16 Giugno 2024
 
XI Domenica T. O.
 
Ez 17,22-24; Salmo Responsoriale Dal Salmo 91 (92); 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34
 
Colletta
O Padre,
che spargi nei nostri cuori
il seme del tuo regno di verità e di grazia,
concedici di accoglierlo con fiducia
e coltivarlo con pazienza,
per portare frutti di giustizia nella nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Le parabole - Catechismo degli Adulti [125]: Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David; ma Gesù lo impiega in modo estremamente originale. Vi fa ricorso per lo più quando si rivolge a quelli che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Narra con eleganza piccole storie verosimili, ambientandole nella vita ordinaria, quasi a insinuare che il Regno è già all’opera con la sua potenza nascosta. Ma ecco, nel bel mezzo della normalità, uscir fuori spesso l’imprevedibile, l’insolito, come ad esempio la paga data agli operai della vigna: uguale per tutti, malgrado il diverso lavoro. È la novità del Regno, il suo carattere di dono gratuito e incomparabile.
Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.
 
I Lettura - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Ezechiele prima riferisce l’oracolo sulla rovina del regno di Giuda e la fine della casa di Davide in seguito all’esilio e alla morte in Babilonia del re Sedecia (Ez 17,11-21; cfr. 2Re 25,1-30; Ger 39,1-10). Poi, nel brano che forma la prima lettura odierna, riporta la profezia circa il Messia e il suo regno. Dal tronco della casa di Davide (cedro) farà sorgere un discendente (un ramoscello) cioè il Messia. Lo porrà a capo del regno messianico («lo pianterò sul monte alto di Israele»). Questo diventerà «un cedro magnifico», sotto il quale dimoreranno tutti gli uccelli (tutti gli uomini chiamati al regno). La nuova pianta farà stupire tutti gli alberi della foresta (i popoli; i loro imperi saranno un nulla in confronto del regno di Cristo).
 
II Lettura: Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo … l’apostolo Paolo esprime il vero significato della morte cristiana, vedendola come un ritorno e definitivo  a Dio dopo il pellegrinaggio terrestre.
Siamo in esilio, siamo in cammino, e con noi portiamo il triste bagaglio della corruttibile natura umana, ma nonostante tutto dobbiamo sforzarci di essere a Dio graditi, alla fine grande sarà il premo incorruttibile: vedremo  Dio “a faccia a faccia” (1Cor 13,12), “così come egli è” (1Gv 3,2). 
 
Vangelo
É il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto.
 
Il brano evangelico è composto da due parabole, la parabola del seme che spunta da solo (vv. 26-29) e la parabola del granello di senapa (vv. 30-34), ed entrambe vogliono illustrare la dinamicità del regno Dio. La conclusione (vv. 33-34) non dà una spiegazione delle due parabole, è rimasta nella penna di Marco, ma non è difficile carpirla. In sostanza, anche se il regno, per mezzo della predicazione di Gesù, ha un inizio modestissimo, il suo sviluppo sarà sicuramente grandioso e accoglierà gente da ogni provenienza. È un parola incoraggiante per i discepoli che, sempre tentati di agire in prima persona e di volere risultati immediati, sono spesso demotivati dagli insuccessi sempre a portata di mano.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 4,26-34
 
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
 
Parola del Signore
 
La parabola del grano di senapa - Gesù con le parabole del seme e del granello di senape “sottolinea il contrasto tra la sua insignificanza iniziale e la grandezza finale. Nonostante la modestia dell’opera di Gesù e l’apparente insuccesso del suo ministero, il regno si compirà in tutta la sua magnificenza. Il punto saliente della similitudine scaturisce dal «rapporto dinamico tra il regno di Dio presente sin d’ora nella piccolezza ed il suo grandioso compimento futuro»; in altre parole, benché l’inizio del regno nell’opera di Gesù fosse impercettibile, Dio l’avrebbe portato a compimento con il suo intervento decisivo alla fine dei tempi (Weder, pp. 164-165).
La redazione marciana della similitudine rileva il «contrasto» tra la piccolezza del seme quando viene seminato e l’esito finale certo e grandioso; invece, la versione della fonte Q «mette in risalto esplicitamente la crescita». Per questo in Mt e Lc la parabola del grano di senapa è abbinata con la parabola del lievito (ivi, pp. 161-162).
Il grano di senapa è una delle sementi più piccole; tuttavia dà origine a una pianta che presso il lago di Galilea può raggiungere i due o tre metri di altezza. Come da un seme minuscolo nasce una pianta tanto grande, così dall’attività poco appariscente di Gesù avrà origine il regno di Dio, la cui sovranità si estenderà a tutte le genti.
Mentre gli uditori si attendevano l’instaurazione del regno in modo appariscente e in forma spettacolare, attraverso sconvolgimenti cosmici apocalittici, Gesù afferma che Dio è già all’opera nel suo ministero umile e modesto.
Anche con questa similitudine Gesù non intendeva illustrare la crescita, ossia lo sviluppo progressivo del regno di Dio, che taluni identificano in modo inesatto con la chiesa. Il punto focale del messaggio va colto nel contrasto tra la situazione iniziale del regno e quella finale. Tuttavia, nella rilettura postpasquale della similitudine non manca un riferimento alla stupefacente crescita della comunità cristiana, che mediante un’intensa attività missionaria continuava ad aggregare numerosi adepti anche tra i gentili. Lo dimostra la citazione di Ezechiele (17,23), che parla della convocazione escatologica dei popoli all’ombra dell’alto cedro piantato dal Signore sul monte alto d’Israele. La rapida diffusione  del vangelo tra le nazioni pagane costituiva una prova dell’azione potente di Dio nel mondo e della certezza che questi avrebbe portato a compimento il regno alla fine dei tempi. Per la comunità cristiana «la parabola abbraccia tutta la storia a partire dal ministero di Gesù fino alla parusia del Figlio dell’uomo» (ivi, p. 167)” (Angelico Poppi [I Quattro Vangeli]).
 
La parabola - D Sesbqué: 1. Nella profezia del Vecchio Testamento - Per spiegare il carattere enigmatico di talune parabole evangeliche, più che agli enigmi dei sapienti (1Re 10,1-3; Eccli 39,3), bisogna ricorrere alla presentazione volutamente misteriosa di scritti tardivi. A partire da Ezechiele, l’annuncio profetico del futuro si trasforma e poco a poco in apocalisse, avvolge cioè deliberatamente il contenuto della rivelazione in una serie di immagini che hanno bisogno di spiegazione per essere comprese. La presenza di un «angelo-interprete» fa generalmente spiccare la profondità del messaggio e la sua difficoltà. Cosi l’allegoria dell’aquila in Ez 17,3-10, chiamata «enigma» e «parabola» (maial), è poi spiegata dal profeta (17,12-21). Le visioni di Zaccaria comportano un angelo-interprete (Zac 1,9ss; 4,5s ...) e soprattutto le grandi visioni apocalittiche di Daniele, nelle quali si suppone sempre che il veggente non comprenda (Dan 7,15s; 8,15s; 9,22). Si giunge così a uno schema tripartito: simbolo - richiesta di spiegazione - applicazione del simbolo alla realtà.
2. Nel Vangelo. - Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il « segreto messianico », posto in così forte rilievo da Marco (l,34.44; 3,12; 5,43 ... ).
Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese. Si perviene così a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da Mc 4,33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine ... ) mette sulla buona strada l’insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (Mt 13,10-13.34 s. 36.51; 15,15; cfr. Dan 2,18 ss; 7,16). Le parabole appaiono così una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il credente penetra nel mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l’uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l’accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, colpiti dalla ostinazione di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l’accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13,10-15 par.). Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (così Lc 8,16ss; 10,30-37; 11,5-8).
 
Alessandro Pronzato (Parola di Dio!): Mi sia consentita una lunga citazione di un autore che amo molto (spero non sia proibito): A. Maillot. Nel suo bellissimo volume dedicato alle parabole evangeliche, sottolinea i criteri cui dobbiamo ispirarci per i problemi attuali:
1 - Priorità dell’annuncio del vangelo.
2 - Pazienza e fiducia nell’opera divina. Mai drammatizzare, anche se il gelo sembra devastare tutto.
3 - Rispetto dell’auto-matismo e dell’auto-nomia della semente: il che significa, in fondo, rispettare gli altri e lo Spirito Santo,
«Il problema è sempre questo. Si tratta di non prendere mai gli altri per imbecilli, e lo Spirito Santo per una persona che avrebbe atteso la psicologia e la sociologia per esistere».
Lo stesso A. Maillot aggiunge: «C’è una frase-chiave nella parabola: ‘’come, egli stesso non lo sa” (v. 27).
Ossia, non ci capisce niente.
È il grande sorriso di Dio sulla Chiesa. E dovrebbe essere il nostro: non ci capiamo mai niente.
Non comprendiamo mai come quella determinata semente che doveva germogliare non è germinata, e quell’altra che non poteva germogliare, produce un frutto meraviglioso.
Non ci rendiamo mai conto perché in quel cattivo terreno (cattivo ai nostri occhi), un seme gettato male, mal coltivato, è spuntato ottimamente, e perché altrove, nonostante prediche sublimi, sociologi esperti, psicologi sottili, teologi eccezionali, tutto è andato alla malora.
Non capiremo mai. Perché la cosa non ci riguarda.
Alla fin fine, questo testo ci mostra la straordinaria potenza della semente, Perché quella può germinare là dove niente dovrebbe crescere.
E noi saremo in grado, allora, di scoprire la ragione di questa debolezza e di questa potenza congiunte.
È l’Amore di Dio.
Infatti, se è per amore che Dio diventa debole, questo amore è anche ciò che c’è di più forte. L’amore è ciò che può cambiare il Sahara in un giardino. E ciò che rende possibile l’impossibile.
Ma l’amore rimarrà sempre incomprensibile, non sapremo mai da dove viene, né dove va.
La scienza, da parte sua, si occupa soltanto del possibile. Sociologi, psicologi, teologi, strateghi, sono condannati allo studio del possibile. E fanno bene il loro mestiere. Soltanto devono ricordarsi, e noi con loro, che quando si tratta dell’amore di Dio:
- non capiremo mai niente
- non sappiamo come agisce»,
 
Siamo le piante del regno di Dio - Gregorio Magno (Omelie su Ezechiele 2, 3, 5): Quando concepiamo buoni desideri, gettiamo il seme nella terra. Quando cominciamo ad operare rettamente, siamo lo stelo. Quando cresciamo maggiormente nell’opera buona, arriviamo alla spiga. Quando ci rafforziamo nella perfezione della nostra condotta, ormai produciamo il chicco pieno nella spiga.
 
Santo del giorno - 16 Giugno 2024 - Sant’Aureliano, Vescovo di Arles: Aureliano fu eletto vescovo di Arles nel 546. Su richiesta del re Childeberto, fu nominato da papa Vigilio vicario della Sede Apostolica nella Gallia e investito del pallio. Fondò il monastero di S. Pietro, cui diede una regola ispirata a quella di s. Cesario e partecipò al concilio di Orléans del 549, nel quale fu rinnovata la condanna di Nestorio e di Eutiche. Ricevette una lettera, del 29 aprile 550, da Vigilio in risposta a una sua, in cui si lamentava dell’atteggiamento papale riguardo ai “tre capitoli”. Il pontefice si giustificò dicendo che non intendeva ammettere alcuna proposizione contro quanto stabilito dai concili di Nicea, di Calcedonia e di Efeso (I) e gli domandò di intervenire presso Childeberto affinché costui ottenesse dall’ariano Totila e dai Goti, il rispetto della Chiesa di Roma. Aureliano morì a Lione, forse il 16 giugno 551, e fu sepolto nella basilica dei Santi Apostoli. Menzionato da Floro e da Adone, il nome di Aureliano figura anche nel Martirologio Romano, che ne ricorda la festa nella data di oggi. (Avvenire)
 
La partecipazione ai tuoi santi misteri, o Signore,
come prefigura la nostra unione in te,
così realizzi l’unità nella tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.