6 APRILE 2024
 
SABATO FRA L’OTTAVA DI PASQUA
 
At 4,13-21; Salmo Responsoriale Dal Salmo 117 (118); Mc 16,9-15
 
Colletta
O Padre, che nella tua immensa bontà
estendi a tutti i popoli il dono della fede,
guarda i tuoi figli di elezione,
perché coloro che sono rinati nel Battesimo
siano rivestiti dell’immortalità beata.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo - Catechismo della Chiesa Cattolica 425: La trasmissione della fede cristiana è innanzitutto l’annunzio di Gesù Cristo, allo scopo di condurre alla fede in lui. Fin dall’inizio, i primi discepoli sono stati presi dal desiderio ardente di annunziare Cristo: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20). Essi invitano gli uomini di tutti i tempi ad entrare nella gioia della loro comunione con Cristo: Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta (1Gv 1,1-4).
 
Prima Lettura: Stupore, meraviglia… buoni sentimenti sopraffatti dall’orgoglio, dalla arroganza, e dalla stupida ossessione di trovarsi sempre dalla parte della verità, del giusto, della ragione. Questi i farisei, eterni paladini della cecità e della incomprensione dei segni di Dio. Non sanno essere umili nemmeno dinanzi a un “miracolo evidente”. Il Sinedrio non sa cosa rispondere, e aggiusta la superbia, che è di casa tra i seggi dei notabili, con un compromesso, che non può essere accolto da Pietro, testimone della risurrezione di Gesù: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Parole chiare, ma che dagli empi, di tutti i tempi, saranno stravolte in capi di accusa. 
 
Vangelo
Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo
 
Compostella (Messale per la Vita Cristiana)Il Vangelo di san Marco termina con una catechesi sulla fiducia che meritano gli undici apostoli, la cui testimonianza è il fondamento della fede della Chiesa: Gesù stesso li ha chiamati per andare dalla Galilea a Gerusalemme, dopo il Venerdì santo, delusi e senza speranza, restano in città. Maria di Magdala che - secondo questo racconto, che fa fede - è stata la prima alla quale il Signore è apparso, spiega loro di che cosa l’ha incaricata il Cristo risuscitato. I due discepoli che il Signore accompagna lungo il cammino verso Emmaus rientrano a Gerusalemme. Tuttavia, essi non li ascoltano, né credono loro. Né la testimonianza della donna, né quella dei due discepoli fa uscire gli apostoli dalla loro afflizione e dai loro lamenti. È soltanto quando Gesù stesso è vicino a loro e rimprovera la loro la mancanza di fiducia nella parola dei suoi testimoni, che i loro cuori e i loro occhi si aprono. Vedendolo, capiscono che il vangelo di Dio che Gesù aveva predicato, e che diventa la loro missione, ha un avvenire senza fine. Capiscono che la loro missione comprende «il mondo intero» e «la creazione intera», tutta la comunità dei viventi.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 16,9-15
 
Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».
 
Parola del Signore
 
Il pastore supremo è sempre Gesù - José Maria González-Ruiz (Commento della Bibbia Liturgica): : I versetti 9-20 sono certamente un’aggiunta di altra mano. Infatti, codici molto importanti, come il Vaticano, il Sinaitico (IV secolo), copie delle traduzioni sire e armene, come anche delle georgiane ed etiopi, non portano questi versetti. Eusebio, nella sua Storia Ecclesiastica (3, 39,9) e Girolamo (Ep 120,3) dicono che l’epilogo di Marco si trova in pochi manoscritti e manca in quasi tutti quelli greci. Molti altri scrittori ecclesiastici lo ignorano, come Clemente di Alessandria, Origene, Tertulliano, Cipriano, Cirillo di Gerusalemme.
Altri manoscritti sostituiscono 16,9-20 con un epilogo più corto composto di due frasi: «Esse raccontarono brevemente al gruppo di Pietro tutto quello che era stato annunziato. E dopo di questo, lo stesso Gesù mandò, per mezzo di essi, da oriente a occidente, il sacro e incorruttibile “kerygma” dell’eterna salvezza. Amen».
Tuttavia, l’epilogo lungo del secondo vangelo appartiene all’antichissima tradizione accettata dalla Chiesa. I versetti 1-8 si riferivano a un incontro in Galilea che non è descritto. L’ipotesi più accettabile è che il primo epilogo si fosse perduto e che, più tardi, sia stato sostituito con quello che abbiamo ora. Da Mt 28,16-20 e Gv 21,1-14, sappiamo che Gesù comparve ai discepoli in Galilea, dove confermò il gruppo dei discepoli conferendo loro la missione universale. Questo potrebbe essere il contenuto del foglio che andò perduto.
L’apparizione ai discepoli ricorda solo «gli undici». Come in LC 24,36-43 e in At 10,40s, l’apparizione avviene sempre durante i pasti comunitari. Ancora una volta è messa in evidenza l’incredulità e persino l’atteggiamento refrattario dei discepoli, quando si rendono conto di quello che avviene.
Tutto questo è in piena armonia con la cristologia-ecclesiologia del secondo vangelo. Vi dev’essere una comunità e una comunità gerarchizzata. La suprema espressione della condizione comunitaria è il pasto, cioè l’eucaristia. Ma l’eucaristia non è il rito magico, simbolico o puramente commemorativo d’un passato: è la presenza di Gesù in mezzo alla comunità. Gesù è l’unico che si può prendere il lusso di condannare e di accusare come increduli i membri della comunità.
Anzi, nonostante l’espresso riferimento alla comunità gerarchica, si segue la linea del secondo vangelo quando si presenta Gesù che riprende i responsabili della Chiesa e li accusa addirittura d’incredulità.
I membri della comunità devono ascoltare i loro pastori ai quali devono anche ubbidire; ma il pastore supremo è sempre Gesù. E sarà sempre possibile che i pastori vengano meno al loro dovere primordiale.
Per conseguenza, se talora i membri della comunità esprimono pubblicamente il loro dissenso con la condotta concreta del loro pastore, questo non è indice di negazione della gerarchia, ma piuttosto il contrario: è affermazione della funzione pastorale che i fedeli desiderano affidata a persone che non siano «incredule e refrattarie all’insegnamento di Gesù».
 
Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare - Benito Marconcini (Atti): «Nessun altro ha il potere di salvare» (v. 12): mentre prima la salvezza risiedeva nell’invocazione di JHWH, ora si trova nel nome di Gesù, che è testimoniato con un atteggiamento libero e coraggioso (parresia: 4,13.29.31; 28,31, cui si debbono aggiungere le sette volte in cui l’idea è espressa mediante la forma verbale).
L’illetterato capo degli apostoli prova questo con l’immagine della pietra già usata da Gesù stesso (Lc 20,19).
Nella parabola dei vignaioli omicidi la pietra illustra il rifiuto del popolo ebraico, qui è anche oggetto di fede, oltre che motivo di accusa. Con l’immagine che applica a Gesù quanto detto del tempio ricostruito, Pietro si ricollega a quell’interpretazione messianica del salmo già presente nelle spiegazioni e traduzioni popolari in lingua aramaica (targum). Collegata con passi veterotestamentari (/s 8,14; 28,16), l’immagine della pietra è comune nel NT (cf / Pt 2,4; Ef 2,20; 1Cor 3,11; Rm 9,33).
La reazione dei membri del sinedrio è quanto mai meschina. Non sono capaci neppure di prendere una decisione emotiva di condanna a morte, come avverrà per Stefano: si limitano a constatare, incapaci di trarne le conseguenze. Ammettono l’innegabile prodigio, prendono atto con meraviglia della forza della Parola dei due illetterati, sono al corrente che il fatto è ormai a conoscenza di tutti, hanno sotto gli occhi il favore popolare: solo di quest’ultimo hanno timore. Non l’evidenza, non la giustizia, non il volere divino li spinge a una decisione, ma solo la paura: con una momentanea opera di contenimento vogliono guadagnar tempo, sperando in un futuro più favorevole per sbarazzarsi degli apostoli. È questo il senso dell’ammonizione che, secondo la legge, doveva precedere ogni punizione di illetterati.
L’unica logica conseguenza sarebbe stata accettare la testimonianza apostolica: proprio ora nella guarigione dello storpio ottenevano quanto richiesto da Gesù per poter credere (Lc 11,16.29), Il potere senza ragione non può che ordinare il silenzio. La risposta sottolinea ancora il diverso livello degli accusati: l’obbedienza a Dio è prima di tutto (cf 5,29), È su questo primato che si moriva ai tempi dei Maccabei (cf 2 Mac 7,2) e ad esso si richiamava anche il nobile animo di Socrate: «Pur stimandovi e amandovi, o Ateniesi, preferisco obbedire a Dio piuttosto che a voi». L’uomo può essere libero solo se è fedele a Dio che dona luce e forza per agire secondo coscienza.
Una domanda non del tutto curiosa è come Luca abbia potuto conoscere la consultazione segreta del sinedrio. Non si tratta intanto di una vera cronaca, ma del senso di una decisione consiliare, come è possibile desumere dalle parole rivolte a Pietro: è probabile comunque un ricorso a fonti di informazione nelle persone di Nicodemo (Gv 7,50-52), Giuseppe d’ Arimatea (Lc 23,50-51), Gamaliele (At 5,34-39) e forse anche Paolo.
La comunità si allarga con l’adesione del popolo, ma ì capi rivelano con chiarezza l’irreversibile opposizione. Sarà uno scontro che vede da una parte l’imbarazzo, l’ingiustizia, il potere, l’ostinazione, dall’altra la libertà, il coraggio, la forza dello Spirito, la testimonianza: è di queste realtà che Luca vuol ricercare la sorgente, ritrovandola in una fervente preghiera comunitaria.
 
Ireneo (Contro le eresie, 3,1): Non da altri abbiamo conosciuto leconomia della nostra salvezza se non da coloro tramite i quali ci è giunto il Vangelo. Quel che prima hanno predicato e poi, per volontà di Dio, ci hanno tramandato nelle Scritture, sarebbe stato il fondamento e la colonna della nostra fede. Non è lecito asserire che essi abbiano predicato prima di aver raggiunto la gnosi perfetta, come osano dire alcuni che si gloriano di correggere gli stessi apostoli. Infatti, dopo la risurrezione di nostro Signore da morte e dopo che furono rivestiti della virtù dello Spirito Santo disceso dallalto, ricevuta ogni grazia e la gnosi perfetta, si diffusero su tutta la terra annunciando i benefici elargitici da Dio, proclamando agli uomini la pace celeste, possedendo sia tutti insieme sia ciascuno da solo, il Vangelo di Dio.
 
Il Santo del giorno - 6 Aprile 2024 - Santa Nicoletta Boylet, Vergine: È nata quando ormai i genitori - il carpentiere Roberto Boylet e sua moglie Caterina - non speravano più di avere figli. L’hanno chiamata Nicoletta (familiarmente Colette) in onore di Nicola di Bari, alla cui intercessione si attribuiva la sua nascita. Colette intraprende la sua complicata esperienza religiosa a 18 anni, dopo la morte dei genitori. E la conclude a 25 su consiglio del francescano Enrico di Baume, tornando fra le Clarisse, perché si sente chiamata alla riforma degli Ordini istituiti da san Francesco. Nel 1406, a Nizza, riceve il velo da Benedetto XIII, che l’autorizza a riformare i monasteri dell’Ordine e a fondarne di nuovi. Per alcuni anni, lei vede fallire gli sforzi di riforma, e solo nel 1410 ha il suo primo monastero rinnovato a Besançon, seguito poi da altri 16. Colette muore a Gand nel 1447. (Avvenire)
 
Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo
che hai rinnovato con i sacramenti pasquali,
e guidalo al giorno della risurrezione,
nel quale la nostra carne mortale sarà glorificata.
Per Cristo nostro Signore.