1 Luglio 2025
 
Martedì XIII Settimana T. O.
 
Gen 19,15-29; Salmo Responsoriale Dal Salmo 125 (126); Mt 8,23-27
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.  
 
Catechismo della Chiesa Cattolica Compendio 30. La fede è un atto personale, in quanto libera risposta dell’uomo a Dio che si rivela. Ma è nello stesso tempo un atto ecclesiale, che si esprime nella confessione: «Noi crediamo». È infatti la Chiesa che crede: essa in tal modo, con la grazia dello Spirito Santo, precede, genera e nutre la fede del singolo cristiano. Per questo la Chiesa è Madre e Maestra.  
31. Le formule della fede sono importanti perché permettono di esprimere, assimilare, celebrare e condividere insieme con altri le verità della fede, utilizzando un linguaggio comune.
32. In qual modo la fede della Chiesa è una sola? La Chiesa, benché formata da persone diverse per lingua, cultura e riti, professa con voce unanime l’unica fede ricevuta da un solo Signore e trasmessa dall’unica Tradizione Apostolica. Professa un solo Dio - Padre, Figlio e Spirito Santo - e addita una sola via di salvezza. Pertanto noi crediamo, con un cuor solo e un’anima sola, quanto è contenuto nella Parola di Dio, tramandata o scritta, ed è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato.
 
I Lettura: Lot, spinto dalla sollecitudine di Dio, fugge via da Sodoma. Ha finalmente compreso l’errore di dimorare tra gente incapace di avere una morale, ma forse non doveva attendere l’ordine perentorio di Dio per fuggire via dalla città impenitente, bastava un po’ di coerenza, di sapienza e di fedeltà al suo credo.
L’insipienza di Lot non è un peccato, ma certamente un errore di valutazione che poteva portare conseguenze assai infauste nella sua vita. Una buona e salutare lezione per tutti.   
Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale - “La tradizione ebraica della haggadà annovera Lot tra i giusti (zaddikim) ma ritiene che separandosi da Abramo si sia allontanato da Dio e a Sodoma sia caduto vittima delle passioni, trasformandosi in usuraio e giudice ingiusto. [...].
Il vangelo di Luca vede la distruzione di Sodoma come prefigurazione del giudizio universale (Lc 17,29-32).
Lot stesso, in una lettera neotestamentaria, è lodato come giusto che soffre tra i suoi simili (2 Pt 2,7s.). Cirillo di Gerusalemme (sec. IV) considera la moglie di Lot un monito perenne: chi ha posto mano all’aratro non deve voltarsi indietro a guardare «il vivace e “salato” andirivieni di questa esistenza». Ambrogio (334-397) e Ugo di S. Vittore (sec. XII) vedono in questa donna l’immagine del peccatore, che torna volontariamente al peccato. Al seguito di Agostino (354-430), il racconto di Sodoma viene rielaborato e ampliato nel medievale Speculum humanae salvationis. La scomparsa di Sodoma diventa tipo della punizione infernale e della distruzione del mondo nel giudizio universale” (Grande Dizionario Illustrato dei Personaggi Biblici).
Mentre la scomparsa di Sodoma diventa tipo della punizione infernale, il racconto della moglie che divenne una colonna di sale è una eziologia: essa spiega in modo particolare la forma singolare delle colonne di sale che si trovano sulla riva del Mar Morto e nello stesso tempo esprime l’idea dell’ubbidienza che Dio esige.
 
Vangelo
Si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
 
Ed ecco avvenne nel mare …: è il lago di Galilea che va soggetto a tempeste quando è battuto dai venti del Nord-Ovest. La tempesta si determina spesso all’improvviso e rende estremamente difficile la navigazione. Anche per esperti marinai il pericolo era reale e grave, e questo spiega la viva apprensione dei discepoli.
Uomini di poca fede; Gesù prima rimprovera i discepoli, poi placa il lago. Il rimprovero non è fuori luogo, poiché i discepoli dovevano ormai sapere che essi quando erano con Gesù desto o dormiente non potevano morire. Cristo “tratta gli elementi (i venti e l’acqua del lago) come due servi indocili e ribelli. Lo storico-evangelista osserva che in seguito al comando di Gesù il lago si placò; le tempeste nel lago come a volte sorgono improvvise così anche si placano subitamente; ma qui la bonaccia è conseguenza dell’intervento del Maestro” (Benedetto Prete I Quattro Vangeli).
Tutti pieni di stupore: ci si attenderebbe i discepoli. Probabilmente è un eco di una comunità che manifesta  stupore dinanzi alla potenza divina di Gesù.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,23-27
In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».  

Parola del Signore.
 
Claude Tassin (Vangelo di Matteo): L’episodio della tempesta sedata si trova anche in Marco e Luca, ispirato certamente dalla storia di Giona che, inviato ai pagani, affronta la tempesta: anch’egli si è addormentato (Gio 1,5); anche grazie a lui ritorna la bonaccia (ibid., v. 15) e i passeggeri pagani rendono grazie a Dio (ibid., v. 16; cfr. Mt 8,27). Già questo riferimento è denso di significato: quando ci si rivolge verso un mondo ostile per testimoniare il regno, si affrontano le tempeste, ma la presenza di Gesù costituisce una sicurezza. Notiamo che la Bibbia fa del mare il simbolo del male, la sede delle potenze diaboliche: è per questo che, nel mondo nuovo immaginato dall’Apocalisse, «il mare non c’era più» (Ap 21,1). Ma il racconto di Matteo rinnova il senso dell’episodio.
a) L’ attenzione si rivolge anzitutto sui «discepoli» che hanno seguito Gesù: essi affrontano non «una tempesta» (secondo Marco e Luca) ma, letteralmente, «un grande sisma». In Matteo il termine evoca uno sconvolgimento cosmico, quello che segna la morte e la risurrezione di Gesù (Mt 27,54; 28,2) e annuncia la fine del mondo (24,7). Insomma, i discepoli affrontano una prova cruciale.
b) Anche il v. 25 presenta qualche variazione. Al grido istintivo: «Maestro, siamo perduti» (Marco e Luca) si sostituisce una sorta di preghiera liturgica della Chiesa: «Signore, salvaci: siamo in pericolo!».
c) In Marco e Luca, Gesù in primo luogo sedata la tempesta e successivamente biasima la mancanza di fede dei suoi. Matteo inverte l’ordine (v. 26): dapprima la riprovazione della fede dei discepoli, poi la vittoria sugli elementi infuriati.
Così, il racconto diventa in primo luogo una lezione: i discepoli hanno la fede, proprio perché si sono imbarcati con Gesù. Ma la loro fede è poca, ben presto vinta dalla paura. Essi credono qui di svegliare Gesù e invece Gesù che risveglia la loro fede, condizione indispensabile per scoprire in lui il vincitore delle forze del male.
Allora colui che dormiva (simbolo di morte), «levatosi» (risuscitato), ristabilisce la calma.
d) Al v. 27 Matteo ha, per così dire, già «lasciato la barca», Non sono i discepoli che parlano, ma «gli uomini», una parola che l’evangelista adopera spesso per designare i non cristiani (cfr. M t 5,16), come i rabbini adoperavano la parola «creature» per parlare dei pagani. Ora, questi « uomini» manifestano uno stupore pieno di ammirazione davanti alla potenza del vincitore degli elementi, prima reazione positiva ai segni della missione di Gesù.
 
Perché avete paura, gente di poca fede? - Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matto): La fede di chi ha paura è ancora debole. La fede scaccia la paura poiché ricolma tutto l’uomo della presenza di Dio. La luce della fede scova e allontana da ogni dove l’ ombra dell’ ansietà e dell’ angoscia. I discepoli sono «uomini di poca fede», cioè hanno sì la fede - altrimenti non avrebbero sperato nel suo aiuto; ma è una fede ancora incerta e insufficiente - altrimenti non avrebbero cercato di scongiurare il pericolo con tale spavento e angoscia. Il discepolo di Gesù i trova spesso in questa situazione: crede, ma non pienamente; aspetta l’aiuto dall’alto, ma non tutto l’aiuto; non si sente ancora sicuro nelle mani del Padre, come ha insegnato Gesù (cf. 6,25-34).
Gesù impone la calma alle potenze scatenate, placa la tempesta e i venti. Improvvisamente «si fece una grande bonaccia». Il tumulto delle acque si volatizza come un fantasma. I presenti si domandano stupefatti (i discepoli, o la folla sulla riva o genericamente tutti gli uomini? non è questo che importa, ma unicamente la domanda): «Chi è mai costui?».
Prima lo stupore nasceva dal suo messaggio presentato con autorità sovrana (7, 28), ora scaturisce dal suo agire con potenza, dal suo potere che si estende sulla tempesta e sul mare; gli elementi gli obbediscono come i demoni e le malattie. Di fronte a tale pienezza di poteri, non dovrà obbedirgli anche l’uomo? Se egli è realmente Signore e Maestro, come lo chiamano i discepoli, non è anche il Signore della mia vita?
Il discepolo deve seguire incondizionatamente il Maestro e contare unicamente su di lui; deve quindi rinunciare alla sicurezza di una casa («non ha dove posare il capo») e all’intimità di una famiglia (lascia i morti seppellire i loro morti»). Seguire Gesù, essere suoi discepoli vuol dire sciogliere ogni legame terreno e vincolarsi a un unico legame: il Signore. Sul lago di Genezaret tutto ciò divenne realtà. Ma qui si spezza anche un terzo legame: la liberazione dalla fiducia nelle proprie possibilità.
Sul lago si sperimentò che cosa significasse seguire Gesù: egli è in mezzo ai suoi, nella barca; lui solo basta, qualunque cosa possa accadere; egli è sicuro in Dio e soltanto in lui c’è salvezza. Vivere così è proprio della fede; una fede inizialmente faticosa che diventa fiducia sconfinata; una fede piccola e incerta che diventa adulta e piena. Questo quadro evangelico deve restare sempre davanti ai nostri occhi, specialmente quando i fatti della vita parleranno linguaggi contrari. Nonostante tutto, Gesù è nella barca.
 
Ippolito di Roma, De Christ. et antichr., 59: Il mare è il mondo, in cui la Chiesa, come una nave nelle onde del mare, è sbattuta dai flutti, ma non fa naufragio; perché ha con sé Cristo, il suo accorto timoniere. Ha anche nel centro il trofeo eretto contro la morte, la croce del Signore. La sua prora è Oriente, la poppa Occidente, la carena Mezzogiorno, i chiodi i due Testamenti, le corde son la carità di Cristo che tiene stretta la Chiesa, il lino rappresenta il lavacro di rigenerazione che rinnova i fedeli. Il vento è lo Spirito che vien dal cielo, per il quale i fedeli son condotti a Dio. Con lo Spirito ha anche ancore di ferro nei precetti di Cristo. Né le mancano marinai a destra e a sinistra, poiché i santi angeli la circondano e difendono. La scala, che sale sull’antenna, è immagine della salutare passione di Cristo, che porta i fedeli fino al cielo. Le segnalazioni in cima all’antenna son le luci dei Profeti, dei Martiri, degli Apostoli, che riposano nel regno di Cristo
 
Il Santo del Giorno - 1 Luglio 2025 - San Justino Orona Madrigal (Atoyac, Messico, 14 aprile 1877 - Rancho de Las Cruces, Messico, 1° luglio 1928): Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell’arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, sicuramente possono salire al cielo».
Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All’alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!».
Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
 

 30 Giugno 2025
 
Lunedì XIII Settimana T. O.
 
Gen18,16-33; Salmo Responsoriale dal Salmo 102 (103); Mt 8,18-22
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo degli Adulti: Vocazioni particolari e vocazione comune [800]Molti ritengono che la vita sia un’avventura solitaria, un farsi da sé, contando unicamente sulle proprie risorse. Secondo la fede cristiana, la vita è dialogo, risposta a una vocazione, dono che diventa compito.
Il concetto di vocazione è tipico della rivelazione biblica. Dio, soggetto trascendente e personale, entra liberamente, come una novità inaspettata, nell’esistenza delle persone. Ad alcuni, come Abramo, Mosè, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, rivolge direttamente la sua parola. Ad altri, come Aronne e David, fa pervenire la sua chiamata attraverso mediazioni umane. Nell’Antico Testamento, dirette o mediate, le vocazioni particolari si collocano nell’ambito della comune vocazione degli israeliti ad essere il popolo dell’alleanza. La vocazione comporta sempre un disegno di amore da parte di Dio, una missione da compiere e una forma di vita corrispondente. Attende una risposta libera e fiduciosa di obbedienza da parte dell’uomo.
Ancora maggiore è il rilievo che la vocazione ha nel Nuovo Testamento. Sono chiamati i Dodici, Paolo, i cristiani tutti; alcuni purtroppo rimangono sordi. Le vocazioni a particolari servizi e forme di vita stanno dentro la comune chiamata alla fede, alla santità, alla missione, alla gloria celeste.
 
I Lettura: Nonostante l’accorata preghiera di Abramo, Sòdoma e Gomorra, furono distrutte da Dio a motivo del loro peccato, un evento ricordato spesso nella Bibbia come esempio del giudizio e dell’ira di Dio (Cf. Dt 29,22; Sir 16,8; Is 1,9-10; 13,19; Ger 49,18; 50,40; Lam 4,6; Am 4,11; Sof 2,9; Mt 10,15; 11,23-24; Lc17,29; ecc.) e come esempio di malvagità (Dt 32,32; Is 3,9; Ger 23,14; Ez 16,44-58; Ap 11,8). Da questo racconto nascono i termini gonorrea, sodomia, sodomita: la «Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2357).
 
Vangelo
Seguimi.
 
Le due sentenze di Gesù rivolte a coloro che lo vogliono seguire mettono in evidenza il tema della sequela e le esigenze del discepolato. La prima sentenza suggerisce che farsi discepolo non è semplicemente seguire un messaggio e accettare una dottrina ma è condividere in tutto il destino del Figlio dell’Uomo, è lasciare la propria sicurezza per una vita incerta, è perdere la vita per causa di Cristo (Mt 10,39). La seconda sentenza pone la rinuncia ai legami di famiglia come una delle condizioni per il discepolato: non si può procrastinare o aspettare finché si sia assolto a tutti i doveri familiari, non si sarebbe mai in grado di seguire la propria vocazione. Il tempo è adesso: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
8,18-22
 
In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.
Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
 
Parola del Signore.
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v.18 Gesù … ordinò di passare all’altra riva. Al comando di partenza seguirà l’imbarco effettivo solo più tardi (v. 23). Non è indicato il motivo per cui Gesù vuole allontanarsi dalla folla. Forse evangelista intende distinguere i cristiani, associati a Gesù perché membri della comunità, dalla folla dei giudei, che non avevano aderito al vangelo.
v. 19 «Maestro, ti seguirò ovunque vada». Dapprima compare in scena uno scriba, cioè un esperto della Legge mosaica, che intendeva seguire Gesù. Nei vangeli vengono menzionati altri scribi disponibili al suo messaggio, perché avevano compreso che rappresentava il compimento delle Scritture (cf. Mt 13,52; Gv 3,1-20; 12,42). II verbo akoloutheîn (= seguire) è il termine tecnico per indicare la sequela di Gesù.
v. 20 «Le volpi hanno le tane ..., ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». La risposta di Gesù è solenne e strutturata con perfetta simmetria.
Mentre i rabbini offrivano ai loro discepoli la prospettiva allettante di una professione redditizia e onorata, Gesù disinganna crudamente il suo ammiratore; gli descrive la sua situazione di estrema indigenza, essendo privo persino di una dimora fissa. Per la prima volta in Mt Gesù si autodesigna come «Figlio dell’uomo». Una caratteristica che contraddistingue il discepolato di Gesù da quello degli scribi è costituita dalla situazione di povertà e dalla mancanza d’ogni sicurezza materiale.
Anche la vita del Maestro fu «un unico ininterrotto vagabondare ... , la rinuncia a dimora e famiglia, a succeso e sicurezza» (Schniewind, p. 202). Non si sa se lo scriba abbia seguito Gesù. Probabilmente no. A Mt non interessa la storia di questo individuo, quanto la lezione permanente, valida per ogni vocazione cristiana. Il detto ha un’impronta sapienziale, con una probabile allusione alla sapienza rifiutata dagli uomini (cf. Pro 1,20-33).
Ciò spiega anche la situazione precaria di Gesù, dovuta non ad una scelta di vita ascetica, bensì all’ostilità degli uomini (cf. Gnilka, I, p. 458). I suoi discepoli devono predisporsi a sopportare le medesime privazioni per conseguire la vita eterna nella parusia del Figlio dell’uomo, quando tornerà come giudice escatologico per la piena attuazione del regno di Dio.
vv. 21-22 «Permettimi prima di andare e di seppellire mio padre». Questa domanda di «un altro dei discepoli», cioè di uno ch’era già al suo seguito, sembrava più che ragionevole, anzi doverosa. La sepoltura del genitore rientrava nella serie dei doveri più importanti nel giudaismo, in ossequio al quarto comandamento. La risposta negativa di Gesù è perentoria: «Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Sono tate proposte varie ipotesi per attenuare la portata di questo comando di Gesù. Egli non intendeva certo abolire il quarto comandamento (cf. 15,3ss.), bensì sottolineare l’importanza del regno, che va preposto ad ogni altro obbligo, persino agli affetti familiari più profondi (cf. 10,37). La sequela di Gesù dev’essere radicale e incondizionata. Il suo linguaggio risulta iperbolico e paradossale, tuttavia esprime una esigenza reale. «La causa di Cristo fa passare in seconda linea, fa persino trascurare tutte le altre occupazioni e preoccupazioni, anche quelle che sembrano più sacre, qual è la cura dei defunti» (Ortensio da Spinetoli, pp. 219-220).
«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti»: questa espressione non va intesa come biasimo ai parenti del discepolo per loro cattiva condotta, ma ha un significato simbolico per indicare in generale gli esseri umani che «restano nella morte (1Gvv 3,14), che sono preda della morte eterna e ne portano i segni già adesso» (Schniewind.p, 203-204). In questo secondo apoftegma emerge un’altra caratteristica del discepolato: la subordinazione di ogni interesse terreno alla chiamata Tutto deve passare in secondo ordine rispetto alle sigenze radicali del regno, il bene più prezioso per la persona umana.
 
Vocazione dei discepoli e vocazione dei cristiani - Jacques Guillet: Se Gesù, per suo conto, non sente la chiamata di Dio, in compenso moltiplica le chiamate a seguirlo; la vocazione è il mezzo mediante il quale egli raggruppa attorno a sé i Dodici (Mc 3,13), ma fa sentire anche ad altri un’analoga chiamata (Mc 10,21; Lc 9,59-62); e tutta la sua predicazione ha qualcosa che comporta una vocazione; una chiamata a seguirlo in una via nuova di cui egli possiede il segreto: «Chi vuol venire dietro di me...» (Mt 16,24; cfr. Gv 7,17). E se «molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti», si è perché l’invito al regno è una chiamata personale, alla quale taluni rimangono sordi (Mt 22,1-14). La Chiesa nascente ha subito inteso la condizione cristiana come una vocazione. La prima predicazione di Pietro a Gerusalemme è un appello ad Israele, simile a quello dei profeti, e cerca di suscitare un passo personale: «Salvatevi da questa generazione perversa!» (Atti 2,40). Per Paolo c’è un parallelismo reale tra lui, «apostolo per vocazione», e i cristiani di Roma o di Corinto «santi per vocazione» (Rom 1,1.7; 1Cor 1,1s). Per rimettere i Corinzi nella verità, egli li riporta alla loro chiamata, perché essa costituisce la comunità di Corinto così com’è: «Considerate la vostra chiamata, non ci sono molti sapienti secondo la carne» (1Cor 1,26). Per dar loro una regola di condotta in questo mondo la cui figura passa, li impegna a rimanere ciascuno «nella condizione in cui l’ha trovato la sua chiamata» (7,24). La vita cristiana è una vocazione perché è una vita nello Spirito, perché lo Spirito è un nuovo universo, perché «si unisce al nostro spirito» (Rom 8,16) per farci sentire la parola del Padre e risveglia in noi la risposta filiale. Poiché la vocazione cristiana è nata dallo Spirito, e poiché lo Spirito è uno solo che anima tutto il Corpo di Cristo, in seno a quest’unica vocazione c’è «diversità di doni... di ministeri... di operazioni...», ma in questa varietà di carismi non c’è infine che un solo corpo ed un solo Spirito (1Cor 12,4-13). Poiché la Chiesa, la comunità dei chiamati, è essa stessa la Ekklesìa, «la chiamata» , come è la Eklektè, «l’eletta» (2Gv 1), tutti coloro che in essa sentono la chiamata di Dio rispondono, ognuno al suo posto, all’unica vocazione della Chiesa che sente la voce dello sposo e gli risponde: «Vieni, o Signore Gesù!» (Apoc 22, 20).
 
Il radicalismo evangelico: Pastores dabo vobis 27: Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e a imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con lui, operata dallo Spirito (cfr. Mt 8,18ss; Mt 10,37ss; Mc 8,34ss; 10,17-21; Lc 9,57ss). Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono “nella” chiesa, ma anche perché sono “di fronte” alla chiesa, in quanto sono configurati a Cristo capo e pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi “consigli evangelici”, che Gesù propone nel discorso della montagna (cfr. Mt 5-7) e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono.
 
Il discepolo che vuole essere perfetto - Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 41, 4: Questo discepolo credeva certamente con spirito religioso e con mente illuminata dalla fede, ma non disponeva ancora di una scienza della fede che fosse completa. Non aveva ancora sentito dire dal Signore: Se uno non lascerà suo padre a sua madre, i suoi figli a i suoi fratelli, a le sue sorelle, e non mi avrà seguito, non potrà essere mio discepolo. Perciò non conoscendo la perfezione richiesta dalla fede, non comprese quello che andava dicendo. Il Signore, che approva più il cuore che non le parole dei discepoli che credono in lui volle istruire quel tale che era nell’ignoranza. E poiché desiderava che quel discepolo fosse in tutto perfetto, gli dice che non deve essere legato da nessuna preoccupazione del mondo; lo ammonisce col dire: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Era certo una cosa disdicevole che quel tale, avendo creduto per la prima volta nel Figlio di Dio e avendo ormai cominciato ad avere per padre il Dio vivo e celeste, si interessasse ancora del padre terreno ormai morto. Perciò il Signore tagliò corto dicendogli solo di seguire lui: Seguimi!
 
Il Santo del Giorno - 30 Giugno 2025 - Primi Martiri della Chiesa di Roma. Quella ferita nella storia da cui entra la luce di Dio: Fare memoria dei martiri significa ricordare una ferita che da sempre accompagna il Vangelo nella storia. Una ferita dalla quale, però, s’intravede la luce della vita divina che raggiunge ogni essere umano. Così la testimonianza dei cristiani della Chiesa di Roma uccisi nell’anno 64 perché accusati ingiustamente da Nerone dell’incendio della città, ci ricorda ancora oggi che spesso la voce del Vangelo è messa a tacere dai potenti, ma continua a farsi sentire grazie alla fede del popolo di Dio. Erano passati pochi anni dalla morte e risurrezione di Gesù a Gerusalemme, ma nella capitale dell’Impero il suo messaggio si era già diffuso.
La crisi era dietro l’angolo e serviva un capro espiatorio: si decise che il pericolo veniva dai cristiani, con quella loro fede rivoluzionaria e per questo Nerone li incolpò del grande incendio. Un’accusa che scatenò una persecuzione feroce. Lo storico Tacito nei suoi «Annali» descrivendo il martirio dei cristiani narrava: «Alcuni ricoperti di pelle di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco al termine del giorno in modo che servissero da illuminazione notturna». La persecuzione contro i cristiani si protrasse fino all’anno 67. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 29 Giugno 2025
 
Santi Pietro  Paolo, Apostoli
 
At 12,1-11; Salmo Responsoriale dal Salmo 33 (34); 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19
 
Colletta
O Dio, che ci doni la grande gioia
di celebrare in questo giorno
la solennità dei santi Pietro e Paolo,
fa’ che la tua Chiesa
segua sempre l’insegnamento degli apostoli,
dai quali ha ricevuto il primo annuncio della fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
... e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa: Catechismo della Chiesa Cattolica 552: Nel collegio dei Dodici Simon Pietro occupa il primo posto. Gesù a lui ha affidato una missione unica. Grazie ad una rivelazione concessagli dal Padre, Pietro aveva confessato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Nostro Signore allora gli aveva detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). Cristo, “Pietra viva” (1Pt 2,4), assicura alla sua Chiesa fondata su Pietro la vittoria sulle potenze di morte. Pietro, a causa della fede da lui confessata, resterà la roccia incrollabile della Chiesa. Avrà la missione di custodire la fede nella sua integrità e di confermare i suoi fratelli.
553: Gesù ha conferito a Pietro un potere specifico: “A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19). Il “potere delle chiavi” designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa. Gesù, “il Buon Pastore” (Gv 10,11) ha confermato questo incarico dopo la Risurrezione: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15-17). Il potere di “legare e sciogliere” indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina, e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesù ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno.
 
I Lettura: Erode Agrippa, figlio di Erode il Grande, perseguita la Chiesa. Fa giustiziare Giacomo, fratello di Giovanni, e solo per compiacere il popolo fa arrestare Pietro, il quale, alla vigilia del suo processo viene liberato miracolosamente da un angelo. L’intento di Luca è quello di esaltare la provvidenza divina che mai abbandona i giusti. Un racconto che vuole alimentare e sostenere la fede dei primi cristiani sottoposti a persecuzioni e a prove di ogni genere.
 
II Lettura: L’apostolo Paolo è ormai alla fine del suo lungo e doloroso cammino: pur avendo la profonda consapevolezza che sta «per essere versato in offerta», non ha paura della morte. Il premio che l’Apostolo si attende è la «corona di giustizia che il Signore, giusto» gli consegnerà nel giorno della parusia. Il premio è detto «corona della giustizia, perché sarà dato solo a chi l’avrà meritato mediante la santità e la giustizia. Il passo contiene pertanto la dottrina cattolica del merito, per cui Dio si impegna con obbligo di giustizia [giusto Giudice v. 8] a premiare coloro che hanno corrisposto alla sua grazia: il merito, perciò, non è solo una pretesa dell’uomo davanti a Dio, ma l’incoronazione che Dio stesso fa dei suoi doni di grazia e di amore liberamente accettati dalla sua creatura» (Settimio Cipriani). La stessa corona di giustizia sarà donata a tutti coloro che, come Paolo, avranno atteso con amore la manifestazione di Cristo.
 
Vangelo
Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli.
 
Il primato di Pietro è un potere per il bene della Chiesa, e poiché deve durare sino alla fine dei tempi, sarà trasmesso a coloro che gli succederanno nel corso dei secoli. Inferi, alla lettera «Ade» (in ebraico sheol), designa il soggiorno dei morti (Cf. Num 16,33). Le potenze degli inferi, «evocano le potenze del Male che, dopo aver trascinato gli uomini nella morte del peccato, li incatena definitivamente nella morte eterna. Seguendo il suo Signore, morto, “disceso agli inferi” [1Pt 3,19] e risuscitato [At 2,27.31], la Chiesa avrà la missione di strappare gli eletti all’impero della morte, temporale ed eterna, per farli entrare nel regno dei cieli [Cf. Col 1,3; 1Cor 15,26; Ap 6,8; 20,13]» (Bibbia di Gerusalemme).

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 16,13-19
 
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
 
Parola del Signore.
 
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente - Ma voi, chi dite che io sia? Per Giovanni Papini «Gesù non interroga per sapere, ma perché i suoi fedeli, finalmente sappiano anch’essi [...] il suo vero nome». Ed è Simone, primo tra i Dodici e primo tra i cristiani, a esprimere in termini umani la realtà soprannaturale del figlio di Maria: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». Un’espressione che spesso si trova nell’Antico Testamento (Cf. Gs 3,10; Sal 42,3; 84,3; Os 2,1) ed esprime la presenza operante di Dio.
La risposta di Pietro pone almeno una domanda: egli intendeva professare la divinità di Gesù oppure si riferiva soltanto alla sua messianicità? Se si propende per quest’ultima soluzione, si restituisce alla espressione il semplice senso messianico che essa ha nell’Antico Testamento. Sulla base della risposta del Cristo, né carne né sangue te lo hanno rivelato, si può invece pensare che Pietro abbia voluto professare la divinità del suo Maestro: un’illuminazione che veniva dall’alto e non era frutto di investigazione umana.
La risposta di Gesù a questa professione di fede ha una portata di notevolissima importanza. In primo luogo, egli proclama: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Il termine semitico che traduce Chiesa, ekklêsia, significa assemblea. La «Chiesa» nell’Antico Testamento è la comunità del popolo eletto (Cf. Dt 4,10; At 7,38). Nei vangeli non appare che due volte e designa la nuova comunità che Gesù stava per fondare e che egli presenta come una realtà non solo stabile, ma indistruttibile: «[...] le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». La locuzione, invece, è frequente nelle lettere paoline. Per la Bibbia di Gerusalemme, Gesù usando «il termine “Chiesa” parallelamente all’espressione “regno dei cieli” (Mt 4,17), sottolinea che questa comunità escatologica comincerà già sulla terra mediante una società organizzata di cui stabilisce il capo».
La Chiesa è edificata su Simone, che a motivo di questo ruolo riceve qui il nome di Pietro. Il mutamento del nome sta a indicare la nuova missione di Simon Pietro: egli sarà la roccia, quindi elemento di coesione, di unità e di stabilità.
A questo punto, Gesù indica i poteri conferiti a Simon Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Il senso di questa immagine, nota alla sacra Scrittura e all’antico Oriente, suggerisce l’incarico affidato a un unico personaggio di sorvegliare ed amministrare la casa. Nel mandato di Simon Pietro, il potere di legare e di sciogliere implica il perdono dei peccati, ma la sua comprensione non va limitata a questo significato: esso, infatti, comprende tutta un’attività di decisione e di legislazione, nella dottrina come nella condotta pratica, che coincide con l’amministrazione della Chiesa in generale.
Sempre per la Bibbia di Gerusalemme, l’esegesi cattolica «ritiene che queste promesse eterne valgano non soltanto per la persona di Pietro, ma anche per i suoi successori; sebbene tale conseguenza non sia esplicitamente indicata nel testo, è tuttavia legittima in ragione dell’intenzione manifesta che ha Gesù di provvedere all’avvenire della sua Chiesa con una istituzione che la morte di Pietro non può rendere effimera».
Luca (22,31s) e Giovanni (21,15s) sottolineano che il primato di Pietro, sempre per mandato divino, deve essere esercitato particolarmente nell’ordine della fede e che tale primato lo rende capo, non solo della Chiesa futura, ma già degli altri Apostoli. Infine, c’è da sottolineare che la professione petrina avviene nella regione di Cesarea di Filippo. Possiamo dire che non è «ricordato a caso il quadro geografico: la confessione del Messia e l’investitura di Pietro avvengono fuori dalla Palestina, in un territorio pagano. Le future direzioni della salvezza sono ormai chiare» (Ortensio Da Spinetoli).
 
Benedetto XVI (Omelia 29 Giugno 2005): Il Vangelo di questo giorno ci parla della confessione di san Pietro da cui ha avuto inizio la Chiesa: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Avendo parlato oggi della Chiesa una, cattolica e apostolica, ma non ancora della Chiesa santa, vogliamo ricordare in questo momento un’altra confessione di Pietro pronunciata nel nome dei Dodici nell’ora del grande abbandono: “Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,69). Che cosa significa? Gesù, nella grande preghiera sacerdotale, dice di santificarsi per i discepoli, alludendo al sacrificio della sua morte (Gv 17,19). Con questo Gesù esprime implicitamente la sua funzione di vero Sommo Sacerdote che realizza il mistero del “Giorno della Riconciliazione”, non più soltanto nei riti sostitutivi, ma nella concretezza del proprio corpo e sangue. La parola “il Santo di Dio” nell’Antico Testamento indicava Aronne come Sommo Sacerdote che aveva il compito di compiere la santificazione d’Israele (Sal 105,16; vgl. Sir 45,6). La confessione di Pietro in favore di Cristo, che egli dichiara il Santo di Dio, sta nel contesto del discorso eucaristico, nel quale Gesù annuncia il grande Giorno della Riconciliazione mediante l’offerta di se stesso in sacrificio: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Così, sullo sfondo di questa confessione, sta il mistero sacerdotale di Gesù, il suo sacrificio per tutti noi. La Chiesa non è santa da se stessa; consiste infatti di peccatori – lo sappiamo e lo vediamo tutti. Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata dall’amore purificatore di Cristo. Dio non solo ha parlato: ci ha amato molto realisticamente, amato fino alla morte del proprio Figlio. È proprio da qui che ci si mostra tutta la grandezza della rivelazione che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. Allora ciascuno di noi può dire personalmente con san Paolo: “Io vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Preghiamo il Signore perché la verità di questa parola si imprima profondamente, con la sua gioia e la sua responsabilità, nel nostro cuore; preghiamo perché irradiandosi dalla Celebrazione eucaristica, essa diventi sempre di più la forza che plasma la nostra vita.
 
L’unità della Chiesa - Cipriano di Cartagine, De Eccl. unitate, 4-5: Il Signore dice a Pietro: “Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e cio che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo” (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Gv 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: “Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice” (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: “Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio” (Ef 4,4-6).
 
Il Santo del Giorno - 29 Giugno 2025 - Santi Pietro e Paolo. Quell’amicizia tra “imperfetti” che porta in dono Dio al mondo: Due volti, due storie, due vite, ma un battito del cuore condiviso, una radice di santità comune e una missione unica: mostrare al mondo la profezia del Vangelo e cambiare la storia. I santi Pietro e Paolo, autentici pilastri della vita della Chiesa nel tempo, non si potrebbero pensare uno senza l’altro. Non si può immaginare l’uno senza l’altro: i santi Pietro e Paolo sono il volto storico di una Chiesa aperta al mondo, legata al mandato del Risorto, missionaria nella storia. Essi, però, non sono solo esempio concreto e pionieri dell’opera evangelizzatrice della Chiesa, sono anche i testimoni di una fede condivisa tra “amici” e compagni di cammino. Sono la voce e l’espressione di quella relazione fondamentale tra Dio e l’uomo, che vive e s’incarna nella relazione tra coloro che sono chiamati ad annunciarlo al mondo. Portatori “imperfetti”, che sbagliano ma sanno fare della proprie debolezze una breccia dalla quale lasciare entrare Dio nelle loro vite. Secondo i racconti evangelici Pietro era fratello di Andrea e aveva incontrato Gesù sul lago di Galilea, rimanendo con lui fino alla fine. La sua autorevolezza è chiara nei Vangeli, così come la sua debolezza, che lo porta a rinnegare Gesù per poi offrire però la propria vita per il Risorto. Paolo, originario di Tarso, invece, era un persecutore dei cristiani quando sulla via per Damasco incontrò Cristo. Dopo la conversione divenne araldo dell’universalità del messaggio di Cristo. Sia Pietro che Paolo morirono martiri a Roma tra il 64 e il 67. (Avvenire)
 
Nutriti da questo sacramento, ti preghiamo, o Signore:
fa’ che viviamo nella tua Chiesa
perseveranti nello spezzare il pane
e nell’insegnamento degli apostoli,
per formare, saldi nel tuo amore,
un cuore solo e un’anima sola.
Per Cristo nostro Signore.
 
 28 Giugno 2025
 
Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria
 
 Is 61,9-11; Salmo Responsoriale 1Sam 2,1.4-8; Lc 2,41-51
 
Cuore Immacolato di Maria - Nino Grasso: La vicinanza delle due feste riconduce a san Giovanni Eudes, il quale nei suoi scritti non separò mai i due Cuori di Gesù e di Maria e sottolinea l’unione profonda della madre col Figlio di Dio fatto carne, la cui vita pulsò per nove mesi ritmicamente con quella del cuore di Maria.
La Liturgia della festa sottolinea il lavorio spirituale del cuore della prima discepola di Cristo e presenta Maria come protesa, nell’intimo del suo cuore, all’ascolto e all’approfondimento della parola di Dio.
Maria medita nel suo cuore gli eventi in cui è coinvolta insieme a Gesù, cercando di penetrare il mistero che sta vivendo: conservare e meditare nel suo cuore tutte le cose, le fa scoprire la volontà del Signore, come un pane che la nutre nell’intimo, come un’acqua zampillante in un fecondo terreno. Con questo suo modo di agire, Maria ci insegna a nutrirci in profondità del Verbo di Dio, a vivere sfamandoci e abbeverandoci di lui e soprattutto a trovare Dio nella meditazione, nella preghiera e nel silenzio. Maria, infine, ci insegna a riflettere sugli avvenimenti della nostra vita quotidiana e a scoprire in essi Dio che si rivela, inserendosi nella nostra storia.
 
Colletta
O Dio,
che hai preparato una degna dimora dello Spirito Santo
nel cuore della beata Vergine Maria,
per sua intercessione concedi a noi
di essere tempio vivo della tua gloria.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Omelia 12 Giugno 1999): “Sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48).
Oggi la Liturgia della Chiesa fa memoria del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria. Volgiamo il nostro sguardo verso Maria che, piena di premura e di preoccupazione, cerca Gesù smarrito durante il pellegrinaggio a Gerusalemme. Come devoti israeliti, Maria e Giuseppe si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni andò con loro per la prima volta. E proprio allora ebbe luogo l’evento che contempliamo nel quinto mistero glorioso del santo Rosario, il mistero del ritrovamento. San Luca lo descrive in modo molto toccante, in base alle notizie, come si può supporre, ricevute dalla Madre di Gesù: «Figlio, perché ci hai fatto così? (...) angosciati ti cercavamo». Maria, che aveva portato Gesù sotto il suo cuore e lo aveva protetto contro Erode fuggendo in Egitto, confessa umanamente la sua grande angoscia per il Figlio. Sa di dover essere presente sul suo cammino. Sa che mediante l’amore e il sacrificio collaborerà con Lui all’opera della Redenzione. Entriamo così nel mistero del grande amore di Maria verso Gesù, dell’amore che abbraccia con il suo Cuore Immacolato l’Amore ineffabile, il Verbo dell’eterno Padre.
 
I Lettura: Il testo isaiano, nel contesto della memoria del Cuore Immacolato, viene riferito alla Vergine Maria, e qui va letto come una profezia: “Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, la loro discendenza in mezzo ai popoli” (cfr. Lc 1,48: D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata). Il Magnificat  comincia proprio con una espressione simile a quella contenuta nel testo isaiano: “la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia” (cfr. Lc 1,46-47).
 
Vangelo
Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,41-51
 
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
 
Parola del Signore.
 
Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? - L’evangelista Luca ama presentare Giuseppe e Maria fedeli osservanti della Legge del Signore: così ricorda la circoncisione di Gesù (1,21), la presentazione del bambino al tempio e l’offerta dei colombi per la purificazione della madre (1,22).
Era anche scritto nella Legge di Mosè: «Tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che Egli avrà scelto» (Dt 16,16). Giuseppe e Maria compivano questo pellegrinaggio ogni anno, così anche quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa.
All’interno della famiglia c’erano quattro eventi che segnavano il procedere della vita: la nascita, il raggiungimento della maturità, il matrimonio e la morte. Questi eventi erano sottolineati con particolari riti sociali. Quando poi si credeva che Dio fosse coinvolto nel processo della vita, l’evento assumeva anche un carattere religioso. Tali riti sono conosciuti con il nome di riti di passaggio. A 12 anni Gesù, come tutti i ragazzi ebrei, si preparava ad acquistare la condizione di adulto in seno alla comunità religiosa, il viaggio a Gerusalemme rivestiva perciò un significato speciale per il “figlio di Maria” (Mc 6,3). Questo è il primo episodio che ci mostra come Gesù fosse cosciente della sua particolare relazione verso Dio.
Si preferiva viaggiare in gruppi, cioè in carovane, per tanti motivi ed uno era costituito dalla pericolosità del viaggio. I viaggiatori temevano soprattutto i banditi e gli animali feroci. Non di rado ci si poteva imbattere in famelici leoni che si aggiravano anche nelle valli (Cf. Is 30,6).
Nel loro pellegrinaggio, Giuseppe e Maria «viaggiavano con i parenti e conoscenti. Ce n’era un numero sufficiente per far sì che non lo vedessero per un’intera giornata, e Maria e Giuseppe erano in rapporto sufficientemente stretto con questi membri della famiglia allargata, tanto da non preoccuparsene» (Ralph Gower).
Perché mi cercavate? La risposta di Gesù alla domanda della Madre, espressa anche a nome di Giuseppe, contiene una esplicita rivelazione della sua identità: egli è il Figlio di Dio in modo trascendente. Manifesta, molto chiaramente, la consapevolezza che Gesù aveva di se stesso fin da allora.
Nell’Antico Testamento «sono chiamati con il nome e il titolo di “figlio di Dio” tutto il popolo eletto, e, nel suo seno, in modo particolare, il giusto, il re, il messia. Il modo però con cui Gesù all’età di dodici anni denomina Dio suo Padre, e pone tale Padre in distinzione rispetto a colui, che Maria nell’interrogazione aveva chiamato padre secondo la legge, cioè Giuseppe, è un fatto unico. Perciò nella parola di Gesù che chiama Dio suo padre occorre vedere la iniziale rivelazione contenuta in tutta la serie dei testi nei quali Gesù parla di Dio denominandolo sempre “il Padre mio” e distinguendolo sempre dal “Padre vostro”» (Giuseppe Ferraro).
Non sapevate che io devo occuparmi... A Maria che parlava dei “doveri filiali” pensando al quinto comandamento (Cf. Es 20,12), Gesù risponde rimandando al primo: il dovere verso Dio (Cf. Es 20,3-6), egli è il figlio obbediente del suo Padre celeste. È da notare anche che in questa risposta risuona il verbo “devo”, che troveremo in altri nove casi, ciò dimostra che la missione di Gesù (Cf. Lc 4,43), e soprattutto la sua passione-resurrezione (Cf. Lc 9,22; 24,26), rientrano nel piano divino della salvezza che egli accetta sovranamente libero. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Pur non comprendendo non ostacolano la volontà del Figlio: sua Madre, custodendo tutte queste cose nel suo cuore, attende fiduciosa di comprendere per aderire al progetto con generosità e maggiore responsabilità.
Luca dopo aver rilevato l’incapacità di comprendere dei genitori, mostra Gesù, rientrato a Nazaret, che torna a una scrupolosa osservanza della pietà filiale in conformità alla legge. Maria, intanto, continua la sua riflessione nel mistero che si concluderà, come per i  discepoli, solo dopo la luce pasquale con il dono dello Spirito Santo (Cf. At 1,14; 2,1ss).
 
Perché mi cercavate? Non sapevate? - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): La parola di Maria: «Figlio, perché ci hai fatto così?» aveva l’accento di un accorato rimprovero. La sua risposta è altrettanto piena di meraviglia e nasconde parimenti un leggero rimprovero. Perché lo si cerca là dove in realtà non dovrebbe stare? Se lo si cerca, bisogna cercarlo presso il Padre. Quello è il suo posto. Essi dovevano ben sapere quale fosse il suo posto e dove quindi dovessero cercarlo e trovarlo. Anche noi spesso non cerchiamo Cristo nel vero posto. Riteniamo che egli debba venire là dove si svolgono i nostri avvenimenti, in apparenza così seri, ma in realtà così banali; là dove ci turbano le nostre preoccupazioni apparentemente enormi, ma in realtà minime; là dove riteniamo la vita tanto importante e invece, appunto perché noi la riteniamo tale, tanto insignificante. In verità dobbiamo cercare il Signore là dove non ci siamo noi, ma dove c’è lui, presso il Padre, nella volontà e nello spirito del Padre.
La parola di Gesù importa ancora un evidente distacco. Gesù non appartiene ai suoi genitori umano-terreni. Egli non rimarrà nella piccola Nazaret, nell’ambito di questa Sacra Famiglia che vive nel nascondimento. Anche se ora vi ritorna ed obbedisce, essi sanno tuttavia da questo giorno che questo suo ritorno non è duraturo, ma provvisorio ed ha carattere di preparazione. Sanno che in realtà egli è stato affidato loro solo perché essi lo donino di nuovo. Egli è in mezzo a loro, perché lo lascino andare tra il suo popolo, in mezzo all’umanità. Non vi deve essere nessun egoismo religioso, non vi deve essere nessun monopolio della grazia, ma solo un ridare e un ridonare.
«Io devo occuparmi delle cose del Padre mio». Egli appartiene al Padre e a tutta la grandezza e l’estensione del Regno di Dio. Al Padre suo appartiene l’universo e tutta l’umanità. Tutto è di suo Padre. Quindi egli sta qui per l’universo e per l’umanità, per tutti e per tutto. La sua missione abbraccia tutti. Seduto sotto il portico del tempio in mezzo ai dottori, interrogando e  rispondendo, egli dà un segno esterno che si trova in mezzo all’umanità per domandare e per rispondere. Alle sue domande però gli uomini per lo più non sanno rispondere e con le sue risposte suscita sempre nuove meraviglie da parte dei saggi e dei dotti.
Da quando furono pronunciate queste parole di distacco da Nazaret e dalla sua permanenza nel tempio, tutti quelli che Iddio chiama al suo servizio nel sacerdozio e nella vita religiosa sanno di dover rinunciare all’agiatezza che potrà loro derivare da una bella e ristretta vita familiare, per dedicarsi a combattere nel mondo vasto ed inquieto dell’umanità, con la sola certezza della protezione del Padre.
Questo episodio straordinario della prima festa di Pasqua è un inizio. L’altro episodio straordinario dell’ultima festa di Pasqua della vita terrena di Gesù sarà fine e al tempo stesso inizio di un nuovo essere presso il Padre.
Il Vangelo aggiunge: «Essi non compresero le sue parole».
Maria e Giuseppe, benché sapessero e capissero, non compresero il suo agire e il suo parlare in quella festa di Pasqua. Non è facile capire anche solo approssimativamente il segreto di Gesù ed intendere in qualche modo il meraviglioso contenuto delle sue parole. Solo poco alla volta Maria riesce a coglierne e a intenderne lo spirito. E ciò le sarà possibile perché lei, come nota il Vangelo, «serbava tutte queste cose nel suo cuore». Solo quando con sincerità di spirito e con cuore aperto torna più volte a considerare le parole di Dio e a ponderare il loro vero significato, l’uomo può introdursi poco alla volta nel mondo dei segreti di Dio.
 
Bernardo da Chiaravalle (Hom. I sup. Miss.): Chi era sottomesso? E a chi? Dio agli uomini; Dio - dico -a cui gli Angeli sono sudditi, a cui i Principati e le Potestà obbediscono. Era sottomesso a Maria, ma non soltanto a Maria, bensì anche a Giuseppe, a causa di Maria. Ammira quindi e scegli se venerare di più la benigna degnazione del Figlio o la sublime dignità della Madre ... Impara, uomo, ad obbedire; impara, terra, a sottometterti; impara, polvere, a ottemperare ... Dio si umilia e tu, uomo, ti esalti? Dio si sottomette agli uomini e tu vuoi dominarli mettendoti al di sopra del tuo Autore? Se tu, o uomo, rifiuterai di imitare l’esempio dell’uomo, certo non ti sarà più spregevole seguire il tuo Creatore.
 
Il Santo del giorno - 28 Giugno 2025 - Sant’Ireneo di Lione. Trasmettere la fede, un compito d’amore: Ognuno di noi è per il mondo il volto di Dio su questa terra e l’annuncio dell’amore infinito che è il nostro destino passa dalle nostre parole e dai nostri gesti. Ecco perché ciò che ci è chiesto di fare prima di tutto è di amare coloro che incontriamo, anche coloro che sbagliano. Testimone della catena di trasmissione della fede fu sant’Ireneo di Lione, che nel raccogliere il patrimonio di chi l’aveva preceduto capì l’importanza di salvaguardare la verità attorno all’annuncio del Risorto. Originario forse di Smirne, crebbe nella fede grazie a san Policarpo, a sua volta formatosi alla “scuola” dell’apostolo Giovanni. Nell’anno 177 Ireneo, succedendo a Potino, morto martire, divenne vescovo di Lione, in Gallia, terra di cui imparò le lingue per poter portare il Vangelo alle popolazioni locali. Nei suoi cinque libri «Adversus Haereses» appare chiara non solo la sua abilità da apologeta ma anche il profilo del buono e saggio pastore, preoccupato di coloro che seguono la strada sbagliata. Morì nel 202. Nel 2022 papa Francesco lo ha dichiarato dottore della Chiesa, con il titolo di «Doctor unitatis».
(Avvenire)
  
O Signore,
che ci hai resi partecipi della redenzione eterna,
concedi a noi,
che facciamo memoria della Madre di Cristo tuo Figlio,
di gloriarci per la pienezza della tua grazia
e di sperimentare sempre più il beneficio della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.