27 Maggio 2024
 
Lunedì VIII Settimana T. O.
 
1Pt 1,3-9- Salmo Responsoriale dal Salmo 110 (111); Mc 10,17-27
 
Colletta
Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò: Giovanni Paolo II (Redemptionis Donum, II, 3): «Gesù, fissatolo, lo amò». Questo è l’amore del Redentore: un amore che scaturisce da tutta la profondità divino-umana della Redenzione. In esso si riflette l’eterno amore del Padre, che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Il Figlio, investito da quest’amore, accettò la missione del Padre nello Spirito Santo, e divenne il Redentore del mondo. L’amore del Padre si è rivelato nel Figlio come amore che salva. Proprio quest’amore costituisce il vero prezzo della Redenzione dell’uomo e del mondo. Gli Apostoli di Cristo parlano del prezzo della Redenzione con una profonda emozione: «Non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati... ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia», scrive san Pietro (1Pt 1,18). «Infatti, siete stati comprati a caro prezzo», afferma san Paolo (1Cor 6,20).
 
I lettura: L’apostolo Pietro invita i cristiani afflitti da varie prove ad attingere dalla loro fede nel Cristo e dal loro amore per lui la speranza della loro salvezza (cfr. 1Pt 1,22; 2,11; 1Cor 15,44). La salvezza è conquista, ma soprattutto dono, dolce abbandono alla volontà di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). L’eredità cristiana, «a differenza di quella a cui pensò, almeno originariamente, Israele, non è esposta ai pericoli dei nemici, è sicura, perché “è conservata nei cieli per noi”... Il cristiano non ha diritto di dubitare della sicurezza di questa eredità... Davanti alle difficoltà della vita presente, dobbiamo accrescere, con la fede, la sicurezza nel possesso di questa salvezza ultima e definitiva» (Felipe F. Ramos).  
 
Vangelo
Vendi quello che hai e vieni! Seguimi!
 
Il brano evangelico si divide in tre parti: la prima descrive l’incontro di Gesù con un giovane ricco desideroso di ottenere la vita eterna; la seconda riporta una riflessione del Maestro a proposito delle ricchezze; la terza, Gesù, partendo da una domanda di Pietro, rivela i benefici spirituali riservati a quanti intendono seguirlo rinunciando ad ogni cosa, anche ai più naturali affetti familiari. Tre parti che in ogni caso sono unite da un unico tema: il serio pericolo che rappresentano le ricchezze per il possesso dei beni celesti.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,17-27
 
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».
Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».
I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
 
Parola del Signore.
 
Il giovane notabile ricco - Per Matteo il “tale” che si accosta a Gesù è un giovane (Mt 19,20.22) e per Luca un notabile, quindi una persona importante (Lc 18,18). Il giovane, agiato, molto ricco, osservante della Legge, cresciuto in un ambiente familiare molto religioso, certamente doveva nutrire buoni propositi. Lo suggeriscono la fretta con la quale va incontro a Gesù e il suo gettarsi in ginocchio davanti al giovane Rabbi di Nazaret.
A sentirsi chiamare ‘Maestro buono’, Gesù sembra reagire bruscamente rispondendo che solo Dio è buono. Con questa risposta Gesù non nega la sua divinità. Affatto, perché la conferma. Per san Beda significa che «la stessa unica e indivisibile Trinità ... è il solo unico Dio buono. Il Signore dunque non nega di essere buono, ma afferma di essere Dio; non dichiara di non essere il buon Maestro, ma testimonia che al di fuori di Dio nessun maestro è buono» (Comm. in Marci ev., III).
La domanda posta dal giovane ricco riflette la mentalità farisaica. Per salvarsi bastava ubbidire alla Legge di Mosè e alle tante, infinite prescrizioni legali, liturgiche, morali ad essa direttamente o indirettamente legate. Forse temeva che nel computo mancasse qualcosa. L’uomo è schietto, ma ha una mentalità legalista che lo tiene inevitabilmente lontano dalla fede. È deciso a tutto pur di arrivare al beato possesso, però, confrontandosi con il ‘Maestro buono’, non sa di giuocare su un campo minato.
La risposta di Gesù può sembrare ovvia, ma in verità vuol far uscire allo scoperto l’anonimo interlocutore. Il giovane nel rispondere è indubbiamente sincero, e lo sguardo di Gesù lo sottolinea (Marco ama soffermarsi sullo sguardo di Gesù: cf. 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11). Il giovane non mente perché «se fosse stato colpevole del reato di menzogna o di simulazione, certamente non si sarebbe detto di lui che Gesù lo amava dopo averlo guardato nell’intimo del cuore» (San Beda, ibidem).
Gesù, ottenuta la risposta che aveva sollecitato, indica al giovane quello che gli manca per raggiungere la vita eterna: la sequela cristiana perché solo in essa può trovare quello che cerca. E pone una condizione: abbandonare tutte le ricchezze.
È facile sentirsi a posto perché si osservano i comandamenti di Dio. Ma questo modo di ragionare apre l’uomo all’autosufficienza, alla tentazione di catturare Dio, di imporgli delle regole di comportamento: significa voler costringere Dio ad essere buono perché si osserva la Legge. Formalmente, senza mettere amore nei giudizi, carità nelle parole, misericordia nelle relazioni (cf. Mt 9,13). È il peccato originale dei farisei. Ragionando così il giovane notabile ricco sbaglia di molto.
Gesù non impone l’indigenza, ma l’abbandono fiducioso all’agire di Dio. La proposta addolora il giovane che sconcertato lascia il campo triste perché spudoratamente attaccato ai suoi beni.
Ma rimangono sconcertati anche i discepoli. Per il loro modo di pensare la ricchezza era una benedizione di Dio. Più si era buoni, più si era giusti e più Dio moltiplicava la ricchezza in figli, campi, servi, bestiame, denaro ... e sono ancora più sbigottiti quando le loro orecchie sentono che «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
In ebraico il termine ricchezza ha la stessa radice del termine fede che significa appoggiarsi, dare fiducia. Quindi, Gesù ha spostato il problema su un piano diverso: il dilemma della scelta del giovane non è fra ricchezza e povertà, ma fra ricchezza e Cristo stesso. La sacra Scrittura non condanna la ricchezza in se stessa, ma i ricchi disonesti (cf. Lc 6,24), né tanto meno considera la povertà di mezzi economici un bene in sé. Il vero problema sta nel fatto che la ricchezza, quando diventa un fine, quando diventa “un appoggio”, si sostituisce a Dio facendo precipitare nell’idolatria. La contrapposizione fra Dio e il denaro è quindi sul piano religioso e non sociale! È sul piano religioso in quanto si giunge a credere che la felicità derivi dal possesso delle cose e quindi dalle cose stesse. Il regno di Dio non si conquista assommando la Legge al conto corrente, ma seguendo risolutamente Gesù povero, casto, umiliato e obbediente alla volontà del Padre fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2,8).
Pietro torna sul discorso. Vuole essere assicurato sulla ricompensa. Lui ha lasciato tutto e adesso vuole sapere cosa gli toccherà come compenso.
Gesù rispondendo - in verità vi dico - si impegna solennemente nelle sue parole. La ricompensa, solo per coloro che lasciano tutto per il Vangelo, è già donata al presente. Quindi, il centuplo promesso non è solo per la vita futura. È già per adesso. La nuova famiglia è la Chiesa dove i discepoli del Cristo si trovano uniti da un mutuo aiuto e dalla carità. A questi beni si assommano le persecuzioni.
Non verranno mai meno i beni e non cesseranno le ostilità: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Soltanto nel futuro sarà donata la vita eterna. È solo a questo punto che Gesù risponde al giovane ricco.
È il percorso tracciato per ogni discepolo che vuole avere la vita eterna. Altre strade, o peggio ancora scorciatoie, non esistono. Ancora una volta nel messaggio evangelico si impone la radicalità.
 
La ricchezza - Genericamente la sacra Scrittura, in quanto abbastanza guardinga verso la ricchezza, invita a non attaccare ad essa il cuore «anche se abbonda» (Sal 62,11) perché «l’oro ha corrotto molti e ha fatto deviare il cuore dei re» (Sir 8,2).
Ed è sotto gli occhi di tutti come gli empi, la cui unica preoccupazione è quella di ammassare ricchezze (Sal 73,12), prosperano e forti della loro potenza economica scherniscono, parlano con malizia, minacciano dall’alto con prepotenza (Sal 73,8). La bramosia di denaro incattivisce l’uomo trascinandolo nel baratro della morte: «Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora» (Sal 49,15).
Sfumature negative che si devono addebitare alla convinzione che il desiderio sfrenato della ricchezza non è mai esente dal peccato: «Chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro per esso peccherà. Molti sono andati in rovina a causa dell’oro, il loro disastro era davanti a loro. È una trappola per quanti ne sono entusiasti, ogni insensato vi resta preso» (Sir 31,5-7).
La condanna della ricchezza poi è senza appello se diventa una sirena affascinante, se l’uomo poggia tutta la sua vita unicamente sul denaro. Se si fanno catturare da esso gli uomini condividono la stessa sorte delle bestie: «L’uomo nella prosperità non  comprende, è come gli animali che periscono» (Sal 49,13). Se per san Giovanni Crisostomo il denaro e il piacere sono la pietra d’inciampo che fa cadere gli uomini, per la Bibbia l’insonnia «per la ricchezza logora il corpo» (Sir 31,1).
Allora, si tratta di stoltezza, di una profonda incapacità nel gestire la potenza del denaro: una incapacità che fa assurgere il denaro a dio-padrone che tiranneggia l’uomo in ogni modo.
Ma il peggiore dei mali è l’apostasia. Quando il luccichio della ricchezza riesce a schiavizzare l’uomo lo rende idolatra spingendolo ad apostatare dalla vera fede. Per cui san Paolo può ben dire che l’attaccamento «al denaro è la radice di tutti i mali» in quanto «per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori» (1Tm 6,10).
Ma queste affermazioni, e tante altre, non devono far pensare che la Bibbia condanni tout court la ricchezza. In verità, essa condanna la passione per il denaro che inevitabilmente stravolge il cuore e il destino dell’uomo. Così, la «ricchezza è buona se è senza peccato» (Sir 13,24) ed è beato «il ricco, che si trova senza macchia e che non corre dietro all’oro» (Sir 31,8). E per il suo popolo Dio prepara un avvenire ricolmo di ricchezza e di benessere: farà scorrere verso di esso «come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli» (Is 66,12).
Per il Vangelo se «la vita di un uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15), nella parabola dei talenti Gesù premia il servo che sa far fruttare il denaro avuto in consegna e condanna il servo fannullone che restituisce al padrone la stessa somma che aveva ricevuto (Mt 25,14-30). Non è peccato, dunque, investire il proprio denaro purché il cuore resti libero e non si distolga lo sguardo dal cielo: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-2).
Per il Nuovo, come per il Vecchio Testamento, a impedire la salvezza non è il possesso della ricchezza, ma è il cuore dell’uomo quando trasforma il denaro in idolo dinanzi al quale prostrarsi (cf. Mt 6,24; Lc 16,13) perché è stoltezza guadagnare il mondo intero se poi si perde la propria vita (cf. Mc 8,36). In questa ottica, proprio perché le ricchezze costituiscono un potenziale pericolo, il consiglio di disfarsi dei propri beni e di praticare l’elemosina rimane in cima ai valori evangelici: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33-34).
 
L’insegnamento della Legge - Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 12, 5: La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: “Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”.
Quegli chiese: “Quali?”, e il Signore soggiunse: "“Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,17ss). Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti. Il giovane rispose: “Ho fatto tutto ciò” - e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi” (ib.). Con queste parole prometteva l’eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall’inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all’inizio, a liberarsi dall’antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: “Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo” (Lc 19,8).
 
Santo del giorno - 27 Maggio 2024 - Sant’Atanasio Bazzekuketta, Martire: Atanasio Bazzekuketta fa parte del gruppo - venerato oggi con la dizione Carlo Lwanga e compagni - di 22 martiri ugandesi. Questi furono uccisi in diverse fasi sotto il re Muanga, durante una persecuzione che costò la vita in poco più di un anno, dal novembre 1885 al febbraio 1887, a un centinaio di cristiani. Muanga e il predecessore, re Mutesa, avevano accolto favorevolmente l’annuncio del Vangelo da parte dei missionari Padri Bianchi. Ma l’erede, salito al trono, mutò tragicamente parere. Atanasio era il custode del regio tesoro e fu ucciso il 3 giugno del 1886 a soli 20 anni. Si offrì ai carnefici che durante una marcia di trasferimento dei cristiani imprigionati ne uccidevano uno a ogni crocicchio per incutere terrore agli altri. I martiri ugandesi sono stati beatificati nel 1920 da Benedetto XV e canonizzati nel 1964 da Paolo VI, che nel 1969 consacrò il santuario a loro dedicato nella località ugandese di Namugongo. (Avvenire)
 
Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.