25 Maggio 2024
 
Sabato della VII Settimana T. O.
 
Gc 5,13-20; Salmo Responsoriale 140 [141]; Mc 10,13-16
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Lasciate che i bambini vengano a me: Christifideles laici 47: I bambini sono certamente il termine dell’amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il Regno dei cieli (cfr. Mt 19,13-15; Mc 10,14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me” (Mt 18,3-5; cfr. Lc 9,48).
I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l’intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell’età dell’infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l’edificazione della Chiesa che per l’umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all’interno della famiglia “Chiesa domestica”: “I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori” (GS 48), dev’essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del XV secolo, per il quale “i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa” (Ioannis Gerson “De parvulis ad Christum trehendis: Oeuvres complete”, Declée, Paris 1973, IX, 669).    
 
I Lettura: Il cristiano sa valutare con sapienza lo scorrere della sua vita e sa accettarne con pazienza tutte le situazioni scandite ora dalla gioia ora dal  dolore. Nella malattia gode della solidarietà della Chiesa orante il cui frutto non è solo la guarigione, ma il perdono dei peccati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni gli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti: la confessione reciproca dei peccati unita alla preghiera è la regola generale di una comunità che cerca alacremente di crescere nel bene e di superare il male e gli ostacoli che impone. L’ultima nota sottolinea la responsabilità di ciascuno ad aiutare chi è nel peccato: “Quando un cristiano è strumento di conversione per un peccatore, il risultato è il perdono dei peccati e il reinserimento del peccatore) in una vita di grazia [cfr. Sal 32,1-2 (Settanta] e il suo uso in Rm 4,7-8] (Il Nuovo Testamento, Paoline).
 
Vangelo
Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso.
 
Gesù, nonostante l’ostruzionismo degli Apostoli, accoglie dei bambini che gli vengono presentati «perché li accarezzasse». Gesù acconsente e «prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva». Un gesto di tenerezza che rivela i sentimenti di Gesù verso i più piccoli, gli indifesi, verso coloro che nella società giudaica non contavano affatto. In questo gesto di profonda e sincera tenerezza c’è una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Se per l’ambiente giudaico solo l’adulto poteva raggiungere il regno di Dio perché capace di porre atti coscienti, nel magistero di Gesù invece lo si può solo ricevere, come dono gratuito, facendosi appunto bambini.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,13-16
In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono.
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».
E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 13 E gli presentavano dei fanciulli; è facile immaginare che non poche madri, spinte dal loro naturale affetto per i figli, desideravano che Gesù li toccasse con un gesto carezzevole e compiacente. Esse erano orgogliose di poter presentare i propri piccoli ad un Rabbi, tanto famoso per dottrina e bontà, perché avesse per loro un sorriso, un complimento ed una benedizione.
14 Gesù... s’indignò; soltanto Marco osserva che il Maestro risentito disapprovò la condotta dei discepoli. Probabilmente essi volevano allontanare da Cristo le madri ed i bimbi, perché desideravano che egli non fosse distratto nel suo insegnamento dalla presenza di questa folla chiassosa e vivace.
15 Il Salvatore, per altra via, viene incontro allo zelo intemperante dimostrato dai discepoli desiderosi di rimanere soli con lui per ascoltarlo; egli infatti approfitta della presenza di quei piccoli per indicare quali condizioni spirituali sono necessarie per accogliere il regno e per entrarvi. Egli considera due aspetti del regno: il primo è il regno-annunzio che è offerto in dono all’uomo con la predicazione (chi non riceverà il regno come un fanciullo); il secondo è il regno-società realizzata in terra, nella quale occorre entrare per salvarsi.
16 E, presili in braccio, li benediva; le mamme ottennero quello che desideravano. Marco soltanto segnala questi particolari che danno alla scena un colorito umano e suggestivo.
 
Léon Roy - 1. Dio e i bambini - Già nel Vecchio Testamento il bambino, a motivo stesso della sua debolezza e della sua imperfezione native, appare come un privilegiato di Dio, il Signore stesso è il protettore dell’orfano ed il vindice dei suoi diritti (Es 22,21ss; Sal 68, 6); egli ha manifestato la sua tenerezza paterna e la sua preoccupazione pedagogica nei confronti di Israele «quando era bambino», al tempo dell’uscita dall’Egitto e del soggiorno nel deserto (Os 11, 14).
I bambini non sono esclusi dal culto di Jahve, partecipano anche alle suppliche penitenziali (Gioe 2,16; Giudit 4,10s), e Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi (Sal 8,2s = Mt 21,16).
Lo stesso avverrà nella Gerusalemme celeste, dove gli eletti faranno l’esperienza dell’amore «materno» di Dio (Is 66,10-13). Già un salmista, per esprimere il suo abbandono fiducioso nel Signore, non aveva trovato di meglio che l’immagine del piccino che si addormenta sul seno della madre (Sal 131,2).
Più ancora, Dio non esita a scegliere taluni bambini come primi beneficiari e messaggeri della sua rivelazione e della sua salvezza: il piccolo Samuele accoglie la parola di Jahve e la trasmette fedelmente (1Sam 1-3); David è scelto a preferenza dei suoi fratelli maggiori (1Sam 16,1-13); il giovane Daniele si dimostra più sapiente degli anziani di Israele salvando Susanna (Dan 13,44-50).
Infine, un vertice della profezia messianica è la nascita di Emmanuel, segno di liberazione (Is 7,14ss); ed Isaia saluta il bambino regale che, assieme al regno di David, ristabilirà il diritto e la giustizia (9,1-6).
2. Gesù e i bambini - Non era perciò conveniente che, per inaugurare la nuova alleanza, il Figlio di Dio si facesse bambino? Luca ha notato con cura le tappe dell’infanzia così percorse: neonato del presepio (Lc 2,12), piccino presentato al tempio (2,27), bambino sottomesso ai genitori, e tuttavia misteriosamente indipendente da essi nella sua dipendenza dal Padre suo (2,43-51).
Fatto adulto, Gesù nei confronti dei bambini adotta lo stesso comportamento di Dio.
Come aveva dichiarato beati i poveri, cosi benedice i bambini (Mc 10,16), rivelando in tal modo che essi sono, gli uni e gli altri, atti ad entrare nel regno; i bambini simboleggiano i discepoli autentici, «il regno dei cieli appartiene a quelli che sono come loro» (Mt 19,14 par.). Di fatto si tratta di «accogliere il regno come bambini» (Mc 10,15), di riceverlo con tutta semplicità come un dono del Padre, invece di esigerlo come qualcosa di dovuto; bisogna «diventare come bambini» (Mt 18,3) ed acconsentire a «rinascere» (Gv 3,5) per accedere a questo regno. Il segreto della vera grandezza è «di farsi piccoli» come i bambini (Mt 18,4): questa è la vera umiltà, senza la quale non si può diventare figli del Padre celeste.
I veri discepoli sono precisamente i «piccolissimi», a cui il Padre ha voluto rivelare, come un tempo a Daniele, i suoi segreti nascosti ai sapienti (Mt 11,25s). D’altronde, nel linguaggio del vangelo, «piccolo» e «discepolo» sembrano talvolta termini equivalenti (cfr. Mt 10,42 e Mc 9,41). Beati coloro che accolgono uno di questi piccoli (Mt 18,5; cfr. 25,40), ma guai a chi li scandalizza o li disprezza (18,6.10).
 
Catechismo degli Adulti L’unzione e la sua efficacia salvifica [714] Secondo una prassi in atto fin dalle origini apostoliche e attestata dalla lettera di Giacomo, la cura dei malati da parte della Chiesa culmina in un rito speciale di natura sacramentale, l’unzione degli infermi: «Chi è malato, chiami a sé i presbìteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15). Questo testo presenta l’unzione dei malati come un evento di guarigione totale, con effetti spirituali e corporali.
Il sacramento è rimasto sempre vivo nella tradizione liturgica, sia in oriente che in occidente, ma con molte variazioni disciplinari e rituali. Il ministro è il sacerdote. Possono ricevere il sacramento i fedeli il cui stato di salute risulta seriamente compromesso per malattia o vecchiaia. Il conferimento del sacramento si può ripetere quando ve ne sia ragione. Non bisogna riservarlo ai soli moribondi né, d’altra parte, darlo indiscriminatamente a tutti gli anziani, compresi quelli in piena salute e vitalità. Il rito prevede che il ministro del sacramento applichi l’olio sulla fronte e sulle mani, perché l’uomo pensa e agisce, e pronunzi al tempo stesso la seguente formula: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. E, liberandoti dai peccati ti salvi e nella sua bontà ti sollevi». Particolarmente utili sono le celebrazioni comunitarie: sia per i malati, che avvertono intorno a sé la preghiera e l’amicizia della comunità, sia per la comunità, che riceve dai malati una testimonianza di fede, di generosità nel sacrificio e di libertà interiore nei confronti delle cose terrene, ed è oltretutto bisognosa di essere aiutata a superare la mentalità che spinge a celebrare l’unzione all’ultimo momento, in fretta e quasi di nascosto.
 
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 3: Chi è fisicamente sano, non ha bisogno delle cure dei medici; la buona salute, infatti, non esige lopera delle medicine. Coloro i quali, invece, sono afflitti da qualche malattia, sono soliti chiamare in aiuto i medici; impugnando come unarma il soccorso della loro scienza, essi tentano di scacciare, come fossero dei nemici, le malattie dai corpi. La scienza medica, in effetti, è di sollievo per il fisico ed escogita rimedi contro i malanni. Parimenti, coloro che hanno lanima sana, florida per religiosità, non hanno bisogno del farmaco di nessuna dottrina; al contrario, coloro che professano qualche empio insegnamento e hanno contratto le malattie delle dottrine profane, avendo per di più conseguito, con il trascorrere del tempo, lassuefazione alla malattia; ebbene, costoro hanno bisogno di molte cure, onde liberarsi da quella sostanza ostile e purificare la propria anima. Inoltre, essi necessitano di molte altre medicine che chiudano e ostruiscano, con il loro effetto, gli originari condotti della sostanza peccaminosa, placando altresì le colpevoli sofferenze.
 
Santo del giorno - 25 Maggio 2024 - San Gerio: Gerio, o Girio, era un nobile francese originario della Linguadoca, il quale lasciò tutti i suoi beni per vivere da eremita. Nato tra il 1270 e il 1274, per una serie di acquisizioni e cessioni territoriali della famiglia, divenne conte di Roccaforte. Volendo vivere da solitario, si recò con il fratello in una zona piena di caverne. Lì rimasero a lungo isolati per la piena di un fiume e furono due serpenti a salvarli, portando del pane. Recatisi nella vicina chiesa per la Messa, raccontarono il miracolo. Presto la notizia si diffuse e molta gente li cercava. Allora partirono col desiderio di recarsi in Palestina. Prima, però, vollero visitare Roma. Qui Gerio seppe che ad Ancona un sant’uomo, Liberio, voleva partire per Gerusalemme. Pensando di viaggiare con lui, andò nelle Marche. Ma a Tolentino si sentì male e morì nei pressi di Potenza Picena (allora Monte Santo), che lo venera come patrono. Il culto è stato confermato nel 1742. (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.