7 APRILE 2024
 
II DOMENICA DI PASQUA
 
At 4,32-37; Salmo Responsoriale Dal Salmo 117 (118); 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31
 
Colletta
O Padre, che in questo giorno santo
ci fai vivere la Pasqua del tuo Figlio,
fa’ di noi un cuore solo e un’anima sola,
perché lo riconosciamo presente in mezzo a noi
 e lo testimoniamo vivente nel mondo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
... non essere incredulo - Giovanni Paolo II (Omelia, 19 Agosto 2000)[...] il Cenacolo di Gerusalemme fu per gli Apostoli una sorta di “laboratorio della fede”. Nel Cenacolo ci troviamo di fronte ad una dialettica della fede e dell’incredulità più radicale e, allo stesso tempo, di fronte ad una ancor più profonda confessione della verità su Cristo. Non era davvero facile credere che fosse nuovamente vivo Colui che avevano deposto nel sepolcro tre giorni prima.
Il Maestro divino aveva più volte preannunciato che sarebbe risuscitato dai morti e più volte aveva dato le prove di essere il Signore della vita. E tuttavia l’esperienza della sua morte era stata così forte, che tutti avevano bisogno di un incontro diretto con Lui, per credere nella sua resurrezione: gli Apostoli nel Cenacolo, i discepoli sulla via per Emmaus, le pie donne accanto al sepolcro... Ne aveva bisogno anche Tommaso. Ma quando la sua incredulità si incontrò con l’esperienza diretta della presenza di Cristo, l’Apostolo dubbioso pronunciò quelle parole in cui si esprime il nucleo più intimo della fede: Se è così, se Tu davvero sei vivo pur essendo stato ucciso, vuol dire che sei “il mio Signore e il mio Dio”.
Con la vicenda di Tommaso, il “laboratorio della fede” si è arricchito di un nuovo elemento. La Rivelazione divina, la domanda di Cristo e la risposta dell’uomo si sono completate nell’incontro personale del discepolo col Cristo vivente, con il Risorto. Quell’incontro divenne l’inizio di una nuova relazione tra l’uomo e Cristo, una relazione in cui l’uomo riconosce esistenzialmente che Cristo è Signore e Dio; non soltanto Signore e Dio del mondo e dell’umanità, ma Signore e Dio di questa mia concreta esistenza umana. Un giorno san Paolo scriverà: “Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 8-9).
 
Prima Lettura: La comunanza totale dei beni, la povertà e l’insistenza sulla spogliazione effettiva delle ricchezze è una caratteristica dell’opera lucana. Che gli Apostoli rendevano testimonianza con grande forza sta ad indicare anche il loro potere di far miracoli. Questi ultimi servivano a confermare dinanzi al popolo l’annuncio evangelico. Sarà proprio lo stile di vita improntato all’essenziale, la comunione dei beni e il potere di fare miracoli a rendere i credenti bene accetti al popolo giudaico.
 
II Lettura: Chi ama Dio non può non amare i figli di Dio. L’amore di Dio si realizza mediante l’amore del prossimo, che diventa il criterio della sua sincerità (Cf. 1Gv 3,14.17-19; 4,20). L’espressione è venuto con acqua e sangue sta a ricordare l’acqua e il sangue che fluirono dal fianco di Gesù, quando fu aperto dalla lancia. Molti autori hanno visto nell’acqua il simbolo del battesimo, nel sangue quello dell’eucaristia. Per cui, si può ben affermare che dal fianco aperto del Cristo vengono all’umanità i segni sacramentali in cui la Chiesa trova la sua nascita e la sua crescita.
 
Vangelo
 
Una pagina densissima. Viene sottolineato, con molto pathos, il dono della pace. L’apostolo Tommaso assurge a modello di incredulità e di fede. Ed è evidenziato anche il fine che Giovanni s’è proposto scrivendo il suo Vangelo: è stato redatto affinché gli uomini credano che Gesù è il Messia, il Cristo annunziato nell’Antico Testamento dai profeti; il Figlio di Dio, e così, credendo questa verità, salvarsi e avere «la vita nel suo nome». Il brano evangelico odierno è composto di tre parti: prima apparizione di Gesù agli Apostoli con l’invio in missione (vv. 19-23), seconda apparizione con la presenza di Tommaso, il discepolo incredulo (vv. 24-29); prima conclusione del Vangelo (vv. 30-31). Oggi, il Risorto, oltre la pace, dà ai suoi amici (Cf. Gv 15,15) tre doni: il dono della missione; l’esaltante mandato di portare a tutti gli uomini la Buona Notizia; il dono dello Spirito Santo, che trasformerà i discepoli in nuove creature; il potere di perdonare i peccati.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,19-31 
 
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
 
Parola del Signore.
 
La sera di quel giorno, il primo della settimana - Gesù entra a porte chiuse poiché gode delle qualità dei corpi gloriosi: il corpo di Gesù «non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, poiché la sua umanità non può essere trattenuta sulla terra e ormai non appartiene che al dominio divino del Padre. Anche per questa ragione Gesù è sovranamente libero di apparire come vuole: sotto l’aspetto di un giardiniere e “sotto altro aspetto”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 645).
L’entrare a porte chiuse, il fermarsi in mezzo agli apostoli e il parlare con loro, sono particolari che vogliono dire che Gesù è vivo, ma possiede una vita nuova, diversa. Egli è risorto non come la figlia di Giairo o come il giovane di Naim, o come Lazzaro: le risurrezioni di costoro erano «avvenimenti miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una vita terrena “ordinaria”. Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo. La risurrezione di Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un’altra vita al di là del tempo e dello spazio. Il corpo di Gesù è, nella risurrezione, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è “l’uomo celeste” [Cf. 1Cor 15,35-50]» (Catechismo della Chiesa Cattolica 646).
La pace che Gesù dona agli Apostoli è il dono che i profeti avevano annunciato per il tempo escatologico (Cf. Is 9,6; 52,7; Zac 9,10; Mic 5,9). Nella Sacra Scrittura avere pace significa vivere bene, senza danno, perfettamente, qui «però acquista un carattere nuovo di compimento messianico-salvifico con la morte-risurrezione di Gesù. Non è un augurio, ma l’asserzione di un fatto attuale [escatologia realizzata]» (Adalberto Sisti).
Mostrò loro le mani...Giovanni per ben tre volte, nel raccontare le apparizioni agli Apostoli, fa riferimento esplicito ai segni della passione (Cf. Gv 20,20.25.27): «il Risorto è Gesù di Nazaret, crocifisso e trafitto dalla lancia del soldato romano. Con la risurrezione però l’umanità del Cristo è resa partecipe della gloria della divinità» (Salvatore Alberto Panimolle).
Gioirono al vedere il Signore: la gioia è un dono ineffabile che scaturisce dal cuore misericordioso di Dio (Cf. Sal 65,9; Lc 1,47). Nelle lettere paoline spesso si trova l’esortazione alla gioia: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). La vera gioia donata da Dio non è passeggera (Cf. Lc 16,19) ed è indipendente dalle circostanze esterne (Cf. 2Cor 7,4). La gioia cristiana costituisce uno status permanente che plasma, fisicamente e psicologicamente, il beneficiario. Anche nella prova, nella lotta, nella sofferenza, nella tortura, nella persecuzione il discepolo è sempre immerso nella gioia.
Al dono della pace segue il conferimento della missione che avviene in un clima di serenità e di allegrezza, come in un’assemblea liturgica. Nei Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), questo mandato si fa più forte, più esplicito, facendo chiaramente intendere che il destinatario di questa missione è il mondo intero: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). La salvezza rivolta prima al popolo di Israele (Cf. Mt 10,5ss.; 15,24), come esigeva il piano divino, deve essere offerta ora a tutte le nazioni.
La missione degli Apostoli è prolungamento della missione di Cristo e in essa trova fondamento: con lo stesso incarico e fine con cui il Padre ha inviato il Figlio, Egli manda gli Apostoli, in modo tale che quanto essi faranno proverrà da lui e procederà dalla più intima unione tra lui che manda e gli Apostoli che sono inviati.
Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi: l’avverbio come «ricorre frequentemente in Giovanni, ed esprime similitudine e causalità nello stesso tempo. Nel contesto, perciò, si vuol dire allora che nella “missione degli Apostoli continua la stessa missione salvifica di Cristo: per l’opera degli Apostoli la salvezza arriverà a tutti gli uomini! Al tempo di Cristo succederà “il tempo della Chiesa”, che vive anch’essa ed opera nella luce e nella potenza della risurrezione» (Settimio Cipriani).
Gli Apostoli dovranno trasmettere il messaggio di Gesù, testimoniando il Vangelo della salvezza che si è realizzata nella sua morte e risurrezione e si comunica a chi accetta Gesù con la fede e il battesimo, diventando suo discepolo. A sostegno di questa missione evangelizzatrice c’è la garanzia dell’assistenza dello Spirito (Cf. Gv 15,26).
Soffiò, forse intenzionalmente l’evangelista Giovanni vuol ricordare Genesi 2,7, dove Dio alita sul primo uomo e gli dona la vita. Lo stesso verbo insufflare lo troviamo in Ezechiele 37,9 per descrivere la nuova vita delle ossa aride. Quindi, il soffio di Gesù simbolizza lo Spirito (in ebraico soffio) che Egli manda, principio della nuova creazione.
Lo Spirito Santo abitando nel cuore del credente, come in un tempio, lo conduce, non solo alla conoscenza dell’amore del Padre e al compimento della sua volontà, ma alla conoscenza di Cristo e all’impegno della sua sequela. Lo Spirito Santo ricorderà ai discepoli tutto ciò che Cristo ha detto e fatto, gli renderà testimonianza e, come maestro interiore, condurrà gli uomini alla verità tutta intera. Inoltre, abilita i discepoli al compimento della loro particolare missione al servizio della rivelazione della salvezza conferendo particolari doni: una Chiesa «che cammina con lo Spirito è invitata a prendere coscienza dei doni dello Spirito, doni comunitari e personali. Anche in questo c’è il rischio della genericità. Questi doni invece sono precisi secondo le persone, i tempi e i luoghi. Lo Spirito realizza l’unità non l’uniformità, l’allivellamento» (P. Antonio Di Masi).
Infine, Gesù dona lo Spirito Santo perché il suo possesso è necessario per la salvezza: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5; Cf. Rom 8,9; 1Cor 12,3).
Una condizione unica di assoggettamento o meglio di immersione in Colui che dona la libertà, la gioia, la pace, la vita eterna.
Al dono dello Spirito Santo segue il potere di perdonare i peccati o di non perdonarli: un potere che viene esercitato nel nome di Gesù, così come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Dio solo perdona i peccati. Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: “Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” [Mc 2,10] ed esercita questo potere divino: “Ti sono rimessi i tuoi peccati” [Mc 2,25]. Ancor di più: in virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini affinché lo esercitino nel suo nome» (1441).
Perché questo potere? Perché il peccato è odio, tristezza, incredulità, divisione; è profonda separazione dall’Amore e Gesù è venuto a riconciliare gli uomini con il Padre, per cui non poteva non affidare alla sua Chiesa una missione che continuasse nel tempo la sua opera di riconciliazione.
L’episodio di Tommaso serve a formulare una beatitudine rivolta alle generazioni future, le quali crederanno ponendo la loro fiducia nella Parola di Dio e nella testimonianza di tutti coloro che hanno visto. Se molti, indossando i panni dell’Apostolo incredulo, hanno cercato di sconfessare la risurrezione di Gesù, essa rimane, nonostante tutto, un «evento reale e storico: una nuova unione del corpo e dell’anima di Gesù. Ma essendo una risurrezione gloriosa [diversa da quella di Lazzaro], ossia un fatto che supera tutto ciò che possiamo conoscere in questa vita, e dunque tale da oltrepassare i limiti dell’esperienza sensibile, è necessario un aiuto speciale di Dio - il dono della fede - per conoscere e accogliere in modo certo questo evento, che è in pari tempo storico e naturale» (La Bibbia di Navarra).
L’epilogo del quarto vangelo puntualizza lo scopo di quest’opera giovannea: suscitare o accrescere la fede in Gesù, Messia e Figlio di Dio. In questo modo si dà all’affermazione un fine missionario per il Vangelo di Giovanni. Un «piccolo numero di manoscritti antichi legge “continuate a credere”, suggerendo che i lettori siano cristiani la cui fede dev’essere rafforzata tramite questo libro [Cf. 19,35]» (Il Nuovo Testamento, Ed. Paoline).
Un augurio che la Chiesa, oggi, rivolge a tutti i credenti e a tutti gli uomini.
 
«Beati coloro che non avendo visto crederanno!» - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni Vol. III): Le ultime parole di Gesù riportate nel vangelo autenticamente giovanneo (Gv 20,29) costituiscono il vertice della scena drammatica delle apparizioni del Cristo risorto ai discepoli. Con queste espressioni il Maestro proclama beata la condizione dei suoi futuri seguaci che crederanno senza averlo visto, fidandosi solo della parola dei testimoni oculari. In realtà per il quarto evangelista, la fede pura non si fonda sui segni, anche se da essi può essere suscitata o approfondita.
La rivelazione del Cristo dovrebbe bastare ad aprire il cuore e la mente all’azione del Padre che attrae l’uomo verso il Figlio suo. La parola del Rivelatore escatologico costituisce una garanzia più che sufficiente per credere nella sua persona divina. L’adesione di fede al Signore Gesù non dovrebbe basarsi sui miracoli, anche se essa costituisce un ossequio razionale.
Il messaggio di questa beatitudine evangelica riveste un significato particolarmente attuale ai nostri giorni, perché oggi tanti cristiani fondano la fede su pretese apparizioni della Madonna o dei santi, perciò vanno in cerca del prodigioso. Spesso in questi ultimi decenni è stato dato tanto risalto a messaggi celesti per il popolo di Dio, affidati a veggenti. Non di rado folle di cristiani sono state attirate da veri o supposti miracoli di Crocifissi che sanguinano, di statue della Vergine che piangono.
Eppure Gesù proclama beati coloro che credono, senza aver visto!
La costituzione dogmatica del concilio Vaticano II sulla divina rivelazione ricorda autorevolmente che non ci si deve aspettare nessun’altra rivelazione pubblica prima della parusia (Cf. Dei verbum, 4).
Dio si è manifestato in modo autentico nella sacra Scrittura, che rappresenta la regola suprema della fede della chiesa, il nutrimento sano e sostanzioso della vita del popolo di Dio (Cf. Dei Verbum, 21).
 
Il Risorto aiuta l’incredulità di Tommaso: «“Metti il tuo dito nel foro dei chiodi” (Gv 20,27), mi hai cercato quando non c’ero, goditi ora la mia presenza. Anche se tacevi io sentivo il tuo desiderio; prima che parlassi, conoscevo il tuo pensiero. Sentii le tue parole e, anche se non mi mostravo, ero vicino alla tua incredulità; senza farmi vedere, davo tempo alla tua incredulità, in attesa del tuo desiderio» (Basilio di Seleucia, Sermo in Sanct. Pascha, 4).
 
Il Santo del giorno - 7 Aprile 2024 - San Giovanni Battista de la Salle: Nasce a Reims il 30 aprile 1651 da genitori nobili, ma non ricchi, e con dieci figli. Si laurea in lettere e filosofia; è sacerdote nel 1678, e a Reims assume vari incarichi, collaborando anche all’attività delle scuole fondate da Adriano Nyel, un laico votato all’istruzione popolare. Scuole gestite però da maestri ignoranti e senza stimoli. E proprio dai maestri parte la sua opera. Riunisce quelli di Nyel in una casa comune, vive con loro, studia e li fa studiare, osserva metodi e organizzazione di altre scuole. Insegna un metodo e abolisce le lezioni in latino, introducendo in ogni disciplina la lingua francese. Nel 1680 nasce la comunità dei «Fratelli delle Scuole Cristiane». In genere non sono preti, vestono una tonaca nera con pettorina bianca, con un mantello contadino e gli zoccoli, e sotto la guida del La Salle aprono altre scuole. Nel 1687 hanno già un loro noviziato. Nel 1688 sono chiamati a insegnare a Parigi dove in un solo anno i loro allievi superano il migliaio. A causa di critiche e ostacoli esterni da Parigi dovrà portare la sua comunità nel paesino di Saint-Yon, presso Rouen, dove morirà il 7 aprile 1719. (Avvenire)
 
Dio onnipotente, la forza del sacramento pasquale
che abbiamo ricevuto sia sempre operante nei nostri cuori.
Per Cristo nostro Signore.