3 Luglio 2024
 
San Tommaso, Apostolo
 
Ef 2,19-22; Salmo responsoriale Dal Salmo 116 (117); Gv 20,24-29
 
Colletta
Esulti la tua Chiesa, Dio onnipotente,
nella festa del santo apostolo Tommaso;
ci sostenga la sua protezione
perché, credendo, abbiamo vita nel nome di Gesù Cristo,
tuo Figlio, che egli riconobbe come suo Signore e suo Dio.
Egli vive e regna con te.
 
Tommaso, Apostolo - Benedetto XVI (Udienza Generale, 27 Settembre 2006): Sempre presente nelle quattro liste compilate dal Nuovo Testamento, egli nei primi tre Vangeli è collocato accanto a Matteo (cfr Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15), mentre negli Atti si trova vicino a Filippo (cfr At 1,13). Il suo nome deriva da una radice ebraica, ta’am, che significa “appaiato, gemello”. In effetti, il Vangelo di Giovanni più volte lo chiama con il soprannome di “Didimo” (cfr Gv 11,16; 20,24; 21,2), che in greco vuol dire appunto “gemello”. Non è chiaro il perché di questo appellativo.
Soprattutto il Quarto Vangelo ci offre alcune notizie che ritraggono qualche lineamento significativo della sua personalità. La prima riguarda l’esortazione, che egli fece agli altri Apostoli, quando Gesù, in un momento critico della sua vita, decise di andare a Betania per risuscitare Lazzaro, avvicinandosi così pericolosamente a Gerusalemme (cfr Mc 10,32). In quell’occasione Tommaso disse ai suoi condiscepoli: “Andiamo anche noi e moriamo con lui” (Gv 11,16). Questa sua determinazione nel seguire il Maestro è davvero esemplare e ci offre un prezioso insegnamento: rivela la totale disponibilità ad aderire a Gesù, fino ad identificare la propria sorte con quella di Lui ed a voler condividere con Lui la prova suprema della morte. In effetti, la cosa più importante è non distaccarsi mai da Gesù. D’altronde, quando i Vangeli usano il verbo “seguire” è per significare che dove si dirige Lui, là deve andare anche il suo discepolo. In questo modo, la vita cristiana si definisce come una vita con Gesù Cristo, una vita da trascorrere insieme con Lui. San Paolo scrive qualcosa di analogo, quando così rassicura i cristiani di Corinto: “Voi siete nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere” (2 Cor 7,3). Ciò che si verifica tra l’Apostolo e i suoi cristiani deve, ovviamente, valere prima di tutto per il rapporto tra i cristiani e Gesù stesso: morire insieme, vivere insieme, stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro.
 
I Lettura: Paolo porta al nostro cuore la buona nuova: nel cristianesimo non vi sono stranieri né ospiti ma concittadini dei santi e familiari di Dio. La Chiesa è una casa aperta a tutti i popoli, e la sua fede è veritiera e non conosce vacillamenti perché è  fondata sulla fede degli Apostoli.
 
Vangelo
Mio Signore e mio Dio!
 
Il credente nel leggere il racconto delle apparizioni del Risorto potrebbe porsi una domanda: Cosa vuole svelare il racconto evangelico? Innanzi tutto, l’identità tra il Risorto e il Crocifisso. Colui che viene, a porte chiuse, e sta in mezzo agli Apostoli è il Gesù crocifisso sul Calvario. Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova. Poi, Gesù è Dio. Gesù venendo incontro alla pretesa di Tommaso lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Mio Signore e mio Dio”. L’esatto sfondo per capire tale risposta è quello dell’Antico Testamento, dove le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim”. Con il metodo, abituale nel Nuovo Testamento, di trasferire su Cristo quanto l’Antico Testamento dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Infine, vuole indicare il cammino della fede e lo fa ricordando le parole di Gesù: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Una pagina densissima, dunque, da chiudere nel cuore perché la mente si dilati sempre più nella conoscenza del mistero del Cristo.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv  20,24-29

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
 
Parola del Signore.
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v. 27 L’apparizione otto giorni dopo ai discepoli con la presenza di Tommaso risulta una riedizione di quella precedente: il v. 26 ricalca quasi letteralmente il v. 19. Gesù invita Tommaso a fare la verifica con le medesime parole che il discepolo incredulo aveva pronunziato otto giorni prima dinanzi agli altri condiscepoli.
v. 28 Vedendo Gesù risorto, Tommaso fa «la più bella confessione di fede di tutto il quarto vangelo: “Mio Signore e mio Dio”» (I. de la Potterie, p. 208). «È la suprema dichiarazione cristologica del quarto vangelo..., strettamente parallela a “La Parola era Dio” del verso iniziale» (Brown, II, pp. 1320-1321).
Probabilmente abbiamo qui l’eco di una dossologia della comunità cristiana primitiva, che professava la divinità di Cristo e l’adorava con queste formule stupende di fede, che si riallacciano alla più ardita affermazione del prologo: «Il Verbo era Dio» (cf. Maggioni, p. 1698).
v. 29 Gli dice Gesù: «Poiché mi hai visto, hai’ creduto! Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto». Gv alla conclusione del vangelo pone in bocca a Gesù questo macarismo, che ha una certa affinità con la beatitudine rivolta a Maria da Elisabetta (Lc 1,45), ugualmente connessa con il tema della fede. Gesù non muove a Tommaso nessun rimprovero, ma lo invita a credere. L’esperienza sensibile della sua risurrezione era essenziale per i primi testimoni della fede: gli apostoli dovevano avere la certezza che era veramente risorto. Tuttavia, il loro atteggiamento dubbioso di fronte alla risurrezione di Gesù, attestato anche da Mt (28,16-20) e da Lc (24,36-43), era biasimevole. L’episodio di Tommaso, narrato solo da Gv, non fa altro che drammatizzare a scopo apologetico tale situazione di perplessità e di diffidenza. Ma l’esperienza delle apparizioni era indispensabile per il futuro della chiesa. Infatti, «la fede cristiana si collega sempre all’esperienza fondante dei primi testimoni, che avevano avuto la visione di fede del Cristo glorioso». Ora la testimonianza dei discepoli, su cui si fonda la fede pasquale dei credenti, «era essa stessa basata sulla vista sensibile e sulla visione di fede che avevano avuto del Cristo risuscitato» (I. de la Potterie, p. 209). Tommaso aveva sbagliato a non credere alla testimonianza degli altri suoi compagni; perciò Gesù dichiara beati coloro che avrebbero creduto all’annunzio apostolico del kerygma senza aver visto il Risorto. Con questa beatitudine Gv non intende certo contrapporre due situazioni, quella della presenza fisica di Gesù a quella posteriore della presenza spirituale, dichiarando superiore quest’ultima. Al contrario, fu grande privilegio per i discepoli aver udito, aver visto con i loro occhi, aver contemplato e toccato con le proprie mani il Verbo della vita (1Gv 1,1; cf. Mt 13,1617; Lc 10,23-24).
Anzi, come appare da tutto il c. 20, c’è un rapporto strettissimo tra il «vedere» e «credere». Ma questo vale per l’esperienza storica degli apostoli, ormai appartenente al passato e perciò irripetibile. Nel tempo della chiesa era necessario che l’adesione di fede al vangelo prescindesse dalla visione e si fondasse unicamente sulla testimonianza apostolica.
I futuri seguaci di Gesù avrebbero dovuto credere senza vedere. Anche per la fede personale di Tommaso poteva bastare la testimonianza degli altri apostoli, senza la pretesa di vederlo di persona. Gesù stava per scomparire definitivamente dalla scena del mondo; le apparizioni sarebbero presto cessate e non sarebbe più stato possibile incontrarlo se non attraverso la fede. Aveva allora inizio il tempo della chiesa, nel quale si imponeva l’ascolto della testimonianza autorevole degli apostoli. Benché la visione storica di Gesù sia cessata per sempre, è possibile sperimentarne la presenza spirituale nella chiesa, attraverso la fede, suscitata e approfondita dall’azione dello Spirito Santo, effuso da Gesù sulla comunità messianica da lui fondata. L’esperienza forte degli apostoli per le apparizioni del Risorto non viene qui deprezzata; tuttavia coloro che non hanno visto ma hanno creduto, non saranno svantaggiati rispetto ai contemporanei di Gesù. Anch’essi potranno sperimentare la gioia, la pace, la beatitudine, offerta da Dio nel Cristo, morto e risorto per la salvezza del mondo,
 
La fede è una crescita - Achille Delgest (Il Pane della Domenica): Il racconto della seconda apparizione nel Cenacolo, presente l’incredulo Tommaso, ci interessa sotto due punti di vista. Insiste sulla realtà fisica di Gesù risorto, qualunque sia la teoria che si segue sullo stato del corpo glorioso del Signore e sottolinea l’importanza della fede e il privilegio di possederla […].
1) Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (Gv 14,l). A questa affermazione del maestro, risponde, qui, l’esclamazione di Tommaso: Signore mio e Dio mio. Tra la parola di Gesù e l’ammirabile grido di Tommaso, è stato percorso un lungo cammino; si potrebbe quasi dire che una delle vene drammatiche di tutto il vangelo di Giovanni si esprime nel difficile cammino dell’incredulità alla fede. Gli ebrei rimarranno fermi sulla loro incredulità; i discepoli, invece accederanno alla fede, ma dopo numerose difficoltà. Tommaso è uno di quelli il cui temperamento contestatario non si piega facilmente. Si ricordi che giudicava impresa disperata la visita di Gesù alla tomba di Lazzaro (Gv 11,16) e non temé di dire al Signore che si chiedeva dove andava a finire la sua avventura (Gv 14,5). Ora, è proprio lui che pronuncia l’atto di fede più splendido di tutto il nuovo Testamento. È un risultato che rivela insieme la generosità del dono spirituale offerto da Gesù e la risposta semplice di un’anima esigente, ma onesta.
Si dirà: la fede di Tommaso è stata facile perché ha avuto il privilegio di vedere Gesù. Rispondiamo: anche gli altri apostoli l’avevano. Però c’è stato un momento nel quale hanno riconosciuto in Gesù più che un uomo, Dio stesso. Nel cammino della loro adesione a Gesù Dio, si colloca la loro fede. Così è per noi. Ci è chiesto di superare ciò che conosciamo di Gesù dalla storia, per elevarci fino alla fede in Gesù Dio.
2) La fede è un divenire continuo, un progredire incessante: non si è mai arrivati alla perfezione della fede in Gesù nostro Signore e Dio. Una delle traduzioni più autorevoli del versetto 27 dice: non essere più incredulo, ma credente. L’incredulità e la fede non sono condizioni interiori inerti. Il rifiuto di credere rende la fede sempre più difficile, mentre accettare di credere rende la fede sempre più accettabile e viva. Nella fede ci si evolve: si diventa sempre più increduli oppure più credenti.
Questo fatto comporta una conseguenza. La fede viva instaura nell’uomo una crescita spirituale, che assume il movimento inverso della degradazione corporale. Il corpo, dopo un tempo di crescita, si consuma e muore. La fede, realtà spirituale, cresce e si intensifica, nella misura in cui noi vogliamo viverla; essa non si esaurisce, si sviluppa e cresce continuamente. Perché? Perché ci unisce a Dio vivente, sorgente infinita di vita. Dipende tuttavia da noi, dal nostro desiderio, dalla nostra lealtà pratica, dalla nostra accoglienza, diventare sempre più credenti.
 
Alberto Magno (In ev. Jo. exp., XX) 20,27 Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani...: Cristo non propone né mostra le ferite, ma le cicatrici... che non derivano da impotenza, perché esse sono rimaste per volere Divino e per l’arte dell’ottimo Medico, così come il soldato valoroso ferito per la patria vuole essere risanato dal medico in modo però che rimangano i segni del suo valore.
20,29 Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto ...: bisogna fare attenzione che Egli dice: Perché mi hai veduto, e non perché mi hai toccato. Perciò alcuni dicono che, pur avendo il Signore offerto le mani e il costato perché fossero toccati, tuttavia l’Apostolo non osò farlo, in segno di rispetto.
 
Santo del giorno - 3 Luglio 2024 - San Tommaso, Apostolo: Chiamato da Gesù tra i Dodici. Si presenta al capitolo 11 di Giovanni quando il Maestro decide di tornare in Giudea per andare a Betania, dove è morto il suo amico Lazzaro. I discepoli temono i rischi, ma Gesù ha deciso: si va. E qui si fa sentire la voce di Tommaso, obbediente e pessimistica: «Andiamo anche noi a morire con lui», deciso a non abbandonare Gesù. Facciamo torto a Tommaso ricordando solo il suo momento famoso di incredulità. Lui è ben altro che un seguace tiepido. Ma credere non gli è facile, e non vuol fingere che lo sia. Dice le sue difficoltà, si mostra com’è, ci somiglia, ci aiuta. Dopo la morte del Signore, sentendo parlare di risurrezione «solo da loro», esige di toccare con mano. Quando però, otto giorni dopo, Gesù viene e lo invita a controllare esclamerà: «Mio Signore e mio Dio!», come nessuno finora aveva mai fatto. A metà del VI secolo, un mercante egiziano scrive di aver trovato nell’India meridionale gruppi inaspettati di cristiani e di aver saputo che il Vangelo fu portato ai loro avi da Tommaso apostolo. (Avvenire)
 
O Dio, che in questo sacramento
ci fai comunicare realmente
al Corpo e al Sangue del tuo Figlio unigenito,
concedi a noi di testimoniare con le opere e con la vita
colui che, insieme all’apostolo Tommaso,
riconosciamo nella fede nostro Signore e nostro Dio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.