14 Aprile 2024
 
III Domenica d Pasqua
 
At 3,13-15.17-19; Salmo Responsoriale dal Salmo 4; 1Gv 2,1-5a;

Colletta
O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio
hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, 
apri i nostri cuori all’intelligenza delle Scritture,
perché diventiamo i testimoni dell’umanità nuova, 
pacificata nel tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Voi avete rinnegato il Santo - Catechismo della Chiesa Cattolica 438 La consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. «È, d’altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l’unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l’unzione». La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo «consacrò in Spirito Santo e potenza» ( At 10,38 ) «perché egli fosse fatto conoscere a Israele» (Gv 1,31 ) come suo Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come «il Santo di Dio» ( Mc 1,24; Gv 6,69; At 3,14).
 
Prima Lettura: Dal sermone di Pietro si evince che già i cristiani della prima ora riconoscevano in Gesù il misterioso «servo» di Is 52,13-53,12 citato parzialmente in At 8,32-33.  L’annuncio pasquale è molto asciutto: bisogna convertirsi a Gesù che è il capo che guida i suoi discepoli alla vita, comunicando loro quella vita che gli appartiene. L’appello alla conversione è rivolto ai pagani e ai giudei: i primi debbono ritornare al vero Dio, abbandonando gli idoli;  invece, i Giudei debbono convertirsi al Signore, riconoscendo Gesù come Signore.
 
Seconda Lettura: Le parole di Giovanni hanno il sapore della fiducia: i credenti che hanno peccato possono sempre appellarsi alla misericordia di Gesù, redentore e salvatore di tutti gli uomini, certi di ottenere il perdono. Parole che sembrano ricordare san Paolo: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rom 5,6-10). Da questo sappiamo d’averlo conosciuto, per la Bibbia di Gerusalemme «questa conoscenza [Os 2,22] è la fede [Gv 3,12], che impegna tutto il modo di agire [1Gv 3,23; 5,1], così che esso diventa il criterio che fa riconoscere la vita nel Cristo [1Gv 3,10; 4,13; 5,2]».
 
Vangelo
Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno.
 
L’intelligenza delle Scritture è un dono perfetto che viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Cf. Gc 1,17): il credente, solo dopo aver incontrato Gesù risorto, può aprirsi alla conoscenza della Parola di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 24,35-48

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Parola del Signore.
 
Gesù in persona apparve in mezzo a loro - L’evangelista Luca non vuole nascondere o minimizzare l’atteggiamento umano dei discepoli di fronte a Gesù risorto. Increduli, stupiti, spaventati (il testo greco ha atterriti), «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24,16).
Gli «Undici e quelli che erano con loro» trovano difficoltà nel credere alla risurrezione. Pensano di vedere un fantasma (spirito, pnèuma, nel testo greco). Credono di vedere «una persona defunta rievocata dalla loro fantasia allucinata e considerata come reale. Un’immagine illusoria, priva di corrispondenza con la realtà dei fatti» (Zingarelli).
Gesù incalza i discepoli e, dopo aver donato loro la pace, per dissipare le loro difficoltà li invita a guardare le sue mani e i suoi piedi che portano impresse le ferite dei chiodi e a toccare il suo corpo.
Questi verbi - guardare, toccare - ritornano spesso quando i discepoli devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù. Per esempio, san Giovanni nella sua prima lettera: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi - quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,1ss).
L’incredulità si trasforma immediatamente in   grande gioia: l’esperienza fisica - vedere, toccare, udire - sfocia nella fede perché la fede è incontro con una Persona. E il Cristo risorto è una Persona, non è l’elucubrazione mentale di visionari o invenzione fantastica di menti malate. Gesù risorto non è un fantasma! È vivo! Palpatemi, toccatemi, «sono proprio io!».
 E indubbiamente il racconto lucano ha anche uno scopo didattico. Per dei cristiani «che vivevano in ambiente greco, dove le diverse filosofie insegnavano che l’anima vive separata dal corpo, dopo la morte, era importante affermare che Cristo risorto non era uno “spirito” immortale senza corpo [...], perciò san Luca vuole prima di tutto dire ai suoi lettori che Gesù è veramente risorto perché adesso vive di nuovo con il suo corpo, quel corpo che era stato dato alla morte sulla croce» (S. Cipriani).
Ma poiché per la grande gioia ancora non credono, Gesù, per vincere ogni resistenza li invita a mangiare con lui. Chiede qualcosa da mangiare a compròva che lui è una Persona viva e vera. Anche il verbo mangiare torna spesso nella memoria degli Apostoli quando devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù (Cf. Atti 1,3-4; 10,41).
Il corpo del Risorto è impassibile e di conseguenza non ha più bisogno di nutrirsi, ma il Signore Gesù ricorre a questo espediente per confermare i discepoli nella verità della sua risurrezione.
Ma si trattò di un vero pasto? Al dire di san Tommaso d’Aquino ci sono «dei pasti che sono veri solo come verità figurata: per esempio il mangiare degli Angeli... Ora il mangiare di Cristo dopo la Risurrezione fu vero... tuttavia non c’erano gli effetti conseguenti alla masticazione, perché il cibo non era assimilato da chi ne mangiava, avendo un corpo glorificato e incorruttibile» (In Jo. ev., 122,8).
Se il mangiare è un’azione frequente nelle apparizioni pasquali, questi pasti del Risorto con i discepoli hanno anche una dimensione liturgico-eucaristica: l’Eucaristia è stare a mensa con il Signore risorto. Quindi, san Luca, con mirabili pennellate, vuole dipingere la vita della Chiesa dopo la risurrezione del suo Fondatore: Gesù Cristo mangia e conversa con i suoi discepoli, apre loro l’intelligenza alle Scritture, li istruisce e li dispone a ricevere lo Spirito Santo, la promessa del Padre.
Gesù, fugato ogni dubbio, istruisce i discepoli intorno alla sua missione terrena, una missione di salvezza da sempre pensata dal Padre: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me... Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti».
La necessità della morte orrenda di Gesù sulla croce rivela quindi l’amore infinito del Padre e del Figlio. Quest’ultimo si è offerto volontariamente alla morte di croce per amore e non perché costretto da condizioni esterne alla sua volontà. Non erano stati gli uomini a determinare la fine atroce del Verbo umanato, come erano stati tentati di credere gli stessi discepoli. Il fallimento umano della vicenda umana del Cristo in verità rientrava nel piano di salvezza di Dio: al di sopra degli uomini e per mezzo degli uomini, anche degli stessi aguzzini che avevano crocifisso il Figlio, il Padre ha realizzato il suo disegno di amore, «creando in tal modo le condizioni nelle quali Cristo avrebbe espresso il massimo della sua capacità di “amare” e di “obbedire” [...]. Il “segno supremo” dell’amore è la sua morte di croce che egli già “sa” da sempre [...]. Proprio perché Cristo “conosce” la volontà del Padre, il suo donarsi alla morte è un gesto di generosità e di “obbedienza”. Egli vive e muore non per sé, ma “per gli altri”» (S. Cipriani).
Ora, pieni di luce e ricolmi di verità, i discepoli possono accogliere le ultime istruzioni del Risorto: nel suo nome devono andare in tutto il mondo a predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme, che rimane così al centro della storia e della salvezza e di lì diffondersi progressivamente sino agli estremi confini della terra.
 
Apparizioni di Gesù a testimoni ufficiali -  Giuseppe Tosatto: Sono narrazioni che, nonostante le differenze, manifestano evidenti somiglianze di struttura.
Costituiscono come una esplicitazione della proclamazione primitiva, che intendono giustificare ed approfondire nel suo oggetto essenziale; per questo in esse gli intenti biografico-aneddotici passano in seconda linea per lasciar posto alle preoccupazioni kerygmatiche. Dal lato letterario troviamo in tutti uno schema pressoché identico, in cui diversi elementi vengono ripetuti in maniera stereotipa: 1) la situazione dei discepoli (nel Cenacolo, sul monte, ecc.); 2) l’apparizione ed il saluto; 3) il dubbio-timore degli apostoli, seguito dal riconoscimento del maestro; 4) la missione di Gesù agli apostoli, accompagnata da una promessa.
Dal punto di vista teologico queste apparizioni convergono su un interesse fondamentale: la realtà del risorto e la missione degli apostoli. Dal lato storico invece va notata la corrispondenza con l’elemento centrale del kerygma apostolico: il fatto della risurrezione e le apparizioni del Risorto testimoniate dagli apostoli.
Risulta quindi chiara l’importanza di questi racconti, confermata dall’organizzazione che gli evangelisti danno al ciclo della risurrezione: al primo posto pongono cronologicamente l’esperienza del sepolcro vuoto; poi ven­gono le apparizioni a gruppi particolari unitamente all’episodio delle angelologie al sepolcro (apparizioni alle donne ed alla Maddalena) oppure con le apparizioni ai discepoli (ad es. il fatto di Emmaus); infine abbiamo le cosiddette apparizioni ufficiali, ove non è tanto l’ordine cronologico che viene seguito, quanto piuttosto l’intento teologico di presentare il fatto pasquale come a coronamento delle manifestazioni di Cristo, in quanto inaugurano il mistero della chiesa mediante l’invio in missione ed il dono dello Spirito.
Appartengono a questa serie di racconti:
1) l’apparizione di Gesù presso il lago di Tiberiade (Gv. 21,1-23): raccoglie ricordi vari che un discepolo di Giovanni ha letterariamente strutturato e posto a conclusione del quarto vangelo;
2) il mandato di Cristo risorto agli apostoli (Mt. 28,16-20): narrazione molto schematica, spoglia di qualsiasi elemento aneddotico;
3) l’apparizione al gruppo apostolico (Mc. 16,14-18): brano comunemente attribuito a Marco, ma che risale alla tradizione primitiva; questo racconto è tra i più storicamente fondati, a motivo del suo aggancio alla tradizione pre-evangelica e all’accordo «sostanziale» con gli altri vangeli;
4) l’apparizione nel cenacolo (Lc. 24,36-49): troviamo qui una presen­tazione più elaborata in cui, alle preoccupazioni teologiche di sempre, si aggiungono (oltre il tema del dubbio) i motivi apologetici, quali la prova della realtà del corpo risuscitato (vv. 39-43) e l’interpretazione delle scritture (vv. 44-47); i lettori di Lc. erano greci: era difficile per essi ammettere una risurrezione del corpo; di qui l’insistenza dell’evangelista per provare la realtà «fisica» di Cristo risorto dimostrata con i gesti del palpare e del mangiare; segue la missione, che Lc. compendia nella predicazione della penitenza e della remissione dei peccati;
5) la duplice apparizione di Gesù ai dodici (Gv. 20,19-23 e 24-29): il racconto, nella sua sobrietà, si avvicina alla tematica di Lc. e sottolinea un motivo specificamente giovanneo: quello della fede al di là dei sensi. Anche qui la missione apostolica è vista come remissione dei peccati.
In conclusione, attraverso l’esame dei caratteri letterari e dei contenuti storici e dottrinali delle varie testimonianze bibliche relative alla risurrezione, si raggiunge la certezza che la fede pasquale sta alla base dell’intero messaggio cristiano; essa si presenta fondata su due serie di fatti: l’esperienza del sepolcro vuoto e le apparizioni di Cristo risorto.
Tali elementi, che troviamo già presenti nello stadio pre-evangelico della tradizione, sono ripresi dagli evangelisti che, servendosi sia dei racconti di tipo ufficiale strettamente connessi con il kerygma primitivo, sia delle descrizioni sul sepolcro vuoto di genere narrativo, sia infine di tradizioni particolari, hanno sviluppato il cosiddetto ciclo della risurrezione su uno schema cronologico parzialmente artificiale, che presenta la realtà delle testimonianze pasquali secondo una certa qual gradazione tematica.
 
In pace mi corico e subito mi addormento: «Com’è bello, fratelli, e quale beatitudine, non solo rimanere sicuri di fronte alla morte, ma altresì trionfare con gloria per la testimonianza della coscienza... So che è della condizione umana essere turbati al momento decisivo della partenza; quando anche i perfetti non vogliono essere spogliati, ma rivestire il loro vestito di gloria sull’altro, e coloro che non si sentono colpevoli, poiché non per questo si trovano giustificati, sono costretti a temere un giudizio di cui ignorano il contenuto. Ma che la mia anima sia turbata a motivo della sua condizione, o per mancanza di santità, o per timore del giudizio, dice il giusto: “Tu, o Signore, ricordati della tua misericordia, invia la tua misericordia e la tua verità, e libera la mia anima dai lioncelli, e io che prima ero turbato, poi in pace mi corico e subito mi addormento”» (Guerric d’Igny).
 
Il Santo del giorno - 14 Aprile 2024 - Santa Liduina, Vergine: Sta pattinando con giovani e ragazze sulle distese ghiacciate presso il villaggio di Schiedam, in Olanda dove è nata nel 1380, e a un tratto cade. C’è una costola fratturata, forse con lesioni interne. Portata a casa, la mettono subito a letto. Lei ha quindici anni: e in quel letto rimarrà per altri 38. Per sempre, fino alla morte. Dopo l’incidente sopraggiungono altre malattie, in una disgraziata successione che trova impotenti i medici. Non guarisce, non muore, i dolori incrudeliscono, Liduina è a un passo dalla disperazione. Trova un senso però alle sue sofferenze grazie alle parole di un prete, Giovanni de Pot. Liduina decide di offrire il proprio dolore per la salvezza degli altri ma chiede un segno dall’alto che confermi la volontà divina: sopra il suo capo appare splendente l’Ostia eucaristica. E la vedono anche i parenti. Da quel giorno la sua casa diventa meta di pellegrinaggi da tutto il Nord Europa. La sua opera di ascolto e aiuto dei sofferenti che vanno da lei si conclude il martedì di Pasqua del 1433. (Avvenire)
 
Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo
che ti sei degnato di rinnovare con questi sacramenti di vita eterna,
e donagli di giungere alla risurrezione incorruttibile del corpo,
destinato alla gloria.
Per Cristo nostro Signore.