2 Giugno 2024

 Corpo e Sangue di Cristo
 
Es 24,3-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 115 (116); Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26
 
Colletta
Signore, che ci hai radunati intorno al tuo altare
per offrirti il sacrificio della nuova alleanza,
purifica i nostri cuori,
perché alla cena dell’Agnello
possiamo pregustare la Pasqua eterna
della Gerusalemme del cielo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo degli Adulti [228]: Al sopraggiungere della pasqua ebraica, Gesù si mette a mensa con i Dodici, che rappresentano l’Israele degli ultimi tempi, e durante il banchetto manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte imminente.
[229]: Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà. La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio. Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo. Ora, di fronte alla incombente minaccia di morte, egli celebra il banchetto, nella ferma fiducia che il Regno sta venendo, nonostante l’apparente fallimento: «Da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio» (Lc 22,18). I Dodici sederanno ancora a mensa con lui; le dodici tribù si raccoglieranno nell’unità intorno a lui: neppure la morte potrà impedirgli di offrire commensalità e comunione ai suoi amici. Dio infatti «non è un Dio dei morti ma dei viventi!» (Mc 12,27) e non abbandona i giusti nella morte.
Dono di se stesso [230]: Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità. Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
[231]: Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli, e ha detto «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27): un gesto e una parola che sintetizzano il senso della sua vita e della sua morte, come servizio a Dio a favore dell’umanità; un appello ai credenti perché seguano il suo esempio e diano testimonianza ogni giorno all’amore senza limiti con cui Dio ha amato il mondo. La cena viene ad essi consegnata come “memoriale”, ricordo e attualizzazione, nel rito, della sua dedizione: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). Dall’eucaristia, sacramento del suo sacrificio, riceveranno forza per fare di se stessi un dono al Padre e ai fratelli.
 
I Lettura: Israele, appena uscito dall’Egitto, è arrivato al monte Sinai. Ai piedi della santa montagna, dopo aver ascoltato dalla bocca di Mosè i dieci comandamenti attraverso i quali si concretano le esigenze e la legge di Dio, il popolo è invitato a stringere un patto con il Signore, il vero liberatore. Il patto è ratificato dal sangue di alcuni giovenchi offerti in sacrifici di comunione: pallida immagine della nuova ed eterna alleanza che sarà conclusa nel sangue del Cristo (Mt 26,28;  Eb 9,12-26).
 
II Lettura: Il cerimoniale israelitico dell’espiazione è sostituito dall’offerta unica (Eb 7,27) del sangue di Cristo (Rom 3,24) che riapre agli uomini l’accesso a Dio (Eb 10,1.19; Gv 14,6; Ef 2,18). Gesù Cristo con la sua ascensione dopo aver attraversato i cieli (Eb 4,14), il «Santo» della tenda celeste, è alla presenza del Padre nel «Santo dei santi»: mediatore unico (Rom 5,15-19; 1Tm 2,5; 1Cor 3,22-23; 11,3) tra Dio e gli uomini, che egli unisce e riconcilia (2Cor 5,14-20).
 
Vangelo
Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue.
Siamo agli ultimi giorni della vita terrena di Gesù. Il racconto di Marco è formato da due brani: i preparativi per la cena pasquale e il racconto della istituzione dell’Eucaristia. La cena pasquale viene celebrata il «primo giorno degli azzimi», il 14 di Nisan, quando di pomeriggio gli agnelli venivano immolati nel tempio. La concordanza è marcatamente voluta: nella nuova pasqua celebrata da Gesù, Egli stesso è l’agnello immolato per la salvezza di tutti gli uomini. Le indicazioni di Gesù date ai discepoli per preparare la pasqua (vv. 13-16) e i due annunci, quello del tradimento di Giuda (vv. 17-21) e quello dell’abbandono di tutti e del rinnegamento di Pietro (vv. 26-31) danno al racconto un alone di prescienza soprannaturale: non è il destino a catturare fatalmente Gesù, ma è lui che si dona liberamente agli eventi perché nella sua morte si compia la volontà di salvezza del Padre. Nel segno del pane, dato da mangiare, c’è un richiamo ai sacrifici di comunione. Esso però non solo significa, ma anche rende presente il Corpo di Cristo e reale l’assimilazione del suo essere con il nostro. Altrettanto il sangue versato per molti (= tutti) ricorda l’Alleanza del Sinai, ma qui viene completata e donata come vera sorgente di vita eterna. Il sacrificio di Gesù ha completato e superato tutti i sacrifici antichi e la sua offerta vittimale sull’altare della Croce ha veramente espiato ed è quindi il solo sacrificio che abbia valore eterno per la salvezza dell’uomo.
 
Dal vangelo secondo Marco
Mc 14,12-16.22-26
 
Il primo giorno degli àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
 
Parola del Signore.
 
«Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti» - Le parole di Gesù fanno venire alla memoria l’alleanza che il Signore Dio sancì col sangue di un giovenco con il suo popolo alle falde del monte Sinai.
Ogni alleanza veniva conchiusa nel sangue, perché, come ci suggerisce Gianfranco Nolli, era viva la credenza che il sangue fosse «la sede della vita, tanto dell’anima quanto dell’uomo: perciò il sangue non può essere né usato come nutrimento, né venire sparso senza pretendere, con tali gesti, di sostituirsi alla Divinità, alla quale solo appartiene. Di conseguenza non ci può essere amicizia più profonda o fratellanza più sacra di quella derivata dal ‘vincolo di sangue’».
Ma le parole di Gesù pronunciate durante la cena pasquale - Questo è il mio corpo ... Questo è il mio sangue .... - superano le condizioni contrattuali imposte dall’antica alleanza. Il corpo che è dato e il sangue versato indicano l’uccisione di una vittima umana, per cui a sancire la nuova alleanza tra Dio e gli uomini non sarà il sangue di un capretto o di un bue, ma il sangue del Figlio di Dio immolato-ucciso sull’altare della Croce.
Al Dio che aborriva i sacrifici umani (Lev 18,21; 20,1-2), «piacque per mezzo del Figlio diletto riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,19-20). Dio che aveva risparmiato Isacco il figlio di Abramo (Gen 22,1-19), non risparmiò il proprio Figlio (Rom 8,32): «guarda con quale stupenda generosità Dio scende in gara con gli uomini: mentre Abramo ha offerto un figlio mortale, che di fatto non sarebbe morto, Dio ha consegnato per noi alla morte un Figlio immortale» (Origene).
Così, Dio, ama gli uomini (Gv 3,16)!
Questa è la terribile novità che soggiace nell’annuncio del Cristo: lui ci ha riconciliati con Dio «per mezzo della morte del suo corpo di carne» (Col 1,22). Le parole di Gesù rivelano il mistero di un sacrificio veramente reale: dal suo Corpo santissimo, percosso violentemente dall’odio degli uomini, scaturisce il sangue della nuova alleanza.
La nuova pasqua, quindi, ricorda, soprattutto, ai credenti la passione cruenta, le sofferenze atroci, la morte straziante di Gesù da lui patite e sofferte veramente e realmente: la pasqua rimanda inevitabilmente al dramma consumato sul Calvario.
L’eucaristia, celebrata e mangiata dai credenti, rimanda a questa morte cruenta: «le specie eucaristiche [...], sotto le quali [Cristo] è presente, simboleggiano la cruenta separazione del corpo e del sangue. Così il memoriale della sua morte reale sul Calvario si ripete in ogni sacrificio dell’altare, perché per mezzo di simboli distinti si significa e dimostra che Gesù Cristo è in stato di vittima» (Pio XII, Mediator Dei).
Questa affermazione di Pio XII riassume la fede della Chiesa Cattolica: «Noi crediamo che la Messa, celebrata dal Sacerdote [...] è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell’Ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue, che di lì a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal Sacerdote sono convertiti nel Corpo e Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel Cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale» (Paolo VI, Professione di fede).
 
Pierre-Émile Bonnard: LA PASQUA DI GESÙ - Di fatto il messia viene; per incominciare, Gesù prende parte alla Pasqua giudaica; la vorrebbe migliore, ma infine la sostituirà portandola a compimento. Al tempo della Pasqua, Gesù pronunzia parole e compie atti che a poco a poco ne mutano il senso. Abbiamo così la Pasqua del Figlio unico, che indugia presso il santo dei santi perché sa di esservi in casa del Padre (Lc 2,41-51); la Pasqua del nuovo tempio, in cui Gesù purifica il santuario provvisorio ed annunzia il santuario, definitivo, il suo corpo risorto (Gv 2,13-23; cfr. 1,14.51; 4,21-24); la Pasqua del pane moltiplicato, che sarà la sua carne offerta in sacrificio (Gv 6,51); infine e soprattutto la Pasqua del nuovo agnello, in cui Gesù prende il posto della vittima pasquale, istituisce il nuovo pasto pasquale, ed effettua il suo proprio esodo, «passaggio» da questo mondo peccatore al regno del Padre (Gv 13,1). Gli evangelisti hanno ben compreso le intenzioni di Gesù e, con sfumature diverse, le mettono in luce. I sinottici descrivono l’ultimo pasto di Gesù (anche se è stato consumato alla vigilia della Pasqua) come un pasto pasquale: la cena è celebrata entro le mura di Gerusalemme; è incorniciata da una liturgia che comporta, tra l’altro, la recita dell’Hallel (Mc 14,26 par.). Ma è il pasto di una nuova Pasqua: sulle benedizioni rituali, destinate al pane ed al vino, Gesù innesta l’istituzione dell’eucaristia; dando da mangiare il suo corpo e da bere il suo sangue versato, egli descrive la sua morte come il sacrificio della Pasqua di cui egli è il nuovo agnello (Mc 14,22-24 par.). Giovanni preferisce sottolineare questo fatto inserendo nel suo vangelo parecchie allusioni a Gesù agnello (Gv 1,29.36), e facendo coincidere, nel pomeriggio del 14 nisan, la immolazione dell’agnello (18,28; 19,14.31.42) e la morte in croce della vera vittima pasquale (19,36).
LA PASQUA CRISTIANA  1. La Pasqua domenicale. - Crocifisso alla vigilia di un sabato (Mc 15,42 par.; Gv 19,31), Gesù risorge l’indomani di questo stesso sabato: il primo giorno della settimana (Mc 16,2 par.).
Pure in questo primo giorno gli apostoli ritrovano il loro Signore risorto: egli appare loro nel corso di un pasto che ripete la cena (Lc 24,30.42s; Mc 16,14; Gv 20,19-26; 21,1-14 [?]; Atti 1,4). Le assemblee cristiane si riuniranno quindi il primo giorno della settimana per la frazione del pane (Atti 20,7; 1Cor 16,2). Questo giorno riceverà ben presto un nome nuovo: il giorno del Signore, dies Domini, la domenica (Apoc 1,10). Esso ricorda ai cristiani la risurrezione di Cristo, li unisce a lui nella sua eucaristia, li indirizza verso l’attesa della sua parusia (1Cor 11,26).
2. La Pasqua annuale. - Oltre la Pasqua domenicale, c’è pure per i cristiani una celebrazione annuale che dà alla Pasqua giudaica un nuovo contenuto: i Giudei celebravano la loro liberazione dal giogo straniero ed attendevano un messia liberatore nazionale; i cristiani festeggiano la loro liberazione dal peccato e dalla morte, si uniscono a Cristo crocifisso e risorto per condividere con lui la vita eterna, e rivolgono la loro speranza verso la sua parusia gloriosa. In questa notte che brilla ai loro occhi come il giorno, al fine di preparare il loro incontro nella santa cena con l’agnello di Dio che porta e toglie i peccati del mondo, essi si riuniscono per una vigilia in cui il racconto dell’esodo è letto loro ad una nuova profondità (1Piet 1,13-21): battezzati, essi costituiscono il popolo di Dio in esilio (17), camminano con le reni succinte (13), liberi dal male, verso la terra promessa del regno dei cieli. Poiché Cristo, loro vittima pasquale, è stato immolato, bisogna che essi celebrino la festa non con il vecchio fermento della cattiva condotta, ma con azzimi di purezza e di verità (1Cor 5,6ss). Con Cristo essi hanno vissuto personalmente il mistero di Pasqua morendo al peccato e risorgendo per una vita nuova (Rom 6,3-11; Col 2,12). Perciò la festa della risurrezione di Cristo diventa ben presto la data privilegiata del battesimo, risurrezione dei cristiani in cui rivive il mistero pasquale. La controversia del sec. II sulla celebrazione della Pasqua lascia intatto questo senso profondo che sottolinea il superamento definitivo della festa giudaica.
3. La Pasqua escatologica - Per i cristiani il mistero pasquale terminerà con la morte, la risurrezione, l’incontro con il Signore. La Pasqua terrena prepara per essi questo ultimo «passaggio», questa Pasqua dall’al di là. Di fatto il termine Pasqua non designa soltanto il mistero della morte e della risurrezione di Cristo, od il rito eucaristico ebdomadario od annuale, ma designa pure il banchetto celeste verso il quale noi tutti camminiamo. L’Apocalisse innalza i nostri occhi verso l’agnello ancora segnato dal suo supplizio, ma vivo ed in piedi; rivestito di gloria, egli attira a sé i suoi martiri (Apoc 5,6-12; 12,11). Secondo le sue stesse parole, Gesù ha veramente compiuto la Pasqua mediante l’oblazione eucaristica della sua morte, mediante la sua risurrezione, mediante il sacramento perpetuo del suo sacrificio, infine mediante la sua parusia (Lc 22,16), che deve riunirci per la gioia del banchetto definitivo, nel regno del Padre suo (Mi 26,29)
 
Il dono dell’Eucaristia - Guerric d’Igny, Sermo in Ascens., 1: Avendo amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1). Allora diffuse sui suoi amici quasi tutta la forza del suo amore, prima di effondersi egli stesso, come acque per gli amici. Allora diede loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue e ne istituì la celebrazione. Non so se più ammirare la sua potenza o il suo amore! Per consolarli della sua partenza, inventò questo nuovo modo di presenza; così, anche lasciandoli e togliendo loro la sua presenza corporale, egli restava non solo con loro, ma in loro, per virtù del sacramento. Allora, come se avesse completamente dimenticato la sua maestà e facesse oltraggio a se stesso - ma è un vanto per chi ama abbassarsi per gli amici - con una degnazione ineffabile il Signore - quel Signore! - lavò i piedi dei servi. Così, allo stesso tempo, diede loro un modello di umiltà e il sacramento del perdono.
 
Il Santo del Giorno - 2 Giugno 2024 - Sant’Erasmo di Formia Vescovo e martire: Fonti sicure attestano l’esistenza di un sant’Erasmo vescovo di Formia, martire al tempo di Diocleziano e Massimiano (303) e sepolto nella località costiera del Lazio meridionale. Di storico su di lui si sa, però, poco. La «Passio» che lo riguarda, compilata nel VI secolo, è leggendaria. Venerato nel Lazio e in Campania, è menzionato, oltre che negli antichi martirologi, anche nel Calendario marmoreo di Napoli. Nell’842, dopo che Formia era stata distrutta dai Saraceni, le reliquie furono nascoste nella vicina Gaeta. Quando furono ritrovate, nel 917, il martire venne proclamato patrono della diocesi del Golfo. Nel 1106 Pasquale II consacrò la cattedrale di Gaeta, dedicandola alla Vergine e a sant’Erasmo. È invocato contro le epidemie e le malattie dell’intestino per il fatto che, nel martirio, gli sarebbero state strappate le viscere. I marinai lo venerano con il nome di Elmo. (Avvenire)
 
Donaci, o Signore,
di godere pienamente della tua vita divina nel convito eterno,
che ci hai fatto pregustare
in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.