13 GIUGNO 2024
 
Sant’Antonio di Padova
 
1 Re 18,41-46; Salmo Responsoriale Dal Salmo 64 (65); Mt 5,20-26
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che in sant’Antonio [di Padova]
hai dato al tuo popolo un insigne predicatore
e un patrono dei poveri e dei sofferenti,
fa’ che per sua intercessione
seguiamo gli insegnamenti del Vangelo
e sperimentiamo nella prova
il soccorso della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La spiritualità di Sant’Antonio di Padova Benedetto XVI: (Udienza Generale, 10 febbraio 2010): Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana: il cristocentrismo. Volentieri essa contempla, e invita a contemplare, i misteri dell’umanità del Signore, l’uomo Gesù, in modo particolare, il mistero della Natività, Dio che si è fatto Bambino, si è dato nelle nostre mani: un mistero che suscita sentimenti di amore e di gratitudine verso la bontà divina.
Da una parte la Natività, un punto centrale dell’amore di Cristo per l’umanità, ma anche la visione del Crocifisso ispira ad Antonio pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana, così che tutti, credenti e non credenti, possano trovare nel Crocifisso e nella sua immagine un significato che arricchisce la vita. Scrive sant’Antonio: “Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore... In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce” (Sermones Dominicales et Festivi III, pp. 213-214).
Meditando queste parole possiamo capire meglio l’importanza dell’immagine del Crocifisso per la nostra cultura, per il nostro umanesimo nato dalla fede cristiana. Proprio guardando il Crocifisso vediamo, come dice sant’Antonio, quanto grande è la dignità umana e il valore dell’uomo. In nessun altro punto si può capire quanto valga l’uomo, proprio perché Dio ci rende così importanti, ci vede così importanti, da essere, per Lui, degni della sua sofferenza; così tutta la dignità umana appare nello specchio del Crocifisso e lo sguardo verso di Lui è sempre fonte del riconoscimento della dignità umana.
 
I Lettura: I profeti di Baal sono stati uccisi, l’unicità e il primato di Jahvè sono stati ristabiliti, così, può cessare il castigo (1Re 17,1ss) e lasciare il posto alla riconciliazione. La formazione progressiva delle nubi e della pioggia è descritta su uno schema settenario, molto fedele allo stile semita.
Acab montò sul carro e se ne andò a Izreèl …, “Acab era stato testimone oculare dei fatti ed era passato allo yahvismo; ma Gezabele, sua sposa, non era stata presente. Forse, in quel momento, si trovava nella residenza reale di Izreel. È assai probabile che il viaggio alquanto misterioso di Acab e, di Elia a Izreel, uno su un carro e l’altro sulle ali dello spirito, avesse qualche relazione con la regina che era necessario guadagnare allo yahvismo. Gezabele, infatti, era il sostegno più valido del baalismo, ed era all’origine della campagna anti yahvista che si era scatenata nel regno d’Israele” (Antonio González-Lamadrid).
 
Vangelo
Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
 
Se la vostra giustizia... è un aperto rimprovero ai farisei che avevano deformato lo spirito della Legge, riducendo il loro impegno religioso a una formale interpretazione della Legge di Dio. La giustizia dei farisei era quindi il frutto di una ipocrita osservanza esteriore della Legge, deprecata dagli uomini e rigettata da Dio (Cf. Lc 18,9-14). Invece, il vero giusto per la sacra Scrittura è colui che si sforza sinceramente di adempiere la volontà di Dio (Cf. Mt 1,19), che si manifesta sopra tutto nei Comandamenti. Per avvicinarci al nostro linguaggio cristiano, giustizia è sinonimo di santità (Cf. 1Gv 2,29; 3,7-10; Ap 22,11). In questa luce, Gesù propone un ideale superiore a quello degli scribi e dei farisei. Questo insegnamento autorevole è messo in evidenza dalla espressione Ma io vi dico. Un’espressione che mette in risalto l’autorità di Gesù: poiché la sua potestà è divina, Egli è superiore a Mosè e ai Profeti. Una prerogativa rigettata dai farisei, ma accolta dalla folla che seguiva il Maestro di Nazaret: «Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,22; Cf. Mt 7,28).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,20-26
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
 
Parola del Signore.
 
L’omicidio e le ingiurie - Ortensio Da Spinetoli (I Quattro Vangeli): Il testo della prima antitesi composto da tre unità: vv. 21-22, enunciazione dell’antitesi propriamente detta con il linguaggio giuridico che indica il reato e la sanzione corrispondente; vv. 23.24, un esempio pratico, tratto dalla vita religiosa quotidiana, per approfondire secondo lo stile halakico la prescrizione precedente; vv. 25-26, secondo esempio, 26, secondo esempio, desunto da una regola di saggezza profana, riletta in chiave escatologica (cf. Gnilka, I, pp. 231-232). Gesù reinterpreta il comandamento contro l’omicidio (Es 20,13; Dt 5,17). Non condanna soltanto l’uccisione, che costituisce reato in quanto è una trasgressione della Legge, soggetta a punizione in base al diritto codificato; egli va alla radice del male e condanna anche l’ira, che per sé non è perseguibile dinanzi ai tribunali umani, ma lo è presso Dio, che scruta i pensieri reconditi del cuore. In effetti, l’omicidio non è altro che la conseguenza estrema di un sentimento ostile verso il prossimo, che giunge all’odio e alla eliminazione fisica del rivale. Gesù non si accontenta dell’osservanza esteriore dei comandamenti, ma bada all’atteggiamento profondo del cuore, risalendo al centro della personalità, donde scaturisce il bene e il male (cf. Mt 15,18-19). Queste istanze erano già presenti nel giudaismo, ma venivano spesso offuscate dall’eccessivo giuridismo degli scribi e farisei, rigidi tutori della Legge più attenti alla lettera che allo spirito d’essa. Gesù propone ai discepoli un nuovo orientamento nelle loro relazioni interpersonali, ispirato alla realtà del regno, fondato sull’amore vicendevole sincero e sul concetto di fratellanza universale.
 
Ira... stupido... pazzo... geenna: L’ira, è punita nei tribunali locali. Stupido (racà = imbecille, stupido, deficiente) è un epiteto ingiurioso che si accompagnava a un gran disprezzo, che spesso veniva espresso non solo con le parole, ma sputando a terra. L’insulto è sottoposto al sinedrio. Pazzo, ancora più offensivo perché a volte voleva sottintendere un’aperta ribellione alla volontà di Dio. Chi profferisce tale insulto è punito con il fuoco della geenna. Sembra “emergere un crescendo nelle tre punizioni per i tre tipi di offesa contro il prossimo. Bisogna però badare all’insegnamento globale e non a queste sottili distinzioni. Per essere «giusti» dinanzi a Dio, non basta evitare l’omicidio; anche gli impulsi d’ira, le offese, le maledizioni distruggono la vera comunione dei cuori, quale è richiesta dall’etica evangelica. La geenna indica la valle di Hinnom, che delimitava Gerusalemme al lato meridionale, dove si praticava il culto a Moloch (2 Re 21,4-5). Il luogo fu poi sconsacrato, facendovi bruciare i rifiuti della città; il fuoco sempre acceso divenne simbolo della perdizione eterna. Nella letteratura apocalittica viene indicato come il luogo del raduno degli empi per la condanna nel giorno del giudizio finale” (Ortensio Da Spinetoli, I Quattro Vangeli).
 
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare - La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): vv. 23-24. Il Signore considera alcune pratiche giudaiche di quel tempo e, nell’occasione, dà un insegnamento di altissimo e perenne valore morale. Naturalmente noi cristiani ci troviamo in altra situazione, del tutto diversa rispetto alla organizzazione cultuale dei Giudei. Per noi il comando di Cristo Signore ha modalità d’attuazione determinate da lui stesso. In concreto, nella nuova e definitiva Alleanza fondata da Gesù, riconciliarsi vuol dire accostarsi al sacramento della Penitenza. In essa i fedeli “ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato” (Lumen gentium, n. II). Parimenti, nel Nuovo Testamento l’offerta per eccellenza è l’Eucaristia. Nei giorni di precetto assistere alla Santa Messa è sempre d’obbligo; è ben noto, però, che per ricevere la Santa Comunione è richiesta l’indispensabile condizione di essere in grazia di Dio.
In questi versetti il Signore non vuol dire che l’amore del prossimo vada anteposto all’amore di Dio. La carità ha un suo ordine: amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore. con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. Questo è il più grande e il primo comandamento (cfr Mt 22,37-38). L’amore per il prossimo, che costituisce il secondo comandamento in ordine d’importanza (cfr Mt 22,39). riceve il suo senso dal primo. La fraternità non è concepibile senza la paternità. L’offesa alla carità è, innanzitutto, offesa a Dio.
 
Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio - Giuseppe Barbaglio (Ira in Schede Bibliche Pastorali Vol. IV): I vocaboli biblici greci in cui si esprime il nostro motivo sono orgê-orgizô e thymos, cui in ebraico corrisponde soprattutto il sostantivo ‘aph e il verbo anaph. Tra i due termini orgê e thymos di regola esiste una differenza: il primo sta a indicare le manifestazioni esterne della collera, mentre il secondo i moti interiori. Ma non pochi testi ignorano questa distinzione. Specialmente nel NT poi orgê può anche esprimere la condanna, cioè l’effetto dell’ira divina.
Inoltre, premettiamo che la Bibbia parla soprattutto dell’ira di Dio, molto meno di quella umana.
L’AT conosce due tipi di collera dell’uomo contrapposti dal punto di vista morale: esiste l’ira giusta e persino sacrosanta e c’è l’ira che colpisce ingiustamente il prossimo.
Nella prima categoria rientra, per es., il caso di Davide che si adira contro il ricco della parabola di Natan, reo di aver strappato di mano al povero l’unica agnella che questi possedeva (2Sam 12,5). Anche Neemia giustamente si accende di collera contro i misfatti perpetrati dai prepotenti ai danni del popolino indifeso (Ne 5,6).
Parimenti i figli di Giacobbe reagiscono con legittima ira a difesa della sorella Dina, violentata da Sichem (Gn 34,7). Anche Davide ha fatto bene a irritarsi contro il figlio Amon violentatore di Tamar (2Sam 13,21). In 1Sam 11,6 si dice addirittura che lo spirito di Dio accese Saul di grande collera contro i crudeli ammoniti.
Quando poi è in gioco la causa di Dio, l’ira degli uomini che vi si ergono a difesa diventa meritoria e santa.
Mosè appare qui un modello: si irrita contro quegli israeliti che hanno fatto incetta di manna invece di raccoglierne solo la quantità sufficiente per il bisogno quotidiano (Es 16,20); è preso da collera alla vista del vitello d’oro adorato dalla comunità israelitica ai piedi del Sinai (Es 32,19); si adira contro i capi militari che avevano risparmiato le madianite, invece di votarle all’anatema (Nm 31,14). Da parte sua Geremia confessa di essere pieno dell’ira di Dio perché i connazionali non volevano dare ascolto alla parola divina (6,11; cf. 15,17).
Invece negativamente viene valutata negativamente l’ira di Caino verso Abele, le cui offerte erano gradite a Dio (Gn 4,5), di Esaù nei confronti di Giacobbe che gli aveva sottratto il diritto di promogenitura (Gn 27,44-45), di Potifar verso l’innocente Giuseppe (Gn 40,1-2), di Saul verso Gionata per la sua amicizia con Davide (1Sam 20,30), delle tribù d’Israele invidiose di Giuda che aveva dato i natali al re Davide (2Sam 19,43).
Comunque è la letteratura sapienziale, particolarmente il libro dei Proverbi, che ha riflettuto sull’ira umana dal punto di vista morale. La collera è causa di rovina (Pro 5,18; 27,4). La persona collerica deve essere rigorosamente evitata (Pro 22,24). I sapienti sanno controlìarsi e non trascendono (Pro 29,8). In realtà, l’essere «lento all’ira» caratterizza il saggio (Pro 14,29; 15,18; 16,32; cf. Sir 7,8). Al contrario, l’uomo irascibile è stolto (Pro 14,17.29). Nel NT l’ira è considerata, di regola, un vizio e come tale deve essere bandita dalla vita dei credenti.
Già Gesù nel suo radicalismo aveva in qualche modo equiparato l’assassinio allo scatenamento della collera contro il fratello (Mt 5,21-22). In realtà, ne va della fraternità dei rapporti interpersonali; e ristabilire e ricucire un rapporto frantumato o incrinato è condizione sine qua non per entrare in comunione con Dio nella preghiera (Mt 5,23-24). Analoga ci sembra l’esortazione di 1Tm 2,8: «Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese». In altri termini, chi prega Dio non può avere il cuore pieno di collera contro il prossimo. È impossibile dissociare l’atteggiamento verticale dell’uomo da un coerente atteggiamento orizzontale; è illusorio costruire legami con Dio quando si spezzano i vincoli con gli altri.
Certo, la collera è una forza istintiva che nasce in noi senza di noi, ma è nostro compito controllarla e non lasciarsene padroneggiare. Comprendiamo così la sollecitazione di Gc 1,19-29: «Sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio». Parimenti in questa linea si deve interpretare Ef 4,26: «Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira».
La collera poi fa parte di alcuni cataloghi di vizi neotestamentari: «… non vi siano contese (eris), invidie (zélos), animosità (thymoi), dissensi (eritheiai), maldicenze (katalaliai), insinuazioni (psithyrismoi), superbie (physiéseis), disordini (akatastasiai)» (2Cor 12,20; cf. anche Ef 4,31 e Col 3,8).
 
Bonaventura, Sermones dominacales, 32,2: Tre sono gli impulsi che sconvolgono l’anima, secondo ciascuna delle sue facoltà, come causa d’ira e di collera. Anzitutto l’errore, frutto di cecità e ignoranza per mancato discernimento della verità; poi il livore, frutto di malvagità e invidia, per mancanza di carità fraterna; infine la violenza, frutto di vendetta crudele, per mancanza di pace e di concordia. La prima realtà risiede nel pensiero intellettuale, la seconda nel sentimento passionale e la terza nella volontà incontrollata.
 
Santo del giorno - 13 Giugno 2024 - Sant’Antonio di Padova, Sacerdote e Dottore della Chiesa: Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra i Canonici Regolari di Sant’Agostino. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete. Nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d’Assisi. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio. Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Per circa un anno e mezzo vive nell’eremo di Montepaolo. Su mandato dello stesso Francesco, inizierà poi a predicare in Romagna e poi nell’Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell’Italia settentrionale proseguendo nell’opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentendosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell’Arcella. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti di Cristo, pane vivo,
nella memoria di sant’Antonio [di Padova],
formaci alla scuola del Vangelo,
perché conosciamo la tua verità
e la viviamo nella carità fraterna.
Per Cristo nostro Signore.