22 Maggio 2024
 
Mercoledì della VII Settimana T. O.
 
Gc 4,13-17; Salmo Responsoriale 48 [49]; Mc 9,38-40
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
L’uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il proprio prezzo- Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 20 Ottobre 2004): Un’ottusità profonda s’impadronisce dell’uomo quando s’illude di evitare la morte affannandosi ad accumulare beni materiali: non per nulla il Salmista parla di un «non comprendere» di impronta quasi bestiale. Il tema sarà, comunque, esplorato da tutte le culture e da tutte le spiritualità e sarà espresso nella sua sostanza in modo definitivo da Gesù che dichiara: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). Egli narra poi la famosa parabola del ricco insipiente, che accumula beni a dismisura senza immaginare l’agguato che la morte gli sta tendendo (cfr. Lc 12,16-21). La prima parte del Salmo è tutta centrata proprio su questa illusione che conquista il cuore del ricco. Costui è convinto di riuscire a «comprarsi» anche la morte, tentando quasi di corromperla, un po’ come ha fatto per avere tutte le altre cose, ossia il successo, il trionfo sugli altri in ambito sociale e politico, la prevaricazione impunita, la sazietà, le comodità, i piaceri. Ma il Salmista non esita a bollare come stolta questa pretesa. Egli fa ricorso a un vocabolo che ha un valore anche finanziario, «riscatto»: «Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine, e non vedere la tomba» (Sal 48,8-10). Il ricco, aggrappato alle sue immense fortune, è convinto di riuscire a dominare anche la morte, così come ha spadroneggiato su tutto e su tutti col denaro. Ma per quanto ingente sia la somma che è pronto ad offrire, il suo destino ultimo sarà inesorabile. Egli, infatti, come tutti gli uomini e le donne, ricchi o poveri, sapienti o stolti, dovrà avviarsi alla tomba, così come è accaduto anche ai potenti e dovrà lasciare sulla terra quell’oro tanto amato, quei beni materiali tanto idolatrati (cfr. vv. 11-12). Gesù insinuerà ai suoi ascoltatori questa domanda inquietante: «Che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?» (Mt 16,26). Nessun cambio è possibile perché la vita è dono di Dio, che «ha in mano l’anima di ogni vivente e il soffio d’ogni carne umana» (Gb 12,10).
 
I Lettura: Il brano di Giacomo vuol suggerire che la nostra vita e il nostro futuro non sono nelle nostre mani, ma in quelle del Signore, quindi nel fare progetti per il futuro è sapiente colui che li sottopone a una  condizione: se il Signore vorrà. Praticamente ogni progetto che non tiene conto della signoria di Dio è perverso. È perverso perché chi non fa entrare Dio nei suoi progetti è un borioso, un millantatore, un arrogante, uno che si vuole porre al di sopra di Dio. E ciò che è moralmente perverso è, per sua natura, peccato: Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato. La conclusione è scontata: colui che esclude Dio dalla sua vita commette peccato, un insegnamento che vale per i cristiani di tutti i tempi.
 
Vangelo
Chi non è contro di noi è per noi.
 
Giovanni nel pretendere l’esclusivo potere di cacciare i demoni si rivela settario, molto lontano da una mentalità di servizio. La comunità cristiana, «deve essere aperta a tutti, anche quanti sono al di là della cerchia visibile dei suoi, e deve saper distinguere: un conto è essere pro o contro il Maestro [Mt 12,30], un conto è non appartenere esplicitamente ai suoi discepoli» (F. Lambiasi).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,38-40
 
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
 
Parola del Signore.
 
Il comportamento nei confronti degli esterni 9,38-41 - Simone Stock (Marco): Giovanni, che è uno dei tre più vicini a Gesù (3,16-17; 5,37; 9,2; 14,33), racconta un’esperienza dei discepoli (9,38). Gesù corregge il loro comportamento al riguardo (9,39-41).
i discepoli non tacciono più, ma è Giovanni a volgersi a Gesù, raccontandogli l’esperienza che essi hanno avuta, come si sono comportati e che cosa li ha spinti a fare quel che hanno fatto. Essi hanno visto uno che, servendosi del nome di Gesù, ha scacciato demoni. Questa è cosa che fin dall’inizio fa parte dell’operare con potenza di Gesù (1,25.39 ecc.) e anche dei compiti a segnati ai Dodici (3,15; 6,7.13). Peraltro, proprio in questo ambito i discepoli hanno esperito la loro impotenza (9,18.28). Essi vogliono impedire che altri operino in questo senso, ritenendo che solo chi è seguace di Gesù e appartiene attivamente ed espressamente alla sua cerchia di discepoli possa anche operare in suo nome.
Gesù dà altri criteri di valutazione e corregge quello che è stato il comportamento dei discepoli. Essi non devono intervenire contro chi agisce così: là dove in nome e con il nome di Gesù si fa del bene, questo deve avvenire tranquillamente. Gesù non pretende che chi agisce così appartenga ai suoi discepoli. Egli pone questa correzione in un ambito più vasto. Egli considera positivo - e i discepoli devono adeguarsi -, il fatto che qualcuno si astenga dal parlare male di lui (9,39) si astenga dal comportarsi ostilmente contro di lui e contro i suoi discepoli (9,40). Dall’astenersi dal male Gesù passa a una minima azione positiva (cf. Mt 25,35) che viene resa ad essi nella coscienza della loro appartenenza a Cristo; per essa la ricompensa di Dio è sicura (9,41). Con ciò si dimostra di nuovo quanto Gesù e i discepoli siano legati a Dio; al tempo stesso si dimostra che la ricompensa di Dio raggiunge anche coloro che non fanno parte dei discepoli di Gesù. Ciò che presso Dio ha tanto valore, dev’essere riconosciuto anche da loro.
Il rapporto dei discepoli di Gesù con chi non è dei loro è un campo in cui sono possibili molti conflitti, che possono venire dai discepoli, o anche dagli altri. Gesù insegna concretamente ai discepoli come considerare questo rapporto e come agire in questo ambito. Con le aue parole iniziali ha indicato loro il grande metro di misura e il vasto compito che essi hanno davanti: essere gli ultimi di tutti e i servitori di tutti.
 
Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome - Werner Wiskirchen: Nel mito dei racconti dell’antichità, su prodigiosi “uomini divini” riluce la verità che il mondo e gli uomini hanno bisogno di essere salvati. Secondo Mc Gesù inizia la sua attività con una cacciata dei demoni. Il suo grido di araldo rivolto a Israele che annuncia l’immediata vicinanza della signoria di Dio nella sua persona è, nel contempo, grido di combattimento contro tutte le specie di demoni. “Se io scaccio i demoni con il dito di Dio (Mt: nello Spirito di Dio), è dunque giunto a voi il regno di Dio (Lc 11,20).
Gesù possiede lo Spirito santo puro e caccia i forti spiriti impuri dalla loro casa, dal momento che è più forte di loro. I demoni si manifestano soprattutto come causa di malattia e possessione. Per mezzo della cacciata dei denoni Dio diventa Signore su Satana.
Satana, in quanto falso signore, tortura e schiavizza la creazione buona. Ciò si manifesta, secondo il modo di vedere di quel tempo, anche nelle catastrofi naturali, cosicché i miracoli sulla natura di Gesù traggono da qui il loro significato. Gesù vuole riportare la creazione allo stato iniziale di bontà. La salvezza abbraccia l’uomo intero visto nel suo mondo, quindi anche la corporeità. Agli occhi di Gesù ogni uomo è un malato in cerca di guarigione. Il potere di Gesù di cacciare i demoni è uno dei più impotanti punti di partenza prepasquali per il titolo “Figlio di Dio”. La lotta di Gesù contro i demoni viene continuata dai discepoli (Mc 6,7) e dalla comunità (At 19,11-17). La potenza universale della superstizione e della falsa sapienza, la degenerazione della potenza politica e la sua trasfigurazione cultuale (cf. At 13,lss) sono segni escatologici dell’impotente furore di Satana, il quale sa “che gli resta poco tempo” (Ap 12,12). La cacciata dei demoni a spettro universale è necessaria. La chiesa è forte soltanto nel nome di Gesù.
 
I Vangeli, in molte occasioni, non temono di mettere in evidenza i limiti caratteriali e le povertà intellettuali e spirituali degli Apostoli. Così, la richiesta da parte del discepolo che «Gesù amava» di mettere a regime lo Spirito Santo denuncia apertamente una mentalità gretta, tribale, non plasmata ancora dallo Spirito Santo. Giovanni è l’apostolo che aveva chiesto a Gesù, per sé e per suo fratello Giacomo, i primi posti nel Regno celeste (Mc 10,35-40). E sempre loro due chiederanno a Gesù di incenerire i Samaritani il cui unico torto era stato quello di non aver voluto accogliere il Maestro (Lc 9,54). Tutto questo, oltre a far capire con quale pasta Gesù costruì la sua Chiesa, al dire di molti autori, è un’ulteriore prova della veridicità dei racconti evangelici. Quella di Giovanni, in pratica, è la richiesta di ottenere il monopolio della potenza del nome di Gesù. La risposta del Maestro sgombra il campo da ogni dubbio: di questa potenza i discepoli non sono i padroni; essa è data da Dio e solo Dio ne dispone i tempi e i modi e l’avvenuto miracolo attesta che chi l’ha operato ha agito con corretta intenzione: «non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me». Dovremmo, quindi, imparare bene la lezione e ricordare che “ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (Gc 1,17): «il dono dei miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue» (1Cor 12,28). L’intransigenza dell’apostolo Giovanni denuncia la gretta mentalità di tutti coloro che pretendono di ingabbiare lo Spirito Santo o di possedere in esclusiva il potere carismatico del Cristo. Una pretesa in certi circoli ecclesiali assai viva e molta marcata.
 
Non glielo impedite: «Lo stesso concetto ripete il dotto Apostolo: “Purché Cristo sia in ogni modo annunziato, per dispetto o con lealtà, io di questo godo e godrò!” [Fil 1,18]. Ma anche se egli s’allieta per coloro che annunziano Cristo in modo non sincero e, poiché fanno di conseguenza talvolta miracoli per la salvezza degli altri, consiglia che non ne vengano impediti, tuttavia costoro per tali miracoli non possono sentirsi giustificati; anzi, in quel giorno in cui diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato in nome tuo, e non abbiamo scacciato i demoni nel tuo nome, e nel tuo nome non abbiamo compiuto molti miracoli?”, essi riceveranno questa risposta: “Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me voi che operate l’iniquità” [Mt 7,22-23]. Perciò, per quanto riguarda gli eretici e i cattivi cattolici, dobbiamo solennemente respingere non quelle credenze e quei sacramenti che essi hanno in comune con noi e non contro di noi, ma la scissione che si oppone alla pace e alla verità, per la quale essi sono contrari a noi e non seguono in unità con noi il Signore» (Beda il Venerabile, In Evang. Marc, 9,38-43).
 
Il santo del giorno - 22 Maggio 2024 - Santa Rita da Cascia. L’ostinazione del bene cambia le vite e la storia: L’ostinazione del bene produce miracoli, converte i cuori e cambia la storia: è questa resistenza dell’umiltà che ci viene testimoniata da santa Rita da Cascia, la «santa degli impossibili». E impossibile, infatti, poteva sembrare l’intento di cambiare il cuore del marito, ma con umile determinazione e la forza del Vangelo Rita ci riuscì. Nata a Roccaporena nel 1381, figlia unica, Margherita Lotti - questo il suo nome di Battesimo - per volontà della famiglia fu destinata al matrimonio con un uomo violento. La pazienza e l’amore della moglie lo cambiarono, ma la sua vita alla fine fu spezzata dalla violenza: morì assassinato. Morti anche i due figli di malattia, Rita, che convinse la famiglia del marito a non vendicarsi, decise di seguire il desiderio giovanile entrando nel monastero dell’Ordine di Sant’Agostino a Cascia. Qui visse per quarant’anni nella preghiera e nella penitenza e dedicandosi a opere di carità. Nel 1432, dopo aver chiesto in preghiera di essere unita alla Passione di Cristo, le apparve sulla fronte una ferita, come quelle della corona di spine di Gesù. Morì nel 1447 (o forse nel 1457). (Matteo Liut)
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.