1 Marzo 2025
 
Sabato VII Settimana T. O.
 
Sir 17,1-13; Salmo Responsoriale Dal Salmo 102 (103); Mc 10,13-16
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus (10 Ottobre 2021): Nel Vangelo della Liturgia di oggi vediamo una reazione di Gesù piuttosto insolita: si indigna. E quello che più sorprende è che la sua indignazione non è causata dai farisei che lo mettono alla prova con domande sulla liceità del divorzio, ma dai suoi discepoli che, per proteggerlo dalla ressa della gente, rimproverano alcuni bambini che vengono portati da Gesù. In altre parole, il Signore non si sdegna con chi discute con Lui, ma con chi, per sollevarlo dalla fatica, allontana da Lui i bambini. Perché? È una bella domanda: perché il Signore fa questo?
Ci ricordiamo - era il Vangelo di due domeniche fa - che Gesù, compiendo il gesto di abbracciare un bambino, si era identificato con i piccoli: aveva insegnato che proprio i piccoli, cioè coloro che dipendono dagli altri, che hanno bisogno e non possono restituire, vanno serviti per primi (cfr Mc 9,35-37). Chi cerca Dio lo trova lì, nei piccoli, nei bisognosi: bisognosi non solo di beni, ma di cura e di conforto, come i malati, gli umiliati, i prigionieri, gli immigrati, i carcerati. Lì c’è Lui: nei piccoli. Ecco perché Gesù si indigna: ogni affronto fatto a un piccolo, a un povero, a un bambino, a un indifeso, è fatto a Lui.
Oggi il Signore riprende questo insegnamento e lo completa. Infatti aggiunge: «Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). Ecco la novità: il discepolo non deve solo servire i piccoli, ma riconoscersi lui stesso piccolo. E ognuno di noi, si riconosce piccolo davanti a Dio? Pensiamoci, ci aiuterà. Sapersi piccoli, sapersi bisognosi di salvezza, è indispensabile per accogliere il Signore. È il primo passo per aprirci a Lui. Spesso, però, ce ne dimentichiamo. Nella prosperità, nel benessere, abbiamo l’illusione di essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, di non aver bisogno di Dio. Fratelli e sorelle, questo è un inganno, perché ognuno di noi è un essere bisognoso, un piccolo. Dobbiamo cercare la nostra propria piccolezza e riconoscerla. E lì troveremo Gesù.
 
I Lettura: L’uomo creato dalla terra, è colmo di “scienza e intelligenza”. Conosce il bene e il male e ha ricevuto “in eredità la legge della vita”. Ma tali doni non devono essere radice di superbia, perché l’uomo deve tenere a mente che tutte le sue vie sono sempre davanti a Dio, e che tutte le sue opere non restano nascoste agli occhi di Dio, divino giudice imparziale.
Le loro vie sono sempre davanti a lui, non restano nascoste ai suoi occhi: «Le azioni dell’uomo, nel bene (17) e nel male (16), non sfuggono all’occhio indagatore di Dio. Tutto è “davanti a lui come il sole” (15) per essere giudicato in vista della ricompensa o del castigo (18). Frequente è nei salmi il richiamo al Signore che scruta nei cuori (cfr. 7,10; 11,5; 17,3; 26,2; 139,23) e a cui nulla può sfuggire, perché egli vede e conosce tutto: “Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono te tutte le mie vie” (Sal 139,1-3)» (L’Antico Testamento, Siracide).
 
Vangelo
Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso.
 
Gesù, nonostante l’ostruzionismo degli Apostoli, accoglie dei bambini che gli vengono presentati «perché li accarezzasse». Gesù acconsente e «prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva». Un gesto di tenerezza che rivela i sentimenti di Gesù verso i più piccoli, gli indifesi, verso coloro che nella società giudaica non contavano affatto.
Ma anche in questo secondo atto c’è una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Se per l’ambiente giudaico solo l’adulto poteva raggiungere il regno di Dio perché capace di porre atti coscienti, nel magistero di Gesù invece lo si può solo ricevere, come dono gratuito, facendosi appunto bambini.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,13-16
 
In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono.
Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 13 E gli presentavano dei fanciulli; è facile immaginare che non poche madri, spinte dal loro naturale affetto per i figli, desideravano che Gesù li toccasse con un gesto carezzevole e compiacente. Esse erano orgogliose di poter presentare i propri piccoli ad un Rabbi, tanto famoso per dottrina e bontà, perché avesse per loro un sorriso, un complimento ed una benedizione […].
14 Gesù... s’indignò; soltanto Marco osserva che il Maestro risentito disapprovò la condotta dei discepoli. Probabilmente essi volevano allontanare da Cristo le madri ed i bimbi, perché desideravano che egli non fosse distratto nel suo insegnamento dalla presenza di questa folla chiassosa e vivace.
15 Il Salvatore, per altra via, viene incontro allo zelo intemperante dimostrato dai discepoli desiderosi di rimanere soli con lui per ascoltarlo; egli infatti approfitta della presenza di quei piccoli per indicare quali condizioni spirituali sono necessarie per accogliere il regno e per entrarvi. Egli considera due aspetti del regno: il primo è il regno-annunzio che è offerto in dono all’uomo con la predicazione (chi non riceverà il regno come un fanciullo); il secondo è il regno-società realizzata in terra, nella quale occorre entrare per salvarsi.
16 E, presili in braccio, li benediva; le mamme ottennero quello che desideravano. Marco soltanto segnala questi particolari che danno alla scena un colorito umano e suggestivo.
 
 
Basilio Caballero: Farsi come bambini - Farsi bambini davanti a Dio è tornare a nascere perché, come diceva Gesù a Nicodemo, chi non nasce dall’alto dall’acqua e dallo spirito, non può entrare nel regno di Dio (cfr. Gv 3,1-15). Questo regno è dono di Dio, iniziativa e offerta divina; perciò deve essere ricevuto come un regalo. E la disposizione migliore per ricevere da Dio è quella del bambino che ha solo gli occhi aperti e le mani tese.
Una volta accettato il regno, si entra in esso. Qui culmina la cosiddetta « infanzia spirituale », atteggiamento interiore del quale in altri tempi si abusò asceticamente, confondendolo con l’ingenuità infantile. Niente di più lontano dalla coscienza cristiana di filiazione, che è atteggiamento maturo e responsabile davanti a Dio e agli altri.
Nella sua condotta verso i bambini Gesù manifesta il cuore amorevole di Dio. Davanti a lui siamo sempre bambini, cioè figli, qualsiasi età o posizione sociale abbiamo. « L’inizio della conversione e della nuova vita è questo: che l’uomo impari a chiamare il suo Dio in modo filiale e consolante: Abbà (Padre), perché in lui si sa sicuro e amato senza limiti» (J. Jeremias).
Vivere l’esperienza filiale dell’amore di Dio come bambini e come figli che si sentono amati dal Padre, è già aprirci al regno ed entrare dalle sue porte: « Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!. .. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio » ( Gv 3,1; 4,10). E dall’esperienza cristiana della filiazione nascerà  quella della fratellanza umana, perché « se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri » (1Gv 4,11).
Non si tratta, quindi, di essere bambini e minori di età, immaturi, egoisti e mossi dal timore del castigo questo non è evangelico -, ma di « farci come bambini » davanti a Dio, gratificando gli atteggiamenti più nobili dei bambini, come la fiducia e la libertà, l’apertura ricettiva e la gratitudine che restituisce amore per amore.
 
I fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa: Christifideles laici 47: I bambini sono certamente il termine dell’amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il Regno dei cieli (cfr. Mt 19,13-15 Mc 10,14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me” (Mt 18,3-5; cfr. Lc 9,48). I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l’intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell’età dell’infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l’edificazione della Chiesa che per l’umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all’interno della famiglia “Chiesa domestica”: “I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori” (GS 48), dev’essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del XV secolo, per il quale “i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa”.
 
E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva - La benedizione dei fanciulli - Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 8,63: Quando comanda che i piccoli gli vengano vicino (cf. Lc 18, 16), per benedirli sia col tesserne l’elogio sia con l’imporre loro le mani (cf. Mt 19, 13; Mc 10,16), egli li chiama fanciulli; quando però comanda di non scandalizzarli, li chiama piccini (cf. Mc 9,42); infatti non si scandalizzano coloro che sono toccati da Cristo, non cadono coloro che si avvicinano a Cristo, ma cadono quanti ha reso meschini non l’esiguità dell’età, bensì la piccolezza della virtù. Al tempo stesso insegna che non bisogna esporre a tentazione i deboli, per evitare che le loro mancanze ricadano sopra di noi, dal momento che le loro preghiere, sebbene deboli quanto ai meriti delle virtù, sono portate in alto, fino al Signore, con l’aiuto degli angeli.
 
Il Santo del giorno - 1 Marzo 2025 - Sant’Albino, Vescovo - Nato intorno al 470 da una famiglia nobile, Albino fu monaco e quindi abate per venticinque anni a Nantilly, nei pressi di Saumur. Nel 529 fu eletto per acclamazione popolare vescovo di Angers. Fu uno dei principali promotori del terzo Concilio di Orleans, che riformò la Chiesa dei Franchi con grande fermezza. È ricordato come difensore dei poveri e dei prigionieri. Inoltre richiamò i signori merovingi al rispetto del vincolo matrimoniale. Morì il 1 marzo 550. (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 28 FEBBRAIO 2025
 
Venerdì VII Settimana T. O.
 
Sir 6,5-17; Salmo Responsoriale Dal Salmo118 (119); Mc 10,1-12
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica Indissolubilità del Matrimonio e divorzio 2382: Il Signore Gesù ha insistito sull’intenzione originaria del Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile. Ha abolito le tolleranze che erano state a poco a poco introdotte nella Legge antica.
Tra i battezzati «il Matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte».
2384 Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte. Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente:  
«Se il marito, dopo essersi separato dalla propria moglie, si unisce ad un’altra donna, è lui stesso adultero, perché fa commettere un adulterio a tale donna; e la donna che abita con lui è adultera, perché ha attirato a sé il marito di un’altra».
2385 Il carattere immorale del divorzio deriva anche dal disordine che esso introduce nella cellula familiare e nella società. Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale.  
2400 L’adulterio e il divorzio, la poligamia e la libera unione costituiscono gravi offese alla dignità del matrimonio.  
 
I Lettura: L’Antico Testamento - Siracide (Ed. Paoline): 6,5-17 In questa unità il centro dell’attenzione si sposta sulla amicizia (vera e falsa): tema ampiamente diffuso nella letteratura ellenistica del tempo e ripreso con tipico linguaggio ebraico, da ben Sira
 
Vangelo
L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto.
 
Il tema del divorzio, al tempo di Gesù, era oggetto di accese discussioni tra due scuole rabbiniche: quella di Shammai, rigorista, e quella di Hillel, lassista. La prima riconosceva legittimo motivo solo il caso di adulterio da parte della moglie, la seconda scuola ammetteva, invece, come valido qualsiasi motivo, anche il più futile. L’intenzione dei farisei è di costringere Gesù a schierarsi o per la scuola di Shammai o per la scuola di Hillel e così poterlo accusare o ai rigoristi o ai lassisti. L’intenzione era di creargli dei nemici. Gesù capovolge il tutto mettendo la donna e l’uomo sullo stesso piano. Non è solo la moglie colpevole di adulterio verso il marito, ma anche il marito si rende colpevole di adulterio se ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra. I diritti e i doveri sono uguali per la moglie e per il marito e chi li lede commette adulterio.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,41-50
 
In quel tempo, Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare.
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
 
Parola del Signore. 
 
Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra ... - I farisei, sempre vigilanti, seguono passo passo Gesù attendendo solo il momento opportuno per attaccare, per metterlo alla prova: il verbo greco (peirazontes) «ha un significato peggiorativo, stando ad indicare un tentativo che si compie in tutto malanimo per fare cadere qualcuno per mezzo di un tranello tesogli di nascosto [cf. Mc 8,11; 12,13-15]» (Adalberto Sisti).
Così non sorprende questo ennesimo assalto volto unicamente a mettere in difficoltà Gesù. La domanda è costruita ad arte: «È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?».
È vero che il ripudio era ammesso dalla legge di Mosè (cf. Dt 24,1-4), ma la loro interpretazione era abusiva. Oltre tutto, la domanda non doveva essere nemmeno posta perché i farisei, veri maestri della Parola, conoscevano già la risposta e sapevano che si trovava nel primo libro della Torah, il libro della Genesi, dove tra l’uomo e la donna veniva postulato completa e indissolubile comunione di vita.
Da qui si comprende quanto fosse capziosa la loro domanda. Gesù risponde con una domanda - Che cosa vi ha ordinato Mosè? - perché vuole costringere i suoi avversari a trovare da se stessi la risposta.
E alla replica dei farisei, Gesù dà, come una stoccata, la sua risposta: «Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma».
La durezza del cuore e della cervice (cf. Es 32,9; 33,3 ecc.) è un rimbrotto che a piè sospinto troviamo nell’Antico Testamento. La durezza di cuore è l’incapacità dell’uomo a comprendere la volontà di Dio ed entrare nei suoi disegni. È chiusura alla parola di Dio. Questo peccato apportò al popolo giudeo fame, lutti, morti, catene ... Per tanta ostinazione, sul popolo d’Israele piombò un terribile castigo: la fame della Parola di Dio (Am 8,11-12).
Il richiamo all’autorità della sacra Scrittura, che troviamo sovente nell’insegnamento di Gesù (cf. Mt 4,4.6.7; 26,31; Mc 14,21.27; Lc 24,46; ecc.), qui è teso a smascherare l’ipocrisia dei farisei. In verità, il legalismo e la doppiezza erano il complesso dei requisiti utili a delineare l’immagine ideale dei farisei: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti ... Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini ... Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione ... [annullate] così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi» (Mc 7,6.8-9.13). Una tentazione, quella di annullare la parola di Dio con la tradizione, mai sopita, nemmeno nella Chiesa.
La citazione biblica - Ma all’inizio della creazione ... - sembra avere acquietato gli importuni interlocutori, infatti Marco non registra ulteriori repliche da parte dei farisei. Saranno, invece, i discepoli a volere scendere nei particolari. E Gesù non si sottrae e con la sua risposta, che riflette la legislazione mosaica e il diritto romano, torna a rimettere sullo stesso piano l’uomo e la donna.
Questo è il progetto di Dio il quale non ammette disquisizioni teologiche di sorta. In questa luce si arriva ad una sola conclusione: «L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha unito». Che è equivalente a: «l’uomo non manipoli ciò che Dio ha fatto per essere congiunto, ma ne promuova lo sviluppo armonioso. Chiama durezza di cuore [che è centro della persona più che del sentimento] la ristrettezza di mente e di progetti di chi ha perso la ricchezza della parola di Dio per rinchiudersi nei cavilli giuridici» (Don Bruno Barisan).
 
Claude Wiéner: La concezione del matrimonio nel NT è dominata dal paradosso stesso della vita di Gesù: «nato da una donna» (Gal 4, 4; cfr. Lc 11, 27), con la sua vita di Nazaret (Lc 2, 51 s) egli consacra la famiglia quale è stata preparata da tutto il VT. Ma, nato da una madre vergine, vissuto egli stesso nella verginità, rende testimonianza ad un valore superiore al matrimonio.
 
I. CRISTO ED IL MATRIMONIO
1. La nuova legge. - Riferendosi esplicitamente, al di là della legge di Mosè, al disegno creatore della Genesi, Gesù afferma il carattere assoluto del matrimonio e la sua indissolubilità (Mt 19, 1-9): Dio stesso unisce l’uomo e la donna, dando alla loro libera scelta una consacrazione che li trascende. Essi sono «una sola carne» dinanzi a lui; perciò il ripudio, tollerato «a motivo della durezza dei cuori», dev’essere escluso nel regno di Dio, in cui il mondo ritorna alla sua perfezione originale. L’eccezione del «caso di fornicazione» (Mt 19, 9) non ha certamente di mira una giustificazione del divorzio (cfr. Mc 10, 11 s; Lc 16, 18; 1 Cor 7, 10 s); concerne o il rinvio di una sposa illegittima, oppure una separazione cui non potrà far seguito un altro matrimonio. Di qui lo spavento dei discepoli dinanzi al rigore della nuova legge: «Se questa è la condizione dell’uomo nei confronti della donna, è meglio non sposarsi!» (Mt 19, 10). Questa esigenza sui principi non esclude la misericordia verso gli uomini peccatori. A più riprese Gesù incontra adultere o persone infedeli all’ideale dell’amore (Lc 7, 37; Gv 4, 18; 8, 3 ss; cfr. Mt 21, 31 s). Le accoglie, non per approvare la loro condotta, ma per apportare loro una conversione ed un perdono che sottolineano il valore dell’ideale tradito (Gv 8, 11).
2. Il sacramento del matrimonio. - Gesù non si accontenta di ricondurre l’istituzione del matrimonio a questa perfezione primitiva che il peccato umano aveva oscurato. Gli dà un fondamento nuovo che gli conferisce il suo significato religioso nel regno di Dio. Con la nuova alleanza che fonda nel suo proprio sangue (Mt 26, 28), egli stesso diventa lo sposo della Chiesa. Per i cristiani, diventati con il battesimo templi dello Spirito Santo (1 Cor 6, 19), il matrimonio è quindi «un grande mistero in rapporto a Cristo ed alla Chiesa» (Ef 5, 32). La sottomissione della Chiesa a Cristo e l’amore redentore di Cristo per la Chiesa, che egli ha salvato dandosi per essa, sono così la regola vivente che gli sposi devono imitare; potranno farlo, perché la grazia di redenzione tocca il loro stesso amore assegnandogli il suo ideale (5, 21-33). La sessualità umana, di cui bisogna valutare con prudenza le esigenze normali (1 Cor 7, 1-6), è assunta ora in una realtà sacra che la trasfigura.
II. MATRIMONIO E VERGINITÀ
«Non è bene che l’uomo sia solo», diceva Gen 2, 18. Nel regno di Dio instaurato da Gesù appare un nuovo ideale. Per il regno, degli uomini si faranno «eunuchi volontari» (Mt 19, 11 s). È il paradosso della verginità cristiana. Fra il tempo del VT, in cui la fecondità era un dovere primario al fine di perpetuare il popolo di Dio, e la parusia, in cui il matrimonio sarà abolito (Mt 22, 30 par.), due forme di vita coesistono nella Chiesa: quella del matrimonio, che il mistero di Cristo e della Chiesa trasfigura, e quella del celibato consacrato, che Paolo reputa la migliore (1 Cor 7, 8. 25-28). Non si tratta di disprezzare il matrimonio (cfr. 7, 1), ma di vivere pienamente il mistero nuziale al quale ogni cristiano partecipa già con il battesimo (2 Cor 11, 2): con l’unirsi al Signore totalmente per non piacere che a lui solo (1 Cor 7, 32-35), si attesta che la figura del mondo presente, alla quale l’istituzione matrimoniale è correlativa, si avvia verso la fine (7, 31). In questa prospettiva l’ideale sarebbe che «coloro che hanno moglie vivano come se non l’avessero» (7, 29) e che le vedove non si risposino. Ma tutto questo dipende in fin dei conti dal Signore: si tratta di vocazioni diverse e complementari nell’ambito del corpo di Cristo: in questo, come negli altri campi, «ciascuno riceve da Dio il proprio dono particolare, uno questo l’altro quello» (7, 7; cfr. Mi 19, 11).
 
La moglie fedele - Giovanni Crisostomo, In epist. ad Tit., 4, 2: La moglie che ha cura della casa, sarà anche pudica e regolerà tutto; né si darà ai piaceri, a spese ingiustificate e simili cose. “Perché non sia bestemmiato il nome di Dio”, dice l’Apostolo. Lo vedi che egli si preoccupa principalmente della predicazione e non delle cose temporali? Difatti, scrivendo a Timoteo dice: “Meniamo una vita quieta e tranquilla con tutta pietà e onestà” (1Tm 2,2); qui poi dice: “Perché non sia bestemmiato il nome e la dottrina di Dio”. Se capita, infatti, che una donna fedele maritata a un infedele, non sia ben fornita di virtù, di qui suole nascere la bestemmia contro Dio, ma se è ben fornita di virtù le sue parole e le sue azioni promuoveranno la gloria di Dio. Sentano le donne che sono sposate a uomini malvagi o infedeli; sentano e imparino a indurli alla pietà con i loro buoni costumi. Se, infatti, non dovessi cavarci altro né riuscissi a ridurlo alla vera fede, però ne chiuderai la bocca e non gli darai occasione di bestemmiare contro la religione cristiana. E questo non è tanto poco, è anzi moltissimo, perché dai contatti della vita la nostra verità acquista ammirazione.
 
Il Santo del giorno - 28 Febbraio 2025:  Beato Daniele Alessio Brottier, Sacerdote: Daniele Alessio Brottier è ricordato per il suo impegno nella missione, nell’apostolato tra i militari e per l’aiuto agli orfani. Nato nel 1876 a La Ferté-Saint Cyr, diocesi di Blois, in Francia, entrò in Seminario nel 1890 e divenne prete a 23 anni nel 1899. Nel 1902 entrò come novizio nella congregazione dello Spirito Santo ad Orly, l’anno seguente emise i voti religiosi e partì quasi subito per il Senegal, allora colonia francese , ma rientrò dopo soli tre anni per motivi di salute. Ripresosi tornò nuovamente nel paese africano, ma i problemi di salute lo costrinsero a tornare definitivamente in patria. Allora, in Francia, fondò l’opera «Souvenir Africain», allo scopo di costruire la cattedrale di Dakar. Cappellano militare nella Prima Guerra mondiale, fondò l’Unione nazionale combattenti e l’Opera degli orfani apprendisti. Morì nel 1936. È stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1984. (Avvenire)

Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 27 FEBBRAIO 2025
 
GIOVEDÌ DELLA VII SETTIMANA T. O.
 
Sir 5,1-10 (NV); Salmo Responsoriale Dal Salmo1; Mc 9,41-50
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Il rispetto dell’anima altrui: lo scandalo - Catechismo della Chiesa Cattolica: 2284 Lo scandalo è l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta alla virtù e alla rettitudine; può trascinare il proprio fratello alla morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca con azione o omissione induce deliberatamente altri in una grave mancanza.
2285 Lo scandalo assume una gravità particolare a motivo dell’autorità di coloro che lo causano o della debolezza di coloro che lo subiscono. Ha ispirato a nostro Signore questa maledizione: « Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli, [...] sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare » (Mt 18,6). Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona a lupi rapaci in veste di pecore.
2286 Lo scandalo può essere provocato dalla legge o dalle istituzioni, dalla moda o dall’opinione pubblica.
Così, si rendono colpevoli di scandalo coloro che promuovono leggi o strutture sociali che portano alla degradazione dei costumi e alla corruzione della vita religiosa, o a « condizioni sociali che, volutamente o no, rendono ardua o praticamente impossibile una condotta di vita cristiana, conformata ai precetti del Sommo Legislatore ». La stessa cosa vale per i capi di imprese i quali danno regolamenti che inducono alla frode, per i maestri che «esasperano» i loro allievi o per coloro che, manipolando l’opinione pubblica, la sviano dai valori morali.
2287 Chi usa i poteri di cui dispone in modo tale da spingere ad agire male, si rende colpevole di scandalo e responsabile del male che, direttamente o indirettamente, ha favorito. «È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono» (Lc 17,1).
 
I Lettura: L’Antico Testamento - Siracide (Ed. Paoline): 5,1-8 Non ... Questi versetti iniziano tutti con l’esortazione a “non” (mé) fare qualcosa: nei vv. 1 e 7 l’imperativo negativo ricorre due volte. Il tema al centro del brano è quel senso di presunzione che dà all’uomo l’illusione di bastare a se stesso, di avere il dominio sulle cose e di non aver bisogno di nessuno, neppure di Dio. Questo atteggiamento porta a contare unicamente sulle proprie forze e ad appoggiare la propria vita su false sicurezze, a cominciare dalla ricchezza (1), magari ottenuta con la frode o con l’inganno (8). Chi pensa e vive in questo modo non può sfuggire alla punizione di Dio (3.6.7.8).
 
Vangelo
È meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna.
 
“Gesù ordina la rinuncia anche eroica quando è necessaria per non perdere il bene più prezioso, che è quello della fede, della grazia e della vita eterna. Quando parla di automutilazione usa un modo di dire paradossale, per meglio inculcare la necessità di certe rinunce, anche se dure e difficili” (Vincenzo Raffa).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,41-50
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare.
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.
Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».
Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».
 
Parola del Signore.
 
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me … I piccoli non sono tanto i bambini, ma i credenti dalla fede vacillante, i cristiani deboli esposti allo scandalo. I credenti, al dire di sant’Alberto Magno, qui sono «detti piccoli per la loro fede limitata e perché possono essere facilmente scandalizzati, sono cioè deboli nella fede e pronti al peccato, provocati anche dai cattivi esempi dei sacerdoti».
E Gesù su questo punto non ammette deroghe. Il giudizio è severissimo, un giudizio espresso con parole di fuoco. Qui viene sfumata l’immagine edulcorata del Gesù buono a tutti i costi, pronto a perdonare tutto a tutti.
Da qui l’urgenza a recidere, con profonda determinazione, tutto quello che può provocare scandalo a se stessi e ai fratelli. I moniti di Gesù certamente non vanno presi alla lettera. Avremmo un paese zeppo di ciechi e di sciancati. In verità, è l’urgenza della conversione per entrare nel Regno di Dio.
La porta per entrare nel Regno è stretta (Mt 7,13-14) per cui per entrarvi non è necessario mutilarsi, ma semplicemente scorticarsi. La salvezza non è un gioco da ragazzi, non è da prendere sotto gamba; è invece qualcosa di molto serio. Per il Vangelo la vita terrena, nel suo naturale finire, si apre soltanto a due soluzioni: o il Regno, cioè l’eterna beatitudine; o la Geenna, l’Inferno «ove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8,12), cioè l’eterna dannazione (Mt 18,18; 25,41; Gd 1,7).
La sibillina espressione - il loro verme e il fuoco non si estingue - è presa di peso dal libro del profeta Isaia (66,24) dove il verme è simbolo del rimorso. Acutamente fa osservare san Giovanni Crisostomo che qui la coscienza viene chiamata verme che «morde l’anima che non opera il bene». Quindi  ognuno «diviene accusatore di se stesso al ricordo di come si è comportato nell’esistenza mortale, e così il verme non muore» (Catena Aurea). Ricordata in altri testi veterotestamentari (cf. Sir 7,17; Gdt 16,17), l’espressione sta ad indicare il giusto castigo dell’empio. Gesù se ne serve «per descrivere metaforicamente le pene dei dannati, che saranno tormentati senza possibilità di riscatto. Strettamente non sembra che vi sia inclusa anche l’idea di eternità. Ma tenendo conto di tutto l’insegnamento del Nuovo Testamento al riguardo, non sembra che si possa escludere» (Adalberto Sisti).
Peccato che il testo evangelico omette il prosieguo: «Perché ciascuno sarà salato con il fuoco».
A volere gettare alle ortiche secoli di esegesi, di pronunciamenti del magistero della Chiesa e di riflessioni alla fine non resta che dire una cosa sola: come esiste la possibilità che l’uomo alla fine della vita possa aprire gli occhi sul volto di Dio (1Cor 13,12), così esiste la possibilità che possa perdersi eternamente. Egli può andare consapevolmente incontro a una dannazione intrisa di indicibili patimenti (la pena del senso) e tra questi il dolore inenarrabile della perdita di Dio (la pena del danno). Il non contemplare Dio, il non vedere il suo volto, questa è la pena indicibile che accompagnerà eternamente il dannato.
La replica di Gesù non è una minaccia, ma «una luce che mi indica la via, e io devo giungere a comprendere e accogliere la sua volontà: “Sì, Signore, se per arrivare a Te mi chiedi di entrare nella vita monco ... zoppo ... con un occhio solo, mi troverai pronto”. Questa è la vita cristiana radicata nella serietà purissima della Croce» (G. Pollano).
 
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala … - Emmanuela Ghini (Scandalo, Schede Bibliche Pastorali - Vol. VII):  - 1. Lo scandalo per Israele. Il termine skàndalon eredita dall’ebraico una grande ricchezza di significati; esso deriva da skandàlètron e traduce nei LXX due diverse radici ebraiche: jqs (nqs), che significa prendere in trappola (Sal. 124), e ksl, che significa inciampare, vacillare (Is. 8,15), da cui deriva il sostantivo mik’ sòl, occasione di caduta, ostacolo (Lev. 19,14; Is. 57), usato anche in senso metaforico (1Sam. 25,31; Ez. 3,20).
Si è detto che skàndalon, da causa di rovina materiale, passa progressivamente a indicare rovina in senso religioso, quindi caduta e peccato.
Lo scandalo per Israele si configura come attentato all’alleanza, rifiuto del rapporto d’amicizia che Dio ha stabilito con l’uomo mediante essa. In questo senso possono costituire una seduzione, un laccio per Israele i popoli abitanti la terra promessa (Es. 23,33; 34,12), se Iahvé non li caccia davanti al suo popolo (Gios. 23,13). Causa ricorrente di scandalo, cioè di occasione di peccato, è infatti l’idolatria delle nazioni vicine al popolo eletto (Dt. 7,16). Gli idoli stessi sono detti scandalo (Os. 4,17; Giud. 8,27).
Ma anche Iahvé può porsi come pietra d’inciampo per il suo popolo prevaricatore (Is. 8,14), e costituire per esso, per la sua salvezza, un momentaneo ostacolo (Ger. 6,21). Israele deve scegliere tra l’economia di Dio e quella umana; scegliere quest’ultima è incorrere nella ribellione, che rende Dio causa di rovina per i suoi figli.
Anche il singolo israelita può essere «scandalo» per il popolo eletto, se tenta di strapparlo al rapporto dell’alleanza e quindi dal seguito di Iahvé. Dio punisce chi tenta di indurre Israele alla perversione (1Re 14,16). Elia predice ad Acab la sua tragica fine solo perché ha provocato lo sdegno di Iahvé, ma anche perché ha fatto peccare Israele (1Re 21,22).
Lo scandalo ha un aspetto individuale e un aspetto sociale. Esso è legato all’empietà; per l’empio infatti tutto può essere occasione di caduta e motivo di scandalo: non solo la lingua (Eccli. 23,28), ma anche la legge (Eccli. 32,15). Dio solo può far scomparire lo scandalo (Sof. 1, 3).
2. Potenza demoniaca dello scandalo nel NT. Come nell’Antico Testamento, anche nel Nuovo Testamento lo scandalo è definito in rapporto a Dio.
Nel Nuovo Testamento skàndalon e skandalìzon hanno la stessa pregnanza di significato che nell’Antico Testamento e nel giudaismo, ma subiscono l’influenza del clima nuovo portato da Cristo. Gesù, la più assoluta sfida alla fede, richiama lo scandalo, ostacolo alla fede.
Nei sinottici i due significati principali di skàndalon hanno per centro Satana (il male) o Gesù (la fede). Un gruppo di testi è centrato sul male. È Matteo l’evangelista che mette in luce l’aspetto demoniaco dello scandalo. L’opera di Gesù, l’unto di Spirito santo che si oppone a Satana (Mc. 3,22.29), segna la sconfitta del principe delle tenebre; le espulsioni dei demoni lo manifestano.
Con immagini dell’apocalittica giudaica, Matteo evoca il dramma escatologico. Mt. 13,41 cita Sof. 1,3: gli scandali si riferiscono non solo agli uomini che con il loro esempio causano la rovina di altri, ma alle forze demoniache che lavorano alla corruzione dell’umanità. Esse raggiungono negli ultimi tempi il massimo di potenza nefasta. La vittoria definitiva sarà però dei figli dell’uomo.
Mt. 24,10 richiama Dan. 11,41: lo scandalo è qui la grande apostasia operata dalle potenze sataniche che hanno il compito di seminare il male nel mondo. Per il loro influsso molti si vendono a Satana e lo riconoscono per il Dio dell’universo.
Questi testi mostrano, già in luce escatologica, la grandezza del seduttore che distrugge la fede e induce alla caduta. Anche Mt. 18,7 va letto in prospettiva apocalittica; il testo non riguarda una semplice tentazione, ma mostra lo spaventoso pericolo dello scandalo che precede la venuta del messia e che esclude dalla salvezza. Ma anche gli scandali stanno sotto la necessità divina (anànk) e fanno parte del disegno di Dio, anzi, annunciano presente il suo venire, costringono alla scelta decisiva per o contro Dio. Pietro, che ha ricevuto autorità sulle potenze infernali (Mt. 16,16-19) diviene, a sua insaputa, un loro strumento. Lo scandalo si rivela come contrasto tra l’uomo e Dio, e se ne ricupera qui il senso anticotestamentario: gli idoli erano abominevoli per Iahvé; allo stesso modo è esecrabile lo scandalo. La decisione per o contro Dio passa per un punto solo, la croce; Pietro diviene scandalo per Gesù perché misconosce la via della croce. L’abbandono, da parte di Gesù, del piano di salvezza voluto dal Padre, comporterebbe l’abbandono del mondo alle forze demoniache. La proposta di Pietro è satanica (Mt. 16,21-23). Allo stesso modo i pastori possono divenire motivo di scandalo per il gregge quando la prudenza umana impedisce in essi l’ascolto dello Spirito (Gv. 10,11 s.).
 
Il Santo del giorno - 27 Febbraio 2025 - San Gabriele dell’Addolorata: Francesco Possenti nacque ad Assisi nel 1838. Perse la madre a quattro anni. Seguì il padre, governatore dello Stato pontificio, e i fratelli nei frequenti spostamenti. Si stabilirono, poi, a Spoleto, dove Francesco frequentò i Fratelli delle scuole cristiane e i Gesuiti. A 18 anni entrò nel noviziato dei Passionisti a Morrovalle (Macerata), prendendo il nome di Gabriele dell’Addolorata. Morì nel 1862, 24enne, a Isola del Gran Sasso, avendo ricevuto solo gli ordini minori. È lì venerato, nel santuario che porta il suo nome, meta di pellegrinaggi, soprattutto giovanili.
È santo dal 1920, compatrono dell’Azione cattolica e patrono dell’Abruzzo. (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 26 Febbraio 2025
 
Mercoledì VII Settimana T. O.
 
Sir 4,12-22 (NV) [gr. 4, 11-19]; Salmo Responsoriale Dal Salmo 118 (119); Mc 9,38-40
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 30 Settembre 2018): Giovanni e gli altri discepoli manifestano un atteggiamento di chiusura davanti a un avvenimento che non rientra nei loro schemi, in questo caso l’azione, pur buona, di una persona “esterna” alla cerchia dei seguaci. Invece Gesù appare molto libero, pienamente aperto alla libertà dello Spirito di Dio, che nella sua azione non è limitato da alcun confine e da alcun recinto. Gesù vuole educare i suoi discepoli, anche noi oggi, a questa libertà interiore.
Ci fa bene riflettere su questo episodio, e fare un po’ di esame di coscienza. L’atteggiamento dei discepoli di Gesù è molto umano, molto comune, e lo possiamo riscontrare nelle comunità cristiane di tutti i tempi, probabilmente anche in noi stessi. In buona fede, anzi, con zelo, si vorrebbe proteggere l’autenticità di una certa esperienza, tutelando il fondatore o il leader dai falsi imitatori. Ma al tempo stesso c’è come il timore della “concorrenza” – e questo è brutto: il timore della concorrenza –, che qualcuno possa sottrarre nuovi seguaci, e allora non si riesce ad apprezzare il bene che gli altri fanno:  non va bene perché “non è dei nostri”, si dice. È una forma di autoreferenzialità. Anzi, qui c’è la radice del proselitismo. E la Chiesa – diceva Papa Benedetto – non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, cioè cresce per la testimonianza data agli altri con la forza dello Spirito Santo.
La grande libertà di Dio nel donarsi a noi costituisce una sfida e una esortazione a modificare i nostri atteggiamenti e i nostri rapporti. È l’invito che ci rivolge Gesù oggi. Egli ci chiama a non pensare secondo le categorie di “amico/nemico”, “noi/loro”, “chi è dentro/chi è fuori”, “mio/tuo”, ma ad andare oltre, ad aprire il cuore per poter riconoscere la sua presenza e l’azione di Dio anche in ambiti insoliti e imprevedibili e in persone che non fanno parte della nostra cerchia. Si tratta di essere attenti più alla genuinità del bene, del bello e del vero che viene compiuto, che non al nome e alla provenienza di chi lo compie. E – come ci suggerisce la restante parte del Vangelo di oggi – invece di giudicare gli altri, dobbiamo esaminare noi stessi, e “tagliare” senza compromessi tutto ciò che può scandalizzare le persone più deboli nella fede.
 
I Lettura: L’Antico Testamento - Siracide (Ed. Paoline): 4,12 Chi ama la sapienza, ama la vita. Cfr. Prv 8,35, dove analogamente è detto che “chi trova me (la sapienza), trova la vita” e, si aggiunge, “ottiene favore dal Signore2. Qui non si specifica da chi proviene la gioia che ricolma quanti cercano e amano la sapienza, ma lo si deduce facilmente dal contesto (13-14).
4,14 Coloro che la venerano rendono culto. L’autore crea qui, sul piano terminologico (latreuō, leitourgeō) e concettuale, un rapporto di tipo cultuale tra l’amore della sapienza e l’amore di Dio, nel senso che la ricerca intellettuale che ha come via e termine il “timore del Signore” è da considerare anch’essa un modo di pregare e onorare Dio.
• Santo. Titolo solenne di Dio - frequente in Isaia, soprattutto nella sua formula più lunga, “il santo d’Israele” -, utilizzato da Ben Sira anche più avanti (23,9; 43,10; 47,8; 48,20).
4,15 Chi l’ascolta. Non solo perché è attento agli insegnamenti della sapienza, ma perché agisce in modo da metterli in pratica.
• con equità. Qui si traduce dall’ebraico ‘emet (fedeltà, verità, equità), dato che, seguendo il testo greco, si dovrebbe tradurre i “popoli” (ethne), venendo introdotto il concetto dei saggi abilitati a giudicarli. Cfr. anche Sap 3,8.
4,17 Che la conquista della sapienza comporti grandi rischi e prove severe lo testimonia questo lungo, minaccioso versetto. La sapienza è rappresentata nella veste di colei che accompagna il discepolo su ardui sentieri per verificare le sue attitudini e la sua capacità di resistenza. Il discepolo è messo cioè di fronte alle esperienze più dure, ben più pesanti dei suoi pur gravosi doveri scolastici; se egli saprà attraversarle indenne, senza cadere o perdersi, allora la sapienza riconoscerà l’autenticità della sua ricerca e la tempra dell’uomo fedele su cui poter contare.
4,19 l’abbandonerà ... destino. La rappresentazione della disciplina e del “metodo” pedagogico della sapienza si chiude con un’ulteriore minaccia sulle conseguenze funeste - per quanto solo alluse nel testo greco - che colpiranno quanti si saranno allontanati da lei.
4,20 bada ... guàrdati dal male. L’invito è a vigilare e a mettersi nell’atteggiamento morale giusto: sia per evitare il male, sia per agire bene, valutando le situazioni che possono rappresentare un pericolo o un’opportunità.
4,21 c’è una vergogna che è onore e grazia. La vergogna che viene qui giudicata positiva è il sincero riconoscimento dei propri peccati, seguito dalla volontà di pentirsi e di cambiare vita per vivere nella pace e nella giustizia gradite al Signore.
4,22 Non usare riguardi a tuo danno. Il monito sembra da intendere nel senso di non fare a se stessi delle preferenze che alla fine possono ritorcersi contro.
• non vergognarti a tua rovina. Non essendo specificato a quale vergogna ci si riferisce, si tratta probabilmente di qualunque vergogna porti al peccato (21) e come tale alla rovina.
 
Vangelo
Chi non è contro di noi è per noi.
 
Giovanni nel pretendere l’esclusivo potere di cacciare i demoni si rivela settario, molto lontano da una mentalità di servizio. La comunità cristiana, «deve essere aperta a tutti, anche quanti sono al di là della cerchia visibile dei suoi, e deve saper distinguere: un conto è essere pro o contro il Maestro [Mt 12,30], un conto è non appartenere esplicitamente ai suoi discepoli» (F. Lambiasi).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,38-40
 
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
 
Parola del Signore.
 
Chi non è contro di noi, è per noi - I Vangeli, in molte occasioni, non temono di mettere in evidenza i limiti caratteriali e le povertà intellettuali e spirituali degli Apostoli. Così, la richiesta da parte del discepolo che «Gesù amava» di mettere a regime lo Spirito Santo denuncia apertamente una mentalità gretta, tribale, non plasmata ancora dallo Spirito.
Giovanni è l’apostolo che aveva chiesto a Gesù, per sé e per suo fratello Giacomo, i primi posti nel Regno celeste (Mc 10,35-40). E sempre loro due chiederanno a Gesù di incenerire i Samaritani il cui unico torto era stato quello di non aver voluto accogliere il Maestro (Lc 9,54). Tutto questo, oltre a far capire con quale pasta Gesù costruì la sua Chiesa, al dire di molti autori, è un’ulteriore prova della veridicità dei racconti evangelici.
Quella di Giovanni, in pratica, è la richiesta di ottenere il monopolio della potenza del nome di Gesù. La risposta del Maestro sgombra il campo da ogni dubbio: di questa potenza i discepoli non sono i padroni; essa è data da Dio e solo Dio ne dispone i tempi e i modi e l’avvenuto miracolo attesta che chi l’ha operato ha agito con corretta intenzione: «non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me».
Gli esorcisti occupavano un posto molto importante anche in Israele in quanto a satana veniva addebitata ogni sorta di sciagure: l’uomo sedotto da satana scivolando nel peccato andava incontro ad ogni tipo di sofferenze, disgrazie e anche malattie fisiche, che palesavano in questo modo il giusto castigo di Dio. Gesù generalmente non contraddice questo modo di pensare, ma in qualche caso esclude una relazione diretta e precisa tra colpa e malattia (cf. Lc 13,2; Gv 5,14; 9,3).
La replica di Gesù - Chi non è contro di noi, è per noi - è una lezione di alto tono magistrale: dinanzi a Dio e di fronte al bene assoluto della salvezza, non vi sono distinzioni tra uomo e uomo, tra «tu sei dei nostri» e «tu non lo sei». L’unica distinzione che il Vangelo fa è riportata nel capitolo 25 di Matteo (vv. 31-45): avevo fame, avevo sete, ero ammalato, forestiero, nudo, malato e mi avete dato accoglienza e assistenza (oppure non me l’avete data). Solo su questa distinzione verterà il giudizio di Dio.
 
Basilio Caballero - Dio non è un monopolio - Secondo il libro degli Atti degli Apostoli (19,13ss) e le lettere di san Paolo, il problema posto dal vangelo di oggi si ripropose nella comunità primitiva. Come comportarsi con alcuni che, senza far parte dei discepoli di Gesù, scacciavano i demoni nel suo nome? La regola di comportamento è sempre la stessa. In casi simili, l’apostolo Paolo diceva: « Purché ... Cristo venga annunziato, io me ne rallegro» (Fil 1,18), perché «né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere» (lCor 3,7).
È un problema anche per i nostri giorni. L’appartenenza alla Chiesa non è l’unico criterio di adesione a Cristo e al regno di Dio. E questo regno non è limitato all’ambito della Chiesa, ma respira in tutti gli uomini e le donne di buona volontà, anche se non frequentano i nostri templi. Chi ama il prossimo e lavora sinceramente per un mondo più umano e per i diritti della persona, specialmente dei meno privilegiati, è a favore del vangelo e, se non rifiuta espressamente Cristo, è con lui e con noi, suoi seguaci.
Come vediamo da questa pagina evangelica, prima della Pasqua e della pentecoste, gli apostoli si credevano gli unici depositari del nome, della missione, del messaggio e dei poteri di Gesù. Era un modo in più di ambire al potere. Dopo avrebbero capito che non era così. Ebbene, il problema del monopolio si estende al giorno d’ oggi anche all’interno della nostra comunità cristiana. Dio, Cristo, il suo vangelo, i carismi, il bene e la verità non sono monopolio esclusivo di nessuno; appartengono sia alla gerarchia ecclesiastica, clero, religiosi e religiose, sia agli apostoli laici e al semplice popolo.
San Paolo ripete nelle sue lettere che nel popolo di Dio esistono diversità di carismi e di funzioni, ma un solo Spirito che li distribuisce, un solo Signore, una fede e una speranza comuni, e un solo Dio e Padre di tutti.
Gesù vuole la sua comunità in atteggiamento di dialogo e aperta al servizio di tutti gli uomini, tanto sul piano interno che esterno. Con questa apertura ed empatia non svendiamo il cristianesimo, non mettiamo in saldo il vangelo, né patrociniamo l’indifferenza e le mezze tinte che lo diluiscono. La parola di Dio è efficace e richiede la conversione a tutti, senza equivoci né compromessi, ma è anche profondamente umana e comprensiva.
 
Origene: Giovanni gli rivolse la parola: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava i demoni in nome tuo, ma non gliel’abbiamo permesso perché non è dei nostri»" (Mc 9,38).
Giovanni, che amava con straordinario fervore il Signore e perciò era degno di essere riamato, riteneva dovesse essere privato del beneficio chi non ricopriva un ufficio. Ma viene ammaestrato che nessuno dev’essere allontanato dal bene che in parte possiede, ma che piuttosto dev’essere invitato a ciò che non ancora possiede. Continua infatti: “Ma Gesù gli disse: «Non gliel’impedite. Non c’è nessuno infatti che operi miracoli nel mio nome e possa subito dopo parlar male di me. Chi infatti non è contro di voi, è con voi»” (Mc 9,39-40).
Lo stesso concetto ripete il dotto Apostolo: “Purché Cristo sia in ogni modo annunziato, per dispetto o con lealtà, io di questo godo e godrò!” (Fil 1,18). Ma anche se egli s’allieta per coloro che annunziano Cristo in modo non sincero e, poiché fanno di conseguenza talvolta miracoli per la salvezza degli altri, consiglia che non ne vengano impediti, tuttavia costoro per tali miracoli non possono sentirsi giustificati; anzi, in quel giorno in cui diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato in nome tuo, e non abbiamo scacciato i demoni nel tuo nome, e nel tuo nome non abbiamo compiuto molti miracoli?”, essi riceveranno questa risposta: “Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me voi che operate l’iniquità” (Mt 7,22-23). Perciò, per quanto riguarda gli eretici e i cattivi cattolici, dobbiamo solennemente respingere non quelle credenze e quei sacramenti che essi hanno in comune con noi e non contro di noi, ma la scissione che si oppone alla pace e alla verità, per la quale essi sono contrari a noi e non seguono in unità con noi il Signore.
 
Il Santo del Giorno - 26 Marzo 2025 - San Ludgero di Munster Vescovo (Frisia, c. 745 - 26 marzo 809): Nato verso il 745 in Frisia è legato all’evangelizzazione della Germania transrenana, come discepolo di Gregorio e di Alcuino di York. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta a Colonia nel 777, si dedicò alla evangelizzazione della regione pagana della Frisia. Nel 776, durante la prima spedizione in questa zona, Carlo Magno impose il battesimo a tutti i guerrieri vinti; ma la rivolta di Widukindo fu accompagnata da un’apostasia generale. Ludgero fuggì e raggiunse Montecassino. La rivolta di Widukindo venne domata nel 784. Lo stesso Carlo Magno andò a incontrare Ludgero a Montecassino e lo rimandò in patria, incaricandolo di riprendere la missione nella Frisia. Prese il posto dell’abate Bernardo nel territorio della Sassonia. Nel 795 Ludgero vi eresse il monastero, attorno al quale sorse l’attuale città di Munster. Il territorio apparteneva alla circoscrizione ecclesiastica di Colonia, poiché Ludgero accettò soltanto nell’804 di essere consacrato vescovo della nuova diocesi. A lui si deve anche la fondazione del monastero benedettino di Werden, dove è sepolto. Morì nell’anno 809. (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.