1 Luglio 2024
 
Lunedì della XIII Settimana T. O.
 
Am 2,6-10.13-16; Salmo Responsoriale 49 (50); Mt 8,18-22
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Annunciare il Vangelo - Christifideles Laici 33: I fedeli laici, proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo: per quest’opera sono abilitati e impegnati dai sacramenti dell’iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo.
Leggiamo in un testo limpido e denso del Concilio Vaticano II: «In quanto partecipi dell’ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell’azione della Chiesa (...). Nutriti dell’attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità, partecipano con sollecitudine alle opere apostoliche della medesima; conducono alla Chiesa gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione nel comunicare la parola di Dio, specialmente mediante l’insegnamento del catechismo; mettendo a disposizione la loro competenza rendono più efficace la cura delle anime ed anche l’amministrazione dei beni della Chiesa».
Ora è nell’evangelizzazione che si concentra e si dispiega l’intera missione della Chiesa, il cui cammino storico si snoda sotto la grazia e il comando di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). «Evangelizzare - scrive Paolo VI - è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda».
Dall’evangelizzazione la Chiesa viene costruita e plasmata come comunità di fede: più precisamente, come comunità di una fede confessata nell’adesione alla Parola di Dio, celebrata nei sacramenti, vissuta nella carità, quale anima dell’esistenza morale cristiana. Infatti, la «buona novella» tende a suscitare nel cuore e nella vita dell’uomo la conversione e l’adesione personale a Gesù Cristo Salvatore e Signore; dispone al Battesimo e all’Eucaristia e si consolida nel proposito e nella realizzazione della vita nuova secondo lo Spirito.
Certamente l’imperativo di Gesù: «Andate e predicate il Vangelo» mantiene sempre vivo il suo valore ed è carico di un’urgenza intramontabile. Tuttavia la situazione attuale, non solo del mondo ma anche di tante parti della Chiesa, esige assolutamente che la parola di Cristo riceva un’obbedienza più pronta e generosa. Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: «Guai a me, se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16).
 
I Lettura - Così dice il Signore … - Epifanio Callego (Commento della Bibbia Liturgica): Questo giudizio contro le nazioni sarà solo un preludio o una premessa a un’argomentazione «a fortiori». Se Dio giudica e castiga in questo modo le altre nazioni per i loro peccati, tipificati in quella costante «per tre misfatti ... e per quattro non revocherò il mio decreto», che include tutti i peccati di ogni popolo e che segna il carattere irrevocabile della decisione divina, Israele, il suo popolo, non poteva restare impunito.
Essi attendono il «giorno di Yahveh» con l’illusione di chi sta per vedere tutti i suoi nemici umiliati davanti a lui. Amos rafforza l’idea dell’imminenza del giorno di Yahveh, ma giusto e punitivo per essi come per le altre nazioni. Per questo, «Israele ... non lo perdonerò» E, come aveva tipificato i peccati degli altri popoli in tre più di uno, così fa ora con Israele. I tre peccati che egli enumera sono semplici esempi di ingiustizie sociali che includono tutte le ingiustizie, i disordini e gli abusi di quella corrotta alta società. Il quarto, il più radicale, è la prostituzione sacra: «su vesti prese come pegno si stendono esso ogni altare».
Un peccato così grave d’Israele è il contrappunto sulla bilancia delle misericordie divine attraverso tutta la  storia, da quando li tirò fuori dall’Egitto fino a quando li fece stabilire nella terra degli amorrei, primitivi abitanti di Canaan, che egli stesso distrusse. È una storia di ordini umani, che hanno pesato troppo; e la sentenza già stata pronunziata: «Io vi affonderò nella terra».
Il castigo di Yahveh sarà implacabile, come dimostrano espressive immagini usate dal profeta: «l’uomo agile .. e l’uomo forte ... il prode ... l’arciere ... il corridore ... il più coraggioso fra i prodi», tutti fuggiranno senza poter salvare propria vita. L’oracolo è raccapricciante, la logica è perfetta, l’impatto è così forte e così ben preparato, che può non produrre una reazione. Purtroppo la reazio non fu quella di tornare a Yahveh, bensì quella di irritarsi contro il profeta. È la reazione del vile, che trova semplice affrontare gli altri che affrontare se stesso e la propria libertà.
 
Vangelo

Seguimi
 
Le due sentenze di Gesù rivolte a coloro che lo vogliono seguire mettono in evidenza il tema della sequela e le esigenze del discepolato. La prima sentenza suggerisce che farsi discepolo non è semplicemente seguire un messaggio e accettare una dottrina ma è condividere in tutto il destino del Figlio dell’Uomo, è lasciare la propria sicurezza per una vita incerta, è perdere la vita per causa di Cristo (Mt 10,39). La seconda sentenza pone la rinuncia ai legami di famiglia come una delle condizioni per il discepolato: non si può procrastinare o aspettare finché si sia assolto a tutti i doveri familiari, non si sarebbe mai in grado di seguire la propria vocazione. Il tempo è adesso: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
8,18-22
 
In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.
Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli) 20 Le volpi hanno delle tane...; Cristo non respinge la generosa offerta, ma ricorda allo scriba le rinunzie che deve abbracciare chi vuol essere suo discepolo. Le volpi che s’aggirano nella regione in cerca di preda hanno una tana, gli uccelli che intrecciano voli nel cielo per avvistare il loro mangime hanno un nido, il Figlio dell’uomo invece non ha una fissa dimora, ma si reca dovunque per annunziare la buona novella. Chi si mette, come discepolo, alla sequela del Figlio dell’uomo deve essere disposto ad abbracciare una vita itinerante come quella del Maestro. Figlio dell’uomo: espressione aramaica che ricorre 33 volte in Matteo. Gesù si è servito di questa designazione per mettere in rilievo la sua natura umana e per indicare in modo velato il proprio messianismo. La designazione si rifà ad un testo messianico di Daniele, 7, 13 (uno come figlio d’uomo) nel quale il figlio dell’uomo è simbolo di un glorioso regno che verrà. (Per questo aspetto glorioso del regno che verrà, cf. Mt., 26, 64). Cristo, usando questa espressione, afferma di essere il Messia, evita di suscitare fallaci entusiasmi nella folla ed induce a riflettere gli ascoltatori sull’aspetto umile e nascosto del suo messianismo.
21 Ed un altro dei... discepoli; l’evangelista passa ad un altro esempio, senza aver narrato quale effetto abbia avuto la replica di Cristo nell’animo dello scriba. Matteo in questo caso ha interesse a riferire il bel detto di Gesù più che ragguagliare il lettore intorno alle circostanze storiche. L’evangelista presenta un discepolo (il testo greco può essere tradotto: un’altra [persona], uno dei discepoli, gli disse...) il quale, disposto a seguire Gesù, chiede al Maestro il rinvio della partenza, per compiere il dovere filiale di seppellire il padre defunto.
22 Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; la risposta di Gesù ha una formulazione che tende al paradosso; essa va illuminata con il principio stabilito da Gesù in Mt., 10, 37. Cristo non è senza pietà, né senza cuore; egli vuole semplicemente stabilire la gerarchia dei valori: anche i più sacri doveri umani sono subordinati alle esigenze divine, com’è quella dell’apostolato. Il detto, studiato nel contesto, trova la sua esatta spiegazione. Il Maestro sta per attraversare il lago con la barca; in questa circostanza un discepolo gli chiede di restare per seppellire il proprio padre; Gesù lo avverte che, data l’imminenza del viaggio, le necessità dell’apostolato non vanno posposte ai doveri della pietà verso i propri cari. I morti seppelliscano i morti; il termine morti ripetuto ha una diversa accezione: nel primo caso ha senso metaforico, indica cioè coloro che non vivono, né sentono i supremi interessi di Dio e dell’anima, nel secondo ha un senso proprio. Chi non vive per il regno rimanga a seppellire i propri morti.

E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): Un altro ancora si offre come discepolo. Questi non è trattenuto dalle comodità terrene, ma dai legami familiari. La sua richiesta ci appare un naturale dovere di pietà. Vuol soltanto attendere fino alla morte del vecchio padre. Ma Cristo avanza la richiesta divina, davanti alla quale deve ammutolire ogni richiesta umana. Allorché Dio ha chiamato un uomo, questi deve guardare soltanto a lui, senza più riguardi per nessuno. Il Dio vivente è talmente grande, che tutto il resto, paragonato a lui, è morto, non conta più.
Anche qui la misura è data dalla considerazione dell’eternità. Nella vita eterna non c’è matrimonio. Neque nubent, neque nubentur. I rapporti puramente umani d’amor terreno, quindi, cadono. Per questo devono cadere subito per colui che si dedica completamente al discepolato di Cristo. Egli non appartiene più alla piccola famiglia, perché è assunto in servizio nella grande famiglia di Dio dei redenti. Come Cristo lascia Nazareth, per «essere in quello ch’è del Padre», così il discepolo deve rinunziare alla Nazareth della vita familiare, per trovare nel Dio vivente la familiarità con Dio.
In tal modo il discepolato non è una parte, staccata a intima, della vita umana, bensì un’unità, una richiesta totale e quindi una totale dedizione. Questa è l’unica rimasta possibile al richiamo di Dio.
 
Seguimi … - Jacques Guillet: Vocazione dei discepoli e vocazione di cristiana: Se Gesù, per suo conto, non sente la chiamata di Dio, in compenso moltiplica le chiamate a seguirlo; la vocazione è il mezzo mediante il quale egli raggruppa attorno a sé i Dodici (Mc 3,13), ma fa sentire anche ad altri un’analoga chiamata (Mc 10,21; Lc 9,59-62); e tutta la sua predicazione ha qualcosa che comporta una vocazione; una chiamata a seguirlo in una via nuova di cui egli possiede il segreto: «Chi vuol venire dietro di me...» (Mt 16,24; cfr. Gv 7,17). E se «molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti», si è perché l’invito al regno è una chiamata personale, alla quale taluni rimangono sordi (Mt 22,1-14). La Chiesa nascente ha subito inteso la condizione cristiana come una vocazione. La prima predicazione di Pietro a Gerusalemme è un appello ad Israele, simile a quello dei profeti, e cerca di suscitare un passo personale: «Salvatevi da questa generazione perversa!» (Atti 2,40). Per Paolo c’è un parallelismo reale tra lui, «apostolo per vocazione», e i cristiani di Roma o di Corinto «santi per vocazione» (Rom 1,1.7; 1Cor 1,1s). Per rimettere i Corinzi nella verità, egli li riporta alla loro chiamata, perché essa costituisce la comunità di Corinto così com’è: «Considerate la vostra chiamata, non ci sono molti sapienti secondo la carne» (1Cor 1,26). Per dar loro una regola di condotta in questo mondo la cui figura passa, li impegna a rimanere ciascuno «nella condizione in cui l’ha trovato la sua chiamata» (7,24). La vita cristiana è una vocazione perché è una vita nello Spirito, perché lo Spirito è un nuovo universo, perché «si unisce al nostro spirito» (Rom 8,16) per farci sentire la parola del Padre e risveglia in noi la risposta filiale. Poiché la vocazione cristiana è nata dallo Spirito, e poiché lo Spirito è uno solo che anima tutto il Corpo di Cristo, in seno a quest’unica vocazione c’è «diversità di doni... di ministeri... di operazioni...», ma in questa varietà di carismi non c’è infine che un solo corpo ed un solo Spirito (1Cor 12,4-13). Poiché la Chiesa, la comunità dei chiamati, è essa stessa la Ekklesìa, «la chiamata» , come è la Eklektè, «l’eletta» (2 Gv 1), tutti coloro che in essa sentono la chiamata di Dio rispondono, ognuno al suo posto, all’unica vocazione della Chiesa che sente la voce dello sposo e gli risponde: «Vieni, o Signore Gesù!» (Apoc 22,20).
 
Porre sempre Dio al primo posto, anche prima della stessa famiglia - Cirillo di Alessandria, Frammento 98: Quando non precede l’onore da tributare a Dio è giusto onorare i genitori; quando invece c’è tra loro contrasto bisogna tenersi stretti all’uno, e non si deve tener conto dell’altro, soprattutto se l’onore verso i genitori impedisce di essere graditi a Dio. Infatti in primo luogo bisogna glorificare Dio, affinché non ci si trovi a presentare a Dio, come fece Caino, un bene di secondo ordine.
Analogamente anche la legge antica impediva ai sacerdoti di avvicinarsi ai morti, ordinava di attenersi al proprio culto e di non essere attaccati alla carne, ma questo lo ordinava in forma coperta e simbolica. Cristo invece insegna apertamente a colui che vuole dedicarsi a Dio di non fare conto di nessuna parentela, per non essere impediti di essere insieme con Gesù.
Infatti egli stesso, a vantaggio di coloro che lo seguono, ha trascurato la madre e i fratelli dicendo: Chi è mia madre, e chi i miei fratelli; ed è mia madre.
 
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2024 - San Justino Orona Madrigal (Atoyac, Messico, 14 aprile 1877 - Rancho de Las Cruces, Messico, 1° luglio 1928): Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell’arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, sicuramente possono salire al cielo».
Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!».
Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.