3 APRILE 2024
 
MERCOLEDÌ FRA L’OTTAVA DI PASQUA
 
At 3,1-10; Salmo Responsoriale Dal Salmo 104 (105); Lc 24,13-35
 
Colletta
O Dio, che ci dai la gioia di rivivere ogni anno
la risurrezione del Signore,
fa’ che mediante la liturgia pasquale
che celebriamo nel tempo
possiamo giungere alla gioia eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Udienza Generale 24 Maggio 2017): incontro di Gesù con quei due discepoli sembra essere del tutto fortuito: assomiglia a uno dei tanti incroci che capitano nella vita. I due discepoli marciano pensierosi e uno sconosciuto li affianca. È Gesù; ma i loro occhi non sono in grado di riconoscerlo. E allora Gesù incomincia la sua “terapia della speranza”. Ciò che succede su questa strada è una terapia della speranza. Chi la fa? Gesù.
Anzitutto domanda e ascolta: il nostro Dio non è un Dio invadente. Anche se conosce già il motivo della delusione di quei due, lascia a loro il tempo per poter scandagliare in profondità l’amarezza che li ha avvinti. Ne esce una confessione che è un ritornello dell’esistenza umana: «Noi speravamo, ma… Noi speravamo, ma…» (v. 21). Quante tristezze, quante sconfitte, quanti fallimenti ci sono nella vita di ogni persona! In fondo siamo un po’ tutti quanti come quei due discepoli. Quante volte nella vita abbiamo sperato, quante volte ci siamo sentiti a un passo dalla felicità, e poi ci siamo ritrovati a terra delusi. Ma Gesù cammina con tutte le persone sfiduciate che procedono a testa bassa. E camminando con loro, in maniera discreta, riesce a ridare speranza.
Gesù parla loro anzitutto attraverso le Scritture. Chi prende in mano il libro di Dio non incrocerà storie di eroismo facile, fulminee campagne di conquista. La vera speranza non è mai a poco prezzo: passa sempre attraverso delle sconfitte. La speranza di chi non soffre, forse non è nemmeno tale. A Dio non piace essere amato come si amerebbe un condottiero che trascina alla vittoria il suo popolo annientando nel sangue i suoi avversari. Il nostro Dio è un lume fioco che arde in un giorno di freddo e di vento, e per quanto sembri fragile la sua presenza in questo mondo, Lui ha scelto il posto che tutti disdegniamo.
Poi Gesù ripete per i due discepoli il gesto-cardine di ogni Eucaristia: prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo dà. In questa serie di gesti, non c’è forse tutta la storia di Gesù? E non c’è, in ogni Eucaristia, anche il segno di che cosa dev’essere la Chiesa? Gesù ci prende, ci benedice, “spezza” la nostra vita – perché non c’è amore senza sacrificio – e la offre agli altri, la offre a tutti.
È un incontro rapido, quello di Gesù con i due discepoli di Emmaus. Però in esso c’è tutto il destino della Chiesa. Ci racconta che la comunità cristiana non sta rinchiusa in una cittadella fortificata, ma cammina nel suo ambiente più vitale, vale a dire la strada. E lì incontra le persone, con le loro speranze e le loro delusioni, a volte pesanti. La Chiesa ascolta le storie di tutti, come emergono dallo scrigno della coscienza personale; per poi offrire la Parola di vita, la testimonianza dell’amore, amore fedele fino alla fine. E allora il cuore delle persone torna ad ardere di speranza.
 
Prima Lettura: A motivo della sua infermità, lo storpio  viveva sotto la maledizione pronunziata da Davide che gli impediva l’ingresso al Tempio per prendere parte alle assemblee liturgiche (cfr. 2 Sam 5,8), in questa cornice disumana più che di guarigione, qui si deve parlare di risurrezione. Guarendo lo storpio, Pietro, come aveva fatto Cristo (cfr. Mt 21,14; Lc 14,21), vuole togliere tutte le barriere e formare una comunità universale aperta a tutti gli uomini.
 
Vangelo
Riconobbero Gesù nello spezzare il pane.
 
Il racconto dell’apparizione di Gesù risorto ai discepoli di Emmaus si trova solo nel Vangelo di Luca. È una pagina di rara efficacia letteraria. Volendo indicare al discepolo l’unico cammino che porta alla fede, ha un intento catechetico, pedagogico e didattico di grande spessore. Il racconto tocca il suo acme quando l’evangelista si ferma a descrivere ciò che fece Gesù: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Spezzare il pane, sono le parole con cui l’evangelista Luca, indica «il pasto eucaristico in At 2,42 e 20,27. Nel sacramento eucaristico, cuore di tutto il sistema sacramentale, il cammino catechistico dei discepoli di Gesù si compie: hanno fatto esperienza di Gesù risorto “nello spezzare il pane”. Avendone fatta l’esperienza, non hanno più bisogno di vederlo» (Alfonso Sidoti).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 24,13-35
 
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
 
Parola del Signore.
 
Bruno Maggioni (Il racconto di Luca): L’apparizione del Risorto ai due discepoli incamminati sulla strada di Emmaus è uno degli episodi più conosciuti del vangelo di Luca. Ma è soprattutto l’episodio chiave per ricordare la catechesi lucana sulla risurrezione. Il problema sembra essere questo: dove posso incontrare il Signore risorto e come posso riconoscerlo? È un problema dei discepoli di ogni tempo. I due discepoli, infatti, sono rigorosamente anonimi. Al loro posto ciascuno cristiano può mettere se stesso. La loro domanda è anche la sua.
Tutto il lungo racconto è costruito sullo schema di un cammino di andata e ritorno, che si trasfigura  in un cammino interiore e spirituale: dalla speranza perduta («speravamo»: 24,21) alla speranza ritrovata, dalla tristezza (24,17) alla gioia (24,32), dalla Croce come scandalo che impedisce di credere alla Croce come ragione per credere. La condizione essenziale per riconoscere il Risorto = senza la quale non lo si riconosce anche se Egli ci cammina accanto, come un compagno di viaggio = è la comprensione della necessità della Croce (24,26), che a sua volta richiede l’intelligenza delle Scritture (24,27).
La crocifissione non ha spezzato il cammino di Gesù, non è il crollo della sua pretesa messianica, come i due discepoli invece lasciano intendere dal loro modo di raccontare (24,19-21). È questa la cecità che impedisce loro di credere. Tutta la catechesi che Gesù rivolge loro non ha altro scopo che quello di capovolgere il loro sguardo. Non è Lui che deve cambiare il volto perché possano riconoscerlo. È il loro modo di vedere la sua storia . che deve capovolgersi. E difatti il gesto che apre gli occhi dei discepoli è la frazione del pane (24,31), un gesto che riporta la memoria all’indietro, alla vita del Gesù terreno qui riassunto nel ricordo della cena (una vita in dono, un pane spezzato) e alla memoria della Croce che di quella dedizione è il compimento. Ma la «fractio panis» è anche un gesto che porta in avanti, al tempo della chiesa, in cui i cristiani continueranno a «spezzare» il pane. Spezzare il pane e distribuirlo (24,30) è un gesto riassuntivo che svela l’identità permanente del Signore: del Gesù terreno, del Risorto e del Signore presente ora nella comunità. In tutte le tappe del suo cammino Gesù conserva la medesima identità, quella che si è. svelata nel suo cammino terreno, che dunque resta il punto di riferimento obbligato per riconoscerlo anche come Risorto e Signore, Il discepolo che ha capito questo non ha pi bisogno di «vedere»: «e avvenne che sparì davanti a loro» (24,31). Una volta riconosciuto, il Signore sfugge al possesso. Ma ormai il discepolo sa quali sono i tratti essenziali che identificano la sua presenza e quale sia il segno in cui incontrarla.

Non bisognava... - La morte di Gesù non è la somma di sventurate coincidenze o il coagulo di odi, vendette o risentimenti, ma l’epilogo di un progetto che prevedeva la sua morte a vantaggio di tutti gli uomini (cfr. Eb 2,9). La Croce non è un fallimento, ma la via voluta da Dio (bisognava) per il trionfo definitivo di Cristo sul peccato e sulla morte, e quindi della redenzione di tutti gli uomini. La metodologia usata da Gesù per spiegare tale necessità, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui, vuole indicare ai discepoli la strada maestra per arrivare a comprendere la volontà e le vie di Dio: la Parola di Dio. Ma la Parola non basta: occorre incontrarsi; è necessario fare comunione con Gesù risorto nella frazione del pane, nutrendosi del Pane della Vita che il Risorto dona alla Chiesa; condividendo con i fratelli il pane della carità e della consolazione. Con «somma sapienza cristiana Luca evidenzia il ruolo delle Scritture, ma nello stesso tempo ne esprime anche i limiti. La comprensione introduce nel mistero del Signore, ma non per questo lo dona, perché la partecipazione ad esso non è un fatto di conoscenza razionale, sia pure connotata spiritualmente ... l’esperienza dell’incontro con il Risorto tocca il suo apice nel sacramento, nella “frazione del pane”, nell’eucaristia» (Egidio Caporello). Quando Luca scrive il racconto, i cristiani già celebravano nelle loro case la cena del Signore (cfr. Atti 2,42.46; 20,7.11). Ed è proprio con l’espressione spezzare il pane che si indicava il memoriale della morte e risurrezione di Gesù. Quindi, Luca ha voluto che il credente, leggendo l’episodio dei discepoli di Emmaus, lo accostasse all’Eucaristia. Usando intenzionalmente un vocabolario eucaristico ha voluto dire ai suoi lettori che la frazione del pane li fa incontrare con il Risorto dando completezza e risonanza all’incontro avvenuto già alla mensa della Parola. Così come avvenne per i discepoli di Emmaus. È quindi una nota liturgica: la comunità cristiana ritrova la presenza del suo Signore nell’ascolto della Parola e nell’Eucaristia celebrata in un convito di fraternità agapica.
 
Sant’Agostino: Anche tu, quindi, se vuoi avere la vita, fa’ ciò che (i discepoli di Emmaus) fecero, affinché tu conosca il Signore. Essi gli dettero ospitalità. Il Signore era infatti simile ad uno che vuole andare oltre, essi però lo trattennero. E dopo esser giunti al luogo cui erano diretti, dissero: “Resta ancora qui con noi, si fa sera infatti e il giorno volge al declino”. Accogli l’ospite, se vuoi conoscere il Salvatore. Ciò che aveva portato via l’infedeltà, lo restituì l’ospitalità. Il Signore, dunque, si fece conoscere nella frazione del pane. Imparate dove cercare il Signore, imparate dove possedere, dove conoscere, quando mangiate.
 
Il Santo del giorno - 3 Aprile 2024 - San Giuseppe l’Innografo, Monaco: Nacque in Sicilia nell’816 e al tempo dell’invasione araba dell’827, con la sua famiglia si rifugiò nella Grecia Meridionale. Nell’831 si recò a Tessalonica nella Macedonia, entrando nel monastero di Latomia. Consacrato sacerdote, ebbe come maestro spirituale San Gregorio il Decapolita, che verso l’840 lo condusse a Costantinopoli. L’anno successivo Giuseppe fu inviato a Roma dal papa Gregorio IV, per chiedere il suo aiuto nella lotta contro l’eresia iconoclasta. La nave su cui era imbarcato, cadde però nelle mani di pirati arabi che lo condussero a Creta; riscattato e liberato nell’843 tornò a Costantinopoli dove trovò il suo maestro morto. Coinvolto nella vicenda della deposizione del patriarca Ignazio, nell’858, fu esiliato a Cherson in Crimea, dove rimase probabilmente fino al reintegro di Ignazio nell’867. L’imperatore Basilio I il Macedone (812-886) gli affidò la custodia di Santa Sofia a Costantinopoli. Morì nel 886. Sono celebri i suoi inni sacri da cui è derivato il nome «Innografo». (Avvenire)
 
O Dio, nostro Padre, questa partecipazione
al mistero pasquale del tuo Figlio
ci liberi dai fermenti dell’antico peccato
e ci trasformi in nuove creature.
Per Cristo nostro Signore.