21 Maggio 2024
 
Martedì VII Settimana T. O.
 
Gc 4,1-10; Salmo Responsoriale dal Salmo 54 (55); Mc 9,30-37
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete - Catechismo della Chiesa Cattolica  2737: “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri” (Gc 4,2-3). Se noi chiediamo con un cuore diviso, adultero, Dio non ci può esaudire, perché egli vuole il nostro bene, la nostra vita. “O forse pensate che la Scrittura dichiari invano: fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi?” (Gc 4,5). Il nostro Dio è “geloso” di noi, e questo è il segno della verità del suo amore. Entriamo nel desiderio del suo Spirito e saremo esauditi: “Non rammaricarti se non ricevi subito da Dio ciò che gli chiedi; egli vuole beneficiarti molto di più, per la tua perseveranza nel rimanere con lui nella preghiera”. Egli vuole “che nella preghiera si eserciti il nostro desiderio, in modo che diventiamo capaci di ricevere ciò che egli è pronto a darci”.
 
I Lettura: La prima lettura è una condanna netta dell’egoismo, fonte malefica dalla quale nascono litigi e contese. Nei versetti 4-5 non si condanna il mondo creato da Dio, ma il mondo degli uomini, e il loro amore disordinato per il mondo: Chi vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. Con linguaggio forte “ispirato alla tradizione profetica, Giacomo invita a resistere all’idolatria mondana, mantenendo fedeltà all’amore sponsale di dell’unico Dio” (Elena Bosetti).
Infine, due consigli. Il primo è quello di sottomettersi a Dio, e il secondo di non dire male dei fratelli.
 
Vangelo
Il Figlio dell’uomo viene consegnato. Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti.
 
Gesù non vuole che la sua morte orrenda, maledetta dalla Legge (Gal 3,13; cfr. Dt 21,23), colga gli Apostoli impreparati. Non vuole che la sua morte frantumi la loro debole fede. Non vuole che la sua morte, a motivo della loro estrema debolezza, possa gettarli tra gli artigli di satana (cfr. Lc 22,31). Vuole che la sua morte sia invece un messaggio di speranza, una porta spalancata sulla vita. Ecco perché vuol stare solo con i suoi discepoli: li vuole istruire fin nei più minuti dettagli perché comprendano, perché accettino la volontà del Padre. Ma per accogliere gli insegnamenti di Gesù i discepoli devono farsi l’ultimo di tutti e il servitore di tutti.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,30-37
 
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».
Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande.
Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
 
Parola del Signore.
 
La Chiesa non è un duplicato della società civile - José Maria González-Ruiz (Marco in Commento della Bibbia Liturgica): Questo secondo annunzio della passione è più deciso che il primo (8,31). Qui non è detto espressamente chi saranno gli autori del cristicidio e, appunto per questo, ci fa pensare alla misteriosa intenzione di Dio che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi (Rm 8„32). Tuttavia i discépoli sono ancora incapaci di comprendere e manifestano la loro incapacità attraverso un certo complesso d’inferiorità e di timore, che impedisce loro di chiedere a Gesù ulteriori spiegazioni. L’evangelista dice espressamente che «avevano timore», forse perché conoscevano bene il temperamento di Gesù e, allo stesso tempo, erano coscienti della loro cecità.
L’incomprensione dei discepoli aveva radici profonde. Effettivamente come si spiega che i discepoli non comprendevano?
L’evangelista ci presenta il motivò profondo della loro mancanza d’intelligenza. Essi sapevano che Gesù intendeva fondare una comunità di cui essi erano gli elementi fondatori; e, fin da allora, essi presero a immaginare l’organizzazione della nuova comunità messianica. Pensare alla formazione della comunità non era fuori posto; e non è questo il motivo del rimprovero che Gesù rivolge loro.
Essi discutevano del primato nella comunità. Gesù non dice che in essa non vi debba essere un « primo », ma vuol far sapere ai suoi discepoli che, nella nuova comunità, il primo posto è quello del servizio e dell’umiltà. Per illustrare il suo insegnamento Gesù prende un bambino, lo stringe fra le sue braccia e lo pone in mezzo a loro dicendo: «chi accoglie uno di questi bambini, in mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Sui bambini non si può esercitare un’autorità che non sia quella del servizio e dell’umiltà. Gesù stesso e il Padre si sentono rappresentati dai bambini. Ma i membri della comunità hanno questo incarico specifico: devono rappresentare Gesù e il Padre. Esigendo che il « primo » sia il servo di tutti. Gesù non impone a un uomo la sottomissione all’altro, poiché i membri della comunità che il «primo» deve servire sono i rappresentanti di Gesù e del Padre.
Questo è il motivo dialettico dell’ecclesiologia del Nuovo Testamento: vi dovrà essere una comunità, un’organizzazione e anche un’autorità; ma le regole del gioco comportano un cambiamento radicale dei concetti-base che, fino a quel momento, avevano guidato la sociologia profana e religiosa.
Qualsiasi ecclesiologia che si ispira ai criteri civili, sia trasformando la Chiesa in una società civile, sia opponendosi alla società civile già esistente, si allontana da quest’immagine essenziale del Nuovo Testamento. In buona ecclesiologia, non si dovrebbe parlare di accordo e di disaccordo fra le « due potestà », perché la Chiesa non dev’essere tale.
 
Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome … - Léon Roy (Bambino in Dizionario di Teologia Biblica): Come tutti i popoli sani, Israele vede nella fecondità un segno della benedizione divina: i bambini sono «la corona degli anziani» (Prov 17, 6), i figli sono «rampolli di olivi attorno alla mensa» (Sal 128, 3). Tuttavia, a differenza di taluni moderni, gli autori biblici non dimenticano che il bambino è un essere incompiuto e sottolineano l’importanza di una ferma educazione: la stoltezza è stretta al suo cuore (Prov 22, 15), il capriccio è la sua legge (cfr. Mt 11, 16-19), e per non lasciarlo in balia di tutti i venti (Ef 4, 14) bisogna tenerlo sotto tutela (Gal 4, 1 ss). Di fronte a queste constatazioni sono tanto più notevoli le affermazioni bibliche sulla dignità religiosa del bambino.
I. DIO ED I BAMBINI Già nel VT il bambino, a motivo stesso della sua debolezza e della sua imperfezione native, appare come un privilegiato di Dio. Il Signore stesso è il protettore dell’orfano ed il vindice dei suoi diritti (Es 22, 21 ss; Sal 68, 6); egli ha manifestato la sua tenerezza paterna e la sua preoccupazione pedagogica nei confronti di Israele «quando era bambino», al tempo dell’uscita dall’Egitto e del soggiorno nel deserto (Os 11, 14). I bambini non sono esclusi dal culto di Jahvè, partecipano anche alle suppliche penitenziali (Gioe 2, 16; Giudit 4, 10 s), e Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi (Sal 8, 2 s = Mt 21, 16). Lo stesso avverrà nella Gerusalemme celeste, dove gli eletti faranno l’esperienza dell’amore «materno» di Dio (Is 66, 10-13). Già un salmista, per esprimere il suo abbandono fiducioso nel Signore, non aveva trovato di meglio che l’immagine del piccino che si addormenta sul seno della madre (Sal 131, 2). Più ancora, Dio non esita a scegliere taluni bambini come primi beneficiari e messaggeri della sua rivelazione e della sua salvezza: il piccolo Samuele accoglie la parola di Jahvè e la trasmette fedelmente (1 Sam 1 -3); David è scelto a preferenza dei suoi fratelli maggiori (1 Sam 16, 1-13); il giovane Daniele si dimostra più sapiente degli anziani di Israele salvando Susanna (Dan 13, 44-50). Infine, un vertice della profezia messianica è la nascita di Emmanuel, segno di liberazione (Is 7, 14 ss); ed Isaia saluta il bambino regale che, assieme al regno di David, ristabilirà il diritto e la giustizia (9, 1-6).
II. GESÙ ED I BAMBINI Non era perciò conveniente che, per inaugurare la nuova alleanza, il Figlio di Dio si facesse bambino? Luca ha notato con cura le tappe dell’infanzia così percorse: neonato del presepio (Lc 2, 12), piccino presentato al tempio (2, 27), bambino sottomesso ai genitori, e tuttavia misteriosamente indipendente da essi nella sua dipendenza dal Padre suo (2, 43-51). Fatto adulto, Gesù nei confronti dei bambini adotta lo stesso comportamento di Dio. Come aveva dichiarato beati i poveri, così benedice i bambini (Mc 10, 16), rivelando in tal modo che essi sono, gli uni e gli altri, atti ad entrare nel regno; i bambini simboleggiano i discepoli autentici, «il regno dei cieli appartiene a quelli che sono come loro» (Mt 19, 14 par.). Di fatto si tratta di «accogliere il regno come bambini» (Mc 10, 15), di riceverlo con tutta semplicità come un dono del Padre, invece di esigerlo come qualcosa di dovuto; bisogna «diventare come bambini» (Mt 18, 3) ed acconsentire a «rinascere» (Gv 3, 5) per accedere a questo regno. Il segreto della vera grandezza è «di farsi piccoli» come i bambini (Mt 18, 4): questa è la vera umiltà, senza la quale non si può diventare figli del Padre celeste. I veri discepoli sono precisamente i «piccolissimi», a cui il Padre ha voluto rivelare, come un tempo a Daniele, i suoi segreti nascosti ai sapienti (Mt 11, 25 s). D’altronde, nel linguaggio del vangelo, «piccolo» e «discepolo» sembrano talvolta termini equivalenti (cfr. Mt 10, 42 e Mc 9, 41). Beati coloro che accolgono uno di questi piccoli (Mt 18, 5; cfr. 25, 40), ma guai a chi li scandalizza o li disprezza (18, 6. 10).
 
Andrea Mariano Magrassi (Umiltà in Dizionario di Mistica): L’umiltà, spesso, è la virtù meno conosciuta e meno apprezzata. Il suo opposto, che è l’orgoglio, sembra il sovrano di questo mondo con un dominio quasi incontrastato. Contro di esso, però, sta la parola del Signore, tagliente come una spada: “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). E un principio generale che presenta coordinate al rovescio. E già l’AT ne aveva avuto l’intuizione: “Quanto più sei grande, tanto più umiliati” (Sir 3,18).
Fondamento dell’umiltà - Più esplicitamente come radicare nel cuore questo atteggiamento così contrario al movimento istintivo dell’orgoglio? Da tutta la Bibbia viene una risposta convergente: si diventa umili, collocandosi davanti a Dio.
L’umiltà nasce dal senso di Dio, e questo lo può avere solo chi si mette in rapporto personale con lui. Bisogna aprire gli occhi sulla sua gloria. Allora accadono tre cose: 1. Anzitutto si sperimenta il proprio nulla. Non si tratta di negare il bene che c’è in noi. L’umiltà è verità, non ipocrisia. Si tratta di riferirlo al suo vero Autore: “Ogni dono viene dall’alto, discende dal Padre della luce” (Gc 1,17). “E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?”, aggiunge s. Paolo (1 Cor 4,7). Si scopre che Dio è la fonte unica del bene: e l’uomo è una mano vuota tesa verso di lui per essere colmata. Da noi non abbiamo nulla. Perciò, l’orgoglio è una forma pratica di ateismo. 2. In secondo luogo, davanti al Santo ci si scopre “venduti al peccato”. E così che reagisce Isaia al canto dei serafini, che proclamano il Dio tre volte Santo: “Guai a me, perché un uomo dalle labbra impure io sono, e i miei occhi hanno visto il Dio vivente” (Is 6,5). Allo stesso modo reagisce Pietro dinanzi alla potenza di Gesù, che si rivela nella pesca miracolosa: “Allontanati da me, che sono un uomo peccatore” (Lc 5,8). La gloria di Dio non rivela solo il suo volto, ma anche l’impurità dello sguardo umano che lo contempla. 3. Nasce allora un atteggiamento di fiducia totale in Dio, e in Dio solo, che diventa apertura alla grazia. A questo punto Dio mobilita per l’umile la sua potenza, non per l’orgoglioso, perché questi attribuirebbe a sé le “meraviglie” che Dio opera in lui, oscurando così la gloria del Signore.
 
Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti - Gregorio di Nissa (Fine, professione e perfezione del cristiano): La coesione innocente . Nessun orgoglio sia visibile in voi; al contrario, la semplicità, la concordia e la schiettezza tengano insieme il coro. Ognuno si convinca di essere inferiore non solo al confratello che vive con lui ma ad ogni altro uomo (cf. Gal 5,13-14): se riconoscerà questo, sarà veramente discepolo di Cristo.
 
Il Santo del giorno - 21 Maggio 2024 - San Eugenio Mazenod, Vescovo: Nato ad Aix in Provenza il 1° agosto 1782 figlio di una nobile famiglia, Carlo Giuseppe Eugenio Mazenod trascorre la sua gioventù in Italia, esule della rivoluzione francese. Torna in patria nel 1802, sei anni più tardi, entra nel Seminario di San Sulpizio a Parigi e viene ordinato sacerdote ad Amiens nel 1811. Torna ad Aix e qui, nel 1816, fonda la Società dei missionari di Provenza che più tardi si chiameranno Oblati di Maria Immacolata. Nominato vicario della diocesi di Marsiglia e poi vescovo nel 1837. Fedele ai suoi ideali, attua pienamente il suo motto: «Mi ha mandato per evangelizzare i poveri». Muore il 21 maggio 1861, lasciando in testamento agli Oblati che lo circondavano queste parole: «Praticate tra voi la carità, la carità, la carità e al di fuori lo zelo per la salvezza delle anime».
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.