28 MAGGIO 2024
 
Martedì della VIII Settimana T. O.
 
1Pt 1,10-16; Salmo Responsoriale dal Salmo 97 (98); Mc 10,28-31
 
Colletta
Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Omelia 11 Ottobre 2009): “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Con questa domanda ha inizio il breve dialogo, che abbiamo ascoltato nella pagina evangelica, tra un tale, altrove identificato come il giovane ricco, e Gesù (cfr Mc 10,17-30). Non abbiamo molti dettagli circa questo anonimo personaggio; dai pochi tratti riusciamo tuttavia a percepire il suo sincero desiderio di giungere alla vita eterna conducendo un’onesta e virtuosa esistenza terrena. Conosce infatti i comandamenti e li osserva fedelmente sin dalla giovinezza. Eppure tutto questo, che è certo importante, non basta, - dice Gesù - manca una cosa soltanto, ma qualcosa di essenziale. Vedendolo allora ben disposto, il divino Maestro lo fissa con amore e gli propone il salto di qualità, lo chiama all’eroismo della santità, gli chiede di abbandonare tutto per seguirlo: “Vendi quello che hai e dallo ai poveri... e vieni e seguimi!” (v. 21).
“Vieni e seguimi!”. Ecco la vocazione cristiana che scaturisce da una proposta di amore del Signore, e che può realizzarsi solo grazie a una nostra risposta di amore. Gesù invita i suoi discepoli al dono totale della loro vita, senza calcolo e tornaconto umano, con una fiducia senza riserve in Dio. I santi accolgono quest’invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo. Così hanno fatto i cinque santi che oggi, con grande gioia, vengono posti alla venerazione della Chiesa universale: Zygmunt Szczęsny Feliński, Francisco Coll y Guitart, Jozef Damiaan de Veuster, Rafael Arnáiz Barón e Marie de la Croix (Jeanne) Jugan. In essi contempliamo realizzate le parole dell’apostolo Pietro: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (v. 28) e la consolante assicurazione di Gesù: “non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo , che non riceva già ora... cento volte tanto... insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (vv. 29-30)
 
I Lettura: “I profeti hanno parlato sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, testimoniando in anticipo le sofferenze riguardanti il messia e le conseguenze positive che ne sarebbero seguite [Is 52,13-53; Sal 22; Lc 24,25-27]. Coloro che predicano il Vangelo lo fanno sotto l’azione dello stesso Spirito, attestando così il compimento di un’unica mirabile economia” (Bibbia di Gerusalemme). 
 
Vangelo
Riceverete in questo tempo cento volte tanto insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
 
Gesù aveva detto a un giovane ricco, va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi! Ma quel tale a queste parole si era fatto scuro in volto e se ne era andato rattristato; in quanto possedeva molti beni (Mc 10,21-22). Ora, Pietro, forse per paura di aver perso tutto, case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi..., senza alcun guadagno, chiede a Gesù: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, dunque qual è il nostro contraccambio? Gesù promette in cambio una ricompensa centuplicata già ora, in questo tempo, insieme a persecuzioni e la vita eterna nel tempo che verrà. Non si rinuncia per rinunciare, ma in vista di beni più perfetti, e non si rinuncia con il volto scuro, ma con gioia: “Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto” (Sir 35,12-13).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,28-31
 
In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».

Parola del Signore.
 
In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetti 29-30 Marco, seguito in ciò da Luca, ci ha conservato la risposta del Salvatore in una forma chiara e distinta. Per causa mia e per quella del vangelo; il Maestro pone in particolare rilievo la sua persona ed il vangelo. Luca ha invece: «per causa del regno di Dio», poiché dà all’espressione un senso più universale, che abbraccia tutti i seguaci di Cristo. Marco predilige la formula: «a causa del vangelo», che ricorre otto volte nel suo scritto, mentre Matteo l’usa soltanto quattro volte e Luca mai. L’evangelista distingue chiaramente tra: in questo tempo e nell’èra futura. La ricompensa consiste nel promettere ai discepoli il centuplo in questa vita; evidentemente l’espressione non va presa in senso quantitativo o matematico, ma in quello qualitativo e spirituale. Il Salvatore non fa una transazione commerciale tra ciò che si dà e ciò che si deve avere. Chi entra nella società di Cristo gode di tutto quello che hanno portato con sé coloro che già vi appartengono. Nel regno di Dio, cioè nella Chiesa, che è la società dei credenti vi è una comunicazione di beni e di aiuti. Il seguace di Cristo è sicuro di trovare nella Chiesa il regno della carità per cui quello che hanno gli altri può essere considerato come proprio. Nella Chiesa primitiva questo era un fatto assai frequente e visibile perché le comunità cristiane erano ristrette ed i suoi membri, vivendo in centri pagani o ebraici, si sentivano molto più vicini e solidali. Gli Atti (2, 44; 4, 22) ricordano che molti cristiani mettevano i propri beni in comune; testimonianze antiche elogiano la carità che regnava nei seguaci della nuova religione predicata da Cristo. Le parole del Maestro accentuano l’aspetto spirituale della ricompensa; esse quindi vanno considerate e spiegate in questa prospettiva. Si osservino due fatti: Cristo non promette come ricompensa delle mogli, eppure parla di fratelli, sorelle, madri e figli, né una vita umanamente tranquilla e beata. Il seguace di Cristo non avrà il centuplo in mogli, perché il termine non si presta per una prospettiva spirituale (Luca nel passo parallelo accenna alla moglie abbandonata a causa del regno di Dio, cf. Lc., 18, 29), né vivrà pacifico e beato perché dovrà sostenere delle persecuzioni. L’allusione alle persecuzioni (insieme con persecuzioni) indica chiaramente che il discepolo subirà nell’esistenza terrena delle prove nelle quali dovrà mostrare il suo spirito evangelico.
Questa promessa quindi non prospetta una felicità terrena, né l’instaurazione di un regno beato, quasi nuovo paradiso terrestre, come pensavano i Millenaristi.
 
La “disumana ricchezza”: Catechismo degli Adulti 1121: La condanna della ricchezza disumana attraversa tutto l’Antico Testamento. L’avidità rende ansiosi di accumulare, magari con la frode e la prepotenza; sfrutta i poveri o li umilia con lo spreco ostentato. I ricchi confidano nei loro mezzi; non si curano di Dio, lo dimenticano e lo rinnegano. «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono» (Sal 49,21). «Chi confida nella propria ricchezza cadrà» (Pr 11,28). Nel Nuovo Testamento, Gesù invita a confidare in Dio, Padre sempre premuroso e vicino, e a vivere nel presente liberi dall’ansia per il domani. L’uomo vale assai più dei beni materiali e del potere. È stoltezza far dipendere il proprio valore e la propria salvezza dalla ricchezza accumulata. La salvezza, come il Maestro sottolinea in casa delle due sorelle Marta e Maria, viene dall’abbandono fiducioso alla parola di Dio e non dall’attivismo pieno di affanni. Anzi, «la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto» (Mt 13,22). Il cuore appesantito dai beni e sedotto dai piaceri diventa insensibile al prossimo e sordo alla voce dello Spirito: «Nessuno può servire a due padroni...: non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6,24). La ricchezza è un padrone spietato che sbarra la strada verso il Regno.
 
Un programma di liberazione - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): L’invito a seguire Gesù in povertà è un suo richiamo a credere nelle maggiori ricchezze di Dio. Il seguace di Cristo sa di chi si fida, e la sua completa dipendenza da Dio sarà abbondantemente ripagata da una generosità che oltrepassa ogni misura. La speranza cristiana ci è necessaria, indispensabile, per capire che «come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» (LG 8,3).
La povertà evangelica che Gesù propone è una norma liberatoria per tutti quelli che vogliono seguirlo. La povertà di spirito e la povertà effettiva sono fede in azione e sorgente di libertà. Fede perché rivela che chi ha fiducia in Dio non ha bisogno di assicurazioni contro i rischi; e libertà, perché senza bagaglio e affrancati dalla seduzione della ricchezza, si è più disponibili a servire Dio e ad aprirsi ai fratelli.
Gli studi degli psicologi sulla felicità umana concludono che questa non è proporzionale alla quantità di denaro, ricchezza, ozio e godimento della vita che uno accumula, ma consiste nel sentirsi realizzato come persona. Questa sensazione di completezza personale non può essere acquisita né comprata con tutto l’oro del mondo. Ebbene, Gesù lo insegnò già duemila anni fa, quando parlava del distacco come condizione per seguirlo e per ottenere così la vita con l’ingresso nel regno di Dio.
Anche se Gesù respinge il culto del denaro e della ricchezza, tuttavia lo sforzo per creare strutture di partecipazione nei beni della terra, attraverso lo sviluppo e la giustizia, è un impegno di solidarietà e fratellanza umana che scaturisce dalla fede cristiana. Da sempre la dottrina della Chiesa ha insistito nella proiezione sociale della proprietà privata e della ricchezza, nella divisione dei beni e in quella che oggi si chiama «carità politica», cioè un impegno attivo e operante, frutto del l’amore cristiano, a favore di un mondo più giusto e più umano, con speciale attenzione alle necessità dei più poveri.
 
Bonaventura (Sermones dominicales 3 1.4 e 6): ... lasciarono tutto e lo seguirono: gli Apostoli abbandonarono tutto, cioè qualsiasi legame che tiene l ‘anima prigioniera ... e seguirono Cristo, in quanto fine e pienezza di ogni bene, secondo una triplice modalità: con umiltà priva di superbia, mediante la chiarezza della conoscenza interiore; con concordia priva di ombra di invidia, mediante l’amore della vita celeste; con fermezza e perseveranza, mediante l ‘accettazione della sofferenza. Gli Apostoli, seguendo in questo modo Cristo, venivano per queste tre vie condotti alla beata Trinità; infatti per mezzo della chiarezza della conoscenza interiore, che guida la facoltà razionale, venivano ricondotti
alla Sapienza del Figlio; per mezzo dell’amore della divina carità, che orienta rettamente la volontà, venivano ricondotti alla benevolenza dello Spirito Santo; per mezzo della forza di una coraggiosa fermezza, che rende saldo il sentimento, venivano ricondotti alla potestà dell’eterno Padre. E queste tre virtù, vale a dire l’intelligenza delle verità divine, la concordia con il prossimo e la capacità di sopportare le avversità, sono per chiunque condizioni necessarie alla salvezza
 
Il Santo del Giorno - 28 maggio 2024 - Santa Ubaldesca Taccini. Oltre il vortice del tempo una testimone dell’essenziale - Presi dal vortice degli impegni quotidiani e del tempo che scorre come un fiume di cui spesso sentiamo di non avere il controllo, abbiamo bisogno di incontrare sulla nostra via testimoni credibili che ci ricordino l’autentico corso dell’esistenza. Fari luminosi di spiritualità che indicano la via dell’essenziale, delle cose che contano, dell’amore che dobbiamo verso chi ci sta accanto, verso coloro con i quali condividiamo questa turbinante ma entusiasmante avventura che si chiama vita. Questo per la sua città fu santa Ubaldesca Taccini, maestra di spiritualità e di carità, umile testimone di una fede che alimenta l’anima, espressa in una vita di sacrifici e di donazione totale ai bisognosi. Nata a Calcinaia nel 1136 da genitori di umili condizioni, era figlia unica e crebbe nella fede cristiana e nella devozione, distinguendosi fin da giovane nella cura degli ultimi. All’età di 15 anni andò a Pisa ed entrò nell’ordine gerosolimitano di san Giovanni (istituito pochi anni prima nel 1099 a Gerusalemme presso la Chiesa di san Giovanni Battista sotto la regola di sant’Agostino), fermandosi nella Chiesa di San Sepolcro (costruita nei primi anni del XII secolo dall’architetto pisano Diotisalvi). Per tutti i suoi 55 anni di vita religiosa seguì la via della penitenza, della preghiera e della carità. Già in vita le furono attribuiti diversi miracoli, segni che si moltiplicarono dopo la sua morte, avvenuta il 28 maggio 1206, festa della Santissima Trinità.
 
Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.