20 GIUGNO 2024
 
GIOVEDI DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
 
Sir 48,1-15 NV [gr. 48,1-14]; Salmo Responsoriale dal Salmo 96 (97); Mt 6,7-15
 
Colletta
O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto,
soccorrici sempre con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica: «La Preghiera del Signore» 2765 L’espressione tradizionale « Orazione domenicale » (cioè « Preghiera del Signore ») significa che la preghiera al Padre nostro ci è insegnata e donata dal Signore Gesù. Questa preghiera che ci viene da Gesù è veramente unica: è « del Signore ». Da una parte, infatti, con le parole di questa preghiera, il Figlio unigenito ci dà le parole che il Padre ha dato a lui: è il maestro della nostra preghiera. Dall’altra, Verbo incarnato, egli conosce nel suo cuore di uomo i bisogni dei suoi fratelli e delle sue sorelle in umanità, e ce li manifesta: è il modello della nostra preghiera.
2766 Ma Gesù non ci lascia una formula da ripetere meccanicamente. Come per qualsiasi preghiera vocale, è attraverso la Parola di Dio che lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare il loro Padre. Gesù non ci dà soltanto le parole della nostra preghiera filiale: ci dà al tempo stesso lo Spirito, per mezzo del quale quelle parole diventano in noi « spirito e vita » (Gv 6,63). Di più: la prova e la possibilità della nostra preghiera filiale è che il Padre « ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! » (Gal 4,6). Poiché la nostra preghiera interpreta i nostri desideri presso Dio, è ancora « colui che scruta i cuori », il Padre, che « a quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i desideri di Dio» (Rm 8,27). La preghiera al Padre nostro si inserisce nella missione misteriosa del Figlio e dello Spirito.
 
I Lettura - Antonio González-Lamadrid (Commento della Bibbia Liturgica): In strettissime relazioni fra loro, Elia ed Eliseo sono le due figure religiose che maggiormente si distinguono nel secolo IX a. C. Uno dopo l’altro, essi esercitano il ministero nel regno del nord in un momento critico per lo yahvismo.
Elia potrebbe essere detto il profeta del fuoco. Questo termine, o qualche suo sinonimo, compare almeno una mezza dozzina di volte nella nostra lettura. E in realtà, tutta la persona e l’attività di Elia bruciano in uno zelo ardente per la causa dello yahvismo.
La figura di Elia è una di quelle che il Siracide ricorda con maggior affetto, come si può notare anche nella forma letteraria. La situazione religiosa che viveva Ben Sirach era molto simile a quella del secolo IX a. C; e per questo, il ricordo di Elia e della sua vita al servizio dell’ortodossia yahvista era un richiamo implicito agli avvenimenti contemporanei.
Il Siracide ricorda brevemente una decina di episodi della vita di Elia: la carestia in cui morirono molti israeliti; la celebre siccità; per tre volte fece discendere il fuoco dal cielo, e una di queste, sul monte Carmelo alla presenza dei sacerdoti di Baal; la risurrezione del figlio della vedova di Zarepta; fece scendere re nella tomba a e fece precipitare dai loro giacigli uomini insigni (si riferisce ad Acab, Acazia e Ioram); sul Sinai, udì la voce di Dio che lo riprendeva per la sua timidezza e gli ordinava di annunziare castighi; unse re e profeti; fu rapito al cielo su un carro di fuoco; fu designato come precursore del Messia per placare l’ira prima che scoppiasse (Ml 3,23-24). In generale, tutte queste notizie su Elia sono prese da 1Re 17 e ss.
L’elogio di Elia termina con un invito alla speranza messianica. Pare che la versione greca pensi anche alla speranza nella beatitudine futura; ma questa speranza non è in armonia col resto del libro, che ignora ancora i dommi dell’oltretomba.
Lo spirito di Elia fu ereditato dal suo discepolo Eliseo, celebre per la sua attività taumaturgica. Coraggioso e intrepido, Eliseo non si lasciò intimidire né dominare da nessuno, anche se si trattava di prìncipi. Sotto questo aspetto, anche Eliseo, e non solo Elia, fa pensare alla figura del Battista che non si lascia intimidire dalle minacce di Erode. L’accenno ai prìncipi mette in rilievo l’intervento di Eliseo anche nelle questioni politiche del regno. La sua efficacia profetica e taumaturgica rimase attiva anche dopo la sua morte (2Re 13,20-21). Per inquadrare nel suo contesto quello che il Siracide dice di Eliseo, è necessario leggere 2Re 2-13.

Vangelo
Voi dunque pregate così.
 
La preghiera del Padre Nostro nel testo di Matteo è più vicina al linguaggio di Gesù, e possiamo trovare qualche assonanza nella preghiera del Qaddisch (Santo). La preghiera del Qaddisch si recitava al termine della liturgia del sabato: “Venga riconosciuto grande e santo il Nome eccelso nel mondo che Egli ha creato, e regni nel Suo dominio nella vita e nei giorni della casa di Israele, e sia tra breve, e si dica amen. Sia il Nome eccelso in eterno benedetto, esaltato, glorificato, il Nome santo, sia benedetto. E sia al di sopra di ogni benedizione, canto, venerazione che si possa mai pronunciare, e si dica amen”. Espressioni, quelle del Padre nostro e del Qaddisch, che rivelano il cuore bruciato dall’amore di un popolo avviluppato misteriosamente dalla santità di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 6,7-15
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Parola del Signore.
 
La preghiera del Regno - Il perdono che riceviamo e diamo - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno) Gesù ci dice che non c’è bisogno di importunare Dio con lunghe preghiere fatte di chiacchiere vuote, alla stregua dei pagani con i loro idoli. «Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate». E poi propone il grande modello di preghiera, il «Padre nostro», con le sue sette invocazioni, secondo l’evangelista Matteo (cinque secondo Luca 11,1ss). Le tre prime invocazioni si riferiscono direttamente a Dio, che sin dall’inizio chiamiamo «Padre nostro»: santificazione del
suo nome, cioè della sua persona; venuta del suo regno nel mondo degli uomini, e compimento della sua volontà sulla terra come in cielo.
La seconda parte del «Padre nostro» è composta da quattro invocazioni per noi: il pane quotidiano, cioè il sostentamento materiale, il pane della parola e il pane eucaristico; il perdono dell nostre offese a Dio, condizionato al perdono che noi concediamo ai fratelli; la perseveranza per vincere le tentazioni di ogni giorno, e soprattutto nella grande prova finale dell’assalto del maligno, per non rinnegare Dio e Cristo e, infine, la libertà da ogni male per poter servire Dio e il prossimo fedelmente ogni giorno della nostra vita.
La conclusione del testo evangelico torna sulla quinta invocazione, quella del perdono, per ribadire la riconciliazione fraterna. Poiché Dio ci perdona gratuitamente e personalmente, possiamo e dobbiamo imitare questa generosità divina perdonando il fratello che ci ha offeso. Con i1 perdono avviene come con l’amore: dobbiamo amare gli altri con l’amore con cui Dio Padre ci ama in Cristo, così dobbiamo anche perdonare con l’amore con cui Dio ci perdona. Poiché egli ci dà, con la sua grazia e il suo Spirito, l’essere e l’operare, il potere e il volere di fare il bene.
 
Gesù ha insegnato la preghiera del Padre nostro per ricordare all’uomo che il «combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera. È per mezzo della sua preghiera che Gesù è vittorioso sul Tentatore, fin dall’inizio e nell’ultimo combattimento della sua agonia. Ed è al suo combattimento e alla sua agonia che Cristo ci unisce in questa domanda al Padre nostro. La vigilanza del cuore, in unione alla sua, è richiamata insistentemente. La vigilanza è “custodia del cuore” e Gesù chiede al Padre di custodirci nel suo Nome. Lo Spirito Santo opera per suscitare in noi, senza posa, questa vigilanza. Questa richiesta acquista tutto il suo significato drammatico in rapporto alla tentazione finale del nostro combattimento quaggiù; implora la perseveranza finale» (CCC 2849). Non abbandonarci alla tentazione: una richiesta che mette a nudo l’estrema fragilità dell’uomo e rivela, allo stesso tempo, la sguaiata ferocia di Satana, ma anche tutta la sua infernale debolezza: un leone affamato che gira continuamente attorno ai credenti cercando chi divorare (1Pt 5,8), ma già abbattuto e vinto dal Cristo. Una preghiera che punta diritto al cuore di Dio, l’Arbitro che ha in mano le sorti della partita: «Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi» (Rom 16,20). «Il primato nella storia non è, infatti, quello demoniaco, ma è la signoria divina ad avere l’ultima parola e la scena finale dell’Apocalisse [capp. 21-22] ne è la raffigurazione più luminosa» (Gianfranco Ravasi).
 
Il Padre dei cristiani - Paul Ternant - Gli uomini hanno il potere di diventare figli di Dio (Gv 1, 12), perché Gesù lo è per natura. Il Cristo dei sinottici apporta i primi barlumi su questo punto, identificandosi con i suoi (ad es. Mt 18, 5; 25, 40), dicendosi loro fratello (28, 10) ed una volta designandosi persino con essi sotto l’appellativo comune di «figli» (17, 26). Ma la piena luce ci viene da Paolo, secondo il quale Dio ci libera dalla schiavitù e ci adotta come figli (Gal 4, 5 ss; Rom 8, 14-17; Ef 1, 5) mediante la fede battesimale, che fa di noi un solo essere in Cristo (Gal 3, 26 ss), e di Cristo un figlio primogenito, che divide con i suoi fratelli l’eredità paterna (Rom 8, 17. 29; Col 1, 18). Lo Spirito, essendo l’agente interno di questa adozione, ne è pure il testimone; e l’attesta ispirandoci la preghiera stessa di Cristo al quale ci conforma: Abba (Gal 4, 6; Rom 8, 14 ss. 29). Dalla Pasqua la Chiesa, recitando il «Padre nostro», esprime la coscienza di essere amata dello stesso amore di cui Dio circonda il suo Figlio unico (cfr. 1 Gv 3, 1); ed è questo che Luca indubbiamente suggerisce facendoci dire soltanto: «Padre!» (Lc 11, 2), come Cristo. La nostra vita filiale, manifestata nella preghiera, si esprime pure con la carità fraterna; infatti se amiamo il nostro Padre, non possiamo non amare anche tutti i suoi figli, nostri fratelli: «chiunque ama colui che ha generato, ama anche il generato da lui» (1 Gv 5, 1).
 
La preghiera: Benedetto XVI (Udienza Generale, 20 Giugno 2012): La nostra preghiera molto spesso è richiesta di aiuto nelle necessità. Ed è anche normale per l’uomo, perché abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno degli altri, abbiamo bisogno di Dio. Così per noi è normale richiedere da Dio qualcosa, cercare aiuto da Lui; e dobbiamo tenere presente che la preghiera che il Signore ci ha insegnato, il «Padre nostro», è una preghiera di richiesta, e con questa preghiera il Signore ci insegna le priorità della nostra preghiera, pulisce e purifica i nostri desideri e così pulisce e purifica  il nostro cuore. Quindi se di per sé è normale che nella preghiera richiediamo qualcosa, non dovrebbe essere esclusivamente così. C’è anche motivo di ringraziamento, e se siamo un po’ attenti vediamo che da Dio riceviamo tante cose buone: è così buono con noi che conviene, è necessario, dire grazie. E deve essere anche preghiera di lode: se il nostro cuore è aperto, vediamo nonostante tutti i problemi anche la bellezza della sua creazione, la bontà che si mostra nella sua creazione. Quindi, dobbiamo non solo richiedere, ma anche lodare e ringraziare: solo così la nostra preghiera è completa.
 
Avvicinarsi a Dio con grande confidenza - Anonimo (Opera incompleta su Matteo, omelia 14): Dio ha voluto essere chiamato Padre piuttosto che Signore per infonderci grande fiducia nel chiedere e grande speranza di ottenere ciò che chiediamo.
Infatti i servi non sempre ottengono ciò che chiedono perché non sempre chiedono cose giuste secondo buona coscienza. Spesso non badano all’utilità del proprio signore ma alla loro; dunque non meritano di essere sempre ascoltati.
I figli invece vengono sempre ascoltati perché chiedono cose giuste con buona coscienza né badano alloro utile più che a quello del padre; per questo meritano sempre ascolto. E tu, se credi di essere figlio di Dio, chiedi ciò che a te giova ricevere e che a lui è conveniente accordare: nel caso perciò che tu chieda beni carnali e terreni a arà difficile che li ottenga a forse non li otterrai per niente.
Come può Dio accordare volentieri a te che ne sei privo quei beni che, quando anche tu li abbia, sempre ti ammonisce a disprezzarli?
 
Santo del giorno - 20 Giugno 2024 - Martirologio Romano: A Dublino in Irlanda, passione del beato Dermizio O’Hurley, vescovo e martire, che, avvocato laico, divenne vescovo di Cashel per volontà di papa Gregorio XIII; sotto la regina Elisabetta I, interrogato e torturato per mesi, respinse fermamente ogni accusa e professò davanti al patibolo issato ad Hoggen Green di essere pronto a morire per la fede cattolica e per il suo ministero episcopale. 
 
La partecipazione ai tuoi santi misteri, o Signore,
come prefigura la nostra unione in te,
così realizzi l’unità nella tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.