30 Marzo 2024
 
Sabato Santo
 
La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi): Secondo una vecchia tradizione, questo è il giorno senza l’Eucaristia, il giorno del silenzio e del digiuno a causa della morte del Redentore. Solo la sera si radunano i fedeli per la veglia notturna e le preghiere. I riti del Sabato Santo, anche se celebrati ancora la sera di questo giorno, in sostanza appartengono già alla liturgia della Domenica della Risurrezione.
Il corpo del Figlio di Dio riposa nel sepolcro. All’entrata del sepolcro fu posta una grande pietra, furono apposti i sigilli e le guardie. Se n’è andato il nostro Pastore, la fonte dell’acqua viva; perciò, la Chiesa piange su di lui come si piange l’unico figlio l’Innocente, il Signore è stato ucciso. Il Signore disse una volta: «Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12,40); «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2, 9).
Nella Liturgia delle ore, nella sua quotidiana preghiera, la Chiesa professa la fede nella Risurrezione di Gesù, nella vittoria di Gesù sulla morte. Il Signore riposa in pace, ma nella speranza che il suo corpo non subirà la corruzione della morte; si apriranno le porte eterne ed entrerà il Re della Gloria; il Signore sconfiggerà le forze infernali e le porte della morte; il Padre salverà la sua anima dal potere delle tenebre.
Fra poco il Signore acclamerà: «Ero morto, adesso vivo in eterno - mie sono le chiavi della morte e dell’abisso». Il chicco di grano gettato in terra porterà frutto. La Chiesa in preghiera attende la Risurrezione del Signore. La preghiera della Chiesa può essere riassunta nel canto, che inizia la odierna liturgia delle ore: «Venite, adoriamo il Signore, il crocifisso e sepolto per noi».
 
Fratelli carissimi, supplichiamo umilmente
Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo
unico creatore dell’universo,
in questa grande mattina del grande sabato,
ossia della deposizione del Corpo del Signore,
affinché colui che trasse Adamo misericordiosamente
dalle profondità degli inferi,
per la sola misericordia del Figlio suo
tragga noi che con forza gridiamo
dalla feccia presente alla quale aderiamo.
Gridiamo infatti e preghiamo
perché il pozzo dell’inferno non apra su di noi la sua bocca
e liberati dal fango del peccato,
non ricadiamo in esso. (Missale Gothicum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1961, n. 219)
 
Catechismo della Chiesa Cattolica - La morte di Cristo è il sacrificio unico e definitivo 613: La morte di Cristo è contemporaneamente il sacrificio pasquale che compie la redenzione definitiva degli uomini per mezzo dell’Agnello che toglie il peccato del mondo e il sacrificio della Nuova Alleanza, che di nuovo mette l’uomo in comunione con Dio riconciliandolo con lui mediante il sangue versato per molti in remissione dei peccati.
614 Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici. Esso è innanzitutto un dono dello stesso Dio Padre che consegna il Figlio suo per riconciliare noi con lui. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre suo nello Spirito Santo per riparare la nostra disobbedienza.
Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra disobbedienza 615: «Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19). Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione, mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi la loro iniquità. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati.
Sulla croce, Gesù consuma il suo sacrificio 616: È l’amore sino alla fine che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo. Egli ci ha tutti conosciuti e amati nell’offerta della sua vita. «L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti» (2 Cor 5,14). Nessun uomo, fosse pure il più santo, era in grado di prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti. L’esistenza in Cristo della Persona divina del Figlio, che supera e nel medesimo tempo abbraccia tutte le persone umane e lo costituisce Capo di tutta l’umanità, rende possibile il suo sacrificio redentore per tutti.
617: «Sua sanctissima passione in ligno crucis nobis iustificationem meruit - Con la sua santissima passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione», insegna il Concilio di Trento sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come causa di salvezza eterna. E la Chiesa venera la croce cantando: «O crux, ave, spes unica! - Ave, o croce, unica speranza!».
 
Vangelo secondo Giovanni
Gv 19,31-42
 
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo - quello che in precedenza era andato da lui di notte - e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Parola del Signore.
 
Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): «Con il ricco fu il suo tumulo» (Is 53,9). Giovanni non si smentisce: anche qui continua a proclamare la grandezza e la regalità di Gesù. Tante notiziole, presenti nei Sinottici, scompaiono, come pure certi personaggi. Pilato entra solo di sfuggita. Riappaiono invece i discepoli nascosti di Gesù, quelli che non gli diedero mai la loro aperta adesione per paura dei dirigenti giudei. Ora si fanno coraggio. Oramai Gesù ha già iniziato ad attirare tutti a sé.
Qui c’è Giuseppe di Arimatea, mai sentito prima. È lui che osa andare da Pilato. Non si preoccupa di celebrare quella pasqua; il contatto con un morto rende impuro (vedi Nm 19,11-13), ma si tratta del corpo di Gesù per lui più prezioso di ogni altro bene. Non può finire nella fossa comune: dev’essere sepolto in modo onorifico. E così vuole anche Nicodemo, che già abbiamo incontrato due volte: una notte a colloquio con Gesù (3,1-15) e poi in una riunione dei farisei quando cercò invano di difendere Gesù (7,50-52). Ora i due si fanno coraggio: uno va da Pilato, l’altro si procura più del necessario: bende di lino, un centinaio di libbre di aromi tra mirra e aloe, quegli aromi che si usavano per la stanza nuziale, non per i morti (Ct 4,12-16). È un’incredibile quantità di cose preziose, ma ora non c’è Giuda che si lamenta (vedi 12,4-6). Per loro Gesù si merita questo ed altro: dev’essere sepolto con sfarzo regale, la sua tomba dev’essere profumata come l’alcova dello sposo.
Ed ecco il sepolcro: è in un giardino, il luogo della vita; è tutto nuovo; nessuno vi è mai stato sepolto; sembra fatto apposta per Gesù così ben tagliato nella roccia. Lì depongono Gesù: è il seme che va sottoterra, che si prepara a nuova vita.
Il racconto si chiude ricordando il giorno della Preparazione. La parola dice attesa. Per i cristiani è l’attesa della Pasqua del Signore. È un implicito annunzio del passaggio di Gesù da questo mondo al Padre.
Giovanni in tutto il suo racconto di Passione, iniziatosi e conclusosi in un giardino, non è mai scaduto di tono e non ha mai fatto il cronista. Ci ha rivelato chi è Gesù; meglio, ci ha raccontato come anche nella passione Gesù ha continuato a rivelarsi, a dire chi è. Il suo Gesù non è mai apparso abbattuto o umiliato, ma sempre cosciente di tutto quel che gli capitava. I due «sapendo» posti uno all’inizio (18,4) e l’altro alla fine (19,28) lo dimostrano. Il lettore cristiano si sarà accorto che ha imparato a conoscere meglio il Signore e che ha capito di essere stato amato sino alla fine; e «con Maria» sa che può continuare a fissare con fiducia lo sguardo in colui che è stato trafitto.
 
Gesù crocifisso rivelatore perfetto dell’amore di Dio - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Il quarto evangelista nella scena della morte del Cristo presenta il Crocifisso come il rivelatore perfetto del piano salvifico del Padre (Gv 19,28-30). L’inclusione tematica di questo brano, formata dal verbo «è compiuto» («tetélestai») (vv. 28.30), mette in risalto la centralità del compimento perfetto della manifestazione piena dell’amore di Dio. Con la sua «ora» Gesù non solo ha amato i discepoli fino all’estremo limite, cioè in modo perfetto (Gv 13,1), ma ha compiuto perfettamente la Scrittura (Gv 19,28.30), mostrando nella maniera più eloquente e concreta, come Dio ha amato il mondo nel dono del Figlio, esaltato sulla croce (Gv 3,14-17). Il «sitio» del Crocifisso (Gv 19,28) deve essere compreso in questa prospettiva rivelatrice: esso parte da un bisogno fisiologico dei crocifissi che perdono moltissimo sangue, ma giunge ad indicare il desiderio ardente del Cristo di chiudere la sua giornata, aprendo la via allo Spirito santo. In effetti nel quarto vangelo il bisogno della sete simboleggia il desiderio della vita divina e della salvezza, appagato con il dono della parola di Gesù (Gv 4,14), accogliendo la sua rivelazione con una fede esistenziale profonda (Gv 6,35; 7,37s). Gesù sulla croce ha sete (Gv 19,28) cioè desidera ardentemente dare inizio all’èra dello Spirito santo con la consegna di questa persona divina alla chiesa nell’istante della sua morte (Gv 19,30).
Il Cristo crocifisso ha manifestato in modo perfetto l’amore suo e di Dio per l’umanità peccatrice: l’ultimo atto di questa rivelazione è la proclamazione di Maria madre della chiesa (Gv 19,26s); ora egli può lasciare il campo libero allo Spirito, perché ha compiuto la sua missione rivelatrice e salvifica alla perfezione.
In realtà con la morte di Gesù termina la prima fase della storia della manifestazione dell’amore del Padre, mediante il Figlio, per l’umanità e incomincia l’èra del Paraclito, al qual il Figlio apre la strada, allorché dal trono regale della croce lo consegna alla sua comunità (Gv 19,30).
Tale esegesi appare in perfetta sintonia con una delle tematiche fondamentali del sistema teologico giovanneo: la concezione della storia della rivelazione salvifica in due tappe, la prima legata alla persona del Cristo rivelatore e l’altra a quella dello Spirito della verità.
 
La morte di Cristo - Ambrogio (Exp. Ev. Luc., 10, 140 s., 144): E non è senza scopo che un altro evangelista abbia scritto che il sepolcro era nuovo (cf. Gv 19,41), un altro che era il sepolcro di Giuseppe (cf. Mt 27,60). Di conseguenza, Cristo non aveva un sepolcro di sua proprietà. Effettivamente, il sepolcro viene allestito per quanti stanno sotto la legge della morte (cf. Rm 7,6); ma il vincitore della morte non ha un sepolcro proprio. Che rapporto ci potrebbe essere tra un sepolcro e Dio? Del resto l’Ecclesiaste dice di colui che medita sul bene (cf. Sir 14,22): Egli non ha sepoltura (Qo 6,3). Perciò, se la morte è comune a tutti, la morte di Cristo è unica, e perciò Egli non viene seppellito insieme con altri, ma è rinchiuso, solo, in un sepolcro; infatti l’incarnazione del Signore ebbe tutte le proprietà simili a quelle degli uomini, però la somiglianza va insieme con la differenza della natura: è nato da una Vergine con la somiglianza della generazione, e con la dissomiglianza della concezione. Curava gli ammalati, ma intanto imperava (cf. Lc 5,24). Giovanni battezzava con l’acqua, Egli con lo Spirito (cf. Lc 3,16). Perciò anche la morte di Cristo è comune a quella degli altri secondo la natura corporea, ma unica secondo la potenza.
E chi è mai questo Giuseppe, nel cui sepolcro Egli viene deposto? Senz’alcun dubbio è un giusto. È bello perciò che Cristo sia affidato al sepolcro di un giusto, e là il Figlio dell’uomo abbia dove posare il capo (cf. Lc 9,58) e trovi riposo nel domicilio della giustizia...
Non tutti riescono a seppellire il Cristo. Del resto le donne, sebbene pietose, stanno lontano, e appunto perché sono pietose osservano con ogni cura il posto per poter recare gli unguenti e cospargere il corpo (cf. Lc 23,55; Mt 27,55). Ma poiché sono piene d’ansia, si allontanano per ultime dal sepolcro e ritornano per prime al sepolcro (cf. Lc 23,55). Sebbene manchi la fermezza, non manca la premura.
 
Il Santo del Giorno - 30 Marzo 2024 - San Leonardo Murialdo. Laici e sacerdoti insieme con gli ultimi La visione di una Chiesa «di popolo»: Lo stile sinodale e l’impegno nella cura dell’ascolto e della condivisione hanno in diversi santi dei veri e proprio precursori, profeti del loro tempo la cui eredità parla ancora ai giorni nostri. Come nel caso di san Leonardo Murialdo, la cui attualità appare evidente nelle parole con le quali ricordava che «il laico, di qualsiasi ceto sociale, può essere oggi un apostolo non meno del prete e, per alcuni ambienti, più del prete», anticipando così l’idea di una Chiesa “di popolo” che avrebbe preso forma nel Concilio Vaticano II. Questo testimone della santità sociale torinese del XIX secolo era nato nel 1828 in una famiglia benestante ed era rimasto orfano di padre a cinque anni. Nel 1851, dopo gli studi nel Collegio degli Scolopi di Savona e alla Facoltà teologica a Torino, venne ordinato sacerdote, lavorando per 14 anni nell’oratorio di San Luigi a Porta Nuova. Gran parte del suo ministero lo dedicò ai giovani e agli operai, che anche allora erano le maggiori emergenze sociali, come oggi lo sono il lavoro e l’educazione. Tra il 1865 e il 1866 si trovò a studiare a Parigi e soggiornò per un periodo anche a Londra. Nel 1867 diede vita alla confraternita laicale di San Giuseppe, per l’aiuto ai ragazzi poveri e abbandonati; nel 1871 fondò l’Unione operai cattolici. Lavorò alla nascita dell’Associazione della Buona stampa e del giornale «La voce dell’operaio». Colpito da polmonite morì il 30 marzo 1900; beatificato nel 1963, è santo dal 1970. (Matteo Liut)
 
Dio eterno e onnipotente,
che ci concedi di celebrare il mistero del Figlio tuo Unigenito,
disceso nelle viscere della terra,
fa’ che, sepolti con lui nel Battesimo,
risorgiamo con lui nella gloria della risurrezione.
Egli è Dio,
e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.