1 Giugno 2024
 
San Giustino, Martire
 
Gd 17,20-25 ; Salmo Responsoriale dal Salmo 62 (63); Mc 11, 27-33
 
Colletta
O Dio, che attraverso la stoltezza della croce
hai donato al santo martire Giustino
la sublime conoscenza di Gesù Cristo,
concedi a noi, per sua intercessione,
di respingere gli inganni dell’errore
per conseguire fermezza nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
San Giustino, Martire - Benedetto XVI (Udienza Generale 21 Marzo 2007): Nel complesso la figura e l’opera di Giustino segnano la decisa opzione della Chiesa antica per la filosofia, per la ragione, piuttosto che per la religione dei pagani. Con la religione pagana, infatti, i primi cristiani rifiutarono strenuamente ogni compromesso. La ritenevano idolatria, a costo di essere tacciati per questo di «empietà» e di «ateismo». In particolare Giustino, specialmente nella sua prima Apologia, condusse una critica implacabile nei confronti della religione pagana e dei suoi miti, considerati da lui come diabolici «depistaggi» nel cammino della verità. La filosofia rappresentò invece l’area privilegiata dell’incontro tra paganesimo, giudaismo e cristianesimo proprio sul piano della critica alla religione pagana e ai suoi falsi miti. «La nostra filosofia...»: così, nel modo più esplicito, giunse a definire la nuova religione un altro apologista contemporaneo di Giustino, il Vescovo Melitone di Sardi (citato in Eusebio, Storia Eccl. 4,26,7).
Di fatto la religione pagana non batteva le vie del Logos, ma si ostinava su quelle del mito, anche se questo era riconosciuto dalla filosofia greca come privo di consistenza nella verità. Perciò il tramonto della religione pagana era inevitabile: esso fluiva come logica conseguenza del distacco della religione – ridotta a un artificioso insieme di cerimonie, convenzioni e consuetudini – dalla verità dell’essere. Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dèi della religione pagana. Era la scelta per la verità dell’essere contro il mito della consuetudine. Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida: «Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem, cognominavit – Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine» (La velazione delle vergini 1,1). Si noti in proposito che il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni «moda culturale», «moda del tempo».
In un’età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione – come pure nel dialogo interreligioso –, è questa una lezione da non dimenticare. A tale scopo vi ripropongo – e così concludo – le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: «Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire» (Dial. 7,3).
 
I Lettura: Giuda, all’inizio di questa lettera, si dichiara costretto a scriverla per esortare tutti i cristiani alla fedeltà. Nella comunità, infatti, si sono infiltrati alcuni individui empi che stravolgono la grazia del nostro Dio in dissolutezze e rinnegano il nostro unico padrone e signore Gesù Cristo. A fronte di tutto questo, i cristiani dovranno ordinare la propria vita secondo la verità del Vangelo, l’amore salvifico di Dio Padre, la misericordia di Gesù Cristo. La brevissima lettera può essere divisa in quattro parti: 1. Indirizzo, saluto e scopo della lettera (1-4), 2. contro i falsi maestri, sobillatori pieni di acredine, che agiscono secondo le loro passioni (5-16), 3. esortazioni ai credenti (17-23), 4. Preghiera di lode a Dio (24-25). Il testo odierno comprende la terza e la quarta parte. I credenti, oltre a costruire il loro edificio sopra la loro santissima fede, devono esercitare in sommo grado la carità convincendo quelli che sono vacillanti, e salvando chi è già sul punto di precipitare nel fuoco. Infine siano perseveranti nella preghiera, nella lode all’unico Dio per mezzo di Gesù Cristo.
 
Vangelo
Con quale autorità fai queste cose?
 
Con quale autorità fai queste cose?: se nel contesto la domanda dei capi dei sacerdoti si riferisce all’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme e alla cacciata dei mercanti dal Tempio, possiamo pensare che voglia abbracciare anche tutto il suo ministero pubblico. Gesù, come ha già fatto tante altre volte, risponde con una contro domanda, ponendo così i suoi avversari in difficoltà: Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi. Incapaci, per malizia e per paura della folla, di esprimere una decisione autorevole circa il battesimo di Giovanni, gli scribi e gli anziani preferiscono tacere. Dinanzi a tanta ipocrisia Gesù replica con forza e dice loro: Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose. Il cuore del racconto marciano è in questa solenne affermazione di Gesù; è una tacita rivendicazione di possedere un’autorità messianica concessagli da Dio. Le autorità religiose, per la loro caparbia ostinazione, ancor una volta hanno sciupato l’occasione di conoscere la Verità, accoglierla e custodirla nel loro cuore.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 11, 27-33
 
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose?
O chi ti ha dato l’autorità di farle?».
Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”.
Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo».
E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
 
Parola del Signore.
 
Il problema dell’autorità di Gesù - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): È la terza volta che Gesù entra a Gerusalemme e penetra nel recinto del tempio (11,11.15): egli ha fatto del luogo sacro il centro del suo insegnamento (1.1,17). E lì che affronterà i rappresentanti del giudaismo in una serie di tre dispute che costituiscono la replica di quelle avvenute in Galilea all’inizio della sua missione (da 2,1 a 3,6). Al di là del quadro specifico in cui queste dispute si svolgono, si ha davvero l’impressione che Gesù subisca in questo modo un interrogatorio in piena regola: il suo processo è già incominciato prima del tempo.
Gli argomenti delle dispute ora iniziate sono questi: l’autorità di Gesù (11,27-33); il tributo da pagare a Cesare (12,13-17); la risurrezione dei morti (12,18-27): per il momento, il «caso» del tempio è ancora troppo scottante (11,15-17). La domanda dei capi dei sacerdoti degli scribi è di evidente attualità: «Con quale autorità fai queste cose?» (v. 28). Non a caso si tratta di membri del sinedrio, l’alta corte di giustizia, che pongono a Gesù questa domanda: con quale diritto è intervenuto nello svolgimento del culto? L’interrogativo è tanto più insidioso in quando costoro non ignorano che essi sono gli unici a proporsi come maestri in questo specifico campo e si ritengono depositari di un potere che proviene da Dio. Gesù non risponde direttamente alla loro domanda, ma ne oppone loro una preliminare (v. 29), assai accorta, che pone i suoi interlocutori di fronte a una scelta difficile: se essi dichiarano che Giovanni Battista e la sua missione venivano «dal cielo», cioè da Dio, dovrebbero ammettere anche l’origine divina dell’autorità del messia (vv. 30-31); se pensano che l’opera di Giovanni è esclusivamente umana, si trovano in contrasto con l’opinione pubblica che la considera profetica (v. 32).
Marco evidenzia il timore delle autorità giudaiche: decisi alla rovina di Gesù, costoro hanno paura, senza con­fessarlo, dell’enorme popolarità di cui egli gode, proprio come Giovanni Battista (11,18; 12,12). La loro risposta perplessa alla sfida di Gesù («Non lo sappiamo!») è chiaramente un battere in ritirata (v. 33a). Gesù ne trae la conseguenza: egli non rivelerà il segreto della sua autorità (v. 33b).
 
Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi - Vincent Taylor (Marco): La domanda di Gesù non riguarda tanto il battesimo di Giovanni come tale, ma tutto il ministero del Battista e la sua persona: cfr. Atti 1, 22; 18, 25. Bultmann sostiene che l’apoftegma palestinese originale terminava con queto versetto; ma si tratta di posizione gratuita, come quella che vi vede una formazione della comunità. Così Lohmeyer, 243, il quale osserva che non ci sono altre situazioni della comunità primitiva in cui la «autorità» di Gesù sia stata fondata sul battesimo di Giovanni.
vv. 31-33. Gesù percepisce il dilemma dei sacerdoti. Se essi riconoscono che l’autorità di Giovanni è divina, possono essere accusati di incredulità nei suoi confronti; più ancora: sarebbero anche costretti ad ammettere che pure l’autorità di Gesù proviene da Dio.
La seconda proposizione condizionale, al v. 32, s’interrompe d’improvviso, dato che l’apodosi viene sostituita dall’affermazione che essi avevano paura della folla. Tutti consideravano Giovanni come un profeta, e quindi ispirato dallo Spirito Santo. Per echein nel senso di «considerare» cfr. Lc. 14, 18; Fil. 2, 19. Blass lo ritiene un latinismo: ma la costruzione si trova anche nei papiri.
Alcuni leggono ontàs come qualifica di eichon, e traducono: «pensavano seriamente»; ma - con la maggior parte dei MSS - è meglio leggerlo con én: «pensavano che fosse veramente un profeta».
Il v. 33 riprende la domanda del v. 30. Incapaci di dare una risposta, i sacerdoti dicono che essi non sanno, e Gesù, riferendosi alla loro risposta negativa, dice: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose». Ma in realtà Gesù l’ha già detto con la sua contro-domanda, ed essi non possono avere avuto dubbi a riguardo della sua velata rivendicazione.
Matteo Luca apportano al testo di Marco diverse variazioni stilistiche.
 
I farisei - Alice Baum: Il Nuovo Testamento dipinge i farisei come i veri e propri avversari di Gesù; va però considerato, d’altro canto, che Gesù ha molto in comune con i farisei, che egli prende sul serio la loro religiosità e perfino nelle dispute si preoccupa di loro. Il conflitto nasce da una differente posizione nei confronti della Legge. Per Gesù (e per il cristianesimo primitivo - Paolo) la Torah non poteva essere considerata una necessità assoluta per la salvezza. Non la “tradizione dei padri” ma Gesù era l’interprete autentico della volontà assoluta di Dio. Di qui la sua libertà sovrana di fronte alla Legge, cosa che per la credenza dei farisei nell’origine divina della Torah non era possibile imitare. La seconda causa del conflitto era la distanza dei farisei da tutte le attese messianico-escatologiche imminenti, cosicché la pretesa messianica che Gesù avanzava con la parola e l’azione era per loro inaccettabile. Certo, nella concezione della Legge dei farisei c’era il pericolo di una religiosità esteriorizzata, e non di rado vi ci sono caduti. I rimproveri che il Nuovo Testamento solleva contro di loro si trovano anche negli scritti rabbinici.
Tuttavia dedurre dalla radicalizzazione e dalla polemica inasprita del Nuovo Testamento che i farisei fossero tutti indistintamente degli ipocriti e il fariseismo soltanto un adempimento esteriore della Legge, contraddice i dati di fatto storici. Diversamente non avrebbe potuto dar vita alle grandi figure del periodo post-biblico e vitalizzare con una nuova linfa il giudaismo successivo al 70 d.C. e al 135 d.C.
 
Alberto Magno (In ev. Marc. XI): Con quale potere compi questi segni?: sapevano infatti che il suo potere non era umano, ma non volevano credere che fosse divino. Chiedono quindi qual è l’origine di quel potere. Forse cioè il suo potere è come quello dei santi, che fecero miracoli per mezzo dell’intercessione di Dio. O forse è diabolico? E se è come quello dei santi essi volevano sminuirlo, e che Egli riconoscesse che non era Figlio di Dio. E il dirlo costituiva una bestemmia.
 
Il Santo del Giorno - San Giustino. Dal pensiero degli antichi al Risorto, un percorso oltre ogni inquietudine - Inquietudine: ecco cosa ci muove giorno dopo giorno, la sensazione di essere precari, di essere alla ricerca di un senso profondo che sentiamo sfuggirci. E anche quando tocchiamo con la punta delle dita i frammenti di qualcosa che pensiamo possa soddisfare la nostra sete d’Infinito, questi subito si dileguano. È così da sempre, e da sempre i pensatori hanno cercato una strada per riempire questa mancanza, calmare l’inquieto dentro di noi. E così, seguendo le briciole di questo itinerario attraverso il pensiero degli antichi, san Giustino giunse a cogliere nel Risorto l’unica vera fonte in grado di dare un senso all’umano esistere. Nato in una famiglia di origine latina a Flavia Neapolis (oggi Nablus), Giustino si era messo alla ricerca della verità presso diverse scuole filosofiche. Alla fine gli parve di averla trovata nel pensiero platonico, ma poi fu attratto dall’eredità dei Profeti di Israele, giungendo, infine, a conoscere la testimonianza dei cristiani. Comprese quindi che Dio era molto di più di quello che cercavano di definire i pensatori greci. A Efeso, attorno al 130, si fece battezzare e si mise all’opera per conciliare i suoi studi fiolosofici con il Vangelo. Viaggiò molto, ma a Roma, a causa del suo impegno apologetico a favore dei cristiani, venne accusato di essere ateo e condannato a morte: venne decapitato assieme ad alcuni suoi discepoli tra il 163 e il 167, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. (Matteo Liut)
 
Nutriti dal pane del cielo, ti supplichiamo, o Signore:
concedi a noi di essere docili
agli insegnamenti del santo martire Giustino
e di vivere in perenne rendimento di grazie per i doni ricevuti.
Per Cristo nostro Signore