22 Gennaio 2025
 
Mercoledì II Settimana T. O.
 
Eb 7,1-3.15-17; Salmo Responsoriale Dal Salmo 109 (110); Mc 3,1-6
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che governi il cielo e la terra,
ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo
e dona ai nostri giorni la tua pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek: Benedetto XVI (Udienza Generale, 16 Novembre 2011): La Lettera agli Ebrei fa esplicito riferimento a questo versetto (cfr. 5,5-6.10; 6,19-20) e su di esso incentra tutto il capitolo 7, elaborando la sua riflessione sul sacerdozio di Cristo. Gesù, così ci dice la Lettera agli Ebrei nella luce del salmo 110 (109), Gesù è il vero e definitivo sacerdote, che porta a compimento i tratti del sacerdozio di Melchìsedek rendendoli perfetti. Melchìsedek, come dice la Lettera agli Ebrei, era «senza padre, senza madre, senza genealogia» (7,3a), sacerdote dunque non secondo le regole dinastiche del sacerdozio levitico. Egli perciò «rimane sacerdote per sempre» (7,3c), prefigurazione di Cristo, sommo sacerdote perfetto che «non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile» (7,16). Nel Signore Gesù risorto e asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre, si attua la profezia del nostro Salmo e il sacerdozio di Melchìsedek è portato a compimento, perché reso assoluto ed eterno, divenuto una realtà che non conosce tramonto (cfr 7,24). E l’offerta del pane e del vino, compiuta da Melchìsedek ai tempi di Abramo, trova il suo adempimento nel gesto eucaristico di Gesù, che nel pane e nel vino offre se stesso e, vinta la morte, porta alla vita tutti i credenti. Sacerdote perenne, «santo, innocente, senza macchia» (7,26), egli, come ancora dice la Lettera agli Ebrei, «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (7,25).
 
I Lettura: Gesù è sacerdote al modo di Melchìsedek: “il nome stesso di questo re-sacerdote [= «re di giustizia»] e il modo ideale e misterioso con cui compare nella Bibbia [Gen 14,18-20] lo rendono perfettamente  «rassomigliante al Figlio di Dio» [v. 3], il quale, derivando il proprio sacerdozio dalla sua stessa persona divina [v. 16b], non lo riceve per discendenza carnale [v. 16a] e lo possiede in eterno” (Messale dell’Assemblea Cristiana, Feriale).
 
Vangelo
È lecito in giorno di sabato salvare una vita o ucciderla?  
 
Ancora uno scontro con i farisei, e questa volta non più su questioni dottrinali, ma su qualcosa ancora più grave perché andava ad intaccare la dignità dell’uomo, infatti, l’oggetto della controversia la troviamo nelle parole di Gesù: è lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla? L’uomo non può essere ridotto ad un oggetto, e la sua vita non può dipendere da squilibrati sofismi o da capricciose interpretazioni della legge. Alla domanda di Gesù i farisei non sanno cosa rispondere, il loro cuore è inquinato dall’ira, e l’odio ha ottenebrato la loro mente. Non si arrendono nemmeno dinanzi all’evidenza e rifiutando l’evidenza rifiutano la Verità, rigettano Colui che è la Verità, e allo stesso tempo si smarriscono nei loro tortuosi pensieri: i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. Rifiutare Gesù è rifiuto della Verità, è sprofondare nella bestemmia contro lo Spirito Santo perché tutta la verità, pronunciata da chicchessia, viene dallo Spirito Santo (San Tommaso d’Aquino). E a questo proposito, Gesù ha solennemente detto: Qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non verrà perdonata (Mt 12,31; cfr. 1Gv 5,16).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 3,1-6
 
In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo.
Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita.
E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 4 Gesù, conoscendo il rigorismo dei Farisei sull’osservanza del sabato, vuol dimostrare in modo pratico ed accessibile a tutti i presenti come un’interpretazione servile della legge sia contraria al precetto dell’amore del prossimo. Agli avversari egli propone un caso di coscienza in questi termini: È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male? Salvare una vita o lasciarla morire? Il dilemma proposto da Gesù in quella circostanza aveva il senso seguente: è permesso in giorno di sabato compiere un’azione buona pur contravvenendo alla lettera della legge sul rispetto del sabato, oppure bisogna lasciar correre il male astenendosi dal compiere un’azione buona e richiesta dal bisogno per osservare la formulazione verbale del precetto? Il dilemma era imbarazzante; i Farisei infatti ammettevano che in giorno di sabato si potevano compiere azioni buone e si poteva soccorrere chi era in pericolo di vita; Gesù tuttavia fa loro capire che l’interpretazione del riposo sabatico era troppo ristretta e soggettiva. Per quale motivo essi limitavano il compimento delle azioni buone soltanto nel caso che il pericolo di morte lo avesse richiesto? Se in giorno di sabato si può strappare dalla morte un infelice, perché mai non si può guarirlo? Ma quelli tacevano; i Farisei erano troppo superbi per dichiararsi vinti; essi inoltre non vollero nemmeno giustificarsi davanti a Gesù, poiché, in questo caso, sarebbero passati dalla parte di accusatori a quella di accusati che devono discolparsi. Preferirono quindi tacere.
5 Marco soltanto c’informa sulla reazione psicologica che ebbe Gesù davanti all’indurimento dei Farisei (con indignazione, contristato). La descrizione viva dell’evangelista, dovuta al suo informatore, Pietro, testimone dei fatti, ci rivela la perfezione della natura umana di Gesù. Lo sdegno di Gesù è quello di una persona nobile che disapprova l’ostinazione cieca ed irragionevole di quelle persone prevenute e settarie che non vogliono arrendersi all’evidenza delle cose e della verità. Per l’indurimento; il greco è molto più espressivo, dice infatti: per l’impietrimento, per la callosità (πώρωσις); la Volgata è inesatta, oppure suppone un’altra lettura, poiché ha: super caecitate. Stendi la mano; la malattia o l’infortunio aveva rattrappito le dita della mano (cf. versetto 1).
6 Gli Erodiani (cf. Mt., 22, 16), più che persone influenti o funzionari della corte di Erode Antipa, dovevano essere Ebrei sostenitori della dinastia di Erode, per cui avevano una certa entratura presso il tetrarca della Galilea. I Farisei avevano bisogno degli Erodiani per accusare Gesù come agitatore presso il tetrarca ed anche per deferirlo al Sinedrio di Gerusalemme. Concertarono; non soltanto si consigliarono, ma decisero di farlo morire.
 
Entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. Gesù è spiato dai farisei, dai sadducei, dagli erodiani, nemici acclarati del giovane Rabbi di Nazaret: il loro cuore è colmo di ira, di sdegno; la loro mente è immersa nel buio della vanagloria, e così non lesinano astuzie per mettere in difficoltà Gesù. Sono pronti a tutto pur di farlo morire, e a questo scopo non disdegnano di allearsi con gli erodiani, da loro odiati perché considerati miscredenti. I Farisei costituivano il gruppo religioso più importante del giudaismo al tempo di Gesù. Scrupolosi osservanti della Legge mosaica si opposero con tenacia all’influsso del paganesimo ellenistico e rifiutarono apertamente il culto degli imperatori romani. Molti però portarono all’eccesso il loro zelo religioso, fino a scivolare nella ipocrisia, nella vanagloria e nel fanatismo. Gesù ha messo in guardia i suoi discepoli dal lievito dei farisei e dei sadducei (Mt 16,5), e perché possano entrare nel regno dei cieli esige che la loro giustizia superi quella degli scribi e dei farisei (Mt 5,20). Nella pienezza del tempo (Gal 4,4), i discepoli di Cristo hanno rivestito l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (Ef 4,24), per cui hanno bandito dalla loro vita la menzogna (Ef 4,25). I credenti in Cristo nel confessare il mistero ineffabile della santissima Trinità professano che Dio è veritiero (Rm 3,4), che Cristo è la verità (Gv 14,6), pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), il testimone Fedele e Veritiero (Ap 19,11), che lo Spirito Santo è verità (Gv 16,13). I cristiani, cinti i fianchi con la verità (Ef 6,14), camminano nella verità  (3Gv 4).
 
«Che hai fatto?» (Gn 4, 10): L’eclissi del valore della vita - Evangelium vitae n.10: Il Signore disse a Caino: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!» (Gn 4, 10). La voce del sangue versato dagli uomini non cessa di gridare, di generazione in generazione, assumendo toni e accenti diversi e sempre nuovi. La domanda del Signore «Che hai fatto?», alla quale Caino non può sfuggire, è rivolta anche all’uomo contemporaneo perché prenda coscienza dell’ampiezza e della gravità degli attentati alla vita da cui continua ad essere segnata la storia dell’umanità; vada alla ricerca delle molteplici cause che li generano e li alimentano; rifletta con estrema serietà sulle conseguenze che derivano da questi stessi attentati per l’esistenza delle persone e dei popoli.
Alcune minacce provengono dalla natura stessa, ma sono aggravate dall’incuria colpevole e dalla negligenza degli uomini che non raramente potrebbero porvi rimedio; altre invece sono il frutto di situazioni di violenza, di odi, di contrapposti interessi, che inducono gli uomini ad aggredire altri uomini con omicidi, guerre, stragi, genocidi. E come non pensare alla violenza che si fa alla vita di milioni di esseri umani, specialmente bambini, costretti alla miseria, alla sottonutrizione e alla fame, a causa di una iniqua distribuzione delle ricchezze tra i popoli e le classi sociali? o alla violenza insita, prima ancora che nelle guerre, in uno scandaloso commercio delle armi, che favorisce la spirale dei tanti conflitti armati che insanguinano il mondo? o alla seminagione di morte che si opera con l’inconsulto dissesto degli equilibri ecologici, con la criminale diffusione della droga o col favorire modelli di esercizio della sessualità che, oltre ad essere moralmente inaccettabili, sono anche forieri di gravi rischi per la vita? È impossibile registrare in modo completo la vasta gamma delle minacce alla vita umana, tante sono le forme, aperte o subdole, che esse rivestono nel nostro tempo!
 
Beda (Comm. in Marci ev., I): Vi era un uomo con una mano paralizzata: l’uomo con la mano paralizzata raffigura il genere umano, inaridito per la mancanza delle buone opere e guarito dalla misericordia del Signore. La sua mano destra, che si era inaridita nel primo uomo quando aveva colto la mela dell’albero proibito, è stata restituita alla salute dalla linfa delle buone opere, attraverso la Grazia del Redentore, quando Egli ha steso le sue mani innocenti sull’albero della Croce.
 
Il Santo del giorno - 22 Gennaio 2023 - Beata Laura Vicuña: Nacque a Santiago del Cile nel 1891. Rimasta orfana di padre all’età di due anni, si trasferì con la mamma in Argentina, dove frequentava il collegio delle Suore Salesiane. All’età di dieci anni, ad imitazione di Domenico Savio, di cui aveva sentito parlare, volle formulare tre propositi: 1) Mio Dio, voglio amarvi e servirvi per tutta la vita; perciò vi dono la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere; 2) Voglio morire piuttosto che offendervi con il peccato; perciò intendo mortificarmi in tutto ciò che mi allontanerebbe da voi! 3) Propongo di fare quanto so e posso perché voi siate conosciuto e amato, e per riparare le offese che ricevete ogni giorno dagli uomini, specialmente dalle persone della mia famiglia. Morì giovanissima il 22 gennaio 1904, dopo essere diventata la bambina più generosa e simpatica di tutta la scuola. Simpatica ma anche energica quanto bastò per fronteggiare con coraggio le insidie violente che un maniaco le tendeva. La sua figura impressiona per la straordinaria determinazione che questa bambina sapeva esprimere, pronunziando con fermezza il suo proposito: “la morte ma non peccati”. È un invito a riflettere come i bambini sappiano talora essere radicali nelle loro scelte, e come in particolare la bambine custodiscono tesori spesso ignorati.
 
Infondi in noi, o Padre,
lo Spirito del tuo amore,
perché saziati dall’unico pane del cielo,
nell’unica fede siamo resi un solo corpo.
Per Cristo nostro Signore.
 
 21 Gennaio 2025
 
Sant’Agnese, Vergine e Martire
 
Eb 6,10-20; Salmo Responsoriale Dal Salmo 110 (111); Mc 2,23-28
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che scegli le creature miti e deboli per confondere quelle forti,
concedi a noi, che celebriamo la nascita al cielo
della tua martire sant’Agnese,
di imitare la sua costanza nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Discorso 20 Gennaio 2012): Sant’Agnese è una delle famose fanciulle romane, che hanno illustrato la bellezza genuina della fede in Cristo e dell’amicizia con Lui. La sua duplice qualifica di Vergine e Martire richiama la totalità delle dimensioni della santità. Si tratta di una completezza di santità che è richiesta anche a voi dalla vostra fede cristiana e dalla speciale vocazione sacerdotale con la quale il Signore vi ha chiamato e vi lega a Sé. Martirio – per sant’Agnese – ha voluto dire la generosa e libera accettazione di spendere la propria giovane vita, nella sua totalità e senza riserve, affinché il Vangelo fosse annunziato come verità e bellezza che illuminano l’esistenza. Nel martirio di Agnese, accolto con coraggio nello stadio di Domiziano, splende per sempre la bellezza di appartenere a Cristo senza tentennamenti, affidandosi a Lui. Ancora oggi, per chiunque passi in Piazza Navona, l’effige della Santa dall’alto del frontone della chiesa di Sant’Agnese in Agone, ricorda che questa nostra Città è fondata anche sull’amicizia per Cristo e la testimonianza del suo Vangelo, di molti dei suoi figli e figlie. La loro generosa donazione a Lui e al bene dei fratelli è una componente primaria della fisionomia spirituale di Roma.
Nel martirio, Agnese sigilla anche l’altro elemento decisivo della sua vita, la verginità per Cristo e per la Chiesa. Il dono totale del martirio è preparato, infatti, dalla scelta consapevole, libera e matura, della verginità, testimonianza della volontà di essere totalmente di Cristo. Se il martirio è un atto eroico finale, la verginità è frutto di una prolungata amicizia con Gesù maturata nell’ascolto costante della sua Parola, nel dialogo della preghiera, nell’incontro eucaristico. Agnese, ancora giovane, aveva imparato che essere discepoli del Signore vuol dire amarlo mettendo in gioco tutta l’esistenza. Questa duplice qualifica – Vergine e Martire – richiama alla nostra riflessione che un testimone credibile della fede deve essere una persona che vive per Cristo, con Cristo e in Cristo, trasformando la propria vita secondo le esigenze più alte della gratuità.
 
I Lettura: L’autore della Lettera agli Ebrei ricorda ai credenti che è la speranza a dare tono alla vita cristiana, in quanto poggia sulle promesse di Dio, e Dio è fedele e non mente. Inoltre la speranza, squarciando  il velo del Cielo, apre gli occhi dei discepoli alla dolce visione delle ultime realtà.
 
Vangelo
Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!
 
L’oggetto della controversia di Gesù con i farisei è il sabato, il cui riposo era rigorosamente prescritto nel giudaismo. Gesù risponde ai suoi interlocutori ricordando che anche la Legge, a volte, ammetteva delle eccezioni e lo aveva fatto con Davide, il quale per sopravvivere alla fame, aveva violato una norma sacra cibandosi dei pani rituali, proibiti ai semplici fedeli (Lv 24,9). Con questa risposta, Gesù sottolinea che l’esistenza umana è più importante della norma: infatti, il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! E Gesù è signore anche del sabato: Egli non è venuto “a condannare l’uomo, ma a salvarlo da ogni alienazione e in primo luogo dalla alienazione legale. Questo è il punto centrale della signoria di Cristo” (José Maria Gonzales-Ruiz).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 2,23-28
 
In quel tempo, di sabato Gesù passava tra i campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe.
I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».
E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo  e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».
 
Parola del Signore.
 
In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano - Lisa Cremaschi: Il precetto del riposo in giorno di sabato (in ebraico: shabbat, dal verbo shavat: astenersi, cessare) è fondamentale per l’ebraismo. La fede ebraica, infatti, attribuisce grande importanza al tempo, prima ancora che allo spazio. Prima dell’architettura del Tempio, che racchiude il Santo dei santi, il luogo della presenza di Dio, vi è l’architettura del tempo, scandito dal riposo del sabato e d alla celebrazione delle feste.
È Dio stesso che santifica il tempo (Gn 2,3), mentre lo spazio è santificato da Mosè (Nm 7,11). La Bibbia presenta diverse giustificazioni del riposo sabbatico. Occorre astenersi dal lavoro il settimo giorno perché Dio, dopo aver creato i cicli e la terra in sei giorni, il settimo si riposò (Gn 2,1-3; Es 20,11); il sabato inoltre è legato alla memoria dell’esodo dall’Egitto (Dt 5,12-15) ed è segno del legame particolare che unisce Dio al suo popolo (Es 31,13-16).
Con il riposo del settimo giorno l’ebreo intende dunque fare memoria della creazione, confessare la signoria di Dio sul creato e sulla storia, sulle opere delle mani dell’uomo, che vengono interrotte dopo i sei giorni dedicati al lavoro. Il sabato è ancora memoriale della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto orientata al libero servizio di Dio e anticipazione della liberazione piena e definitiva. La celebrazione della signoria di Dio apre il credente alla fraternità, a condividere la gioia della liberazione con gli altri (Es 20,10).
Durante l’esilio il sabato divenne un elemento di primaria importanza per la salvaguarda dell’identità religiosa degli ebrei; la scrupolosa osservanza dell’astensione dal lavoro, accompagnata dallo studio della Torà nella sinagoghe è un carattere distintivo del giudaismo. Ancor oggi allo spuntare delle prime tre stelle al tramonto del giorno di venerdì viene accolto il sabato, celebrato quale “ospite” o “sposa” di Israele; per sottolineare tale rapporto sponsale in alcune comunità ebraiche in questo giorno si legge il Cantico dei cantici.
Gesù osserva il sabato ma critica un’osservanza legalistica e formale dello stesso (Mt 12,1-7), pone dei segni concreti di quella salvezza che questo giorno intende commemorare, operando guarigioni, restituendo la vita ai morti (Mc 3,1-5 e par.; Lc 13,10-17; 14,1-6; Gv 5,1-18; 9,1-41); egli si d dichiara Signore del sabato (Mc 2,23-28). La comunità cristiana progressivamente distaccatasi dal giudaismo celebra la memoria della creazione e della salvezza il giorno successivo al sabato, “il giorno del Signore” e della sua risurrezione (Ap 1,10).
 
Non avete mai letto quello che fece ... - Davide Benoit Standaert (Marco): In che modo Gesù ha risposto alla domanda postagli, con l’insinuazione che i suoi discepoli trasgrediscono ciò che è prescritto perché fanno un «lavoro» vietato il giorno del riposo? Nella risposta si suggerisce una sorprendente identificazione fra Davide e i suoi compagni, da una parte, e fra Gesù e i suoi discepoli, dall’altra. I primi si servono dei pani vietati nello spazio sacro della casa di Dio, i secondi mangiano le spighe strappate nel campo, cosa vietata nel giorno sacro del sabato. Si sottolinea un’analogia (Davide e i suoi compagni: Gesù e i suoi discepoli) e si opera una sorprendente trasposizione, passando dal tempo sacro allo spazio sacro. Ma da entrambe le parti c’è una libertà rispetto al divieto riconosciuto (si noti la ripresa «cosa che non è lecita» da parte di Gesù nella sua replica). Tutto questo mostra un Gesù molto libero nel suo modo di leggere le Scritture, di vedere il mondo e di comprendere se stesso. L’associazione spontanea con la figura di Davide lascia intravedere qualcosa sulla meditazione di Gesù al riguardo. Davide era braccato quando avvenne questo episodio, ma ha osato reclamare per sé e per i suoi questo pane vietato. Gesù - ugualmente braccato - vi attinge l’ispirazione per rimettere al loro posto i suoi interlocutori e discolpare i suoi discepoli. Nulla nel contesto immediato spinge a credere che Gesù citi questo esempio perché si presenta come Messia, con la coscienza di essere «il figlio di Davide». Ma come Davide e i suoi compagni, Gesù e i suoi discepoli sono in missione, spinti da un’urgenza: la venuta del Regno, una realtà che comporta dei diritti e delle libertà. Gesù non si preoccupa troppo di sapere se sia stato compreso a meno: la domanda retorica. Davide non ha forse fatto così? Ora la domanda implicita - «E io con ì miei discepoli non posso fare altrettanto?» non viene neppure più posta.
 
Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato - Giovanni Paolo II (17 Febbraio 1988): Non possiamo concludere senza un ultimo accenno al fatto che Gesù per lo più ha parlato di se stesso come del “Figlio dell’uomo” (Mc 2,10.28; 14,62; Mt 8,20; 16,27; 24,27; Lc 9,22; 11,30; Gv 1,51; 8,28; 13,31). Questa espressione secondo la sensibilità del linguaggio comune d’allora poteva anche indicare che egli è vero uomo così come tutti gli altri esseri umani, e senza dubbio contiene il riferimento alla sua reale umanità.
Tuttavia il significato strettamente biblico, anche in questo caso, va stabilito tenendo conto del contesto storico risultante dalla tradizione di Israele, espressa e influenzata dalla profezia di Daniele che dà origine a quella formulazione di un concetto messianico (cf. Dn 7,13-14). “Figlio dell’uomo” in tale contesto non significa soltanto un comune uomo appartenente al genere umano, ma si riferisce a un personaggio che riceverà da Dio una dominazione universale e trascendente i singoli tempi storici, nell’era escatologica.
Sulla bocca di Gesù e nei testi degli evangelisti la formula è pertanto carica di un senso pieno che abbraccia divino e umano, cielo e terra, storia ed escatologia, come lo stesso Gesù ci fa intendere quando, testimoniando davanti a Caifa di essere il Figlio di Dio, predice con forza: “D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, venire sulle nubi del cielo” (Mt 26,64). Nel Figlio dell’uomo è dunque immanente la potenza e la gloria di Dio. Siamo di nuovo di fronte all’unico Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio.
 
Beda (Commento in Marci ev., I): Un sabato, mentre il Signore passava per i campi seminati, i suoi discepoli cominciarono a cogliere delle spighe: i discepoli passano attraverso i campi seminati per significare che i buoni maestri esaminano con materna cura quanti vogliono essere istruiti nella fede della verità, e giudicano ogni caso con scrupolosa attenzione per vedere come debbano, dal particolare stato in cui si trovano, condurli alla salvezza ... Colgono le spighe  in cui s’imbattono, e le sbriciolano tra le mani, liberandole della pula, finché non giungono al chicco; questo fanno quando con la meditazione si appropriano delle verità delle Scritture.
 
Il Santo del giorno: 21 Gennaio 2025 - Sant’Agnese, Martire: Agnese nacque a Roma da genitori cristiani, di una illustre famiglia patrizia, nel III secolo. Quando era ancora dodicenne, scoppiò una persecuzione e molti furono i fedeli che s’abbandonavano alla defezione. Agnese, che aveva deciso di offrire al Signore la sua verginità, fu denunciata come cristiana dal figlio del prefetto di Roma, invaghitosi di lei ma respinto. Fu esposta nuda al Circo Agonale, nei pressi dell’attuale piazza Navona. Un uomo che cercò di avvicinarla cadde morto prima di poterla sfiorare e altrettanto miracolosamente risorse per intercessione della santa. Gettata nel fuoco, questo si estinse per le sue orazioni, fu allora trafitta con colpo di spada alla gola, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli. Per questo nell’iconografia è raffigurata spesso con una pecorella o un agnello, simboli del candore e del sacrificio. La data della morte non è certa, qualcuno la colloca tra il 249 e il 251 durante la persecuzione voluta dall’imperatore Decio, altri nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano. (Avvenire)
 
O Dio, che hai glorificato tra i santi la beata Agnese
con la duplice corona della verginità e del martirio,
per la potenza di questo sacramento
donaci di superare con forza ogni male,
per raggiungere la gloria del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 20 Gennaio 2025
 
Lunedì II Settimana T. O.
 
Eb 5,1-10; Salmo Responsoriale Dal Salmo 109 (110); Mc 2,18-22
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che governi il cielo e la terra,
ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo
e dona ai nostri giorni la tua pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Vino nuovo in otri nuovi -  Giovanni Paolo II (Omelia, 8 Agosto 1985): Il Vangelo è un dono gratuito, una grazia. La fede, la vostra risposta di credenti è una grazia. A partire da questa grazia, c’è tutto un rinnovamento che può essere compiuto, che voi dovete compiere, nella vostra vita personale, familiare, culturale, sociale, nazionale, nei vostri costumi, nelle vostre istituzioni, in tutto il mondo nel quale vivete. “Se uno è in Gesù Cristo, egli è una creatura nuova. Il mondo antico è passato, un mondo nuovo è già nato” (cfr. 2 Cor 5,17). È un mistero molto bello, questo rinnovamento. Lo troviamo espresso in molte parole di Gesù e degli apostoli, e lungo tutta la tradizione della Chiesa, fino al recente Concilio Vaticano II. Gesù ha paragonato il suo Vangelo a un vino nuovo che richiedeva otri nuovi, o anche a un tessuto nuovo, che non poteva adattarsi che a un abito nuovo (cfr. Mt 9,16-17). Egli è venuto a stabilire la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. Lc 22,5), che esige e comporta “un cuore nuovo”, “uno spirito nuovo”, come aveva annunciato il profeta Ezechiele (cfr. Ez 36, 26). Gesù ha parlato a Nicodemo di una nascita nuova (cfr. Gv 3,5), mediante il Battesimo e la parola di verità (cfr. Gc 1,18). A sua volta, San Paolo ha riccamente spiegato ai cristiani di Efeso questo rinnovamento del discepolo di Gesù: “Dovete - egli dice - deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4,22-24). E Paolo elenca un certo numero di ostacoli da superare: menzogna, collera, furto, pigrizia, cattive parole, animosità, cattiveria. Sì, tutta l’opera della redenzione compiuta da Gesù è un rinnovamento delle persone, e attraverso di esse, del mondo che le circonda, dell’universo intero.
 
I Lettura: Gesù, solidale con gli uomini, sa compatire le loro miserie perché le ha vissute (Cf. Eb 2,17-18; 4,15). Gesù venne esaudito non nel senso che egli sia stato sottratto alla morte, che era l’obiettivo della sua incarnazione e di tutta la sua vita, ma è stato sottratto al suo potere (Cf. At 2,24s) e Dio ha trasformato questa morte in una esaltazione di gloria. Gesù fu esaudito per il suo pieno abbandono: il termine implica rispetto e sottomissione. Per questi sentimenti la preghiera di Cristo nel Getsemani e sulla Croce fu esaudita diventando, allo stesso tempo, modello di ogni preghiera umana. Gesù, consumato il proprio ufficio di sacerdote e vittima, fu reso perfetto divenendo in tal modo causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
 
Vangelo
Lo sposo è con loro.
 
Le parole di Gesù contengono una profezia: nella espressione verranno giorni in cui sarà tolto lo sposo, il verbo togliere o strappare (apairomai), nel Nuovo Testamento, usato solo al passivo, preannuncia la fine violenta di Gesù. Solo allora in quei giorni, il tempo della Chiesa, ci sarà posto anche per il digiuno.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 2,18-22
 
In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».
 
Parola del Signore.
 
José Maria González-Ruiz: Tutti i gruppi religiosi di quel tempo, senza escludere i discepoli di Giovanni Battista, si riconoscevano facilmente dalla pratica di certi riti ascetici fra i quali il più conosciuto era il digiuno.
Come si spiega dunque che il «gruppo di Gesù» non pratica il digiuno? La risposta va al di là dei limiti del metodo casuistico secondo il quale era stata formulata la domanda. Gesù supera quel piccolo mondo, nel quale non mancava un certo masochismo ascetico. Bisogna mirare al regno di Dio: tutto il resto verrà come un’aggiunta nell’armonia dell’insieme (cf Mt 6,33). Le raccomandazioni etiche particolari non dovrebbero regolare i casi particolari, ma solo manifestare il risultato della presenza di Dio nell’azione umana.
In questo caso, si tratta d’una circostanza gioiosa: i discepoli si trovano in un momento di pienezza interiore. Il paragone è esatto: il gruppo apostolico viveva un istante di gioia nel momento delle nozze. Quindi era necessario non precipitare gli avvenimenti: la loro adesione al Maestro li porterà fatalmente a momenti difficili, nei quali sarà necessario stabilire il rito del digiuno per fare penitenza. Le sue parole che, in un primo momento, hanno un’apparenza ascetica, in realtà non esigono nessuna ascesi concreta mentre allo stesso tempo comportano un impegno totale ogni volta che se ne presenta il caso.
Il ritualismo, contro il quale Gesù polemizza, mirava, come ogni ritualismo, a stabilire fin dal principio un atteggiamento religioso dell’uomo. Al contrario, il vangelo toglie all’uomo la possibilità di pianificare la propria salvezza. Nel vangelo, è Dio che ha l’iniziativa assoluta.
Anche gli altri due paragoni sono abbastanza espressivi. Gesù non ha intenzione di spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra (Is 42,3s; Mt 12,20). Per questo, dimostra un grande rispetto per certe esperienze religiose, specialmente per quelle che si riferiscono al gruppo del Battista.
Ma allo stesso tempo non intende ingannare nessuno. Non intende mettere una toppa di panno nuovo, che è il vangelo, sul vestito vecchio di quelle esperienze religiose, per quanto fossero rispettabili. Né pensa di versare il vino nuovo del vangelo negli otri vecchi delle istituzioni giudaiche, perché, se facesse così, rischierebbe di perdere tanto gli otri vecchi quanto il vino nuovo.
Ecco una posizione ideale per i momenti di crisi. Non si tratta di « rifare la faccia » a una vecchia consuetudine, ma di sostituirla con un’altra completamente nuova. Questo però dev’essere fatto conservando il massimo rispetto alle vecchie usanze di persone e di gruppi, della buona volontà e dell’onestà dei quali il cristiano non ha il diritto di dubitare.
In una parola, non si tratta di transazioni, ma d’un atteggiamento veramente rivoluzionario; nello stesso tempo, si tratta di rispettare coloro che da sempre hanno optato per una prassi diversa. Queste sono le regole dell’ecumenismo inter-ecclesiale.
 
Myles M. Bourke: 5,1. affinché offra donî e sacrifici per peccati: Alcuni commentatori sono dell’avviso che «doni» si riferisca alle offerte di grano e «sacrifici» alle offerte di animali, ma probabilmente l’autore non intendeva affatto una tale distinzione. Come risulta più avanti (c. 9), il rito del giorno della espiazione è l’antitipo veterotestamentario su cui l’autore accentra il suo maggior interesse; è una espiazione dei «peccati» più che del «peccato» (cfr. Lv 16,30.34); da qui l’uso del plurale. 2. possa mostrarsi indulgente verso î peccatori traviati:  Lett., «verso gli ignoranti e i traviati». Il termine greco metriopathein, «mostrarsi indulgente verso» non ricorre altrove nella Bibbia; corrisponde a un termine della filosofia stoica che significa «la via di mezzo tra passione e mancanza di sentimento» (O. MICHEL, Brief an die Hebrier, 130 s.). La definizione dei peccatori come «gli ignoranti e i traviati» non indica che l’autore aveva in mente soltanto coloro che non erano consci della natura peccaminosa delle loro azioni o che commettevano offese morali o violazioni rituali meno serie. I soli peccati per i quali l’espiazione sacrificale era impossibile erano quelli designati in NuM 15,30 come i peccati commessi «a mano alzata». Questi sono probabilmente i peccati perpetrati deliberatamente, e non quelli in cui un uomo «cade» debolezza umana (v. H.H. ROWLREY, BJRylL 33 [1950-51] 74-110); così «gli ignoranti e i traviati» sembra includere tutti i peccatori eccetto quelli che peccano «a mano alzata». essendo anch’egli soggetto a debolezza: La debolezza di cui si parla è principalmente quella che porta al peccato, come indica il v. 3 (cfr. Lv dt: 16 ,6).  6. Mentre il Sal 110,1 è frequentemente utilizzato nel NT in riferimento al Gesù esaltato, il v. 4 (qui citato) è usato esclusivamente dall’autore di Eb (cfr. anche 7,17.21).
 
Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito - José Maria González-Ruiz: Forse in nessun passo del NT, si parla in modo così impressionante della piena umanità di Cristo e della sua debolezza. Nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida .., e imparò l’ubbidienza dalle cose che patì. Quest’immagine di Cristo che prega in modo quasi violento non corrisponde alla presentazione che ci fanno di Gesù i vangeli quando lo sorprendono in atto di pregare o d’insegnare a pregare. L’immagine di Cristo che prega in questo modo corrisponde unicamente alla scena del Getzemani (v. specialmente Lc 2,39-46). L’unica difficoltà, almeno in apparenza, per far coincidere questa descrizione con la scena del Getzemani è che, nel nostro testo, si dice che Cristo fu ascoltato. Nel Getzemani, non fu ascoltato, o almeno, non fu liberato dalla morte, anche se fu liberato dal sepolcro. Ci troveremmo qui davanti allo schema « umiliazione-esaltazione », frequente fra i primi cristiani per presentare il fatto di Gesù.
Imparò l’ubbidienza dalle cose che patì. Gesù non raggiunse la perfezione attraverso purificazioni rituali, ma attraverso il dolore e la sofferenza, sebbene fosse il Figlio di Dio, l’irradiazione della gloria di Dio e l’impronta perfetta della sua sostanza (1,3). Sebbene fosse il Figlio di Dio, percorse la via della sofferenza come i fratelli che veniva a salvare. Già i pensatori greci avevano scoperto che gli dèi preparavano gli uomini, facendoli passare per questa via per raggiungere la sapienza.
L’ubbidienza appresa dal Figlio attraverso la sofferenza non allude affatto a sue personali disubbidienze, poiché la sua rassomiglianza in tutto e per tutto ai suoi fratelli ha un’eccezione, quella del peccato e della disubbidienza (v. il commento a 4,12-16). Qui si vuol dire che la sua esperienza nella sofferenza gl’insegnò quello che comporta per l’uomo l’ubbidienza a Dio finché dura la vita presente; quello che costa quest’ubbidienza, il sacrificio e il dolore che comporta la fedeltà a Dio. Per questo, egli può « simpatizzare » perfettamente con i suoi fratelli. Questo apprendistato dell’ubbidienza fu necessario per renderlo « perfetto », cioè perfettamente capace d’esercitare la sua sovranità e il suo sacerdozio su coloro per i quali è causa di salvezza eterna.
 
Vecchio e Nuovo - Dopo la partenza dello Sposo, la pratica del digiuno deve essere rinnovata.
Sia l’immagine del panno grezzo, dove grezzo sta per nuovo, che quella del vino vogliono mettere in evidenza quanto sia inutile tentare di conciliare il vecchio  con il nuovo. L’insegnamento di Gesù non è un rattoppo del giudaismo, né il Vangelo si può adattare alla legge mosaica. Nel nuovo ordine della grazia instaurato da Cristo, tre sono le caratteristiche principali del digiuno cristiano.
Primo, il digiuno deve essere praticato con grande libertà spirituale. Gesù non ha «istituito un digiuno determinato, ha mangiato e bevuto liberamente. Anche s. Paolo ha voluto inculcare un forte senso di libertà, mettendo in guardia però dal fare di questa un pretesto per vivere secondo la carne [Gal 5,13]. Personalmente egli ha digiunato, pur in mezzo alle numerose prove della sua vita; più volte egli ricorda ai cristiani quei suoi volontari digiuni [2Cor 6,4-5], spiega loro la funzione delle privazioni volontarie [1Cor 9,25-27], e propone il proprio esempio affinché essi, forti in Cristo, sappiano adattarsi ad ogni situazione, di abbondanza e di privazione [Fil 4,11-13]. L’essenziale è “discernere quello che Dio vuole” [Rom 12,2]. Nella diversità delle condizioni e delle vocazioni, si può servire Dio sia digiunando che mangiando; l’importante è farlo “per il Signore”, rendendogli grazie [Rom 14,3-6]» (R. Tufariello). Secondo, il digiuno non può essere ispirato al disprezzo del corpo perché è tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,15). Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono, e «nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera» (1Tm 4,3-5). Terzo, il digiuno è prezioso agli occhi di Dio quando è informato dalla carità e apre il cuore all’amore.
Un cappellano di guerra si avvicinò a un ferito nell’infuriare della battaglia. «Vuoi che ti legga la Bibbia?». Ma il ferito rispose: «Prima dammi da bere; ho le labbra riarse, ho sete». Il cappellano gli offrì l’ultima goccia di acqua della sua borraccia.
Pensava che allora avrebbe potuto leggergli la Bibbia, ma il ferito gli disse che aveva fame e anche freddo. Il cappellano tirò fuori dal suo zaino l’ultimo pezzo di pane e glielo diede. Lo stesso fece con il suo cappotto con il quale coprì amorevolmente il corpo straziato del soldato ferito.
Finalmente questi gli disse: «Ora sì, leggimi la Bibbia. Parlami di quel Dio che ti ha spinto a darmi la tua ultima goccia d’acqua, il tuo ultimo pezzo di pane e il tuo unico cappotto. Voglio conoscere questo Dio misericordioso».
 
Digiuno incompleto - Girolamo, Epist., 22, 37: Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t’arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Isaia esclama ogni giorno: Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore (Is 58,5), e ancora: "Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese; voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore? " (Is 58,3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l’ira, non dico un’intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione.
 
Il Santo del Giorno - 20 Gennaio 2025 - San Sebastiano Martire - L’accoglienza coraggiosa e fiduciosa della violenza che ci infligge il mondo - Quella dei cristiani è una testimonianza di amore davanti al mondo e passa da una profetica accoglienza della violenza che il mondo stesso infligge loro. È questo lo stile, oggi come nel IV secolo, che rende riconoscibili da sempre i discepoli del Risorto. Questo fu lo stile di san Sebastiano, martire durante la persecuzione di Diocleziano, forse nel 304, che sfruttò la sua posizione di pretoriano, guardia dell’imperatore, per portare conforto ai credenti incarcerati e destinati al martirio. E poi non ebbe paura di opporsi alla violenza contro i cristiani, arrivando così a offrire la sua stessa vita nel martirio. Secondo la tradizione Sebastiano era nato a Milano attorno all’anno 263 ed era entrato nella cerchia più stretta dei soldati più vicini all’imperatore Diocleziano, che dopo un periodo di tolleranza aveva scatenato una feroce persecuzione anticristiana. Per l’assistenza prestata ai fedeli in carcere, Sebastiano venne denunciato e condannato: fu denudato e trafitto dalle frecce degli stessi compagni. Ne uscì ferito ma vivo ed ebbe il coraggio di ripresentarsi davanti all’imperatore, che lo fece frustare a morte. Il corpo fu gettato nella Cloaca Massima, perché non potesse essere recuperato, ma la notte seguente Sebastiano apparve in sogno a una matrona, indicandole il luogo dove si trovava il suo cadavere, che poté così ricevere una degna sepoltura.  (Matteo Liut)
 
Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore,
perché saziati dall’unico pane del cielo,
nell’unica fede siamo resi un solo corpo.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 
 
 

 19 Gennaio 2025
 
II Domenica T. O.
 
Is 62,1-5; Salmo Responsoriale Dal Salmo 96 (97); 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11
 
Colletta
O Dio, grande nell’amore,
che nel sangue di Cristo versato sulla croce
hai stipulato con il tuo popolo l’alleanza nuova ed eterna,
fa’ che la Chiesa sia segno del tuo amore fedele,
e tutta l’umanità possa bere
il vino nuovo nel tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Redemptoris Mater 21: Maria è presente a Cana di Galilea come Madre a Gesù, e in modo significativo contribuisce a quel l’«inizio dei segni», che rivelano la potenza messianica del suo Figlio. Ecco: «Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”» (Gv 2,3). Nel Vangelo di Giovanni quell’«ora» significa il momento fissato dal Padre nel quale il Figlio compie la sua opera e deve essere glorificato (Gv 7,30; 8,20; 12,23; 13,17,1; 19,27). Anche se la risposta di Gesù a sua madre sembra suonare come un rifiuto (soprattutto se si guarda, più che all’interrogativo, a quella recisa affermazione: «Non è ancora giunta la mia ora»), ciononostante Maria si rivolge ai servi e dice loro: «Fate quello che egli vi dirà» (Gv 2,5). Allora Gesù ordina ai servi di riempire di acqua le giare, e l’acqua diventa vino, migliore di quello che prima è stato servito agli ospiti del banchetto nuziale. Quale intesa profonda c’è stata tra Gesù e sua madre? Come esplorare il mistero della loro intima unione spirituale? Ma il fatto è eloquente. È certo che in quell’evento si delinea già abbastanza chiaramente la nuova dimensione, il nuovo senso della maternità di Maria. Essa ha un significato che non è racchiuso esclusivamente nelle parole di Gesù e nei vari episodi, riportati dai Sinottici. In questi testi Gesù intende soprattutto contrapporre la maternità, risultante dal fatto stesso della nascita, a ciò che questa «maternità» (come la «fratellanza») deve essere nella dimensione del Regno di Dio, nel raggio salvifico della paternità di Dio. Nel testo giovanneo, invece, dalla descrizione dell’evento di Cana si delinea ciò che concretamente si manifesta come nuova maternità secondo lo spirito e non solo secondo la carne, ossia la sollecitudine di Maria per gli uomini, il suo andare incontro ad essi nella vasta gamma dei loro bisogni e necessità. A Cana di Galilea viene mostrato solo un aspetto concreto dell’indigenza umana, apparentemente piccolo e di poca importanza («Non hanno più vino»). Ma esso ha un valore simbolico: quell’andare incontro ai bisogni dell’uomo significa, al tempo stesso, introdurli nel raggio della missione messianica e della potenza salvifica di Cristo. Si ha dunque una mediazione: Maria si pone tra suo Figlio e gli uomini nella realtà delle loro privazioni, indigenze e sofferenze. Si pone «in mezzo», cioè fa da mediatrice non come un’estranea, ma nella sua posizione di madre, consapevole che come tale può - anzi «ha il diritto» - di far presente al Figlio i bisogni degli uomini. La sua mediazione, dunque, ha un carattere di intercessione: Maria «intercede» per gli uomini. Non solo: come madre desidera anche che si manifesti la potenza messianica del Figlio, ossia la sua potenza salvifica volta a soccorrere la sventura umana, a liberare l’uomo dal male che in diversa forma e misura grava sulla sua vita. Proprio come aveva predetto del Messia il profeta Isaia nel famoso testo, a cui Gesù si è richiamato davanti ai suoi compaesani di Nazareth: «Per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista...» (Lc 4,18).
Altro elemento essenziale di questo compito materno di Maria si coglie nelle parole rivolte ai servitori: «Fate quello che egli vi dirà». La Madre di Cristo si presenta davanti agli uomini come portavoce della volontà del Figlio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi. A Cana, grazie all’intercessione di Maria e all’ubbidienza dei servitori, Gesù dà inizio alla «sua ora». A Cana Maria appare come credente in Gesù: la sua fede ne provoca il primo «segno» e contribuisce a suscitare la fede dei discepoli. 
 
I Lettura: Isaia canta la gloria di Gerusalemme che sta per divenire la sposa di Iahvé. Israele ritornerà tra le braccia del suo Creatore: Dio riamerà teneramente Gerusalemme con amore sponsale facendola sua sposa per sempre (Cf. Os 2,21). La riconciliazione tra Dio e il popolo eletto avverrà in una cornice di gioia e di tripudio, sarà come una festa nuziale nella quale abbonderà fragrante il pane e il vino nuovo. Nella gioia ritrovata, coloro «che avranno raccolto il grano lo mangeranno e canteranno inni al Signore, coloro che avranno vendemmiato berranno il vino nei cortili del santuario di Dio» (Is 62,9).
 
II Lettura:  La fonte di ogni dono è l’ineffabile e santissima Trinità: «Il “Signore” è Cristo, al quale soprattutto risale la fondazione della Chiesa con i suoi diversi “ministeri”; “Dio” è il Padre, al quale si attribuiscono le operazioni in quanto egli è il principio di ogni attività; lo Spirito Santo è il “dono”, la “grazia” per eccellenza (Settimio Cipriani).
 
Vangelo
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù.
 
«Il “segno di Cana” secondo la narrazione evangelica [Gv 21,1-2] rientra nel mistero della manifestazione del Signore. La liturgia romana lo commemora ogni anno nella solennità dell’Epifania del Signore: “Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i Magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano, per la nostra salvezza [Liturgia delle Ore - Antifona al Magnificat dei II Vespri]». Oggi, celebriamo «questo “inizio dei segni”, a cui i fedeli guardano con l’attenzione del cuore. In questa manifestazione del Signore la Vergine Maria fu attivamente presente; perciò la liturgia associa il ricordo di lei a quello del Figlio, cantando: “Per te, il tuo Figlio dà inizio ai suoi segni prodigiosi; per te lo sposo prepara il vino nuovo per la sposa; per te i discepoli credono nel Maestro” [Antifona alla Comunione]. In questa messa si celebrano insieme il Signore Gesù, la Chiesa, della quale appare il primo germoglio nel segno di Cana, e la beata Vergine Maria» (Messe della Beata Vergine, Santa Maria di Cana).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 2,1-11
 
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
 
Parola del Signore.
 
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana - Il racconto delle nozze di Cana chiude il ciclo delle manifestazioni di Gesù: a Betlemme, nel mistero della carne, si rivela ai Magi; nelle acque del Giordano è proclamato Figlio, l’amato del Padre; a Cana Gesù comincia a rivelarsi ai suoi discepoli e al mondo come vero Dio.
Il miracolo compiuto da Gesù alle nozze di Cana è strettamente legato all’iniziativa e alla mediazione di sua Madre. Una iniziativa e una mediazione che continua senza soste nella vita della Chiesa, sposa di Cristo. Giovanni nel suo vangelo non indica mai la madre di Gesù con il suo nome proprio.
Venuto a mancare il vino... Nell’Antico Testamento il vino è considerato il simbolo di tutti i doni provenienti da Dio, è la bevanda della vita che dona consolazione e gioia e cura la sofferenza dell’uomo. Per questo motivo nei banchetti non mancava mai il calice del vino, sul quale si pronunciava poi una preghiera di ringraziamento. Per indicare la gioia della vita futura la Bibbia dice che nel banchetto finale il Signore offrirà agli ospiti vini raffinati: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6).
Gesù le rispose: Donna, che vuoi da me? Questa espressione nella sacra Scrittura sta ad indicare ostilità (Gdc 11,12; Cr 35,21; 1Re 17,18) o esprime una divergenza tra due interlocutori (Os 14,9; 2Re 3,13). In Mc 1,24 e 5,7 è il demonio a usare questa espressione nei confronti di Gesù. Forse, con questa risposta, Gesù ha voluto  affermare una certa autonomia e indipendenza dalla Madre (Cf. Gv 4,47s; 11,1ss; Mt12,46ss; Mc 3,31ss; Lc 2,48ss; 8,19ss). Ma perché chiama sua Madre donna? Lo farà anche dall’alto della croce (Cf. Gv 19,26) e si potrebbe pensare che tale nome voglia richiamare Gn 3 e quindi voglia presentare Maria come la nuova Eva, la madre dei viventi.
Non è ancora giunta la mia ora. L’ora è un tema ricorrente nel quarto vangelo (Gv 7,39; 8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1) ed è il tempo della esaltazione di Gesù sulla croce, preludio della glorificazione con la risurrezione e ascensione alla destra del Padre.
«Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Maria ingiunge ai servitori di mettersi agli ordini di Gesù e di obbedirgli. Gesù, anticipando l’Ora, dona all’umanità il vino buono, come un segno e un anticipo della gloria e delle ricchezze della nuova alleanza che sancirà nel suo sangue. I servitori obbedienti riempiono le anfore d’acqua che si trasforma prodigiosamente in vino. Il vino prodigioso è così buono da lasciare stupefatto il maestro di tavola.
E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse..., chiamò lo sposo per farne l’elogio. Che il maestro di tavola non sapesse di dove venisse il vino è una nota che ha un significato nascosto: questo «vino di Gesù è di origine misteriosa, come lo è l’acqua donata da Gesù [Gv 4,11] e il pane prodigioso moltiplicato da Gesù [Gv 6,5]. Questi doni sono misteriosi, perché simboleggiano la persona e l’opera rivelatrice di Gesù. Egli infatti ha un’origine misteriosa [Gv 8,14; 9,29s; 19,9]» (Salvatore Alberto Panimolle).
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Il segno «è un simbolo storico, che rivela ciò che Gesù è mediante ciò che Gesù opera: il Salvatore escatologico, datore  dei beni messianici, pane di vita, luce del mondo, vita e risurrezione» (Giuseppe Segalla).
A Cana di Galilea Gesù si manifesta ai suoi discepoli per mezzo di un segno, una manifestazione che per molti resterà oscura, incomprensibile: «Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credettero in lui» (Gv 12,37). Molti crederanno in Gesù, altri resteranno prigionieri dei loro pregiudizi, altri coveranno propositi omicidi e sarà proprio a motivo di un segno eclatante, la risurrezione di Lazzaro, che decideranno di eliminare fisicamente il giovane Rabbi di Nazaret (Gv 11,45-53).
 
Il vino nel vangelo secondo Giovanni - Mario Marbero (Vino in Schede Bibliche Pastorali, Vol. III): In Giovanni l’unica occasione in cui si parla del vino è nell’episodio delle nozze di Cana. L’episodio va letto in una dimensione che oltrepassa l’interpretazione letterale, in tutte le sue risonanze tematiche (nozze, vino, ora, madre di Gesù, segno), e allora lascerà trasparire una profondità a prima vista insospettata (Gv. 2,1-10).
Si noti (nel racconto evangelico) l’insistenza sul termine «nozze» e sul termine «vino» (ricorre 6 volte in questo episodio; quindi in 4, 46, come allusione a questo episodio, e poi non ricorre più).
Nella tradizione biblica, il termine «nozze» richiama spesso la realtà dell’alleanza tra Dio e il popolo: le nozze di Cana appaiono così come la realizzazione della speranza messianica e l’anticipazione delle nozze celesti.
L’insistenza sul termine «vino» richiama il tema veterotestamentario del vino dei tempi escatologici: vino abbondante e di qualità sopraffina. Chi si meraviglia che a Cana Gesù «produca» tanto vino (oltre 600 litri), non tiene presente che nella bibbia l’abbondanza del vino è segno di benedizione divina. È vero, «l’ora non è ancora venuta», non siamo ancora alla “morte trionfante” di Gesù in croce; ma la preghiera della madre di Gesù ha potuto ottenere questo «segno» del convito delle nozze eterne.
«È per questo che Cristo non si contenta di dare lo stretto necessario per togliere d’imbarazzo i giovani sposi, ma trasforma 600 litri d’acqua: perché il suo vino è segno della liberalità divina promessa per i tempi messianici. È per questo, e il maestro di tavola ne converrà, che l’acqua è diventata vino di qualità superiore, perché i profeti avevano esaltato le qualità del vino futuro. È per questo infine che Cristo accetta il miracolo e non manda gli sposi dal negoziante di vino, perché occorreva un gesto gratuito, come il vino predetto da Isaia, in segno di redenzione gratuita che egli avrebbe donato tra breve » (J. P. Charlier, o.c., 63 s.). Questo vino buono, di qualità sopraffina, non prelude già al vino eucaristico, che sarà per sempre segno della nuova alleanza?
Nella cena ultima, coi suoi intimi, poco prima di essere arrestato e condannato a morte, Gesù compie un gesto che forse era usuale nei suoi pasti coi discepoli. Quella volta però aggiunse delle parole nuove (Mt. 26).
 
Mt. 26,27-29: Poi  prese il calice e, detta la benedizione, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il sangue mio, dell’alleanza, che viene sparso per molti, in remissione dei peccati. Vi dico che non berrò più, ormai, di questo frutto della vite, finché non lo berrò con voi, nuovo, nel regno del Padre mio».
 
Quel vino che tutti sono invitati a bere è il segno dell’alleanza («nuova» dice Luca 22,20), definitiva, che viene firmata col sangue di Gesù. Il vino che accompagnava i sacrifici d’alleanza (Cf. Es. 29,40) è adesso il segno dell’alleanza vera.
Ma in più il vino è anche simbolo del banchetto escatologico che segna la comunione beata e senza fine con Dio. Ormai Gesù non si tratterrà più in banchetti terrestri con i suoi, ma rimane l’invito a banchettare insieme nel regno del Padre. Si tratterà di un vino nuovo; tuttavia ad esso ci ha preparati la realtà del vino terrestre: bevanda ristoratrice e ispiratrice di gioia e di comunione fraterna tra gli uomini e con Dio (Cf. Gdc. 9, 13).
Così il «frutto della vite» accompagna la storia umana quasi dagli albori della coltivazione della terra (Noè, Cf. Gen. 9) per alleggerire le pene del cuore, e attraverso la parola di Gesù resta il simbolo dell’amore senza pentimento di Dio per gli uomini e - ancora nella parola di Gesù - resta simbolo della comunione con Dio al di là della vita umana, nel regno del Padre.
A questo brindisi escatologico, Gesù ha già invitato gli uomini e ha dato loro la certezza di pervenirvi: «... finché lo berrò con voi, nuovo, nel regno del Padre mio » (Mt. 26, 29).
 
Il vino è un pericolo per la castità giovanile - Girolamo, Le Lettere, I, 22,8 (a Eustochio): Se mi è lecito porgere un consiglio, e si dà credito alla mia esperienza, la prima raccomandazione, o meglio, la prima preghiera che rivolgo a una sposa di Cristo, è di astenersi dal vino come da un veleno. Il vino è l’arma migliore del diavolo contro i giovani... È facile restare immuni dagli altri vizi: ma qui il nemico l’abbiamo dentro. Vino e giovinezza: doppia fornace di voluttà! Perché aggiungere olio alla fiamma? Perché a questa carne che brucia, forniamo combustibile?
È vero, Paolo scrive a Timoteo: Non continuare a bere solo acqua: fa’ uso anche d’un po’ di vino, a motivo del tuo stomaco e delle tue frequenti indisposizioni (1Tm 5,23). Ma osserva bene a quali condizioni egli concede il permesso di bere vino: a stento lo giustificano i crampi allo stomaco e le indisposizioni ripetute. Anzi, per impedire che esageriamo con la scusa della malattia, ordina di berne poco. È un consiglio da medico più che da apostolo (del resto l’apostolo è medico dell’anima!), e lo dà temendo che Timoteo, sfinito dall’anemia, non possa continuare i suoi giri di predicazione del Vangelo. Se no, si sarebbe ricordato che altrove aveva scritto: Il vino è sorgente di lussuria (Ef 5,18) e nella lettera ai Romani: È bene per l’uomo non bere vino, né mangiare carne (Rm 14,21).
 
Il Santo del Giorno - 19 Gennaio 2025 - San Bassiano. Il coraggio di vivere fino in fondo per la vera luce: C’è un invito a seguire fino in fondo la verità nella storia di san Bassiano, la cui figura oggi ci parla di una fede che dona il coraggio di andare controcorrente, di lottare fino in fondo per l’unica luce che può illuminare il mondo: l’amore di Dio. Il futuro vescovo di Lodi, infatti, da giovane seguì la propria vocazione fino in fondo, sfidando il padre, contrario alla sua scelta di fede, e trovò così, anche da pastore della comunità cristiana, il coraggio di combattere per la fede vera. La sua eredità si affianca a quella di sant’Ambrogio, suo amico, assieme al quale s’impegnò a difendere l’ortodossia contro le eresie del tempo. Nato a Siracusa verso il 320 da Sergio, prefetto della città, fu mandato per gli studi a Roma, dove si convertì e ricevette il Battesimo. Per fuggire dal padre, che lo voleva far apostatare, si rifugiò a Ravenna, dove fu ordinato prete. Verso il 373 fu scelto come vescovo di Laus Pompeia (oggi Lodi Vecchio). Partecipò nel 381 al concilio di Aquileia e nel 390 a quello di Milano, nel quale fu condannato Gioviniano. La sua firma si trova assieme a quella di sant’Ambrogio nella lettera sinodica inviata al papa Siricio. Nel 397 era accanto ad Ambrogio sul letto di morte. Morì nel 409 e fu sepolto nella sua Cattedrale. Nel 1158 le sue reliquie furono portate a Milano, dove rimasero fino al 1163, anno in cui tornarono a Lodi. 
 
Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore,
perché saziati dall’unico pane del cielo,
nell’unica fede siamo resi un solo corpo.
Per Cristo nostro Signore.