28 Marzo 2024
 
Giovedì Santo «Cena del Signore»
 
Es 12,1-8.11-14; Salmo Responsoriale Dal Salmo 115 (116), 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15
 
Colletta
O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena
nella quale il tuo unico Figlio,
prima di consegnarsi alla morte,
affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio,
convito nuziale del suo amore,
fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero
attingiamo pienezza di carità e di vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovedì Santo: Benedetto XVI (Omelia, 5 Aprile 2012): Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato. Cerchiamo in quest’ora di capire più profondamente qualcosa di questi eventi, perché in essi si svolge il mistero della nostra Redenzione. Gesù esce nella notte. La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà. Egli entra nella notte. La notte, in ultima analisi, è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita. Gesù entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità.
 
I Lettura: La Pasqua è festa dell’uomo perché Dio rinnova la sua alleanza, e manifesta il suo grande amore per il mondo intero, è gioia perché l’uomo passa dalla morte alla vita. La pasqua è festa del Signore, è rito perenne che colma di incommensurabile gioia il cuore del popolo amato da Dio.
 
II Lettura: L’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto evoca gli istanti dell’ultima cena. Gesù, nella notte in cui veniva tradito, sul pane pronuncia mirabili parole: Questo è il mio corpo. Sul calice Gesù pronuncia parole ancora più sconvolgenti: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. La profezia di Geremia (cfr. 31,31-34) sulla nuova alleanza si compie pienamente con la Pasqua del Cristo.
 
Vangelo
Li amò sino alla fine
 
Ormai la Passione è vicina, e Gesù vuol stare con i suoi Amici (Gv 15,15), e in questa riunione svela loro tutto il suo amore: un amore ab aeterno, dall’eternità, che si è manifestato in tanti piccoli e grandi gesti di amore durante la sua vita terrena, e che ora si farà palese in tutta la sua “ampiezza, lunghezza, altezza e profondità” (Ef 3,18) consumandosi sulla Croce: li amò sino alla fine. Il brano di Giovanni mette in evidenza: la logica del grembiule che si edifica e poggia sulla bella virtù della umiltà, è la logica della carità, la logica del “piegarsi” dinanzi al fratello per lavargli i “piedi”. Una immagine da prendere anche alla lettera: quanti infermi, paralitici, hanno bisogno di un “buon samaritano” che presti loro le attenzioni anche più “intime”, come quello di lavargli il corpo, di asciugare il sudore, di imboccarlo... Il brano giovanneo mette in evidenza il comando di Gesù: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Da qui si evince la linea di demarcazione che separa il mondo e la Chiesa. La carità della Chiesa non è filantropia, ma amore di Cristo che si fa “carne” di consolazione per i più miseri, per i più poveri: “I poveri infatti li avete sempre con voi” (Gv 12,8). La Presenza di Gesù continua nel mistero dell’Eucarestia, ma continua nel mistero del dolore che sfigura la vita di tanti uomini, li sfigura ma allo stesso tempo li trasfigura se raggiunti dall’Amore del Cristo attraverso la pietà e la misericordia della Chiesa.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 13,1-15
 
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
 
Parola del Signore.
 
Messale delle Domeniche e Feste (ELLEDICI): L’amare e il sapere di Gesù - Il capitolo 13 di Giovanni pone subito al primo versetto i due I verbi che reggeranno tutta l’ultima parte del quarto vangelo (cf Gv 13,1).
«Amare» è il primo fra i due. Gesù ha amato e ama i suoi discepoli. Si approssima alla passione per amore dell’umanità. Nella parte finale del capitolo consegna il «comandamento nuovo» (cf Gv 13,34a); invita i discepoli ad amare seguendo il suo esempio (cf Gv 13,34b); indica l’amore come la testimonianza più credibile del discepolato (cf Gv 13,35). L’amore di Gesù accetta l’abbassamento radicale della croce, del dono della vita (cf Gv 15,13).
L’amore, però, deve tradursi in azioni concrete di servizio. Di questo Gesù dà l’esempio con il suo chinarsi davanti ai discepoli per compiere un gesto di umiltà estrema: lavare loro i piedi.
Il secondo verbo che reggerà tutta l’ultima parte del vangelo di Giovanni è «sapere». Gesù è consapevole di quanto sta accadendo; accondiscende, perché condivide la volontà di salvezza del Padre; accetta in piena libertà le conseguenze della scelta e gli eventi. Ne è testimonianza la lettura dei fatti della passione, dei quali, nel quarto vangelo, Gesù stesso è protagonista, quasi regista. Nella lavanda Gesù depone le vesti e le riprende (cf Gv 13,4.12), riferimento al suo consegnare la vita nella passione, per poi riaverla nella resurrezione.
 
Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù e Satana - I primi versetti di questa pagina evangelica presentano subito i due antagonisti della lotta che sta per iniziare e ci dicono che cosa farà Gesù nella sua «ora» e con quale coscienza la affronterà. Già siamo preparati per capirla. Gesù infatti ha già definito la sua ora come il momento in cui il Figlio dell’uomo sarà glorificato (12,23), come l’«adesso» in cui il Principe di questo mondo (qui chiamato il «diavolo») sarà gettato fuori (12,31) e come il momento in cui «elevato da terra, attirerà tutti a sé» (12,32). Perciò il Gesù che si presenta a noi è già sicuro della vittoria. E non può essere altrimenti: egli sa che il Padre ha posto ogni cosa nelle sue mani, gli ha dato, cioè, ogni potere affinché chiunque creda abbia la vita eterna (vedi 3,35-36).
L’agire di Gesù tende alla vita. Non così quello del suo nemico, il diavolo, che non agisce a volto scoperto, ma per mezzo di emissari, qui per mezzo di Giuda, oramai in suo potere; non lo lascerà più e lo condurrà sino in fondo nel suo tradimento.
Osserviamo meglio Gesù - L’evangelista sottolinea con forza la coscienza che Gesù ha di sé, usando per due volte il participio «sapendo». Gesù sa che è venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre e sa che quest’ora è il punto cardine della sua parabola umana. Il suo infatti non è un «andare», ma un «ritorno», poiché egli sa che è venuto da Dio e che a Dio ritorna. Ebbene, egli intende vivere quest’ora non per costrizione, ma per amore. Per questo l’evangelista annota che avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine, cioè: sino all’ultimo istante della sua vita, sino alla perfezione. La sua ora sarà un atto di supremo amore.
Questa è la vera chiave di lettura di tutta la sua Passione, non ce n’è un’altra; e il gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli ne è il segno. Esso dice con quali occhi e con quali sentimenti dobbiamo leggere il resto: come un «servizio-amore».
Gesù e Pietro - Ecco Gesù servo! La scena si svolge in modo assai vivace. L’alternanza presente-passato di tanti verbi la fa rivivere in ogni suo dettaglio: «si alza... depone... prendendo... si cinse... versa... incominciò...». È il servizio degli schiavi non ebrei quello che Gesù compie. E non lo compie all’inizio della Cena, ma mentre cenavano. Ciò fa meglio risaltare l’agire di Gesù e quello che egli vuole insegnare ai discepoli.
Eccolo davanti a Simon Pietro. Prima si è parlato di Giuda, già intenzionato a tradire, ora si parla di Pietro che lo rinnegherà. Egli però non lo sa ancora, lo sa solo Gesù. Pietro a prima vista sembra mosso da amore verso il Maestro; ma vuole che agisca a modo suo, non così: è il Maestro e il Signore; non può fare il «servo». In realtà non riesce a capire come Gesù vuole essere Messia, e se lo intuisce, lo rifiuta: il Messia deve occupare il trono di Israele (vedi commento a 6,15), non servire.
Gesù invece vuole cambiare questa mentalità. Egli vuole insegnare loro ad amare. Ora lo fa con l’esempio, poi lo farà con la parola (soprattutto nel c. 15). Egli vuol essere il primo nell’amore, non vuole imporre un comandamento che non abbia vissuto per primo. Ma questo Pietro «lo capirà più tardi». Ora Gesù gli chiede soltanto di lasciarlo fare e, di fronte al rifiuto di Pietro, gli risponde: «Se non ti laverò (cioè: se non mi accetti come «Servo»), non avrai niente da spartire con me (non potrai continuare ad essere mio discepolo)».
Pietro si spaventa e lo lascia fare, anzi vuole che gli lavi anche le mani e la testa. Ma Gesù gli dice che per lui e altri basta lavare i piedi, perché già sono «puri» ma aggiunge: «... non tutti». L’evangelista come al solito, commenta:  «Sapeva chi lo avrebbe tradito». L’ombra di Giuda pesa su tutta la scena.
 
Vi ho dato un esempio - Veritatis splendor 20Gesù chiede di seguirlo e di imitarlo sulla strada dell’amore, di un amore che si dona totalmente ai fratelli per amore di Dio: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12). Questo “come” esige l’imitazione di Gesù, del suo amore di cui la lavanda dei piedi è segno: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,14-15). L’agire di Gesù e la sua parola, le sue azioni e i suoi precetti costituiscono la regola morale della vita cristiana. Infatti, queste sue azioni e, in modo particolare, la passione e la morte in croce, sono la viva rivelazione del suo amore per il Padre e per gli uomini. Proprio questo amore Gesù chiede che sia imitato da quanti lo seguono. Esso è il comandamento “nuovo”: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Questo “come” indica anche la misura con la quale Gesù ha amato, e con la quale devono amarsi tra loro i suoi discepoli. Dopo aver detto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12), Gesù prosegue con le parole che indicano il dono sacrificale della sua vita sulla croce, quale testimonianza di un amore “sino alla fine” (Gv 13,1): “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Chiamando il giovane a seguirlo sulla strada della perfezione, Gesù gli chiede di essere perfetto nel comandamento dell’amore, nel “suo” comandamento: di inserirsi nel movimento della sua donazione totale, di imitare e di rivivere l’amore stesso del Maestro “buono”, di colui che ha amato “sino alla fine”. È quanto Gesù chiede ad ogni uomo che vuole mettersi alla sua sequela: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).
 
La Messa e l’offerta: “L’offerta che vien fatta è la stessa, chiunque sia l’offerente, sia Paolo, sia Pietro; è la stessa, che Cristo diede ai discepoli, e che ora i sacerdoti presentano ai fedeli. Questa, che vien data dai sacerdoti oggi, non è in nessun modo inferiore a quella che fece Cristo allora, perché non sono gli uomini che la consacrano, ma quello stesso Cristo, che consacrò la prima. Come, infatti, le parole, che Dio disse, sono le stesse che dice oggi il sacerdote, così l’offerta è la stessa; come il battesimo nostro di oggi è il medesimo battesimo di Cristo. Cioè, rientra tutto nel campo della fede. Dunque, è corpo di Cristo questo che diamo noi, come era corpo di Cristo quello ch’egli stesso diede ai discepoli; e chi pensa che questo, che diamo noi, sia inferiore in qualche modo a quello, che Cristo diede, dimostra di non capire che anche oggi è ancora Cristo che è presente e agisce” (Giovanni Crisostomo, In Epist. II ad Timoth., 4,4).
 
Il Santo del Giorno - 28 Marzo 2024 - San Giuseppe Sebastiano Pelezar. Testimone di una santità popolare che si fa compagna di vita degli ultimi -  La santità è un’esperienza di popolo, perché apre nella storia uno spazio dove si realizza il Regno di Dio, regno d’amore dove gli ultimi non vengono lasciati indietro ma trovano sempre qualcuno pronto a tendere loro la mano. È proprio questo lo stile di cui fu testimone san Giuseppe Sebastiano Pelczar, un pastore, ma anche uomo di cultura e padre per i poveri. Era nato nel 1842 a Korczyna, un paesino ai piedi dei Carpazi in Polonia, dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1864, proseguì gli studi a Roma per due anni tra il 1866 e il 1868. Rientrato in patria, insegnò per 22 anni nel Seminario della sua diocesi, Przemysl, e all’università Jaghellonica di Cracovia, della quale fu anche rettore. Ma il suo impegno non fu soltanto sui libri: prese a cuore, infatti, le questioni sociali del suo tempo seguendo sui passi del magistero di Leone XIII, che aveva aperto una nuova stagione nella presenza della Chiesa nella storia. Un’attenzione che prese forma anche attraverso l’attività nella Società di San Vincenzo de’ Paoli. Nel 1894 insieme a Ludwika Szczesna fondò le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, alle quali affidò come prima opera l’ospizio da lui fondato nel 1892 per domestiche e lavoratori. Divenuto vescovo di Przemysl nel 1899, realizzò diverse opere educative e caritative: asili, mense e strutture per i poveri e i senza tetto, istituti per l’avviamento professionale delle ragazze e per l’insegnamento gratuito offerto ai ragazzi di famiglie povere. Morì nel 1924 ed è santo dal 2003.
 
Padre onnipotente,
che nella vita terrena ci hai nutriti alla Cena del tuo Figlio,
accoglici come tuoi commensali
al banchetto glorioso del cielo.
Per Cristo nostro Signore.