1 Giugno 2025
 
Ascensione del Signore
 
At 1,1-11; Salmo Responsoriale 46 (47);  Eb 9,24-28; 10,19-23; Dal Vangelo secondo Luca 24,46-53
 
Colletta
Dio onnipotente,
concedi che i nostri cuori dimorino nei cieli,
dove noi crediamo che oggi è asceso
il tuo Unigenito, nostro redentore.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

L’Ascensione - Catechismo degli Adulti [272]Secondo il racconto di Luca negli Atti degli apostoli, al mattino di Pasqua seguono giorni colmi di stupore e di gioia per le apparizioni del Risorto. Poi un ultimo incontro. Sul monte degli Ulivi, davanti allo sguardo rapito dei discepoli, Gesù si solleva in alto verso il cielo, entra in una nuvola, simbolo della gloria di Dio, e scompare. L’ascensione visibile è segno della invisibile intronizzazione messianica del Risorto.
Nella gloria trinitaria [273] Interpretando l’evento pasquale alla luce di alcuni testi dell’Antico Testamento, gli apostoli proclamano: Gesù è stato «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4); «Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire ... Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,32-3336). Il Padre, donando a Gesù in modo nuovo lo Spirito Santo, lo chiama a sé e lo risuscita alla vita gloriosa; nello stesso tempo lo unisce più intimamente agli uomini e lo costituisce «capo e salvatore» (At 5,31), per rinnovare tutte le cose. Completa così la generazione di suo Figlio nel mondo in virtù dello Spirito, iniziata con il concepimento nel seno della Vergine Maria: «Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato» (At 13,33, citazione del Sal 2,7). Nella risurrezione si ha il compimento dell’incarnazione, l’intronizzazione del Messia, la definitiva effusione dello Spirito su di lui per la salvezza di tutti. Il Crocifisso risorto accoglie lo Spirito del Padre e lo comunica agli uomini come potenza di comunione, di guarigione e di risurrezione. «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11). Secondo una dinamica trinitaria, la sovranità del Padre sull’universo si realizza per mezzo di Gesù Messia e Signore nella forza dello Spirito.
 
I Lettura: La comunità cristiana prende coscienza dell’efficacia assoluta del sacrificio di Cristo, il quale ha cancellato il peccato e non ha bisogno di essere reiterato. Allo stesso tempo, fa esperienza in mezzo ad essa, in tutta la sua potenza (cfr. Lc 1,35; 24,49; At 1,8; 10,38; Rom 15,13.19; 1Cor 2,4-5; 1Ts 1,5; Eb 2,4), della presenza dello Spirito Santo, promesso dal Padre e mandato dal Figlio. Lo Spirito Santo accordando alla Chiesa i carismi (cfr. 1Cor 12,4s) autentica la sua predicazione, ma soprattutto le dà la forza di annunziare Gesù Cristo, nonostante le persecuzioni (cfr. At 4,8.31; 5,32; 6,10) e di rendergli testimonianza (cfr. Mt 10,20; Gv 15,26; At 1,8; 2Tm 1,7s). La missione della Chiesa sta nel rendere testimonianza della risurrezione di Gesù e si estende sino agli estremi confini della terra.
 
II Lettura: L’autore della lettera agli Ebrei sta pensando al tempo dell’esodo, quando Dio stabilì l’alleanza con Israele per mezzo di Mosè e gli rivelò come costruire il santuario (cfr. Es 25,8-9.40). L’Arca, custodita nel tempio, è il segno della presenza di Dio (cfr. Es 25,22; 1Sam 4,4; 2Sam 6,2) e tutto porta ad essa. Per raggiungerla è necessario superare tre accessi (cfr. Es 26,31.32.36; 27,16-17). Il percorso che bisogna seguire incrocia l’altare degli olocausti (cfr. Es 27,1-8), l’altare dell’incenso (cfr. Es 30,1-6) e il propiziatorio su cui si sparge il sangue dei sacrifici (cfr. Es 25,17): «tutte cose che stanno a significare che l’uomo può accedere a Dio solo per mezzo del sacrificio, della preghiera e del sangue realmente sparso» (J. A. Motter). Soltanto il Sommo Sacerdote una volta l’anno poteva accedere nel Santo dei Santi, nel grande giorno dell’espiazione (cfr. Es 30,10; Eb 9,7), ma la ripetizione del sacrificio metteva in evidenza la sua inefficacia. «Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era ancora aperta la via del santuario, finché sussisteva la prima Tenda» (Eb 9,8). Infatti, queste cose erano ombre, che prefiguravano e preparavano gli uomini a Cristo, la vera realtà, l’unica via (cfr. Gv 14,6) che conduce a Dio. Gesù, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), offrendo se stesso come sacrificio senza macchia (cfr. Eb 9,14) ha cancellato in modo definitivo il peccato dell’uomo e nel suo sangue ha realizzato la Nuova Alleanza (cfr. Lc 22,20). Gesù avendo riconciliato l’uomo con Dio, «per mezzo della morte del suo corpo di carne» (Col 1,22), ha aperto all’umanità la via di accesso al Cielo rendendo così superfluo ogni altro sacrificio (cfr. Eb 10,9): «Ora, dove c’è il perdono [...], non c’è più bisogno di offerta per il peccato» (Eb 10,18). Ormai tutti i credenti hanno accesso presso Dio attraverso il Cristo, «via nuova e vivente» (Eb 10,19; cfr. Gv 14,6). Questa è la certezza che anima tutta la vita dell’uomo: noi già siamo sedenti alla destra del Padre (cfr. Ef 2,6) e un giorno lo raggiungeremo per condividere eternamente con lui, in pienezza di gioia, la sua gloria.
 
Vangelo
Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo.
 
Con l’Ascensione culmina l’esaltazione di Cristo, che già si realizza nella risurrezione e che forma, con la passione e morte, il mistero pasquale (Cf. SC 5). L’insegnamento essenziale «della risurrezione-ascensione è che Gesù col suo ritorno al Padre, ha aperto per sé e per tutti l’accesso al mondo “celeste”, che sarà la sede dell’umanità rigenerata. Egli ne è il primo abitante, ma un giorno dovrà accogliere l’intera massa dell’umanità rigenerata» (Ortensio da Spinetoli). Con l’Ascensione è terminato il tempo della presenza visibile di Gesù. Inizia un’era nuova della storia della salvezza: l’ultima, l’era dello Spirito Santo e quella della Chiesa. L’Ascensione muta i rapporti tra il Cristo e i suoi discepoli: prima della morte tra Gesù e i discepoli si instaurarono dei contatti fisici, fatti di conversazioni, di condivisione di pasti, di insegnamenti, di ammestramenti; con la risurrezione la gloria di Gesù risorto non sarà più compatibile con i precedenti rapporti e dopo l’Ascensione muteranno radicalmente: le apparizioni verranno dal cielo (Cf. At 7,55; 9,1-9). L’Ascensione indica che Gesù è il Signore e che ha il dominio del cielo e della terra (Cf. Mt 28,18).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 24,46-53
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
 
Parola del Signore.
 
Bruno Maggioni (Il racconto di Luca): «Voi siete testimoni di queste cose» (24,48): nella grecità il testimone (martùs) è chi è in grado di deporre su fatti ai quali ha assistito di persona.
L’ ambiente originario della testimonianza è il dibattimento processuale. Gli undici hanno personalmente visto gli eventi di Gesù («queste cose») e sono perciò in grado di testimoniarle.
Il vocabolo «testimone» ha però allargato il suo significato: non più soltanto chi ha constatato di persona un fatto, ma anche chi afferma coraggiosamente una cosa in cui crede profondamente, pronto a dirla con la vita.
«Ed ecco io mando su di voi la promessa del Padre mio» (24,49): la «promessa del Padre» è il dono dello Spirito. Luca dà molta importanza allo Spirito sia nel vangelo che negli Atti. Lo Spirito è il costitutivo della continuità fra il tempo di Gesù e il tempo della chiesa, fra il passato e la contemporaneità. Nello Spirito l’evento di Gesù, di per sé circoscritto in un tempo e in un luogo, diventa un oggi in ogni tempo e in ogni luogo.
L’ Ascensione (24,50-51) conclude la storia evangelica. Allo stesso modo aprirà la storia della chiesa (Atti 1,9-11). Per Luca ha un duplice significato. E un salire al Padre («veniva portato verso il cielo»), precisando in tal modo che la risurrezione di Gesù non è un ritorno alla vita di prima, quasi un passo all’indietro, bensì l’entrata in una condizione nuova, un passo in avanti, nella gloria di Dio. L’ Ascensione è erò anche descritta come un distacco, una partenza («si staccò da loro»): Gesù ritira la sua presenza visibile, sostituendola con una presenza nuova, invisibile e tuttavia più profonda: una presenza che si coglie nella fede, nell’intelligenza delle Scritture e nell’ascolto della Parola, nella frazione del pane e nella fraternità.
 
Gli Apostoli - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Cadono a terra, adorando. Anche da parte loro è ora scomparsa ogni oscurità di dubbio, di tentennamento, di incertezza. Il Vangelo finisce con l’omaggio dell’adorazione. La risurrezione del Signore e la sua ascensione al cielo hanno mostrato loro in modo definitivo la sua origine divina, la sua natura divina e l’esaltazione alla destra del Padre. Meravigliata adorazione è l’unica possibile risposta della loro gioia stupita. Allora «tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio».
Il Vangelo finisce nella gioia, e il ritorno del Signore nella gloria è per gli Apostoli l’occasione di glorificare Iddio. Se dall’alto di questa fine guardano indietro, all’annunciazione fatta a Zaccaria e a Maria SS.ma, al lieto annunzio degli angeli ai pastori, alla presentazione del Signore nel tempio e poi alla loro vocazione e alla loro partecipazione alle parole e opere del Signore; se essi ora da questa fine gloriosa vedono che tutta l’opposizione dei nemici è stata vana, che anzi essa ha reso possibile e realizzato, per mezzo della passione e della croce, l’opera messianica decisiva, il sacrificio di espiazione per la salvezza del mondo; e se infine essi vedono come il Signore vive ora impassibile nella gloria, non possono far nient’altro e niente di meglio che lodare ed esaltare Iddio. Il piano divino è attuato, la sua opera è compiuta, il suo onore accresciuto, mostrata la sua gloria agli uomini.
Nella lode di Dio perciò si chiude il Vangelo secondo Luca.
 
Andate e ammaestrate tutte le nazioni - Il Vaticano II è fedele alla tradizione quando commenta in questo senso i passi biblici della liturgia odierna. Le parole della missione: «Andate e ammaestrate», sono citate ripetutamente, applicandole sia ai vescovi, «annunciatori della fede ... dottori autentici ... rivestiti dell’autorità di Cristo» (LG 25), sia alla Chiesa nel suo insieme, che per questo rivendica a sé «la libertà sacra» di «predicare il Vangelo a ogni creatura» (DH 13).
Da queste parole il Concilio deduce l’obbligo dell’azione missionaria, con cui la Chiesa «si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e popoli» (AG 5), e «perciò continua a mandare senza sosta araldi del Vangelo, fino a quando non siano pienamente costituite le nuove chiese, e queste non siano in condizione di continuare a loro volta l’opera dell’evangelizzazione» (LG 17).
Al comando divino si riferisce il documento sull’attività missionaria: «Quanto il Signore ha una volta predicato o in lui si è compiuto per la salvezza del genere umano, dev’essere proclamato e diffuso fino all’estremità della terra, a cominciare da Gerusalemme, così che quanto una volta è stato operato per la comune salvezza, si realizzi compiutamente in tutti nel corso dei secoli» (AG 3).
Pertanto la missione «della Chiesa si realizza attraverso un’azione tale, per cui essa, obbedendo all’ordine di Cristo e mossa dalla grazia e dalla carità dello Spirito, si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l’esempio della vita e la predicazione, con i sacramenti e gli altri mezzi della grazia, alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo, rendendo loro libera e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo» (AG 5).
A quest’opera missionaria partecipa anche la Famiglia, «piccola Chiesa domestica» (LG 11).
«Come già agli albori del cristianesimo Aquila e Priscilla si presentavano come coppia missionaria, così oggi la Chiesa testimonia la sua incessante novità e fioritura con la presenza di coniugi e di famiglie cristiane che, almeno per un certo periodo di tempo, vanno nelle terre di missione ad annunciare il Vangelo, servendo l’uomo con l’amore di Gesù Cristo» (FC 54).
La Famiglia, «una Chiesa in miniatura» (FC 49), contribuisce «alla causa missionaria della Chiesa coltivando le vocazioni missionarie in mezzo ai loro figli e figlie e, più generalmente, con un’opera educativa che “fa disporre i loro figli, fin dalla giovinezza, a riconoscere l’amore di Dio verso tutti gli uomini” [AA 30]» (FC 54). E fra le varie opere dell’apostolato familiare si possono enumerare: «adottare come figli i bambini abbandonati, accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, assistere gli adolescenti con il consiglio e con mezzi economici, aiutare i fidanzati a prepararsi meglio al matrimonio, collaborare alla catechesi, sostenere i coniugi e le famiglie che si trovano in difficoltà materiale e morale, provvedere ai vecchi non solo il necessario, ma anche renderli partecipi equamente dei frutti del progresso economico» (AA 11).
Il grido di Paolo «guai a me se non predicassi il Vangelo» (1Cor 9,16) appartiene, di diritto e come dovere, a tutti i cristiani!
 
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo: Testimoni in tutta la terra - Nella risurrezione e nell’ascesa - Giovanni Crisostomo (Omelie sugli Atti degli Apostoli): Precedentemente aveva detto: Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani (Mt 10,5). Ciò che non aveva detto allora, l’ha aggiunto qui: Fino agli estremi confini della terra. Avendo detto questo, che era molto più terribile di tutto il resto, ebbe la sua pace. Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. Vedete che pregarono e compirono il vangelo? Perché grande fu il dono che diede loro. Nel posto dove realmente avete paura, egli dice, cioè Gerusalemme, pregate. E dopo aggiunge: fino agli estremi confini della terra. Quindi ancora, come prova delle sue parole: sotto i loro occhi. Non sotto i loro occhi risuscitò dai morti, ma fu elevato in alto sotto i loro occhi, dal momento che la loro vista allora non era sufficiente. Perciò essi videro della risurrezione la fine, non l’inizio, e videro dell’ascensione l’inizio, ma non la fine.
 
Il Santo del Giorno - 1 Giugno 2025 -  San Giustino. La luce di Dio illumina la nostra ricerca di senso: Da sempre l’umanità è alla ricerca delle radici della vita, della fonte che tutto alimenta e tutto orienta, dell’orizzonte ultimo che a tutto dona senso. Questa ricerca antica nei secoli ha appassionato moltissimi pensatori e filosofi e nei primi secoli dopo Cristo non mancarono coloro che videro nel messaggio del Risorto la risposta ultima a tutto il loro lavoro. Tra questi ci fu anche san Giustino, il cui percorso umano e spirituale conserva un messaggio profetico per l’oggi: a tutti coloro che cercano un senso nella vita, Cristo offre la via che porta alla radice di tutto. Nato in una famiglia di origine latina a Flavia Neapolis (oggi Nablus), Giustino si era messo alla ricerca della verità presso diverse scuole filosofiche. Alla fine gli parve di averla trovata nel pensiero platonico, ma poi fu attratto dall’eredità dei Profeti di Israele, giungendo, infine, a conoscere la testimonianza dei cristiani e a farla propria. A Efeso, attorno al 130, si fece battezzare e si mise all’opera per conciliare i suoi studi filosofici con il Vangelo. Viaggiò molto, ma a Roma, a causa del suo impegno apologetico a favore dei cristiani, venne accusato di essere ateo e condannato a morte: venne decapitato assieme ad alcuni suoi discepoli tra il 163 e il 167, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. (Avvenire)
 
Dio onnipotente ed eterno,
che alla tua Chiesa pellegrina sulla terra fai gustare i divini misteri,
suscita in noi il desiderio del cielo,
dove hai innalzato l’uomo accanto a te nella gloria.
Per Cristo nostro Signore
 

 31 MAGGIO 2025
 
Visitazione Beata Vergine Maria
 
Sof 3,14-18 oppure Rm 12,9-16b; Salmo Responsoriale da Is 12,2-6; Lc 1,39-56
 
Vatican News - La corsa - Per una sorta d’impulso interiore, la Vergine Maria corre dalla cugina Elisabetta. Tanti possono essere i motivi che hanno spinto la Vergine Maria a intraprendere quel viaggio. Il desiderio di mettersi a servizio della cugina Elisabetta, saputo che attendeva un bimbo in tarda età, come il desiderio di comunicare quanto è avvenuto a lei, sapendo che tra donne “visitate” dall’angelo è più facile capirsi. In quel “correre” Maria si rivela donna missionaria (nel portare e condividere la gioia dell’annuncio) e donna di carità (nel mettersi a servizio dell’anziana cugina).
Ma nulla vieta di pensare che ci sia stato anche il “santo desiderio” di andare a vedere il “segno” che l’Angelo le aveva indicato: “Ed ecco Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,36-37). In fondo anche i pastori, in fretta, andarono a vedere “il segno” che gli angeli annunciarono loro nella notte di Natale: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12). A conferma che Maria non sottovaluta i “segni” che Dio le offre.
L’incontro tra due madri - La scena del vangelo raccorda le due “annunciazioni”, ad Elisabetta e a Maria: due donne e due promesse. E non appena sente il saluto di Maria, il bimbo in grembo di Elisabetta comincia a “danzare”. Il Messia Gesù, non ancora nato ma presente nel grembo della madre Maria, incontra il precursore, profeta presente egli pure nel grembo della madre Elisabetta e, riconosciuto, causa la gioia, l’esultanza, la danza, come quella di David davanti all’arca della presenza del Signore (cf. 2Sam 6,12-15).
Dalla lode al servizio - E il canto di lode, il Magnificat, che narra il capovolgimento della logica umana, dove gli ultimi diventano primi, non resta lettera morta, ma si fa vita nel servizio.
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
tu hai ispirato alla beata Vergine Maria,
che portava in grembo il tuo Figlio,
di visitare sant’ Elisabetta:
concedi a noi di essere docili all’azione dello Spirito,
per magnificare sempre con Maria il tuo santo nome.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (31 Maggio 2008): Nell’odierna festa della Visitazione la liturgia ci fa riascoltare il brano del Vangelo di Luca, che racconta il viaggio di Maria da Nazareth alla casa dell’anziana cugina Elisabetta. Immaginiamo lo stato d’animo della Vergine dopo l’Annunciazione, quando l’Angelo partì da Lei. Maria si ritrovò con un grande mistero racchiuso nel grembo; sapeva che qualcosa di straordinariamente unico era accaduto; si rendeva conto che era iniziato l’ultimo capitolo della storia della salvezza del mondo. Ma tutto, intorno a Lei, era rimasto come prima e il villaggio di Nazareth era completamente ignaro di ciò che Le era accaduto.
Prima di preoccuparsi di se stessa, Maria pensa però all’anziana Elisabetta, che ha saputo essere in gravidanza avanzata e, spinta dal mistero di amore che ha appena accolto in se stessa, si mette in cammino “in fretta” per andare a portarle il suo aiuto. Ecco la grandezza semplice e sublime di Maria! Quando giunge alla casa di Elisabetta, accade un fatto che nessun pittore potrà mai rendere con la bellezza e la profondità del suo realizzarsi.
La luce interiore dello Spirito Santo avvolge le loro persone. Ed Elisabetta, illuminata dall’Alto, esclama: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,42-45).
Queste parole potrebbero apparirci sproporzionate rispetto al contesto reale. Elisabetta è una delle tante anziane di Israele e Maria una sconosciuta fanciulla di uno sperduto villaggio della Galilea. Che cosa possono essere e che cosa possono fare in un mondo nel quale contano altre persone e pesano altri poteri? Tuttavia, Maria ancora una volta ci stupisce; il suo cuore è limpido, totalmente aperto alle luce di Dio; la sua anima è senza peccato, non appesantita dall’orgoglio e dall’egoismo. Le parole di Elisabetta accendono nel suo spirito un cantico di lode, che è un’autentica e profonda lettura “teologica” della storia: una lettura che noi dobbiamo continuamente imparare da Colei la cui fede è senza ombre e senza incrinature. “L’anima mia magnifica il Signore”. Maria riconosce la grandezza di Dio. Questo è il primo indispensabile sentimento della fede; il sentimento che dà sicurezza all’umana creatura e la libera dalla paura, pur in mezzo alle bufere della storia.
 
I Lettura (Sof 3,14-17): Il popolo di Dio, figurato nella figlia di Sion, esulti e canti di gioia per i nuovi prodigi che il Signore Dio, salvatore potente, sta per operare a sua salvezza. Il Signore Dio, come un forte guerriero, disperderà i nemici d’Israele e porrà la sua dimora in mezzo ad esso. Dopo che avrà rinnovato il suo popolo con l’amore, il Signore Dio gioirà per esso ed esulterà con grida di gioia.
 
I Lettura (Rm 12,9-16b): v. 10): Settimio Cipriani (Le Lettere di Paolo): Si raccomanda la «carità» soprattutto verso i fratelli (v. 10) sottolineandone anche le più delicate sfumature: carità «sincera», «affettuosa», sollecita», «fervente», «perdonante», «ospitale», che «previene» perfino nei segni di stima e di «onore» e ci fa partecipare alle gioie o ai dolori degli altri come se fossero nostri: «Gioite con chi gioisce, piangere con chi piange!» (v. 5). Le grandi «aspirazioni» poi avvelenano la carità e ci fanno ingiusti verso i fratelli: «Lasciatevi invece attirare dalle cose umili» (v. 16). Indispensabile alimento della carità sono la «speranza», sempre gioiosa, dei beni futuri, la «pazienza» e lo spirito di «preghiera» (v.12).
 
Vangelo
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.
 
Maria non è una donna incredula al pari di Zaccaria. Va a trovare Elisabetta non per sincerarsi delle parole e della profezia dell’angelo, ma perché sospinta dalla carità e dal fuoco ardente dello zelo missionario: per mezzo di Maria, la Buona Novella, Gesù, mette le ali e già attraversa le vie della storia. Maria, pur consapevole della sua bassezza, sospinta dallo Spirito Santo, non può non esclamare la grandezza misericordiosa di Dio che guardando la sua umiltà ancora una volta persegue e conferma il suo eterno agire: scegliere le cose umili per confondere i sapienti (1Cor 1,27-28).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,39-56
 
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Parola del Signore.
 
Si mise in viaggio - Maria si mette in viaggio verso la montagna e raggiunge una città di Giuda, oggi preferibilmente identificata con Ain-Karim, 6 Km a ovest di Gerusalemme. La fretta con la quale Maria si avvia a trovare Elisabetta, l’anziana sposa di Zaccaria miracolosamente rimasta incinta (Lc 1,5-25), mette in evidenza la sua pronta disponibilità al progetto di Dio. Entrata in casa, il saluto della Vergine raggiunge per vie misteriose il bambino che sussulta nel grembo della madre la quale, «piena di Spirito Santo», saluta con parole profetiche la Madre del Signore.
Con un’espressione semitica che equivale a un superlativo, Elisabetta proclama Maria «benedetta fra le donne»; la Vergine è benedetta «per la presenza di un frutto benedetto [eulogémenos] nel suo seno: benedetta dunque perché madre del Benedetto, perché madre del suo Signore [vv. 42-43;]; la proclama, ancora, beata [makaria] per la fede con la quale ha reagito alla proposta divina: beata dunque perché fedele, perché uditrice della parola del Signore [v. 45]» (Carlo Ghidelli).
Il saluto dell’angelo, - «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28) - e il saluto dell’anziana donna, - «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno» - (Lc 1,42), fusi insieme, saranno ripetuti nei secoli da milioni di credenti: l’Ave Maria è «una delle preghiere più belle e profonde, nella quale Elisabetta, e quindi l’Antico Testamento, si collega con Maria, cioè col Nuovo Testamento» (Richard Gutzwiller).
Il racconto della visitazione ricorda, con evidenti allusioni e coincidenze, il racconto biblico del trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme operato dal re Davide (2Sam 6,1 ss).
L’arca sale verso Gerusalemme, Maria sale verso la montagna. L’arca entra nella casa di Obed- Edom e Maria entra nella casa di Zaccaria. La gioia del nascituro e il suo trasalimento nel grembo dell’anziana madre ricordano la gioia di Davide e la sua danza festosa dinanzi all’arca. L’espressa indegnità di Elisabetta dinanzi alla Madre del Signore ricorda ancora l’indegnità del re David di fronte all’arca del Signore. Questi accostamenti, molto precisi nei particolari, ben difficilmente possono essere accidentali.
L’identificazione dei due racconti va allora verso una chiara proclamazione: Maria, la Madre del Signore, è la nuova arca del Signore, e suo figlio, Gesù, è il Signore abitante in quel tempio vivo.
L’anziana sposa di Zaccaria nel proclamare senza indugi Maria «la Madre del Signore» non fa che raccogliere e ripetere le parole del nunzio celeste.
Nella tradizione biblica il Signore è Iahvé, ma anche il grande sovrano (1Cr 29,11; 2Mac 5,20; Sal 48,3), il re (Sir 51,1; Sal 99,4). L’angelo aveva annunciato a Maria che il promesso figlio sarebbe stato chiamato «Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31) e avrebbe regnato per sempre «sul trono di Davide suo padre» (Lc 1,32-33): nel suo annuncio profetico, Elisabetta non fa che ricordare e confermare le parole del messaggero celeste.
Alla fine, sulle labbra di Elisabetta si coglie un’ultima parola di lode che viene rivolta con gioia alla Vergine di Nazaret: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Maria è beata perché «madre del Signore», ed è beata perché perfetta discepola: Ella ha accolto nel suo cuore, prima che nel suo grembo, la Parola viva feconda di vita e di salvezza.
Anche il cantico della Vergine ha un riscontro nell’Antico Testamento (cfr. 1Sam l-10). Ma sulle labbra di Maria il Magnificat ha risonanze e significati molto più profondi. La Vergine non risponde ad Elisabetta, ma si rivolge a Dio lodandolo per la sua misericordiosa accondiscendenza. Egli «mi ha guardato - dice Maria - perché sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento... così come lo stesso Salvatore, che ha detto: Imparate da Me che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime» (Origene).
 
Un segno dato a Maria - Adriana Zarri (Visitazione in Schede Bibliche Pastorali - Vol VIII): Gli esegeti vedono nella visita di Maria a Elisabetta (Lc 1,39-55) l’episodio che conclude e completa i racconti delle annunciazioni nel Vangelo dell’infanzia. Le due madri si incontrano e commentano gli avvenimenti di quei giorni, riferiti dall’evangelista Luca. I discorsi e gli atteggiamenti delle due donne gettano una nuova luce su Maria, completando in modo essenziale quanto gli altri episodi dicono di lei.
Le ragioni del viaggio di Maria sono comunemente indicate nel suo desiderio di vedere la parente e di esserle di aiuto nel periodo della gravidanza. Gli esegeti moderni, però, ritengono che per l’evangelista i motivi siano più profondi. Maria si mette in viaggio «in tutta fretta» non tanto per correre in aiuto di Elisabetta (che con tutta probabilità aveva altri parenti e aiutanti), quanto per comunicare con lei, per confermare se stessa e la parente nella fede e nella gioiosa intelligenza dei misteri di cui erano favorite.
Possiamo quindi vedere nell’episodio della visitazione un segno, dato a Maria, a conferma della realtà dell’apparizione angelica e dei fatti verificatisi in lei, fatti tanto grandi e sorprendenti per una giovane donna senza importanza e senza particolari titoli umani.
Si capisce così la «fretta» di Maria, un particolare che l’evangelista sente il bisogno di riferire, considerandolo evidentemente ben più di una semplice notizia di cronaca.
Si capisce inoltre come Maria, silenziosa e riservata sinora, esploda dopo l’incontro con Elisabetta in un canto di gioia e di ringraziamento.
«Il cammino di Maria verso la casa di Elisabetta è il cammino della fede in cerca dei suoi necessari appoggi umani» (Ortensio da Spinetoli). L’annunzio del parto miracoloso di Elisabetta, infatti, appare come una riprova degli eventi paradossali comunicati dall’angelo, una conferma della potenza divina, per la quale «nessuna cosa è impossibile» .
Dunque, «è Maria che ha bisogno di Elisabetta e non viceversa» (Ortensio da Spinetoli). Del resto, il «segno di Elisabetta» non è la causa della fede di Maria - essa ha già creduto, accettando unicamente sulla base dell’autorità di Dio il messaggio che le è stato rivelato -; quel segno, però, attesta alla Vergine la realtà di quella rivelazione e, in ultima analisi, di Dio rivelante.
 
Il canto dei poveri - Rosanna Virgili (Vangelo secondo Luca): Forse nessuno è riuscito a cantare e inaugurare le speranze dei poveri come chi ha composto il Magnificat. Un concerto di forza, di meraviglia, di fede e di visione, di speranza e di perfetta carità che Luca mette sulla bocca di Maria. Una parola che arriva direttamente all’orecchio di Gesù e sembra dargli suggerimento per il primo discorso della sua vita pubblica, nella sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, ad annunciare ai prigionieri la libertà e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). «Beati voi, poveri» è la prima beatitudine che Gesù pronuncerà (cf Lc 6,20). Gesù impara da sua madre. Lei imprime codice genetico, il carattere essenziale alla fede cristiana: la buona novella ai «servi», agli umili, agli affamati.
Una fede «diacona» che annuncia ai «diaconi» l’amore di un Dio «diacono». Rovesciando, così, dai troni i potenti, cioè tutti coloro che pretendono di togliere a chi serve la signoria sulla terra, sulla vita e perfino sulle cose di Dio. «Ti magnifica, Signore, l’anima mia, perché hai avuto misericordia di Israele e l’hai soccorso. Hai rovesciato coloro che lo privavano della sua libertà dinanzi a te, di coloro che usurpavano un potere non consentito: quello di farsi padroni della sua fede. Oggi, Signore. gli affamati possono nutrirsi di te, gli umili possono venire fino a te, i figli di Abramo possono godere della tua promessa». Questa donna di Galilea viene ad annunciare una comunità cristiana che, un domani, dirà per bocca di Paolo: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede, siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2Cor 1,24).
 
Antipatro di Bostra (De S. Ioanne, 12): Dopo aver ascoltato queste cose, la Vergine si recò, alla casetta di Zaccaria, e trovata Elisabetta incinta, la salutò, e il bambino all’interno rispose. Per le orecchie della madre il saluto pervenne a quelle del feto, e poiché per i limiti di natura Giovanni non poteva usare la lingua, parlò in modo che la propria madre attraverso i suoi salti rispondesse con proprie parole alla madre del Salvatore. Infatti Elisabetta non potendo più trattenere il sussultare del figlio, ripiena di Spirito Santo, esclamò dicendo: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del ventre tuo”! (Lc 1,42). Tu, disse, benedetta che dissolvi la maledizione. Tu benedetta, che rechi il dono della sapienza. Tu benedetta, che porti nell’utero colui che ha passeggiato nel paradiso. Tu benedetta, il cui ventre è divenuto tempio santo. “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del ventre tuo!”, dal quale sarà vinto il nemico, dal tempo in cui Adamo mangiò. Frutto benedetto, che è divenuto alimento e vestito del mondo».
 
Il Santo del Giorno - 31 Maggio 2025 - Visitazione di Maria. Ecco la fretta di andare verso l’amore autentico: La nostra anima sa cogliere il luogo dove si trova il nostro tesoro più prezioso e guida le nostre gambe verso il nostro bene. E la strada ci porta dritti al cuore di Dio, la fonte dell’amore più grande. Lasciarci portare da questa “fretta” è la testimonianza più bella della grandezza del messaggio di Cristo. Proprio di questa ci parla l’episodio della Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, oggi al centro della liturgia nel giorno che chiude il mese tradizionalmente dedicato alla Madre di Dio. L’episodio, narrato dal Vangelo di Luca, ci mostra due madri che si ritrovano portando dentro di loro il dono inatteso del Signore. Due nuove vite, segno affascinante della potenza di Dio ma anche della sua delicatezza. E il canto del Magnificat è l’inno a tutto questo, invocazione dell’unica vera forza che cambia il mondo: la misericordia. Maria è evangelizzatrice ancora prima di conoscere Cristo, perché lo porta in grembo, lo genera al mondo, è l’icona della potenza che sceglie il nascondimento, l’umiltà, le logiche dell’amore. Nell’incontro tra Maria ed Elisabetta, insomma, scorgiamo la possibilità che il Regno di Dio si realizzi davvero in mezzo a noi; un regno non basato sulla legge del più forte ma sulla capacità di andare incontro al prossimo. (Avvenire)
 
Ti magnifichi, o Dio, la tua Chiesa,
perché hai fatto grandi cose per i tuoi fedeli,
e con gioia riconosca sempre vivo in questo sacramento
colui che fece sussultare san Giovanni nel grembo della madre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 MAGGIO 2025
 
VENERDÌ DELLA VI SETTIMANA DI PASQUA
 
At 18,9-18; Salmo Responsoriale Dal Salmo 46 (47); Gv 16,20-23a
 
Colletta
Esaudisci, o Padre, le nostre preghiere,
perché con l’accoglienza del Vangelo
si compia in ogni luogo la salvezza acquistata dal sacrificio di Cristo,
e la moltitudine dei tuoi figli adottivi
ottenga la vita nuova promessa da lui, Parola di verità.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
La vera gioia: Paolo VI (Udienza Generale, 19 aprile 1972): Il cristiano non conosce la disperazione; non conosce l’angoscia, la quale sembra essere il traguardo della psicologia moderna, quand’è cosciente di sé, sia essa una «dolce vita», o anche una vita intensa e sofferta, ma senza ideali e senza fede. Si può dire che la gioia, la vera gioia, quella della coscienza, quella del cuore, è un tesoro proprio del cristiano, proprio di colui che veramente crede in Cristo risorto, a Lui aderisce, di Lui vive. Una gioia limpida, che pur troppo non sempre troviamo in coloro che interpretano l’esigenza del Vangelo, come oggi spesso è di moda, quasi un atteggiamento critico ed aspro verso la Chiesa di Dio, e le offrono, invece del franco e lieto saluto della fraternità, lo sfogo acerbo d’un qualche rimprovero, talora offensivo e sovversivo, dove indarno si cerca l’accento amico d’un comune gaudio pasquale. Il gaudio pasquale è lo stile della spiritualità cristiana; non è spensieratezza superficiale; è sapienza alimentata dalle tre virtù teologali; non è allegria esteriore e rumorosa; è letizia che nasce da profondi motivi interiori; né tanto meno è abbandono gaudente al facile piacere d’istintive e incontrollate passioni, ma è vigore di spirito che sa, che vuole, che ama; è l’esultanza della vita nuova che invade, ad un tempo, il mondo e l’anima (cfr. Prefazio di Pentecoste).
 
I Lettura: Il Signore incoraggia Paolo nella sua missione apostolica. I Giudei sono sempre in agguato, e così riescono a trascinare l’Apostolo dinanzi a Gallione, proconsole dell’Acaia. Ma costui non è Ponzio Pilato e caccia via i Giudei i quali sfogano la loro rabbia malmenando Sostene, il capo della sinagoga, che forse è quello che viene poi nominato nell’esordio della prima lettera ai Corinzi: “Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto” (cfr. 1Cor 1,1-2). La persecuzione è un tema ricorrente nella vita della Chiesa, come ricorrente è il mettere in evidenza la forza espansiva della predicazione evangelica che non conosce sosta e ormai lambisce i più remoti confini della terra. 
 
Vangelo
Nessuno potrà togliervi la vostra gioia.
 
La vostra tristezza si cambierà in gioia: Gesù sta per essere consegnato nelle mani dei suoi nemici che lo metteranno a morte, eventi dolorosi che colmeranno di tristezza il cuore dei discepoli. Ma dopo tre giorni Gesù risorgerà e l’afflizione si cambierà in gioia, la gioia di rivedere il Cristo risuscitato: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20). Gesù per rendere più comprensibili le sue parole porta l’esempio della donna che partorisce: un’immagine che va al di là di quanto rappresenti, infatti, è un’ immagine biblica tradizionale, e che significa il doloroso avvento del mondo nuovo, messianico (cfr. Mt 24,8). La morte di Gesù e la sua risurrezione doneranno all’umanità nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre (Is 65,17-18).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,20-23a
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».
 
Parola del Signore.
 
Tristezza e gioia - Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Giovanni, Commento della Bibbia Liturgica): Una credenza molto diffusa al tempo di Cristo era che l’ultimo tempo sarebbe stato preceduto da grandi tribolazioni e violenze. Il gaudio e la gioia dell’«età futura» sarebbero venuti dopo un periodo di sofferenze tali che non avrebbero avuto precedenti. Per descrivere questo tempo, si ricorse all’immagine della partoriente: dolori intensi, poco durevoli e compensati dalla gioia che li avrebbe seguiti.
Questa breve sezione stabilisce un contrasto assai forte tra «voi», la Chiesa e il «mondo». Gli uni soffrono e gli altri godono. Perché? La causa della tristezza è la solitudine. Solitudine in mezzo al mondo di coloro che, non essendo del mondo, devono vivere nel mondo. Solitudine che nasce anche dall’odio del mondo. II mondo non può amare coloro che non sono suoi, che non pensano come il mondo. che contraddicono la sua sicurezza e autosufficienza.
Odio che divampa nel cuore del mondo, anche se dovuto al semplice fatto di trovarsi di fronte una comunità o
Chiesa che contraddice il suo modo di considerare la vita.
Di fronte alla tristezza della Chiesa abbiamo la gioia del mondo. Il mondo si rallegra per la partenza di Gesù, perché la sua predicazione e la sua presenza costituivano un attacco alla sua sicurezza e alla sua autoaffermazione. Si rallegra per il dolore, la tribolazione e la persecuzione della Chiesa e dei credenti semplicemente perché sono la continuazione di quello che era Cristo.
Ma la tristezza si trasformerà in gioia; non solo perché dopo la tempesta torna il sereno, ma la gioia nasce dalla
stessa causa da cui nasce la tristezza. L’allontanamento «interno» dal mondo produce la tristezza e, allo stesso
tempo, è causa di gioia. Questa gioia ha le sue radici nel fatto che, in questo allontanamento «interno» dal mondo, si ottiene la vera libertà (8,32), libertà che, a sua volta, è prodotta dall’incontro con Cristo. E poiché questo incontro è «spirituale» e non avviene solo col Gesù di Nazaret, tangibile, abbordabile e condannabile, ma col Cristo risuscitato, nessuno potrà togliere loro la gioia.
D’altra parte questa gioia riposa sulla base della riconciliazione fra l’uomo e Dio, riconciliazione ottenuta dal­
l’opera di Cristo ed espressa in modo particolare nella preghiera comunitaria, espressione di gioia.
La tristezza trasformata in gioia si vedrà nei capitoli 20-21: la Maddalena e i discepoli si rallegreranno vedendo il Signore. È, quindi, una gioia che dipende dala presenza di Gesù e dalla sua vittoria. «In quel giorno non mi domanderete più nulla », semplicemente perché lo Spirito li avrà portati alla verità completa. Sarà cessata l’incomprensione. Gesù cesserà di essere per essi sconcertante. come era stato fino a quel momento.
Questa piena comprensione caratterizza la situazione escatologica. Non vi saranno più domande da fare. Il mistero dell’esistenza umana è chiarito definitivamente alla luce della fede. Questo spiega come la naturale tristezza del passato sia sostituita dalla gioia, caratterizzata dalla mancanza di ogni interrogativo o dalla risposta a tutti gli interrogativi che vi potrebbero essere.
 
Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia - Giuseppe Barbaglio (Tristezza in Schede Bibliche Pastorali - Vol. VIII): Il quarto evangelista definisce la tristezza lo stato necessario e ineludibile del cristiano privo della presenza visibile di Gesù e confrontato con un mondo ostile. Ecco infatti la trafila delle riflessioni meditative dell’evangelista messe in bocca a Cristo nel discorso di addio. Anzitutto Gesù dice che sta per andare da colui che lo ha mandato e ciò provoca tristezza nell’animo dei discepoli (Gv 16,5-6). Eppure la sua dipartita costituisce un vantaggio per loro, che solo così riceveranno da lui lo Spirito della verità (16,7-15). Quindi ripete che ancora un poco ed essi non lo vedranno più, ma queste parole sono oscure ai discepoli che lo interrogano in proposito (16,16-19). La risposta di Cristo: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia» (16,20).
Gesù continua illustrando il suo punto di vista con il paragone della partoriente che soffre durante il parto, ma alla fine è lieta perché sta nascendo una creatura: «Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (16,21-23).
Ci basta citare in merito l’ottima interpretazione di R. Bultmann: « ... la lype in cui piombano i discepoli per la partenza di Gesù non può essere fraintesa in senso psicologico o novellistico. Essa caratterizza piuttosto lo stato di solitudine di quanti sono stati chiamati da Gesù a uscire dal mondo (15,19; 17,16) e tuttavia si trovano ancora nel mondo (17,11), dal quale sono odiati (15,18ss). A questa lype corrisponde la chara del kosmos (16,20). Il kosmos, minacciato nella sua sicurezza dall’apparizione di Gesù, gioisce per la sua scomparsa e odia i «suoi», poiché con la loro esistenza lo pongono continuamente in questione.
Ma i «suoi», accettando di appartenere a Gesù, devono pure accettare di essere soli nel mondo e di venir odiati da esso, proprio perché non appartengono più al mondo, ma a Gesù (15,19). Ciò comporta anzitutto turbamento (tarache, 14,1), tribolazione (thlipsis, 16,33) e lype, giacché la loro situazione non è affatto naturale, devono farsene una ragione... Essi, proprio per rimanere uniti a lui, devono isolarsi. Ma appunto per questo dalla loro lype sgorga la loro gioia (chara, 16,21s). Nel distacco dal mondo sperimenteranno la comunione con lui e proveranno quindi una gioia che dura eternamente (16,22) poiché non proviene dal mondo, sul quale egli ha riportato la sua “vittoria” (16,33)» (GLNT, VI 867-868).
Per completezza diciamo che anche 1Pt valuta la tristezza come condizione del credente quaggiù, per la sua estraneità al mondo. «È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente ... A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (2,19.21). Si veda pure, nello stesso scritto, 1,6-7: «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede» sia impreziosito dalla prova superata, come l’oro passa attraverso il crogiuolo.
 
Non aver paura - L’incoraggiamento divino a continuare la predicazione - Didimo il Cieco (Catena sugli Atti degli Apostoli 18,9-11): A Corinto Dio apparve in forma di visione all’ Apostolo e lo invitò a non aver paura di insegnare, e rese chiara a lui la ragione per cui doveva parlare e non rimanere in silenzio; infatti in quella città vi erano molti che Dio sapeva avrebbero accolto la proclamazione dell’ Apostolo.
Così giacché era naturale che Paolo, essendo uomo, temesse gli attacchi, vedendo che molti erano ancora pagani, Dio incoraggia e stimola l’insegnante ad essere forte, dicendo: Sono con te e nessuno cercherà di farti del male.
 
Il Santo del Giorno - 30 maggio 2025 - San Giuseppe Marello Vescovo (Torino, 26 dicembre 1846 - Savona, 30 maggio 1895): Giuseppe Marello nacque a Torino il 26 dicembre 1846, dove suo padre gestiva un negozio ed era amico di don Giuseppe Cottolengo al quale regalava lenzuola per gli ospiti della «Piccola Casa». A dodici anni andò in pellegrinaggio al Santuario della Misericordia di Savona e qui, nella cripta davanti all’altare di Maria riconobbe la sua vocazione. Fu ordinato sacerdote nel 1868 ad Asti dal vescovo Carlo Savio che lo nominò suo segretario. Diventato vescovo di Acqui nel 1872, partecipò ai lavori del Concilio Vaticano I e si sentì particolarmente felice per la proclamazione di san Giuseppe a patrono della Chiesa universale. A lui si ispirò per gli Oblati di San Giuseppe, congregazione religiosa che sorse nel 1878. Sin dagli inizi del suo sacerdozio aveva intuito i bisogni della gioventù e dei poveri. Ai suoi preti chiedeva di essere «certosini in casa, apostoli fuori». Morì, quasi cinquantenne, a Savona il 30 maggio 1895. È santo dal 2001. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai fatto partecipi della tua mensa,
concedi ai tuoi servi di esserti sempre fedeli
e di annunciare il tuo nome ai fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
  29 Maggio 2025
 
GIOVEDÌ DELLA VI SETTIMANA DI PASQUA
 
At 18,1-8; Salmo Responsoriale dal Salmo 97 (98); Gv 16,16-20
 
Colletta
O Dio, che hai reso il tuo popolo
partecipe della redenzione,
fa’ che esulti in eterno
per la risurrezione del Signore.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
La santità cristiana - Catechismo della Chiesa Cattolica 2013 « Tutti i fedeli di qualsiasi stato a grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità ». Tutti sono chiamati alla santità: « Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48): « Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura del dono di Cristo, affinché [ ... ], in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con lutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà apportando frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della Chiesa, dalla vita di tanti santi ».
2014 Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo.
Questa unione si chiama « mistica », perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti - « i santi misteri» - e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali a segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti.
2015 Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c’è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale. Il progresso spirituale comporta l’ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono a vivere nella pace e nella gioia delle beatitudini: « Colui che sale non cessa mai di andare di inizio in inizio; non si è mai finito di incominciare. Mai colui che sale cessa di desiderare ciò che già conosce».
 
I Lettura: Paolo è dedito tutto alla Parola, ma non si esenta dal lavoro, così come insegnerà ai cristiani di Tessalonica: Chi non vuol lavorare neppure mangi (2Ts 3,6-12). Aquila, Priscilla, Sila Timòteo sono compagni di Paolo nella inesausta missione apostolica la quale apre varchi in ogni direzione, così Crispo, capo della sinagoga di Corinto, si converte insieme a tutta la sua famiglia, e molti dei Còrinzi, ascoltando Paolo, credevano e si facevano battezzare. Nonostante patenti persecuzioni la penetrazione capillare della Parola, in tutti gli strati della società, politica, sociale e religiosa, si fa sempre più profonda.
 
Vangelo
Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
 
Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete: la misteriosa frase di Gesù può essere codificata così: un poco e non mi vedrete, i giorni della passione sono vicini e Gesù morirà crocifisso e sarà sepolto, la morte e la sepoltura veleranno la sua presenza agli occhi dei discepoli, ma per poco; un poco e mi vedrete, dopo tre giorni Gesù risorgerà, apparirà ai suoi discepoli, e starà in mezzo a loro. Il mondo si rallegrerà della sua morte, i discepoli saranno nella tristezza, gemeranno e piangeranno, ma ben presto, dopo tre giorni, la loro tristezza si cambierà in gioia: dolore della passione, gioia di rivedere Gesù resuscitato (cfr. Gv 20,20).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,16-20
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete».
Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».

Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 16 Ancora un po’ e non mi vedrete ed un po’ ancora e mi rivedrete; alcuni codici aggiungono: «perché vado al Padre» (Volgata: quia vado ad Patrem); l’aggiunta, che appesantisce e rende oscuro il testo, è dovuta alle parole «vado al Padre», che si leggono al termine del vers. seguente. Cristo in precedenza aveva consolato i discepoli, assicurandoli che andando al Padre avrebbe inviato loro il Paraclito (vers. 7); ora li solleva dalla tristezza promettendo loro che la sua assenza sarà breve e che presto essi lo rivedranno. Con queste parole intenzionalmente enigmatiche Cristo annunzia la sua andata ed il suo ritorno, cioè la sua morte e la sua risurrezione. Il testo di Giov., 16, 16-24 è parallelo a Giov., 14, 18-21. Da notare che in Giov., 14, 19 Gesù, dopo un breve periodo, è invisibile per il mondo ed è visibile per i discepoli; nel presente vers. invece Cristo, dopo un breve periodo, è invisibile ai discepoli e dopo un secondo breve periodo è visibile a loro.
17 Che cosa ci dice...?; i discepoli non comprendono le parole misteriose del Maestro; la loro incomprensione non si porta tanto sul senso immediato delle parole quanto invece sul contenuto di esse, cioè: i discepoli non intendono il significato che ha per loro l’andata di Cristo al Padre; l’incomprensione quindi riguarda l’aspetto teologico della dichiarazione di Cristo. Come Gesù può affermare che i suoi lo rivedranno quando invece dice di sé che va al Padre?
18 Non sappiamo ciò che vuol dire; la presentazione letteraria è assai movimentata; i discepoli si domandano reciprocamente che cosa significa la dichiarazione di Cristo ed alla fine confessano con estremo candore: «Non sappiamo ciò che vuol dire».
19 Gesù, conoscendo che volevano interrogarlo...; Giovanni ama sottolineare che Cristo ha una conoscenza soprannaturale degli uomini e dei fatti (cf. 1, 48; 2, 24-25; 4, 17-19, 29; 6, 61, 64, 71; 13, 1, 11, 27, 28; 16, 30; 18, 4; 21, 17).
20 In verità... vi dico; il Salvatore non risponde direttamente alla domanda dei discepoli; egli invece li esorta ad aver fiducia perché saranno duramente provati, ma il loro dolore si muterà in gioia, cioè alla prova seguirà la consolazione. Voi piangerete e farete lamenti, ma il mondo si rallegrerà; in termini velati Gesù allude alla sua imminente passione: i discepoli durante la passione e morte del Maestro si troveranno nel dolore; i nemici di Cristo invece (i giudei) saranno nella gioia, perché ormai credono di averlo definitivamente vinto; cf. Apocalisse, 11, 10. Quest’allusione tuttavia non esaurisce l’intero significato delle parole di Gesù, le quali in pari tempo prospettano una situazione che è ricorrente nella storia: da una parte i credenti addolorati e tristi per un’assenza apparente di Cristo, e dall’altra il mondo non credente che si rallegra e gioisce per questa stessa assenza che essi giudicano reale.
 
Gioia nelle tribolazioni - Giuseppe Barbaglio (Gioia in Schede Bibliche Pastorali - Vol IV): Già in At 5,41 leggiamo che gli apostoli, denunciati al sinedrio, gioirono per gli oltraggi subiti a causa di Cristo. Si noti bene: nessuna perversione masochistica, cioè nessun amore per la sofferenza in quanto tale, ma adesione così totale al Signore e alla causa del suo vangelo da pagare con gioia ogni prezzo richiesto (cf. anche At 13,52).
Però è soprattutto Paolo che nel NT ha abbinato paradossalmente gioia e sofferenza. Rievocando l’evangelizzazione di Tessalonica, ricorda come i credenti della comunità macedone avessero accolto la parola dell’apostolo «in mezzo a mille tribolazioni con la gioia dello Spirito santo» (1Ts 1,6).
Egli stesso, apostolo «crocifisso», vive con l’animo pieno di gioia. Ai cristiani di Corinto confessa: «Afflitti, ma sempre lieti» (2Cor 6,10). Imprigionato e in attesa dell’esito del processo che potrebbe anche essere di condanna capitale, lungi dal cadere in preda alla depressione, vuole che gli amati filippesi condividano la sua gioia: «E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,17-18).
Avversari personali approfittavano della sua forzata inattività per moltiplicare gli sforzi di evangelizzazione? Egli passa sopra al loro spirito di rivalità e di rivalsa e gioisce: «purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil 1,18). Sempre dal carcere così scrive ai colossesi: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa» (1,24).
Insistente è poi la sua esortazione ai credenti di Filippi: «Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore» (3,1); «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (4,4). Eppure la chiesa filippese soffriva non poco per l’ambiente ostile. Il suo appello però non scade a facili raccomandazione moralistica, perché esce dal carcere in cui egli si trova relegato per causa di Cristo. In proposito si veda anche Gc 1,2: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove».
Commentando la lettera ai Filippesi, K Barth ha osservato che la gioia di Paolo è «un ostinato “malgrado tutto”». Ma si deve anche dire che egli gioisce proprio per questo «tutto»: la sua gioia è causata proprio dalle sofferenze, non solo esiste nonostante le sofferenze. Con la necessaria precisazione che si tratta di sofferenze da lui sopportate per il Signore e per le sue comunità. In realtà, egli gioisce di poter fedelmente compiere la sua missione, anche a costo della vita.
Non lo si ritenga però un eroe secondo l’ideale greco che esaltava la virtù dell’andreia («virilità»). Paolo riconosce senza mezzi termini che all’origine della gioia sta lo Spirito. In particolare, afferma che la gioia è frutto dello Spirito (Gal 5,22), è gioia dello Spirito (1Ts 1,6), gioia nello Spirito (Rm 14,17).
D’altra parte, l’apostolo conosce anche le gioie più sane e normali della vita. Egli gioisce nel ricevere buone notizie dalla comunità di Corinto: «Egli (Tito) infatti ci ha annunziato il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me, cosicché la mia gioia si è ancora accresciuta» (2Cor 7,7). Sperimenta una grande gioia quando ha la prova tangibile che è rifiorita la premurosa attenzione degli amici filippesi per la sua persona (Fil 4,10). Ha evitato di portare a compimento un viaggio, già programmato, a Corinto perché aveva previsto che i corinzi gli avrebbero causato sofferenza, proprio loro da cui dipende la sua gioia (2Cor 2,2-3). In ogni modo il rapporto appare bilaterale: egli, da parte sua, contribuisce alla gioia dei corinzi (2Cor 1,24).
 
Gioia pasquale - «Esulta, Gerusalemme e rallegratevi voi tutti che amate Gesù: è risorto, infatti. Gioite, voi che dianzi eravate tutti in lutto [Is 66,10]...: chi, infatti, fu in questa città disonorato, è stato nuovamente richiamato in vita. Come dunque aveva recato una certa tristezza l’annuncio della croce, così ora la buona novella della risurrezione sia fonte di esultanza per i presenti. Si muti in gioia il dolore, il pianto in letizia [cfr. Sal 29,12]; la nostra bocca si riempia di gaudio e di tripudio [cfr. Sal 70,8], secondo l’invito di colui che, dopo la sua risurrezione, disse: Esultate [Mt 28,9]. Io so quanto hanno sofferto nei giorni scorsi coloro che amano il Cristo, allorché le mie prediche terminavano con la morte e la sepoltura... Il morto, però, è risorto: libero fra i morti [Sal 87,6] e liberatore dei morti. Colui che aveva tollerato l’oltraggio di venir cinto d’una corona di spine, si fregiò, risorgendo, con il diadema della propria vittoria sulla morte» (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimali, 14,1).
 
Il Santo del Giorno - San Paolo VI: Il Papa del Concilio e della Chiesa aperta: Una Chiesa che è casa di Dio in mezzo agli uomini, con la porta sempre aperta, pronta ad accogliere, e le finestre spalancate per far entrare la luce del Vangelo. Potrebbe essere descritto così il progetto di san Giovanni Battista Montini, papa Paolo VI, pastore nel mondo e per il mondo. Nato a Concesio (Brescia) nel 1897, fu ordinato sacerdote il 29 maggio 1920 e venne destinato alla carriera diplomatica, assumendo diversi incarichi di rilievo nella Curia Romana. Fu assistente ecclesiastico degli universitari cattolici. Entrò a Milano da arcivescovo il 6 gennaio 1955 e venne creato cardinale da Giovanni XXIII nel 1958. Il 21 giugno 1963 venne eletto Papa, annunciando da subito che avrebbe portato avanti il Concilio ecumenico Vaticano II. Si adoperò per applicarne poi le decisioni e dare forma alla Chiesa del post-concilio. Pubblicò il rinnovato Messale Romano; fu attivo nell’impegno ecumenico; compì nove viaggi apostolici fuori dall’Italia; affrontò le contestazioni con carità e fermezza. Morì nella residenza pontificia di Castel Gandolfo il 6 agosto 1978. È santo del 2018. (Matteo Liut)
 
O Padre, che ci hai accolti alla mensa del tuo Figlio,
concedi a noi, tuoi fedeli,
di testimoniare nella gioia pasquale la sua risurrezione.
Per Cristo nostro Signore.