16 Maggio 2024
 
Giovedì della Settima Settimana di Pasqua
 
At 22,30; 23,6-11; Sal 15 (16); Gv 17,20-26
 
Colletta:
Il tuo Spirito, o Signore,
infonda con potenza i suoi doni,
crei in noi un cuore a te gradito
e ci renda conformi alla tua volontà.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti - Paolo VI (Omelia 30 Giugno 1968): Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri (Dz-Sch. 150); e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità (Cfr. Dz.-Sch. 76), ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature ma per l’unità della persona (Cfr. Ibid.).
Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in Sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo Comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri com’Egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo Sangue Redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risolto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al Cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all’Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all’ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto.
 
I Lettura: Paolo è chiamato a difendersi dinanzi al tribuno dalle accuse che gli sono state mosse dai Giudei.
La difesa di Paolo si fonda sulla sua appartenenza alla fazione dei farisei e questo dato è abilmente usato per dividere gli avversari. Infatti, come oggetto della sua condanna, egli sostiene la fede nella risurrezione, sostenuta dai farisei ma negata dai sadducei. L’assemblea si spacca e il dibattito degenera al punto tale che il tribuno è costretto a riportare Paolo sotto scorta nella fortezza Antonia. Al termine di questa movimentata giornata, nella pace della notte, avviene l’apparizione di Cristo risorto, che dà coraggio all’Apostolo e gli delinea la futura missione a Roma.
 
Vangelo
Siano perfetti nell’unità.
 
Gesù prega per la Chiesa, il nuovo Israele, la comunità dei credenti riuniti dalla testimonianza degli Apostoli. Per la Chiesa Gesù chiede il dono dell’unità, cioè quella stessa comunione che lo unisce al Padre. Uniti a lui, i credenti saranno intimamente uniti al Padre, e uniti anche tra loro nell’amore. Ed è grazie a questo legame d’amore che la Chiesa sarà destinata a contemplare la gloria di Cristo e a parteciparvi. Questa è la mèta ultima dei credenti condividere, oltre la morte, la vita eterna del Padre e del Figlio. Dopo la liberazione dalla cattività egiziana e la rivelazione del Sinai, la gloria di Dio dimorava sopra il tabernacolo in mezzo a Israele (Es 40,34), ora questa gloria abita nella comunità dei credenti: Gesù è la gloria di Dio manifestata agli uomini in mezzo ai quali ha piantato la sua tenda (Gv 1,14).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 17,20-26
 
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa.
Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
 
Parola del Signore.
 
E la gloria che tu hai dato a me… - Adolf Smitmans Stuttgart: Nel Nuovo Testamento il concetto di gloria mantiene un’importanza centrale; la gloria  di Dio si rivela in  Gesù Cristo. Anche dove apparentemente manca un contesto cristologico (per es. nei racconti dell’infanzia), il discorso della gloria di Dio è uno strumento letterario usato per illustrare il significato della storia di Gesù. La gloria di Dio in Gesù Cristo viene sperimentata originariamente nelle  apparizioni del Risorto. A partire di qui per gli evangelisti si rende comprensibile il suo svelamento, con carattere di segno, già nella vita terrena di Gesù, quale gloria del messia e Figlio dell’uomo ... Per la riflessione credente, l’intera esistenza di Gesù Cristo, a partire dall’incarnazione di Dio, è infine rivelazione della gloria di Dio. Come Dio con la sua gloria aveva preso tipologicamente dimora nella tenda santa dell’antica alleanza, così in Cristo la sua gloria ha piantato definitivamente la sua tenda fra gli uomini.
“E il Verbo si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi; / e noi vedemmo la sua gloria, / gloria come di unigenito dal Padre” (Gv 1,14). Una teologia della gloria viene sviluppata, in maniera tutta propria, sia dal Vangelo di Giovanni che da Paolo. Secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù Cristo nella sua missione rivela la gloria del Padre nel mondo. Contemporaneamente, però, rifulge la sua propria gloria che aveva in precedenza presso il Padre e che aveva ricevuto da lui. Orbene, le due gloria sono una sola: la gloria di Dio intravista da Isaia è già la gloria di Gesù (Gv 12,43). Nella incarnazione del Verbo essa si rivela entrando nel mondo; essa rifulge nei segni prodigiosi di Gesù (2,11); nella morte in croce, che è al tempo stesso, l’esaltazione di Gesù verso il Padre, essa giunge al suo compimento. La gloria di Gesù è dunque il tema centrale del Vangelo di Giovanni. Tuttavia l’interrogativo in relazione al modo in cui l’evangelista abbia pensato più da vicino questa rivelazione della gloria, non viene soddisfatto in maniera unitaria. Nella vita di Gesù la gloria era manifesta al punto da oscurare la sua umanità (l’evangelista correrebbe allora il pericolo di docetismo)? Contro ciò sta il fatto che l’ora della gloria di Gesù è soprattutto quella della sua morte - un’ora la cui gloria non è affatto evidente, ma riconoscibile soltanto nella fede; e così pure i segni sono pieni di gloria soltanto per colui che crede. Bisogna prendere molto sul serio il fatto che il Vangelo di Giovanni vuole presentare la gloria del Cristo a una comunità credente. Paolo parla della irradiante manifestazione della nuova alleanza. Egli annuncia ll’evangelo della gloria di Cristo che è la gloria di Dio sul volto di Gesù Cristo (2Cor 3 e 4). Questa gloria però - e questo è l’aspetto peculiare del suo annuncio - trasforma colui che la contempla con fede, cosicché il cristiano viene lui stesso trasformato in gloria per mezzo dello Spirito del Signore (2Cor 3,13).
Questo avviene già ora, ma come il cristiano attende ancora il compimento della “beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,13), così attende anche la manifestazione della gloria dei figli di Dio e, collegata a questa, quella della nuova creazione (Rm 8). Egli è predestinato a lodare la gloria della sua grazia che risplende nelle azioni salvifiche del Cristo (Ef 1,6), una lode che Giovanni, nell’Apocalisse, vedo compiuta nella liturgia celeste. L’unità della lode della comunità con quella della liturgia celeste è, nella nuova creazione, la loro risposta alla gloria manifesta di Dio e dell’agnello.
 
Padre, voglio che quelli che mi hai dato … - Bibbia di Navarra: Cristo conclude la preghiera al Padre chiedendo la visione beatifica per tutti i cristiani. Il verbo usato dal Signore - “voglio” anziché “prego” - è indice che sta chiedendo la cosa più importante, coincidente con la volontà del Padre, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (cfr l Tm 2,4); è, in definitiva, la missione della Chiesa: la salvezza delle anime.
Fino a quando siamo in terra partecipiamo alla vita di Dio mediante la conoscenza (fede) e l’amore (carità); ma solamente nel cielo otterremo la pienezza della vita soprannaturale, contemplando Dio così com’egli è (cfr lGv 3,2), faccia a faccia (cfr 1Cor 13,9-12). Per questo la Chiesa è orientata verso l’eternità, è per sua natura escatologica; ciò vuoi dire che, possedendo in questo mondo tutti i mezzi per insegnare la vera dottrina, tributare a Dio il genuino culto e trasmettere la vita della grazia, la Chiesa mantiene viva la speranza nella pienezza della vita eterna: «La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose (cfr At 3,21), e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, avrà perfettamente ricapitolato in Cristo (cfr Ef 1,10; Col 1,20; 2Pt 3,10-13)» (Lumen gentium, n. 48).
 
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto … Giuseppe Segalla (Giovanni): versetto 25 Nella conclusione  ritorna la contrapposizione  dialettica al mondo come in 17,9.14-16. Da una parte sta Gesù che riconosce il Padre e i discepoli che riconoscono Gesù Inviato del Padre, dall’altra il mondo che non ha riconosciuto il giusto; sono così contrapposte fede e incredulità.
Versetto 26 Ed ho loro fatto conoscere ... e continuerò a farlo conoscere: i due momenti della rivelazione sono: quello della rivelazione nel Gesù storico e quello della rivelazione futura nel momento della morte-risurrezione-invio dello Spirito come guida continua a tutta la verità. Tutto ciò è definito come «rivelare il nome del Padre». Lo scopo finale è descritto con una delle sintesi più alte se non la più alta di tutto il vangelo. L’amore del Padre per il Figlio passa nei fedeli come una realtà interiore dinamica insieme alla presenza spirituale di Gesù; («io in loro»). La rivelazione quindi conduce all’amore, quando viene accolta nella fede. Non un amore, prodotto dell’uomo ma dono di Dio, trasmissione della corrente di amore dal Padre nelFiglio e attraverso di lui nell’uomo. Così si comprende come la vera unità della comunità dei credenti non è di questo mondo, non è fondata sulla psicologia, sulle strutture mondane o su ciò che ha l’uomo ma su ciò che dona il Padre nel Figlio mediante la rivelazione storica ed escatologica in lui.
 
La responsabilità dei cristiani per l’incredulità del mondo - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Gesù nella sua preghiera al Padre dichiara esplicitamente che l’unità dei suoi discepoli favorirà la fede dell’umanità nella sua missione divina e nell’amore del Padre per la chiesa (Gv 17,21.23). Ora, la conseguenza logica di questa dipendenza tra unione e fede appare con chiarezza: se il mondo non crede ancora nella divinità di Gesù Cristo e nell’amore del Padre, ciò si deve attribuire anche e principalmente alle divisioni dei credenti, alla mancanza di armonia e di amore in seno alla chiesa, all’assenza di comprensione e di unione nelle famiglie cristiane.
La controtestimonianza dei discepoli di Gesù con le loro divisioni e rivalità incide in modo fortemente negativo nell’evangelizzazione del mondo. Ma anche dei paesi che non sono terra di missione, le divisioni e l’assenza di carità fra i credenti formano un ostacolo spesso insormontabile per entrare nella chiesa.
Il decreto conciliare sull’ecumenismo cattolico fa riferimento esplicito allo scandalo delle lacerazioni del mondo cristiano e alle difficoltà che queste divisioni creano ai missionari: «Tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo ad ogni creatura» (Unitatis redintegratio, 1). La testimonianza della vita, l’impegno serio per essere operatori di unione e di pace favoriscono la fede di tante persone che non conoscono il Signore Gesù: «Tutti siano una cosa sola ... , affinché il mondo creda ... Siano perfetti per l’unità, affinché il mondo riconosca che tu mi hai inviato» (Gv 17,21.23).
 
Cirillo d’Alessandria: Perché arrivassimo all’unità con Dio e tra noi - fino ad essere uno solo, pur restando distinti gli uni dagli altri nel corpo e nell’anima - il Figlio di Dio ha escogitato un mezzo concepito dalla sapienza e dal consiglio del Padre che gli appartengono. Benedice quelli che credono in lui facendoli misticamente partecipi di un solo corpo, il suo. Li incorpora così a sé e gli uni agli altri. Chi separerà quelli che sono stati uniti da questo santo corpo nell’unità di Cristo, o li allontanerà da quella unione di natura che hanno tra loro? Infatti se abbiamo parte a un solo pane, noi diveniamo tutti un solo corpo [1Cor 10,17]. Cristo non può essere diviso. Per questo, sia la Chiesa che noi, sue membra diverse, siamo chiamati corpo di Cristo secondo l’espressione di san Paolo [cfr. Ef 5,30]. Siamo tutti riuniti all’unico Cristo per mezzo del suo santo corpo; e poiché lo riceviamo da lui, uno e indivisibile nei nostri corpi, è a lui più che a noi stessi che le nostre membra si uniscono.
 
Il Santo del giorno - 16 Maggio 2024 - San Luigi Orione, Fondatore (È stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004, data di culto in cui lo ricordano ogni anno la sua Congregazione e la diocesi di Milano. La festa liturgica cade il 12 marzo): Nacque a Pontecurone nella diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872. A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera. Nel 1886 entrò nell’oratorio di Torino diretto da san Giovanni Bosco. Nel 1889 entrò nel seminario di Tortona. Proseguì gli studi teologici, alloggiando in una stanzetta sopra il duomo. Qui ebbe l’opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non bastava, per cui il vescovo gli concesse l’uso del giardino del vescovado. Il 3 luglio 1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a san Luigi. Nel 1893 aprì il collegio di san Bernardino. Nel 1895, venne ordinato sacerdote. Molteplici furono le attività cui si dedicò. Fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità; gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine. Mandò i suoi sacerdoti e suore nell’America Latina e in Palestina sin dal 1914. Morì a Sanremo nel 1940. (Avvenire)
 
Ci illumini, o Signore, la tua parola
e ci sostenga la comunione al sacrificio
che abbiamo celebrato,
perché, guidati dal tuo santo Spirito,
perseveriamo nell’unità e nella pace.
Per Cristo nostro Signore.