3 Luglio 2025
San Tommaso, Apostolo
Ef 2,19-22; Salmo Responsoriale Dal Salmo 116 (117); Gv 20,24-29
Colletta
Esulti la tua Chiesa, Dio onnipotente,
nella festa del santo apostolo Tommaso;
ci sostenga la sua protezione
perché, credendo, abbiamo vita nel nome di Gesù Cristo,
tuo Figlio, che egli riconobbe come suo Signore e suo Dio.
Egli vive e regna con te.
Benedetto XVI (Udienza Generale 27 Settembre 2006): Notissima, poi, e persino proverbiale è la scena di Tommaso incredulo, avvenuta otto giorni dopo la Pasqua. In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò!” (Gv 20, 25). In fondo, da queste parole emerge la convinzione che Gesù sia ormai riconoscibile non tanto dal viso quanto dalle piaghe. Tommaso ritiene che segni qualificanti dell’identità di Gesù siano ora soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela fino a che punto Egli ci ha amati. In questo l’Apostolo non si sbaglia. Come sappiamo, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente” (Gv 20, 27). Tommaso reagisce con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 28). A questo proposito commenta Sant’Agostino: Tommaso “vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino ad allora aveva dubitato” (In Iohann. 121, 5). L’evangelista prosegue con un’ultima parola di Gesù a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20, 29). Questa frase si può anche mettere al presente: “Beati quelli che non vedono eppure credono”.
In ogni caso, qui Gesù enuncia un principio fondamentale per i cristiani che verranno dopo Tommaso, quindi per tutti noi. È interessante osservare come un altro Tommaso, il grande teologo medioevale di Aquino, accosti a questa formula di beatitudine quella apparentemente opposta riportata da Luca “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete” (Lc 10, 23). Ma l’Aquinate commenta: “Merita molto di più chi crede senza vedere che non chi crede vedendo” (In Johann. XX lectio VI 2566). In effetti, la Lettera agli Ebrei, richiamando tutta la serie degli antichi Patriarchi biblici, che credettero in Dio senza vedere il compimento delle sue promesse, definisce la fede come “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (11, 1). Il caso dell’apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui.
I Lettura: Paolo porta al nostro cuore la buona nuova: nel cristianesimo non vi sono stranieri né ospiti ma concittadini dei santi e familiari di Dio. La Chiesa è una casa aperta a tutti i popoli, e la sua fede è veritiera e non conosce vacillamenti perché è fondata sulla fede degli Apostoli.
Vangelo
Mio Signore e mio Dio!
L’apparizione di Gesù intende presentare la sua nuova condizione non più legata al mondo fisico. Gesù risorto, spalancate le porte della paura, sta in mezzo ai suoi discepoli, colmando il loro cuore di pace e di gioia. Mostrando il costato ferito e le mani e i piedi piagati per vincere l’incredulità di Tommaso indica alla Chiesa e al mondo il cammino per arrivare alla fede: bisogna partire dal Crocifisso, è dalla contemplazione amorosa del Crocifisso risorto che sgorga la fede: «Attraverso la via della croce si arriva alla gloria: teologia della croce per essere teologia della gloria. Gesù mostra le mani, quelle mani ferite, perforate dai chiodi, il segno dell’amore; mostra il costato squarciato, segno ancora più grande dell’amore: il cuore trafitto. La morte è dimostrazione massima dell’amore. La risurrezione è amore» (Don Carlo De Ambrogio). Per giungere alla conoscenza e alla contemplazione l’unica via dell’Amore è la Croce.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,24-29
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Parola del Signore.
Marida Nicolaci (Vangelo secondo Giovanni): La tenacia di Tommaso, il discepolo che si era dichiarato pronto ad andare a morire con Gesù in Giudea (11,16), dimostra in modo salutare la necessità di contattare col corpo la verità della riconciliazione e della vita: i segni fisici della sofferenza inflitta vanno visti, il dito del discepolo deve poter contattare i segni dei chiodi nelle mani del Maestro, la sua mano deve poter entrare in contatto col suo costato trafitto. La sofferenza e la morte sono un’evidenza fisica. Per credere che la vita trionfi su di esse non si può fare a meno del corpo. Il fatto che ancora, «dopo otto giorni», i discepoli si trovino «di nuovo» con Tommaso in un luogo interno a porte chiuse, dimostra che l’esigenza di Tommaso deve trovare risposta anche per gli altri. Gesù stesso, venendo di nuovo e offrendosi a lui nel suo corpo segnato dalla violenza, lo conferma. È così che egli permette a Tommaso di portare a pienezza la sua storia discepolare e la relazione con lui: di non lasciarsi andare all’incredulità e al senso di fallimento e negazione di tutto («non divenire incredulo») ma, piuttosto, di coronare l’esperienza fatta con lui con la pienezza della fiducia e l’apertura al dono della vita del Risorto («ma [diventa] credente»).
La professione di fede con cui Tommaso gli risponde, riconoscendolo suo «Signore» e suo «Dio» è, dunque, un apice del percorso discepolare e della rivelazione stessa di Gesù a doppio titolo: perché deriva dalla continuità dell’esperienza storica fatta con lui e delle diverse tappe della sua sequela, avendo il suo primo fondamento in ciò che, nel corpo, è stato sperimentato e vissuto insieme; perché su questa base esprime la possibilità di un contatto con il Signore risorto perfettamente corrispondente alla sua vera identità e dignità e adeguato alla nuova modalità di relazione con lui - e con la storia vissuta con lui - determinata dal superamento della morte e da una vita riconciliata e non più dai soli parametri di esperienza del corpo mortale.
È aperta, così, la strada per tutti i futuri credenti ai quali la professione di fede di Tommaso, fondata sulla visione, permetterà di aprirsi alla beatitudine o gioia piena, vera, definitiva veicolata dalla fede nel Risorto anche senza il supporto di una propria visione. Essi potranno condividere al contempo la capacità di presentire la vita propria del discepolo amato, capace di credere anche senza vedere il corpo del Signore ma solo i segni della sua assenza dal luogo della morte (v. 8), e la certezza della vita che giunge loro dall’esperienza del corpo richiesta da Tommaso e concessa a lui, per tutti, dal Risorto.
Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Gv 20 che descrive le apparizioni di Gesù risorto, sembra racchiuso da una grande inclusione tematica formata dall’associazione dei verbi vedere e credere. In effetti nel brano iniziale troviamo la frase: l’altro discepolo ... VIDE E CREDETTE (Gv 20,8), mentre il passo finale è chiuso dall’espressione: Beati coloro che NON AVENDO VISTO, CREDERANNO (Gv 20,29). In realtà in questo capitolo è rappresentato drammaticamente il processo della fede nel Cristo risorto. La scoperta del sepolcro vuoto e la costatazione dell’ordine che regnava nella tomba di Gesù, fa sbocciare nel cuore del discepolo amato la fede nella risurrezione del Signore (Gv 20,8s). Nel caso di Maria Maddalena e dei discepoli presenti nel cenacolo non si parla di fede, perché costoro videro il Cristo risorto (Gv 20,15-20). Invece il brano incentrato in Tommaso, mostra in modo vivo come questo apostolo sia passato dall’incredulità più ostinata alla fede più viva nel Signore risorto.
Come spesso avviene nel nostro vangelo, l’autore che si rivela sempre un fine artista, rappresenta in modo drammatico la nascita della fede nel cuore dell’incredulo Tommaso. L’assenza di questo discepolo dal cenacolo, quando venne il Risorto, offre l’occasione per la proclamazione ostentata dell’incredulità dell’apostolo; egli non dà credito alla dichiarazione degli amici, perché replica loro di non credere, se non quando vede con i propri occhi e tocca con le proprie mani (Gv 20,25). Tommaso rifiuta la testimonianza degli altri discepoli, non si fida di loro, perché li ritiene vittime di un’allucinazione; egli vuoi vedere il Maestro e costatare di persona se sia proprio lui, con le cicatrici dei chiodi e del colpo di lancia; i suoi colleghi potrebbero aver visto un fantasma.
Gesù accoglie la sfida di Tommaso e otto giorni dopo la prima apparizione, mostrandosi nuovamente nel cenacolo, si rivolge subito all’apostolo incredulo, invitandolo a portare il dito nelle cicatrici delle mani e a mettere la mano nel suo fianco, per diventare credente (Gv 20,26s). La professione di fede di Tommaso nella divinità del Maestro costituisce il vertice dello sviluppo drammatico della scena: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). Nel cuore del discepolo incredulo si è accesa la fede più profonda: risorgendo dai morti, Gesù ha dimostrato nel modo più chiaro e convincente di essere il Signore Iddio, come Jahvé.
La fede di Tommaso è autentica e sincera, essa però ha avuto bisogno del segno concreto di vedere il Risorto.
A questo punto nella mente dell’evangelista sorge il problema della fede di coloro che non potranno vedere il Signore Gesù: costoro potranno credere? Non solo sarà possibile la fede, ma essa si rivelerà superiore a quella dei primi discepoli. Il Cristo risorto infatti proclama beati coloro che crederanno, senza aver visto (Gv 20,29).
Giovanni tuttavia non considera inutili i segni, operati da Gesù, in rapporto alla fede: essi possono favorire il suo nascere e il suo approfondimento; per tale scopo egli ha scritto il suo vangelo: affinché i lettori credano che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio (Gv 20,30s). La fede nella messianicità divina di Gesù trova il suo alimento nella meditazione dei segni compiuti dal Signore, tra i quali il più strepitoso consiste nella risurrezione dai morti il terzo giorno (cf. Gv 2,18s).
I dodici apostoli. – Xavier Léon-Dufour: Fin dall’inizio della sua vita pubblica Gesù volle moltiplicare la sua presenza e diffondere il suo messaggio per mezzo di uomini che fossero altri se stesso. Chiama i quattro primi discepoli perché siano pescatori d’uomini (Mt 4,18-22 par.); ne sceglie dodici perché siano «con lui» e perché, come lui, annuncino il vangelo e scaccino i demoni ( Mc 3,14 par. ); li manda in missione a parlare in suo nome (Mc 6,6-13 par.), muniti della sua autorità: «Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10,40 par.); sono incaricati di distribuire i pani moltiplicati nel deserto (Mt 14, 19 par), ricevono un’autorità speciale sulla comunità che devono dirigere (Mt 16, 18; 18, 18). In una parola, essi costituiscono i fondamenti del nuovo Israele, di cui saranno i giudici nell’ultimo giorno (Mt 19,28 par.); ed è questo che il numero 12 del collegio apostolico simboleggia. Ad essi il risorto, sempre presente con essi sino alla fine dei secoli, dà l’incarico di ammaestrare e di battezzare tutte le nazioni (Mt 28,18ss). L’elezione di un dodicesimo apostolo in sostituzione di Giuda appare quindi indispensabile perché la figura del nuovo Israele si ritrovi nella Chiesa nascente (Atti 1, 15-26). Essi dovranno essere i testimoni di Cristo, cioè attestare che il Cristo risorto è quel medesimo Gesù con il quale sono vissuti (1,8.21); testimonianza unica che conferisce al loro apostolato (inteso qui nel senso più stretto del termine) un carattere unico. I Dodici sono per sempre il fondamento della Chiesa: «Il muro della città poggia su dodici basamenti che portano ciascuno il nome di uno dei dodici apostoli dell’ agnello» ( Apoc 21,14).
Agostino, Comment. in Ioan., 121, 4s: [Tommaso] vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino allora aveva dubitato. “E Gesù gli disse: «Hai creduto perché mi hai veduto»" (Gv 20,29). Non disse: Mi hai toccato, ma disse soltanto: «Mi hai veduto», perché la vista in un certo modo comprende tutti gli altri sensi. Anche noi, infatti, siamo soliti nominare la vista per intendere anche gli altri sensi, come quando diciamo: Ascolta e vedi che suono armonioso, odora e vedi che odore gradevole, assapora e vedi che buon sapore, tocca e vedi come è caldo. In ognuna di queste espressioni si dice: «vedi», anche se vedere è proprio degli occhi. È così che il Signore stesso dice a Tommaso: «Appressa qui il tuo dito, e vedi le mie mani». Egli dice in sostanza: Tocca e vedi, anche se Tommaso non aveva certo gli occhi sulla punta delle dita. Sia alla vista che al toccare si riferisce il Signore dicendo: «Hai creduto perché hai veduto».
Si potrebbe anche dire che il discepolo non lo toccò affatto, sebbene Gesù lo invitasse a farlo. L’evangelista infatti non dice: Tommaso lo toccò. Sia che egli abbia ritenuto sufficiente vedere, sia che abbia anche toccato, è vedendo che credette, e giustamente il Signore esalta come superiore alla sua la fede delle genti che non lo vedranno, con le parole: “Beati coloro che hanno creduto, senza avere veduto (ibid.)”. In questa espressione usa il tempo passato, in quanto egli considerava, nella predestinazione, già avvenuto ciò che doveva verificarsi nel futuro.
Il Santo del Giorno - 3 Luglio 2025 - San Tommaso. Per cogliere la verità serve curare la relazione: Pare che l’incredulità e la diffidenza oggi siano i valori predominanti, assunti, paradossalmente, a sigillo di verità che molto spesso costruiamo con le nostre stesse mani. La vicenda di san Tommaso apostolo, invece, ci dimostra che per accedere alla verità è necessario saper stare in relazione, saper condividere e saper coltivare la giusta fiducia nel prossimo e in Dio, rinunciando a quell’atteggiamento di diffidenza verso il quale, come essere umani, saremmo portati. Il suo percorso di “conversione”, tra l’altro, parte proprio dall’incredulità per arrivare poi a un totale affidamento di sé. Un’esperienza, la sua, che contiene una lezione preziosa: la fede non sta nel vedere e nel toccare ma nella capacità di cogliere una presenza, quella di Dio, che non abbandona mai la storia. La diffidenza di Tommaso appare diverse volte nei racconti evangelici ma arriva al culmine dopo la morte di Gesù. Come narra il Vangelo di Giovanni, Tommaso non crede che il maestro si è mostrato ai discepoli mentre lui è assente. Ma poi Gesù torna ancora e si offre alla vista e al tocco dell’apostolo incredulo, che esclama: «Mio Signore e mio Dio!». «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!», chiosa Gesù. Secondo alcune fonti Tommaso sarebbe morto martire in India. (Matteo Liut)
O Dio, che in questo sacramento
ci fai comunicare realmente
al Corpo e al Sangue del tuo Figlio unigenito,
concedi a noi di testimoniare con le opere e con la vita
colui che, insieme all’apostolo Tommaso,
riconosciamo nella fede nostro Signore e nostro Dio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.