14 Maggio 2024
 
Martedì VII Settimana di Pasqua
 
San Mattia, Apostolo
 
At 1,15-17.20-26; Salmo Responsoriale Dal Salmo 112 (113); Gv 15,9-17
 
Colletta: 
O Dio, che hai voluto aggregare
san Mattia al collegio degli apostoli,
per sua intercessione concedi a noi,
che ci allietiamo per il dono del tuo amore,
di essere annoverati tra gli eletti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Regina Caeli 6 Maggio 2028): In questo tempo pasquale la Parola di Dio continua a indicarci stili di vita coerenti per essere la comunità del Risorto. Tra questi, il Vangelo di oggi presenta la consegna di Gesù: «Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9): rimanere nell’amore di Gesù. Abitare nella corrente dell’amore di Dio, prendervi stabile dimora, è la condizione per far sì che il nostro amore non perda per strada il suo ardore e la sua audacia. Anche noi, come Gesù e in Lui, dobbiamo accogliere con gratitudine l’amore che viene dal Padre e rimanere in questo amore, cercando di non separarcene con l’egoismo e con il peccato. È un programma impegnativo ma non impossibile.
Anzitutto è importante prendere coscienza che l’amore di Cristo non è un sentimento superficiale, no, è un atteggiamento fondamentale del cuore, che si manifesta nel vivere come Lui vuole. Gesù infatti afferma: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (v. 10). L’amore si realizza nella vita di ogni giorno, negli atteggiamenti, nelle azioni; altrimenti è soltanto qualcosa di illusorio. Sono parole, parole, parole: quello non è l’amore. L’amore è concreto, ogni giorno. Gesù ci chiede di osservare i suoi comandamenti, che si riassumono in questo: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (v. 12).
 
I Lettura: Giuda, l’apostolo che aveva tradito Gesù, è morto, si è suicidato, ed è necessario trovare un suo successore. Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia. Dopo aver gettato le sorti viene eletto Mattia. Il racconto della elezione di Mattia vuol mettere in evidenza l’autorità di Pietro, il primo fra gli Apostoli, e l’azione dello Spirito Santo che guida la Chiesa nel suo cammino temporale.
 
Vangelo
Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici.
 
La pericope evangelica odierna è tratta dai «discorsi dell’addio»: Gesù, prima della morte, rivela ai discepoli i misteri più grandi della vita divina. Il brano svolge il tema della carità fraterna, dell’osservanza dei comandamenti, della gioia che ne deriva nell’osservarli e dell’elezione divina. Il brano evangelico, dopo aver ricordato che il discepolo è chiamato ad essere familiare con il Cristo, si chiude ricordando il dovere di portare frutto che si concretizza nell’amore vicendevole.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15,9-17
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
 
Parola del Signore.
 
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi - Con queste parole, prima di consegnarsi nelle mani dei persecutori per la salvezza del mondo, Gesù svela ai suoi amici l’intensità del suo amore.
Per gustare questo amore i discepoli sono invitati a rimanere in lui: soltanto se saranno in Cristo e il Cristo abiterà per la fede nei loro cuori, e così radicati e fondati nella carità, saranno in grado di conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza (Cf. Ef 3,17-19).
Il frutto più bello di questa profonda comunione di amore è la gioia: la gioia «è un segno messianico-escatologico della salvezza presente, ed è conseguenza della pace. La reciproca immanenza porta nel discepolo la stessa gioia di Gesù, la sicurezza della salvezza, la liberazione da ogni schiavitù e da ogni ansia: una sicurezza posta totalmente nella esperienza cosciente dell’amore di Dio in Cristo. Così l’uomo diventa libero di amare [Cf. Gv 8,32] da schiavo che era di se stesso e della sua angoscia. Anche la gioia arriva alla perfezione come dono interiore partecipata da Cristo, che la trasforma in sua, pur rimanendo nostra» (Adalberto Sisti).
Nella Sacra Scrittura la gioia può sgorgare dalla benedizione di Dio che rende fecondo il lavoro dell’uomo (Dt 12,7), dal ritrovamento di cose perdute (Cf. Lc 15,4ss.), dal culto (Cf. Sal 43,4), dalla Legge (Cf. Sal 119,109), ma, alla fine, la vera gioia proviene da Dio (Cfr. Sal 65,9; Lc 1,47). Con l’incarnazione del Verbo la gioia fa irruzione nel mondo. Giovanni Battista esulta di gioia nel seno di Elisabetta (Cf. Lc 1,44), Maria canta i suoi sentimenti di lode, di gratitudine in un inno gioioso, che celebra Dio salvatore degli umili (Cf. Lc 1,46-49), ai pastori viene annunciata «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). La gioia straripa nei cuori degli uomini perché «l’attesa della redenzione è ormai imminente nel Cristo [Lc 2,36-38]. Giovanni Battista già sente la voce dello sposo, che lo riempie di gioia [Gv 3,28-29]. Gesù stesso si manifesta come lo sposo presente, che non permette ai suoi amici di digiunare, poiché è tempo di festa [Lc 5,34-35]. Ormai, in Gesù, il Regno di Dio è in mezzo agli uomini: esso è il tesoro per il quale si è disposti a dare tutto gioiosamente [Mt 13,44]» (Giuseppe Manzoni).
L’amore che Gesù chiede ai suoi deve essere espansivo, totale, senza riserve: esso deve consumarsi fino al dono di se stessi: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16).
Voi siete miei amici... perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi: nell’Antico Testamento Mose, Giosuè e Davide sono chiamati servi di Dio (Cf. Dt 34,5; Gs 24,29; Sal 89,21); solo Abramo è definito amico di Dio e a motivo di questa amicizia il Signore gli svela i suoi intimi pensieri (Cf. Gen 18,17; 2Cr 20,7; Is 41,8). Era uso nel mondo giudaico scegliersi un maestro, Gesù sottolinea invece che la chiamata, esplicitamente gratuita, è venuta dalla sua volontà. Nessuno può arrogarsi il diritto di essere suo discepolo se Egli non lo chiama al suo seguito. Ed è Lui che li ha costituiti perché vadano e portino frutto. Dal contesto il mandato non sembra intendersi in una prospettiva missionaria ma, più genericamente riferirsi alla vita cristiana come impegno di portar frutto. Il frutto rimane perché i discepoli sono innestati alla vera vite: la fecondità ai tralci viene data dalla vite. Precipua preoccupazione dei discepoli è quindi quella di rimanere in Cristo.
Oltre la gioia, la comunione con la Vite vera arreca ai discepoli un altro dono: tutto quello che chiederete al Padre nel mio Nome egli ve lo concederà.
La preghiera sarà sempre accolta perché l’orante cercherà unicamente il Regno del Padre: infatti, «è sempre esaudito chi chiede per sé cose necessarie alla salvezza con pietà e perseveranza» (San Tommaso d’Aquino).
 
Dio è amore - W. GUNTHER / H.-G. LINK (Amore in Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento): In Giovanni l’essere e l’agire di Dio vengono definiti con particolare energia dal concetto di agape. Lo si nota già dal fatto che in Giovanni agape viene usato in senso assoluto, cioè come sostantivo senza genitivo, molto più spesso che in Paolo; lo stesso vale per il verbo, usato spesso senza complemento oggetto. In Giovanni anche concetti paralleli come dikaiosyne (giustizia), cháris (grazia), éleos (misericordia) ecc. finiscono nettamente in secondo piano rispetto ad agape. È così che Giovanni può parlare dell’amore preesistente, allo stesso modo che in Gv 1,1ss aveva parlato della preesistenza del logos (parola Cf. Gv 3,35; 10,17; 15,9; 17,23ss).
Dio è amore (1Gv 4,8) e l’amore era la sua intenzione fin da principio. Per questo l’amore del Padre per il Figlio è il mo­dello originario di ogni amore.
Questo fatto diviene manifesto nella missione e nella dedizione del Figlio (1Gv 3,1.16).
“Vedere” e “conoscere” tale amore è la salvezza per l’uomo. In fondo, il volere di Dio nei riguardi del mondo è l’amore che ha misericordia e che perdona, l’amore che resiste a qualsiasi opposizione del cosmo ostile. Nell’agape si manifesta nello stesso tempo la doxa theoú (la gloria di Dio; Gv 1,14). La vittoria dell’amore, a sua volta, si manifesta nel doxasthênai di Gesù, cioè nella sua glorificazione, nella sua morte che per Giovanni include anche il suo ritorno al Padre (Gv 12,16.23ss. ecc.).
Il credente viene coinvolto in questa vittoria. Egli ottiene così la zoê (la vita; 1Gv 4,9; Gv 3,36; 11,25ss).
Mentre per Paolo il volgersi dell’uomo a Dio è definito principalmente dal concetto di pistis, in Giovanni abbiamo invece agape. Il rapporto tra Padre e Figlio è agape (Gv 14,31) e i credenti vengono accolti all’interno di questa relazione di amore (Gv 14,21ss; 17,26; 15,9s). Il costante avvicendarsi in Giovanni del soggetto e dell’oggetto dell’amore sta a dimostrare che Padre, Figlio e il credente sono unificati nell’unica realtà dell’amore divino. L’alternativa è una sola, la morte (1Gv 3,14ss.; 4,7s.). L’espressione tipicamente giovannea ménein en (rimanere in) può riferirsi tanto a Gesù quanto all’amore (Gv 15,4ss.; 1Gv 4,12ss.).
In Giovanni ancor più nettamente che in Paolo l’amore vicendevole si fonda nell’amore di Dio (Gv 13,34; 1Gv 4,21). L’amore assurge a segno e prova della fede (1Gv 3,10; 4,7ss.). L’amore per il fratello scaturisce dall’amore divino. Senza l’amore fraterno non si dà relazione con Dio.
Anche Giovanni risale al comandamento dell’amore (Gv 13,34; 15,12.17; 2Gv 5).
L’osservanza dei comandamenti si compendia nell’agapân, nell’amare (Gv 14,23s.).
Infine l’amore ha trovato, già nel cristianesimo primitivo, un’espressione concreta in azioni liturgiche. Nella comunità era usuale il bacio fraterno (Rm 16,16 ecc.), chiamato in 1Pt 5,14 «bacio dell’agape». Ben poco sappiamo tuttavia sui dettagli di questo rito.
Il nome di un’altra azione liturgica protocristiana è agape che noi conosciamo soltanto per accenni.
Come dimostra 1Cor 11, la celebrazione vera e propria della cena era unita a un pasto in piena regola. In seguito il «banchetto d’amore» (agape) venne separato dalla cena eucaristica e mantenuto come celebrazione autonoma (Cf. Gd 12; forse 2Pt 2,13). Mentre nel servizio della Parola e nella cena eucaristica era in primo piano il consolidamento della fede, sembra che in questa celebrazione l’aspetto centrale fosse dato dal pasto comune in quanto segno di una particolare comunione nell’agape. Anche la vasta attività di beneficenza sociale che animava le comunità era connessa con questa celebrazione (Cf. At 6,1ss.).
L’abitudine di chiamarsi fratello o sorella nell’ambito della comunità sta a dimostrare che questa nuova comunanza, fondata sull’agape, veniva intesa come famiglia di Dio.
 
Cristo non vuole chiamarci servi ma amici - Ireneo di Lione (Adv. haer., IV, 13, 4): Dal momento che tutti i precetti naturali sono comuni a noi e ad essi (Giudei), avendo avuto origine presso di loro, mentre presso di noi hanno trovato crescita e compimento - obbedire a Dio, infatti, seguire il suo Verbo, amarlo sopra ogni cosa e amare il prossimo come sé stessi (e l’uomo è il prossimo dell’uomo), astenersi da azioni malvagie, e così via, tutto ciò è comune agli uni e agli altri -, manifestano un solo e medesimo Signore. E questi, altri non è che nostro Signore, il Verbo di Dio, il quale dapprima attrasse a Dio dei servi, poi li liberò dal giogo della soggezione, secondo quanto egli stesso dichiara ai discepoli: Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Quando, infatti, dice: “Non vi chiamo più servi, vuole significare con assoluta certezza che è lui che, con la Legge, ha dapprima imposto agli uomini la servitù nei riguardi di Dio, e che in seguito ha ridato loro la libertà.
Dicendo, poi: “Perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, egli sottolinea lignoranza del popolo servile relativamente alla sua venuta.
Infine, chiamando amici di Dio i suoi discepoli, dimostra apertamente che egli è il Verbo, seguendo il quale, volontariamente e senza costrizioni, Abramo è divenuto, per la generosità della fede, “amico di Dio” (Gc 2,23).
 
Il santo del Giorno - 14 Maggio 2024 - San Mattia Apostolo (sec. I): Di Mattia si parla nel primo capitolo degli Atti degli apostoli, quando viene chiamato a ricomporre il numero di dodici, sostituendo Giuda Iscariota. Viene scelto con un sorteggio, attraverso il quale la preferenze divina cade su di lui e non sull’altro candidato - tra quelli che erano stati discepoli di Cristo sin dal Battesimo sul Giordano -, Giuseppe, detto Barsabba. Dopo Pentecoste, Mattia inizia a predicare, ma non si hanno più notizie su di lui. La tradizione ha tramandato l’immagine di un uomo anziano con in mano un’alabarda, simbolo del suo martirio. Ma non c’è evidenza storica di morte violenta. Così come non è certo che sia morto a Gerusalemme e che le reliquie siano state poi portate da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, a Treviri, dove sono venerate. (Avvenire)

Non privare mai la tua famiglia dei doni divini, o Signore,
e per intercessione di san Mattia
fa’ che possiamo partecipare
alla sorte dei santi nella luce.
Per Cristo nostro Signore.