingombrante, ma esige che la si distribuisca ai poveri (Mt 19,21 par.; Lc 12,33; 19,8); facendosi degli amici con il «denaro disonesto» - quale fortuna infatti è, nel mondo, immune da ogni ingiustizia? - i ricchi possono quindi sperare che Dio aprirà loro la via difficile della salvezza (Lc 16,9). Lo scandalo non è che ci sia un ricco ed un povero Lazzaro, ma che Lazzaro, «pur desiderando nutrirsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco» (Le 16,21), non ne ricevesse nulla. Il ricco è responsabile del povero; colui che serve Dio dà il suo denaro ai poveri, colui che serve Mammona lo conserva per appoggiarsi su di esso.
Infine la vera ricchezza non è quella che si possiede, ma quella che si dà, perché questo dono chiama la generosità di Dio, unisce nel ringraziamento colui che dà e colui che riceve (2 Cor 9,11) e permette al ricco di esperimentare anch’egli che c’è «più felicità nel dare che nel ricevere» (Atti 20,35).
 
Desiderare tesori è contrario alla nostra fede - Cromazio di Aquileia (Commento al Vangelo di Matteo 30, 1, 1-4): Il Signore ci proibisce di accumulare tesori sulla terra, perché tutto vi è fragile e transitorio. Desiderare tali tesori si oppone decisamente alla nostra fede ed alla nostra salvezza; e così si deve dire di tutte le altre realtà caduche, come ricercare le ricchezze del secolo, correre dietro alle sostanze del mondo; le tarme possono intaccarle, la ruggine demolirle, i ladri sottrarcele. E poiché chi avrà pensato di mettere più in serbo su questa terra che non in cielo, perderà di sicuro quei tesori della vita eterna e celeste; dice difatti il Signore: Poiché difficilmente il ricco entrerà nel regno dei cieli (Mt 19,23). Similmente anche l’Apostolo: Poiché quelli che ambiscono diventare ricchi cadono nella tentazione e nella trappola del diavolo (1Tm 6, 9). Richiamiamoci alla mente la figura di quel ricco che aveva posto ogni sua speranza nei tesori di questo mondo e nell’ubertà delle sue campagne. Era stato un anno di abbondanza straordinaria; andava pensando come ampliare i suoi granai; si riprometteva di viver da nababbo, dietro la sicurezza dell’abbondanza di beni. Non dirò che sia venuto il ladro a portarglieli via tutti quei beni; no; ma la notte stessa perse anche l’ anima per la quale aveva messo in serbo tutto quel ben di Dio.
 
Santo del giorno - 21 Giugno 2024 - San Luigi Gonzaga - Figlio del marchese Ferrante Gonzaga, nato il 19 marzo del 1568, fin dall’infanzia il padre lo educò alle armi, tanto che a 5 anni già indossava una mini corazza ed un elmo e rischiò di rimanere schiacciato sparando un colpo con un cannone. Ma a 10 anni Luigi aveva deciso che la sua strada era un’altra: quella che attraverso l’umiltà, il voto di castità e una vita dedicata al prossimo l’avrebbe condotto a Dio. A 12 anni ricevette la prima comunione da san Carlo Borromeo, venuto in visita a Brescia. Decise poi di entrare nella compagnia di Gesù e per riuscirci dovette sostenere due anni di lotte contro il padre. Libero ormai di seguire Cristo, rinunciò al titolo e all’eredità ed entrò nel Collegio romano dei gesuiti, dedicandosi agli umili e agli ammalati, distinguendosi soprattutto durante l’epidemia di peste che colpì Roma nel 1590. In quell’occasione, trasportando sulle spalle un moribondo, rimase contagiato e morì. Era il 1591, aveva solo 23 anni. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con il pane degli angeli,
fa’ che ti serviamo con purezza di vita
e, sull’esempio di san Luigi [Gonzaga],
viviamo in perenne rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.