29 Marzo 2024
 
VENERDI SANTO – PASSIONE DEL SIGNORE
 
Is 52,13 - 53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1–19,42
 
La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi)La Chiesa rimane oggi con il Signore che affronta la Passione per la salvezza del mondo. Sta insieme con Gesù nel Giardino degli Olivi, vive insieme con Lui l’arresto e il giudizio, cammina col Salvatore lungo la Via della Croce, resta con lui sul Calvario e sperimenta il silenzio del sepolcro. La liturgia della parola ci introduce nel mistero della Passione del Signore. Il sofferente Servo di Dio, disprezzato e respinto dagli uomini, viene condotto come agnello al macello. Dio pose su di lui le colpe di noi tutti. Cristo muore nel momento in cui nel tempio vengono sacrificati gli agnelli necessari alla celebrazione della cena pasquale. È Lui il vero Agnello, che toglie i peccati del mondo. Egli viene offerto come nostra Pasqua. Cristo morì per tutti gli uomini e perciò in questo giorno la Chiesa, secondo la sua più antica tradizione, rivolge a Dio una grande preghiera. Prega per tutta la Chiesa nel mondo, chiede l’unificazione di tutti i credenti in Cristo, intercede per il Popolo Eletto. Ricorda tutti i credenti delle altre religioni come anche chi non crede, prega per i governanti e per gli afflitti.
Come non ringraziare Dio in questo giorno? Lodiamo Gesù e rendiamogli grazie, adorando la Croce su cui si compì la salvezza del mondo. Non solo glorifichiamo il Signore, ma ricevendo la santa Comunione dai doni consacrati ieri ci uniamo a Cristo: ogni volta che mangiamo di questo Pane annunziamo la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta.
 
Colletta 
O Dio, che nella passione di Cristo nostro Signore 
ci hai liberati dalla morte,
eredità dell’antico peccato
trasmessa a tutto il genere umano,
rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; 
e come abbiamo portato in noi,
per la nostra nascita,
l’immagine dell’uomo terreno,
così per l’azione del tuo Spirito
fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. 
Per Cristo nostro Signore.
 
La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo - Catechismo della Chiesa Cattolica 618La croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo mediatore tra Dio e gli uomini. Ma poiché, nella sua Persona divina incarnata, « si è unito in certo modo ad ogni uomo », egli offre « a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale ». Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo, poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari. Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice.
« Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo ».
 
I Lettura: Il Servo sofferente è un uomo che ben conosce il patire, il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di tutti gli uomini. Sebbene non avesse commesso violenza fu eliminato dalla terra dei viventi, per colpa del suo popolo fu percosso a morte, ma “la morte non è il definitivo estuario della vita del Servo. Il giusto, infatti, contempla la luce, si sazia della conoscenza di Dio e davanti al Signore egli riconduce tutti gli uomini che sono stati salvati dal suo sacrificio espiatorio” (Messale Quotidiano, San Paolo).
 
II Lettura: Gesù, il Figlio di Dio, è il sommo sacerdote che sa ben comprendere le debolezze di tutti gli uomini, infatti anche lui è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Ed è causa di salvezza eterna per le sofferenze e per la morte che egli patì.
 
Vangelo: Giovanni, il figlio di Zebedeo, per la tradizione cristiana è l’autore del quarto Vangelo, è il discepolo che Gesù amava. Il figlio del tuono, così come lo chiamò Gesù (Mc 3,17), nel vergare queste ultime pagine della sua Opera vuole ricordare alla sua comunità gli ultimi momenti della vita del Signore, che lui conosceva bene essendogli stato intimo e vicino fino alla fine. L’immagine che ne esce dal suo ricordo è quella del Maestro che ha insegnato le vie dell’amore al suo popolo, ha fatto segni chiarissimi davanti ad esso, segni che indicavano la sua provenienza dall’alto, ma ora era tragicamente solo davanti alla tortura della passione e alla morte. Passione e morte che non hanno niente di glorioso agli occhi degli uomini. Sembrano una passione e una morte di un malfattore, non degne di essere ricordate e celebrate. Eppure quella morte fu la più alta manifestazione dell’amore di Gesù per tutti gli uomini: In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi (1Gv 3,16). È un amore che venne eternato con la sua risurrezione al terzo giorno e ora può essere sperimentato da chi tiene lo sguardo su di Lui, il Signore, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento (Eb 12,1).
 
Seconda Lettura
Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.
 
Dalla lettera agli Ebrei
Eb 4,14-16; 5,7-9
 
Gesù, il Figlio di Dio, è il sommo sacerdote che sa ben comprendere le debolezze di tutti gli uomini, infatti anche lui è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Ed è causa di salvezza eterna per le sofferenze e per la morte che egli patì.
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
[Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Parola di Dio
 
Che cosa hai fatto? Pilato è il governatore romano che odiava i giudei a tal punto da provocarli deliberatamente per poi intervenire con mano pesante. Riguardo a questa avversione, una notizia trapela anche dal vangelo di Luca lì dove si parla del sangue dei Galilei che «Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici» (Lc 13,1).
Siamo all’inizio del processo romano contro Gesù e Ponzio Pilato cerca di conoscere la verità su quell’uomo che gli era stato tradotto dinanzi con l’accusa generica di essere un «malfattore» (Gv 18,30). Ma già chiare sono le intenzioni degli accusatori: hanno giudicato reo di morte l’imputato e vogliono la sua morte, pronti a tutto pur di spuntarla (Gv 8,31). Il Sinedrio è alla ricerca dell’avallo supremo del tribunale di Roma perché non ha il potere di eseguire le pene capitali (Gv 8,31). Inconsapevolmente i sinedriti rivolgendosi ai romani per avere la certezza che Gesù sia crocifisso, compiono la profezia secondo la quale egli sarebbe stato innalzato (Gv 3,14; 12,32-33; 18,32).
Pilato non teme Gesù, ma le idee nazionalistiche che avrebbero potuto portare ad una sommossa: Roma non poteva permettersi rivali, la pace poteva albergare soltanto sotto i labari imperiali. Perciò investiga sulla presunta regalità dell’imputato.
Sei tu il re dei Giudei?... Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto? Alla domanda di Pilato Gesù risponde con un’altra domanda per fare emergere innanzi tutto l’incongruenza della delazione; poi per sapere «se il giudice romano ponga in discussione la regalità del Cristo, di sua iniziativa o dietro suggerimento dei giudei [Gv 18,34], per sapere se la sua regalità è intesa in senso politico o in senso messianico» (Salvatore Alberto Panimolle).
Sono io forse Giudeo? Una risposta che mette a nudo tutto il ribrezzo che Pilato provava per i Giudei. Il governatore vuol sapere perché il Sinedrio lo ha consegnato alla giustizia romana e soprattutto gli preme sapere se chi gli sta dinanzi può costituire veramente un serio pericolo per la sicurezza dell’Impero romano.
All’insistenza del procuratore, Gesù risponde che il suo regno «non è di questo mondo» e ne porta le prove: l’assenza di un esercito che armato avrebbe combattuto per liberare il suo re.
Cosa abbia capito Pilato non è difficile da comprendere. Per un romano non vi poteva essere che un solo potere, Roma; tutto il resto era poco meno che paglia. Ecco perché, forse tra lo stupore e il faceto, il governatore romano ritorna a chiedere: «Dunque tu sei re?». Pilato disprezza Gesù come Giudeo anche se, come suggeriscono gli evangelisti, nel corso del processo rimarrà colpito dalla dignità e dalla franchezza delle sue risposte arrivando al punto di tentare di salvarlo (Mt 27,14; Mc 15,12-14; Lc 23,16; Gv 18,38-39; 19,12-15).
La domanda non ammette deroghe e il procuratore romano sembra seccato e vuole una risposta chiara che dipani ogni dubbio e Gesù lo accontenta ammettendo con estrema franchezza: «Tu lo dici: io sono re».
È chiaro, a questo punto, che il brano giovanneo vuole evidenziare la regalità del Cristo ed è teso quindi intenzionalmente a offrire alcuni spunti di riflessione ai credenti.
Innanzi tutto, Gesù è re ed è venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità.
In questa affermazione si coglie tutta la decisione divina di attuare il progetto salvifico che doveva avere inizio con l’incarnazione di Dio: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio [...]. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.14) e trovare la sua pienezza di fecondità nella orrenda morte di croce.
Gesù è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. Questo vuole dire che il Verbo di Dio si è fatto carne per manifestare autorevolmente e infallibilmente le realtà celesti che vede e ascolta (Gv 3,11.32). E chiunque è dalla verità, ascolta la sua voce, cioè accetta la sua testimonianza come vera, accoglie docilmente la sua Parola e decide liberamente di fare parte del suo regno: quindi, essere dalla verità «significa avere l’origine della vita religiosa dalla Parola, cioè essere animati profondamente dalla rivelazione del Cristo, per cui non si subisce alcun influsso malefico del Maligno. I Giudei che non fanno penetrare nel cuore la parola di Gesù, sono dal diavolo, non sono da Dio, in quanto non ascoltano il Verbo rivelatore [Gv 8,42-47]. Perciò il discepolo del Cristo, partecipe del suo regno, trova l’origine della sua esistenza nella rivelazione di Gesù, nella sua verità e quindi si mostra docile alla sua voce [Gv 18,37]» (S. Panimolle).
 
Ecco il legno della Croce! - Giovanni Paolo II (14 Aprile 1995): “O Croce di nostra salvezza, albero tanto glorioso, un altro non v’è nella selva di rami e di fronde a te uguale! Per noi dolce legno, che porti appeso il Signore del mondo” (Inno Crux fidelis). Proclamando la grandezza della Croce su cui si è compiuta la salvezza del mondo, la Chiesa il Venerdì Santo ci conduce al centro della storia dell’uomo: tra “l’albero della conoscenza del bene e del male” e “l’albero della vita” (cf. Gen 2, 9). Nel Libro della Genesi la trasgressione del divieto divino di mangiare dell’“albero della conoscenza del bene e del male” costituisce quel peccato che è all’origine della peccaminosità ereditata dall’umanità (cfr. Gen 2, 16-17). Il testo del Libro della Genesi, pur conciso e denso, se letto fino in fondo, è sconvolgente. L’uomo perse l’originale stato di felicità a causa del peccato. Ma non perse di vista il secondo albero. Il peccato allontanò l’uomo dall’“albero della vita”, ma non poté sradicare dal suo animo il desiderio della vita da esso simboleggiata. Conformemente al primo annuncio contenuto nel Libro della Genesi, l’Unto di Dio, il Figlio di Donna, avrebbe nuovamente indicato agli uomini la via che porta alla vita. Egli dice di sé: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Ecco, questa via passa attraverso la Croce. Per questo oggi adoriamo il legno della Croce, su cui fu appeso il martoriato corpo del Redentore: Croce che è divenuta per noi via che porta alla vita. Accanto alla Croce, presso il Colosseo, concludiamo dunque la nostra liturgia del Venerdì Santo, che è liturgia passionis. La concludiamo con un profondo sentimento di speranza. Non aveva Cristo già annunciato che sarebbe risorto? Così dunque il mysterium passionis dovrà rivelarsi come mysterium paschale. Madre di Cristo, Tu che hai accompagnato il tuo Figlio sulla via dolorosa, Tu che stavi sotto la Croce nell’ora della sua morte, conduci i nostri cuori attraverso tutti i Colossei della storia dell’uomo. Guidali attraverso il vasto e molteplice mysterium passionis della famiglia umana, verso il mysterium paschale, verso, cioè, quella luce, che si rivelerà nella resurrezione di Cristo, e mostrerà la definitiva vittoria della vita sulla morte.
 
Alberto Magno (In ev. Jo. exp ., XI):  - Di dove vieni?: cioè, qual è la tua origine: Divina od umana? Cristo aveva già risposto a questa domanda: Voi siete di quaggiù, Io sono di lassù. Voi siete di questo mondo, Io non sono di questo mondo (Gv. 8,23).9 Ma Gesù non gli diede risposta: tre sono i motivi di questo silenzio. Il primo è che Gesù voleva dimostrare nella Passione la sua natura mansueta, simile a quella dell’agnello. Il secondo è che era ormai tempo di Passione, nella quale doveva dimostrare la debolezza dell’umanità e non la potenza della Divinità ... per cui se avesse risposto di essere Figlio di Dio, la sua risposta sarebbe stata giudicata falsa, perché in quel momento appariva davanti a loro con i limiti dell’uomo. Il terzo motivo è che essi erano indegni di una risposta così profonda.
 
Il Santo del giorno  - 29 Marzo 2024 - San Marco di Aretusa. La verità e la comunione sono due beni da amministrare con profonda saggezza - Senza se e senza ma, sempre dalla parte di ciò che è vero, perché le ambiguità del mondo aprono alle più profonde ferite: i testimoni del Vangelo sanno che il patrimonio di fede loro affidato è un tesoro prezioso per l’umanità. Per questo lo difendono fino alla fine, anche amministrandolo con saggezza di fronte alle minacce e agli assalti dei prepotenti, che creano divisioni e lotte fratricide. A dimostrarlo sono le storie come quella di san Marco di Aretusa, vescovo del IV secolo della città siriana che oggi è Er Rastan. Accusato inizialmente di non essere abbastanza deciso contro l’arianesimo (forse perché preoccupato proprio della ferita provocata dalla diffusione dell’eresia e non volendo creare spaccature ancora più profonde nella Chiesa), nel 360 Marco chiarì la sua ortodossia e questo fece sparire i “sospetti” su di lui. Nel 361 fu costretto a fuggire a causa della presa di potere di Giuliano l’Apostata che voleva restaurare il paganesimo.
Tornò, però, quando venne a sapere che i preti erano stati imprigionati. Marco aveva fatto distruggere un tempio pagano e questo, al suo ritorno, gli costò l’arresto e le torture, alle quali, però, sopravvisse. Si dedicò all’evangelizzazione dei pagani fino alla morte nel 364 e la sua eredità è un chiaro invito a scegliere sempre la difesa della verità e la cura della comunione. (Matteo Liut)
 
Dio onnipotente ed eterno,
che ci hai rinnovati con la gloriosa morte
e risurrezione del tuo Cristo,
custodisci in noi l’opera della tua misericordia,
perché la partecipazione a questo grande mistero
ci consacri sempre al tuo servizio.
Per Cristo nostro Signore.
 
ORAZIONE SUL POPOLO
Scenda, o Padre, la tua benedizione
su questo popolo
che ha celebrato la morte del tuo Figlio
nella speranza di risorgere con lui;
venga il perdono e la consolazione,
si accresca la fede,
si rafforzi la certezza nella redenzione eterna.
Per Cristo nostro Signore.