10 Aprile 2024
 
Mercoledì II Settimana di Pasqua
 
At 5,17-26 ; Salmo Responsoriale dal Salmo 33 (34); Gv 3,16-21
 
Colletta
O Padre, che nella Pasqua del tuo Figlio
hai ristabilito l’uomo nella dignità perduta
e gli hai dato la speranza della risurrezione,
fa’ che accogliamo nell’amore
il mistero celebrato ogni anno nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
 
Dominus Iesus n. 13È anche ricorrente la tesi che nega l’unicità e l’universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo. Questa posizione non ha alcun fondamento biblico. Infatti, deve essere fermamente creduta, come dato perenne della fede della Chiesa, la verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore e unico salvatore, che nel suo evento di incarnazione, morte e risurrezione ha portato a compimento la storia della salvezza, che ha in lui la sua pienezza e il suo centro.
Le testimonianze neotestamentarie lo attestano con chiarezza: «Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo» (1Gv 4,14); «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Nel suo discorso davanti al sinedrio, Pietro, per giustificare la guarigione dell’uomo storpio fin dalla nascita, avvenuta nel nome di Gesù (cf. At 3,1-8), proclama: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale dobbiamo essere salvati» (At 4,12). Lo stesso apostolo aggiunge inoltre che Gesù Cristo «è il Signore di tutti»; «è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio»; per cui «chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,36.42.43).
Paolo, rivolgendosi alla comunità di Corinto, scrive: « In realtà anche se ci sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e signori, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi siamo per lui; e c’è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui » (1 Cor 8,5-6). Anche l’apostolo Giovanni afferma: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui » (Gv 3,16-17). Nel Nuovo Testamento, la volontà salvifica universale di Dio viene strettamente collegata all’unica mediazione di Cristo: «[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità . Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,4-6).
È su questa coscienza del dono di salvezza unico e universale offerto dal Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito (cf. Ef 1,3-14), che i primi cristiani si rivolsero a Israele, mostrando il compimento della salvezza che andava oltre la Legge, e affrontarono poi il mondo pagano di allora, che aspirava alla salvezza attraverso una pluralità di dèi salvatori. Questo patrimonio di fede è stato riproposto dal recente Magistero della Chiesa: «Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto (cf. 2 Cor 5,15), dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché egli possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi (cf. At 4,12). Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana»
 
I lettura: La missione degli Apostoli si muove tra il successo e la persecuzione scatenata dal Sinedrio che ritiene il cristianesimo un serio pericolo per il giudaismo ufficiale. Tradotti in carcere gli apostoli vengono  liberati miracolosamente dall’Angelo del Signore. Non capacitandosi dell’accaduto il Sinedrio ordina di riprenderli, un arresto fatto senza violenza perché la soldatesca teme di essere lapidata dal popolo. Un indizio della buona fama che godevano i credenti presso il popolo.
 
Vangelo
Dio ha mandato il Figlio nel mondo, perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Dal vangelo secondo Giovanni
Gv 3,16-21
 
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
 
Parola del Signore
 
Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): L’inizio è un vero atto di contemplazione: Tanto Dio ha amato il mondo. Si tratta di un amore che si fa dono, perché si concretizza nel dare e mandare il proprio Figlio, l’Unigenito. Sono espressioni che richiamano la parabola sinottica dei vignaioli omicidi. In essa si parla del Padrone della vigna, cioè di Dio che, dopo aver mandato inutilmente molti servi, decide di mandare il proprio Figlio. Nella redazione di Marco (12,8) si legge: «Ne aveva ancora uno, il figlio che tanto amava; lo mandò per ultimo pensando: Avranno rispetto almeno di mio figlio».
All’inizio quindi dell’entrata del Figlio nel mondo, nel momento dell’Incarnazione, c’è Dio come mandante, ricco di un amore che va oltre la persona del Figlio per estendersi, senza riserve, al mondo intero. Dio ama tutti, e li ama nella situazione concreta in cui si trovano. Sono lontani da lui e corrono il pericolo di «perire» (3,16) e di cadere sotto il giudizio di condanna (3,18-19).
Ecco allora il compito che Dio affida al Figlio: impedire che il mondo perisca, far sì che abbia la vita eterna, salvarlo.
Avere la vita eterna. L’aggettivo «eterna» nella traduzione è inevitabile, ma non rende bene il senso della soggiacente espressione ebraica. Parlare di «vita eterna» significa parlare di quella vita che è la sola vera, perché possiede il carattere della «definitività». Si tratta di quella vita indistruttibile la cui sorgente è in Dio. Chi la possiede, anche se materialmente muore, in realtà non perisce: continua a vivere la vita di Dio che è in lui.
Dare la vita, salvare. È il compito che Dio ha affidato al Figlio. Come lo realizzerà? Presentandosi innanzitutto come «luce», cioè come colui che illumina gli uomini e rivela loro il disegno del Padre e, allo stesso tempo, la reale loro situazione. Con la sua parola e la sua azione egli «fa sapere» agli uomini che sono fuori da ogni possibilità di salvezza e corrono il pericolo di «perire». Ma egli li può salvare; per questo infatti è stato mandato, perché Dio vuole che tutti si salvino, cioè che ogni singolo uomo possegga la vita e divenga destinatario della salvezza.
Ma come può l’uomo entrare in questo disegno dell’amore di Dio? In una parola, rendersi capace di avere la vita eterna e diventare destinatario della salvezza? Mediante la fede nel Figlio unigenito di Dio (3,16-18). Solo chi crede nel Figlio di Dio, solo ,chi accoglie il Figlio e riceve il «potere
50  di diventare a sua volta figlio di Dio» (1,12), costui possiede fin d’ora la vera e definitiva vita; è già germinalmente un salvato, e perciò non può cadere sotto un giudizio di condanna (3,18). Ci cade invece, anzi porta già fin d’ora il segno della condanna, colui che rifiuta di credere nel Figlio.
Ora risulta davvero chiaro che cos’è la vera fede, in opposizione a quella dei «molti che credettero in lui, vedendo i segni che faceva» (2,23). La vera fede è adesione alla persona di Gesù, accolto come il Figlio unigenito di Dio e come il definitivo Rivelatore di Dio. Avere fede significa accogliere la sua parola. Ma questo non è di tutti.
Gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce; e già si sa che chiunque opera il male odia la luce (3,20), perché la luce è sempre una forza giudicante e a nessuno piace sentirsi rinfacciare le proprie opere cattive. Ma non sono tutti così. Tra loro c’è chi permette alla luce di mettere a nudo la sua situazione di peccato, chi si lascia totalmente penetrare dalla luce fino a sperimentare e a desiderare la vita e la salvezza, proposte dalla luce. Il testo definisce chi si comporta così con l’espressione: chi fa la Verità. Perché fa la Verità chiunque rinnega la sua situazione di peccato, accoglie la parola di Gesù e aderisce a lui nella fede. Queste sono le opere della fede, quelle opere che l’uomo può compiere soltanto con l’aiuto di Dio (3,21). Infatti quanto vi è di buono nell’uomo, prima di essere un atto umano, è dono di Dio che tanto ha amato il mondo.
 
Gesù Cristo salvatore degli uomini - Charles Lesquivit e Pierre Grelot: a) Gesù si rivela come salvatore dapprima con atti significativi. Salva i malati guarendoli (Mt 9, 21 par.; Mc 3, 4; 5, 23; 6, 56); salva Pietro che cammina sulle acque ed i discepoli in balia della tempesta (Mt 8, 25; 14, 30). L’essenziale è credere in lui: a salvare gli ammalati è la loro fede (Lc 8, 48; 17, 19; 18, 42), ed i discepoli vengono rimproverati per aver dubitato (Mt 8, 26; 14, 31). Questi fatti mostrano già qual è la economia della salvezza. Tuttavia bisogna vedere più in là della salvezza corporale. Gesù apporta agli uomini una salvezza, molto più importante: la peccatrice è salvata perché egli le rimette i peccati (Lc 7, 48 ss), e la salvezza entra nella casa di Zaccheo penitente (Lc 19, 9). Per essere salvati, occorre dunque accogliere con fede il vangelo del regno (cfr. Lc 8, 12). Quanto a Gesù, la salvezza è lo scopo della sua vita: egli è venuto in terra per salvare ciò che era perduto (Lc 9, 56; 19, 10), per salvare il mondo e non per condannarlo (Gv 3, 17; 12, 47). Se parla, lo fa per salvare gli uomini (Gv 5, 34). Egli è la porta: chi entra per lui sarà salvato (Gv 10, 9).
b) Queste parole fanno vedere che la salvezza degli uomini è il problema essenziale. Il peccato li espone al pericolo della perdizione. Satana è pronto a tutto tentare per perderli e per impedire che siano salvati (Lc 8, 12). Sono pecore perdute (Lc 15, 4. 7); ma Gesù è stato proprio mandato per esse (Mt 15, 24): non si perderanno più, se entrano nel suo gregge (Gv 10, 28; cfr. 6, 39; 17, 12; 18, 9). Tuttavia la salvezza che egli offre ha una contropartita: per chi non ne afferra l’occasione, il rischio di perdizione è imminente ed irreparabile. Bisogna fare penitenza in tempo, se non si vuole andare alla perdizione (Lc 13, 3. 15). Bisogna entrare per la porta stretta, se si vuole appartenere al numero di salvati (Lc 13, 23 s). Bisogna perseverare in questa via sino alla fine (Mt 24, 13). L’obbligo del distacco è tale che i discepoli si domandano: «Ma allora chi sarà salvato?». Effettivamente ciò sarebbe impossibile agli uomini, occorre un atto della onnipotenza di Dio (Mt 19, 25 s par.). Infine la salvezza che Gesù offre si presenta sotto la forma di un paradosso. Chi vuole salvarsi, si perderà; chi accetta di perdersi, si salverà per la vita eterna (Mt 10, 39; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Questa è la legge, e Gesù stesso vi si sottomette: egli, che ha salvato gli altri, non salva se stesso nell’ora della croce (Mc 15, 30 s). Certamente il Padre potrebbe salvarlo dalla morte (Ebr 5,7); ma proprio per quest’ora egli è venuto in terra (Gv 12, 27). Chi cercherà la salvezza nella fede in lui, dovrà dunque seguirlo fin là.
 
Il dono del Padre - C . WienerLa venuta di Gesù è in primo luogo un atto del Padre. Secondo i profeti e le promesse dell’Antico Testamento, «ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1,54s; Ebr 1,1s), Dio si fa conoscere (Gv 1,18); manifesta il suo amore (Rom 8,39; 1Gv 3,1; 4,9) in colui che non è soltanto il Messia salvatore atteso (Lc 2,11), ma anche il suo proprio Figlio (Mc 1,11; 9,7; 12,6), colui che egli ama (Gv 3,35; 10,17; 15,9; Col 1,13). L’amore del Padre si esprime allora in un modo insuperabile. Ecco realizzata la nuova alleanza, e concluse le nozze eterne dello sposo con l’umanità. La generosità divina, manifestata fin dalle origini di Israele (Deut 7,7s), raggiunge il suo culmine, accogliendo il Figlio, l’uomo non può che rinunciare a ogni orgoglio, a ogni fierezza fondata sul proprio merito: il dono d’amore fatto da Dio è integralmente gratuito (Rom 5,6s; Tit 3,5; 1Gv 4,10-19). Questo dono è definitivo, al di là dell’esistenza terrena di Gesù (Mt 28,20; Gv 14,18s); è spinto all’estremo, poiché acconsente alla morte del Figlio affinché il mondo abbia la vita (Rom 5,8; 8, 32) e noi siamo figli di Dio (1Gv 3,1; Gal 4,4-7). Se «Dio ha tanto  amato il mondo da dare il suo Figlio unico» (Gv 3,16), lo ha fatto affinché gli uomini abbiano la vita eterna; ma condannano se stessi coloro che rifiutano di credere in colui che è stato mandato e «preferiscono» le tenebre alla luce (3,19). L’opzione è inevitabile: o l’amore mediante la fede nel Figlio, o l’ira per il rifiuto della fede (3,36).
 
Efrem (Diatessaron, 21,7): Dio ama infinitamente il mondo. Abramo aveva molti servitori; perché Dio non gli dice di sacrificare uno di loro? Perché l’amore di Abramo non si sarebbe rivelato attraverso un servitore; occorreva per questo il suo stesso figlio (cfr. Gen 22,1-18). Parimenti c’erano molti servitori di Dio, ma egli non mostrò il suo amore verso le creature tramite nessuno di loro, bensì tramite il proprio Figlio, grazie al quale fu proclamato il suo amore per noi: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16).
 
Il Santo del giorno - 10 Aprile 2024 - Sant’Antonio Neyrot: Nato a Rivoli (Torino) intorno al 1423 entrò tra i Domenicani, ricevendo l’abito, da sant’Antonino, il futuro arcivescovo della città di Firenze. Si imbarcò per un pericoloso viaggio in Sicilia. La rotta era, infatti, battuta dai pirati: e se la prima volta gli andò bene, di ritorno dalla Sicilia per Napoli il nostro fu catturato. Era il 1458 e Antonio venne condotto come schiavo a Tunisi. Qui, sotto le pressioni dei saraceni, abiurò la fede e si sposò. Ma gli apparve in sogno Antonino, nel frattempo morto, che lo invitò a pentirsi. Nel Giovedì Santo del 1460 rimise l’abito e professò pubblicamente la sua fede davanti al sultano. A motivo di questo fu martirizzato. Tempo dopo il corpo alcuni mercanti genovesi acquistarono il corpo, nel 1469, Amedeo di Savoia lo fece portare a Rivoli, dove riposa.
 
Concedi, o Padre,
che, nutriti con il sacramento
del Corpo e del Sangue del tuo Figlio,
cresciamo nella comunione del suo Spirito
e nell’amore dei fratelli,
fino a raggiungere nella carità operosa
la pienezza del Corpo di Cristo.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.