1 Gennaio 2025
 
Maria Santissima Madre di Dio
 
Nm 6,22-27; Salmo Responsoriale 66 [67]; Gal 4,4-7: Lc 2,16-21
 
Il Concilio in Efeso (431) ha proclamato che Maria è la Madre di Dio - Theotokos - e la fede della Chiesa trova la sua espressione nelle preghiere del giorno di oggi. Maria ha concepito l’Unigenito Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo e «sempre intatta nella sua gloria verginale ha irradiato sul mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore», Datore della Vita. Maria è pervenuta ad una grande elezione, è stata dotata di privilegi particolari, ma tutti i doni li ha ottenuti in vista del suo ruolo nella storia della salvezza: ella porta al mondo il Salvatore. Maria, essendo Madre di Gesù quanto al corpo, è anche Madre del suo corpo mistico, è Madre della Chiesa: questo nuovo titolo è stato conferito a Maria durante il Concilio Vaticano II. I testi liturgici non si riferiscono all’inizio del nuovo anno, ma a Maria che medita nel suo cuore il mistero di Cristo e manifesta Cristo al mondo; essa indica ai credenti come devono vivere il dono del tempo.
 
Colletta
O Dio, che nella verginità feconda di Maria
hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna,
fa’ che sperimentiamo la sua intercessione,
poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita,
Gesù Cristo, tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Papa Francesco ((Angelus, 1 gennaio 2024): Oggi il Vangelo ci svela che la grandezza di Maria non consiste nel compiere qualche azione straordinaria; piuttosto, mentre i pastori, ricevuto l’annuncio dagli angeli, si affrettano verso Betlemme (cfr Lc 2,15-16), lei rimane in silenzio. È un bel tratto il silenzio della Madre. Non si tratta di una semplice assenza di parole, ma di un silenzio colmo di stupore e di adorazione per le meraviglie che Dio sta operando. «Maria – annota San Luca – […] custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19). In tal modo ella fa spazio in sé a Colui che è nato; nel silenzio e nell’adorazione, mette Gesù al centro e lo testimonia come Salvatore. Maria, la Madre del silenzio; Maria, la Madre dell’adorazione.
Così è Madre non solo perché ha portato Gesù in grembo e lo ha partorito, ma perché lo mette in luce, senza occuparne il posto. Starà in silenzio anche sotto la croce, nell’ora più buia, e continuerà a fare spazio a Lui e a generarlo per noi. Un religioso e poeta del Novecento ha scritto: «Vergine, cattedrale del Silenzio / […] tu porti la nostra carne in paradiso / e Dio nella carne» (D.M. Turoldo, Laudario alla Vergine. «Via pulchritudinis», Bologna 1980, 35). Cattedrale del silenzio: è una bella immagine. Col suo silenzio e la sua umiltà, Maria è la prima “cattedrale” di Dio, il luogo in cui Lui e l’uomo possono incontrarsi. […] All’inizio del nuovo anno guardiamo a Maria e, con il cuore grato, pensiamo e guardiamo anche alle madri, per imparare quell’amore che si coltiva soprattutto nel silenzio, che sa fare spazio all’altro, rispettando la sua dignità, lasciando la libertà di esprimersi, rigettando ogni forma di possesso, sopraffazione e violenza. C’è tanto bisogno di questo oggi, tanto! )
 
I Lettura: Ti benedica il Signore e ti custodisca: la preghiera sacerdotale ricordata dal libro dei Numeri trova ricchezza e compimento nel nome di Gesù: nel mistero del Dio umanato, e nella sua dolcezza, tutti gli uomini saranno benedetti da Dio. In Gesù ogni uomo ha trovato grazia e salvezza.
 
II Lettura: Quando venne la pienezza del tempo: questa espressione designa la venuta dei tempi messianici o escatologici, che colmano la lunga attesa dei secoli come una misura finalmente piena. Inoltre, in modo mirabile, Paolo mette in risalto “i due aspetti, negativo e positivo della redenzione: divenendo figlio, lo schiavo acquista la libertà. Lo schiavo liberato è adottato come figlio, non solamente per l’accesso legale all’eredità, ma con il dono reale della vita divina, nella quale le tre Persone sono associate” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo
I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.
 
I pastori entrano nella grotta e vedono tutto ciò che era stato loro annunciato dall’angelo e, colmi di gioia, trasmettono il messaggio angelico, udendolo la gente si meraviglia, come si erano meravigliati i parenti di Zaccaria così si meraviglieranno il padre e la madre di Gesù.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo, come per Giovanni, il nome era già stato indicato dall’angelo, prima del concepimento. Nella concezione semitica il nome non serve solo come denominazione di un uomo, ma si identifica con la sua stessa persona (1Sam 25,25).
Gesù, un nome “voluto da Dio ricco di significato [Mt 1,21 lo spiega], ma soprattutto carico di destino. Un nome che sintetizza bene il valore della persona che lo porta, che rinchiude in sé l’oggetto del vangelo: la salvezza” (Carlo Ghidelli, Vangelo secondo Luca).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,16-21
 
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
 
Parola del Signore
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Maria poi serbava tutte queste cose...; lo stesso concetto ritorna al vers. 51. Il racconto descrive due sentimenti ponendoli l’uno accanto all’altro, cioè: l’ammirazione di quelli che hanno ascoltato i fatti riferiti dai pastori e la riflessione profonda e penetrante che Maria compiva sugli eventi visti e ascoltati. Il rapporto tra gli atteggiamenti psicologici di questi due tipi di personaggi (coloro che hanno ascoltato i racconti riferiti dai pastori e Maria) fa anche emergere la loro differenza; da una parte infatti si ha una ammirazione fugace e di superficie (ἐδαύμασαν = aoristo che indica un’azione transeunte o azione puntiforme), dall’altra vi è una riflessione prolungata (συνετήρει = imperfetto che designa un’azione iterata, duratura, cioè un’azione lineare). Questa precisione stilistica mette a punto una finezza psicologica: i sentimenti di quelli che hanno ascoltato i pastori presentano una proprietà avventizia, occasionale; i sentimenti invece di Maria hanno un carattere prolungato ed abituale. Il verbo συντερέω può essere tradotto con «conservare» ed anche «osservare», perché suppone il verbo ebraico shamar (aramaico: natar) che ha questi due sensi. E le meditava in cuor suo; il greco ha il participio συμβάλλουσα ([le] meditava) che determina ulteriormente l’imperfetto precedente del testo (serbava). La frase usata da Luca più che designare una doppia azione psicologica (serbava e meditava) indica un’attività intellettuale intensa, quindi in essa più che uno sdoppiamento di azione bisogna vedere un’intensità o profondità di un unico atto della mente. «Tutte queste cose» (fatti visti e parole udite) intorno al piccolo Gesù sono state conservate o osservate con interesse ed attenzione da Maria, vale a dire: la madre di Cristo le ha profondamente meditate. Questa intensa attività dello spirito è stata indicata con il participio συμβάλλουσα, verbo proprio del vocabolario di Luca, che designa una riflessione profonda su un problema importante e di difficile soluzione (cf. Lc., 14, 31; Atti, 4, 15). «In cuor suo», cioè: nel suo intimo; l’evangelista con questo rilievo indica che la «meditazione» di Maria aveva carattere religioso, essa cioè consisteva in una riflessione intima sul senso religioso dei fatti; l’espressione quindi «in cuor suo» non indica propriamente la facoltà che compiva tale meditazione (il cuore, secondo la psicologia ebraica, era la sede del pensiero), ma la religiosità con la quale Maria considerava gli eventi. L’osservazione dell’evangelista, oltre la sua importanza storica, poiché accenna velatamente alla fonte da cui provengono, almeno in parte, le notizie del vangelo dell’infanzia, ha un valore dottrinale notevole. Essa infatti puntualizza un aspetto della personalità della madre di Gesù; Maria è presentata come un’anima riflessiva, desiderosa di maggiori approfondimenti (cf. Lc., 1, 29; 2, 51); ella è una fervida ebrea che ama meditare sulla Scrittura per comprendere meglio, nella luce di essa, i fatti di cui è protagonista o spettatrice. Israele ha conosciuto gruppi di persone ferventi che meditavano sulla Scrittura e sugli eventi della storia per scoprirne le mutue relazioni ed i misteriosi richiami. Ampie parti dell’Antico Testamento documentano abbondantemente, con le composizioni a carattere rievocativo ed antologico, l’esistenza di questo genere di meditazione religiosa praticata da quei «saggi» di cui non pochi hanno lasciato in vari salmi e in lunghe sezioni dei libri sapienziali il dolce frutto di questa loro riflessione interamente ispirata dalla loro vibrante pietà, dal loro vivo attaccamento alla storia ed alla religione. Nel vangelo dell’infanzia (Lc., 1-2), penetrato da questa riflessione religiosa, si rileva che Maria ama approfondire il significato religioso delle cose (cf. Lc., 1, 29; 2, 19, 51) e scoprire il nesso che li congiunge con le affermazioni della Scrittura. Il Magnificat rappresenta una chiara conferma dei rilievi compiuti; questo cantico infatti, che è un richiamo continuo di passi biblici, attesta che la Madre di Gesù non soltanto conosce l’Antico Testamento, ma che ella ne vede anche la perfetta consonanza con gli avvenimenti della sua vita. Da questo modo di presentare i fatti si deduce che Maria, nel pensiero dell’evangelista, non è soltanto una protagonista ed una spettatrice degli eventi, ma che ella ne è anche la prima coordinatrice, poiché proprio la Madre di Gesù è la persona, la quale, con una penetrante riflessione religiosa, scorge questi fatti nella luce del Vecchio Testamento considerandoli come la realizzazione delle promesse e dell’economia divina antecedenti alla venuta del Messia. Di queste riflessioni religiose di cui Maria è stata l’iniziatrice il vangelo dell’infanzia rappresenta l’ultimo e definitivo sviluppo (cf. R. Laurentin, o. c., p. 99-100).
 
Numeri 6,22-27 - Benedizione sacerdotale - Angel Gonzalez: Questa formula di benedizione non è casuale, ma è un testo fisso, ufficiale, nato in un contesto cultuale e usato per benedire in qualsiasi occasione l’assemblea riunita. Qui lo storico sacerdotale la mette in bocca al sacerdozio aronnita, quello che governò la comunità giudaica dopo l’esilio e che considera il benedire come sua prerogativa. Ma la formula in sé è antica, a giudicare dalla semplicità del suo linguaggio e dalle espressioni che ha in comune con salmi anteriori all’esilio.
Benedire il popolo era prerogativa del re che agiva in nome di Dio e che, in un primo tempo, aveva funzioni sacerdotali. Lo storico deuteronomista ricorda occasioni in cui Davide e Salomone benedissero il popolo in atti di culto diretti da essi stessi (2Sam 6,18; 1Re 8,14.55). Il Deuteronomio ricorda, fra le funzioni principali del sacerdozio levitico, quella di benedire il popolo (Dt 10, 8; 21,5).
Il luogo proprio della benedizione è il santuario con l’assemblea del popolo riunita. L’assemblea è convocata e si riunisce in nome di Dio e allo scopo di andargli incontro; questo atteggiamento d’incontro è quello che rende presente Dio. Il sacerdote, mediatore fra Dio e il popolo, invoca il nome di Dio e lo pronunzia sul popolo; mette Dio nominalmente in mezzo a coloro che si sono riuniti per il suo incontro. Lo stesso nome di Dio è già benedizione (Ger 15,16). Né alla formula in sé né al sacerdozio che la pronunzia è riconosciuto un potere magico per produrre quello che si dice, ma tale potere è riconosciuto solo a Dio presente, fonte di tutti i beni che racchiude in sé la benedizione.
La formula ricorda i beni che comporta la benedizione di Dio, quelli che attende da lui il popolo che è alla sua presenza. In perfetto parallelismo di forma e di contenuto, ricorda tre ordini di auguri, ognuno dei quali si doppia in altri due. Tutti i verbi indicano azione e atteggiamento di fronte al popolo che, a sua volta, è in atteggiamento di fiducia e di speranza riguardo a Dio. L’atteggiamento di Dio è azione, e l’azione che gli è attribuita
rivela il suo atteggiamento. La formula « risplenda su di noi la luce del tuo volto » è un modo di dire corrente del linguaggio della preghiera per indicare l’atteggiamento di favore, di benevolenza e di compassione (Sal 4,7; 31, 17; 80,4.8.20); e tale è anche il senso di «mostrare il volto ». Il contrario è nascondere il volto, che provoca la notte oscura dell’eclissi e dell’assenza di Dio.
I termini della formula suppongono un vero approfondimento del significato della relazione religiosa, e nascono dalla lunga esperienza di presenza e di assenza di Dio in coloro che hanno riposto in Lui la speranza suprema. I termini che chiedono beni hanno un’insondabile densità: conservare, concedere la pace. Conservare è pre-ervare da ogni male e concedere ogni bene. Non si danno nomi concreti ai mali né ai beni, perché l’attenzione
non è rivolta tanto a essi quanto piuttosto al fatto che chi preserva dal male e dà il bene è Dio. La pace è l’integrità, la pienezza, la raggiunta completezza della vita che condensa l’eternità nel tempo dell’esistenza. Dio la dà a chi la cerca nella solidarietà della comunità umana, nella quale si dà Dio stesso.
 
Concilio di Efeso - Formula di Unione - Per quanto poi riguarda la Vergine madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il modo dell’incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio, ne faremo necessariamente una breve esposizione, non con l’intenzione di fare un’aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin dall’inizio l’abbiamo appresa dalle sacre scritture e dai santi padri, non aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta da essi a Nicea.
Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla piena conoscenza della fede e a respingere ogni eresia.
E parleremo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra insufficienza, ed opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell’uomo.
Noi quindi confessiamo che il nostro signore Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l’umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l’umanità, essendo avvenuta l’unione delle due nature.
Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.
Conforme a questo concetto di unione in confusa, noi confessiamo che la vergine santa è madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto da essa.
 
Inno a Maria - Cirillo di Alessandria, Hom. 4, n. 1183): “Salve, Madre di Dio, Maria, tesoro venerabile di tutto il mondo, lampada inestinguibile, corona della verginità, scettro della sana dottrina, tempio indissolubile, casa di colui che non può essere contenuto in nessuna casa, madre e vergine; per la quale è chiamato benedetto nei Vangeli colui che viene nel nome del Signore [Mt 21,9]: salve, tu accogliesti nel tuo seno santo e verginale l’immenso e incontenibile, per te la santa Trinità è glorificata e adorata; per te la preziosa croce è celebrata e adorata in tutto il mondo; per te il cielo esulta, per te gli angeli e gli arcangeli si allietano, per te i demoni son messi in fuga, per te il diavolo tentatore cade dal cielo, per te la creatura decaduta vien portata al cielo; per te ogni creatura, irretita dal veleno degli idoli, giunge alla conoscenza della verità; per te il santo battesimo è stato dato ai credenti, per te l’olio della consacrazione, per te sono state fondate le Chiese in tutto il mondo, per te i popoli son guidati alla penitenza. E che dirò ancora? Per te l’unigenito figlio di Dio rifulse come luce a coloro ch’eran nelle tenebre; per te i profeti parlarono, per te i morti risorgono, per te gli apostoli annunziarono la salvezza, per te i re regnano in nome della santa Trinità. E chi mai potrà celebrare adeguatamente quella Maria degnissima d’ogni lode? Essa è madre e vergine; o cosa meravigliosa! Questo miracolo colma di stupore.
 
Il Santo del giorno - 1 Gennaio 2025-  Maria Santissima Madre di Dio - La solennità di Maria SS. Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale. Originariamente la festa rimpiazzava l’uso pagano delle “strenae” (strenne), i cui riti contrastavano con la santità delle celebrazioni cristiane. Il “Natale Sanctae Mariae” cominciò ad essere celebrato a Roma intorno al VI secolo, probabilmente in concomitanza con la dedicazione di una delle prime chiese mariane di Roma: S. Maria Antiqua al Foro romano, a sud del tempio dei Castori.  La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato “in octava Domini”: in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch’essa alla festa che inaugurava l’anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 1° gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l’11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio. Nestorio aveva osato dichiarare: “Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi”; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: “Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l’eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna”. Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria. È da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: “Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27s). In realtà, “Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lumen Gentium, 56).   (Autore: Piero Bargellini)
 
I sacramenti ricevuti con gioia, o Signore,
conducano alla vita eterna noi che ci gloriamo di riconoscere
la beata sempre Vergine Maria
Madre del tuo Figlio e Madre della Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 31 DICEMBRE 2024
 
VII GIORNO FRA L’OTTAVA DI NATALE
 
1Gv 2,18-21; Salmo Responsoriale Dal Salmo 95 (96); Gv 1,1-18
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che nella nascita del tuo Figlio
hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede,
accogli anche noi come membra del Cristo,
che compendia in sé la salvezza del mondo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Il Verbo: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 26 novembre 1997): “In principio era il Verbo” (Gv 1,1). Con queste parole Giovanni comincia il suo Vangelo facendoci risalire al di là dell’inizio del nostro tempo, fino all’eternità divina. A differenza di Matteo e di Luca che si soffermano soprattutto sulle circostanze della nascita umana del Figlio di Dio, Giovanni punta lo sguardo sul mistero della sua preesistenza divina. In questa frase, “in principio” significa l’inizio assoluto, inizio senza inizio, l’eternità appunto. L’espressione fa eco a quella presente nel racconto della creazione: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Ma nella creazione si trattava dell’inizio del tempo, mentre qui, ove si parla del Verbo, si tratta dell’eternità. Tra i due princìpi, la distanza è infinita. È la distanza tra il tempo e l’eternità, tra le creature e Dio. Possedendo, come Verbo, un’esistenza eterna, Cristo ha un’origine che risale ben al di là della sua nascita nel tempo. Questa affermazione di Giovanni si fonda su di una precisa parola di Gesù stesso. Ai giudei che gli rimproverano la pretesa di aver visto Abramo pur non avendo ancora cinquanta anni, Gesù replica: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo venisse all’esistenza, Io Sono” (Gv 8,58). L’affermazione sottolinea il contrasto fra il divenire di Abramo e l’essere di Gesù. Il verbo “genésthai” usato nel testo greco per Abramo significa infatti “divenire” o “venire all’esistenza”: è il verbo adatto a designare il modo di esistere proprio delle creature. Al contrario solo Gesù può dire: “Io Sono”, indicando con tale espressione la pienezza dell’essere che rimane al di sopra di ogni divenire. Egli esprime così la coscienza di possedere un essere personale eterno.
 
Prima Lettura: Ai tempi in cui scriveva san Giovanni si credeva che il mondo era alla fine e che Dio avrebbe inaugurato un nuova era. In questo travaglio, proprio prima che passasse il vecchio mondo, ci sarebbe stato un ultimo, violentissimo attacco delle forze del male che avrebbero cercato di sovvertire il progetto di salvezza, da qui il monito di restare nella verità, essa avrebbe fatto da scudo per ripararsi dagli strali menzogneri del nemico infernale.
 
Vangelo
Il Verbo si fece carne.
 
Nel brano giovanneo viene proclamata la natura del Cristo: egli é Dio, è la luce vera, che illumina ogni uomo. È lui che dà il potere di diventare figli di Dio. È lui l’unigenito che ci fa conoscere Dio. Egli ci permette persino di contemplare la sua gloria, lo splendore della sua presenza, che nessun ebreo poteva intravedere senza morirne. In sostanza, egli ci porta la vita stessa di Dio, la legge interiore scolpita nel cuore (Ger 31,31), legge che egli chiama «grazia e verità», non più soltanto «ombra» (Eb 10,1), qual era la legge esteriore di Mosé, scolpita sulla pietra. È l’Emmanuele, il Dio con noi che ha piantato la sua tenda in mezzo agli uomini, lui è il vero tempio nel quale risiede la pienezza della divinità e nel quale l’uomo può incontrare il Padre, conoscerlo, amarlo, adorarlo in spirito e verità.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,1-18

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma
doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo
a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
“Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me.
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui
che lo ha rivelato. 

Parola del Signore.
 
E il Verbo si è fatto carne - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): E il Verbo si è fatto carne; secondo il P. Boismard la congiunzione «e» lascia supporre che nel testo immediatamente precedente si parli del Verbo; ciò confermerebbe la posizione critica che egli accetta (la lettura: «... ma da Dio è generato»). La generazione del Verbo da Dio e la sua nascita da Dio preparerebbero, secondo questo esegeta, l’affermazione storica dell’apparizione del Verbo incarnato tra gli uomini (nascita terrestre). In verità la congiunzione «e» inizia la seconda sezione del Prologo. Carne; designa l’intera natura umana; il termine tuttavia accentua la condizione di mortalità e di debolezza in cui si trova l’uomo (cf. Genesi, 6,3; Isaia, 40,6; Salmo, 56 [55],5). Il Verbo assume la natura umana senza cessare di essere Dio; l’affermazione dell’autore esprime in forma inequivocabile la realtà dell’incarnazione (cf. 1Giov., 4,2; 2Giov.,7). Ha dimorato; in greco ἐσκήνωσεν, letteral.: «fissò la tenda», «dimorò sotto la tenda». Il verbo fa pensare alla piena realizzazione della presenza o abitazione di Jahweh nel tabernacolo (tenda) o nel tempio dell’antica alleanza (cf. Esodo, 25,8; Numeri, 35,34); l’idea indicata dal verbo greco si richiama a tutta una tradizione biblica che parla della presenza di Dio tra il popolo eletto e della sua presenza nella Gerusalemme dei tempi messianici (cf. Gioele, 4,17,21; Zaccaria, 2,14); nell’Ecclesiastico si trova un’ampia illustrazione della dimora della Sapienza in Israele, dimora che la Sapienza attua per mezzo della legge mosaica (cf. Ecclesiastico, 24,7-22). Vari esegeti pensano che l’evangelista abbia usato intenzionalmente il verbo σκηνόω perché richiama la radice verbale shakan, da cui deriva il sostantivo ebraico shekinah, che significa «abitazione» ed è una metonimia per designare Jahweh stesso. I rabbini ricorrevano a questa metonimia per motivi di riverenza religiosa, per evitare cioè l’impiego del nome ineffabile di Jahweh. Tra noi; l’espressione sottolinea con accento compiaciuto l’importanza ed il significato della presenza del Verbo tra gli uomini. Noi abbiamo veduto la sua gloria; «noi»: indica i testimoni oculari dell’attività e particolarmente dei miracoli di Gesù; l’evangelista insiste nel suo scritto sul valore della testimonianza (cf. anche 1 Giov., 1,1). Per il Lamarche «noi» designerebbe il popolo ebraico. Abbiamo veduto; la formula non implica soltanto il fatto fisico e materiale del vedere le opere di Gesù, ma anche l’atto della fede che scopre al credente la natura divina di Cristo; infatti tra gli spettatori dei miracoli di Gesù, soltanto una parte ha veduto la «gloria» del Figlio di Dio (si richiami quanto è rilevato in Giov., 6,11-12 a proposito del miracolo della moltiplicazione dei pani). La sua gloria; nell’Antico Testamento una nube ricopriva lo splendore della gloria di Jahweh presente nel santuario (cf. Esodo, 40,34-35; 1Re, 8,10-13; Isaia, 6,1-4 ecc.); nel Nuovo Testamento invece il Figlio di Dio manifesta la propria «gloria». La «gloria» (δόξα) è un sostantivo caro al quarto evangelista e ne caratterizza lo scritto; il termine designa un attributo proprio di Dio e si ricollega a tutta una tradizione contenuta nell’Antico Testamento, secondo la quale la gloria si identifica con una manifestazione sensibile della presenza di Dio. In Cristo la «gloria» si rivela nelle opere divine che egli compie, nominatamente nei miracoli (cf. Giov., 2,11); tale gloria, come si è accennato, si rivela a coloro che credono (cf. Giov., 11,40). Gloria [che hacome unigenito dal Padre; «come»: greco ὡς; questa preposizione, tradotta dalla Volgata quasi, non ha valore comparativo, ma asseverativo; essa indica una qualità del soggetto e va intesa nel modo seguente: la gloria che è propria e compete all’Unigenito. «Unigenito»; μονογενής, è attribuito a Gesù soltanto dal quarto evangelista (cf. Giov., 1,14,18; 3,16j18; 1Giov., 4,9); il sostantivò mette in evidenza il carattere singolare ed unico della figliolanza del Verbo (Figlio unico). Pieno di grazia e di verità, l’evangelista indica il seguente sviluppo di pensiero: il Logos si è fatto carne ed ha dimorato tra noi... pieno di grazia e di verità. L’aggettivo πλήρης, quantunque distante dal soggetto, che si trova all’inizio della frase, si riferisce ad esso, poiché tutte le affermazioni contenute nel vers. gravitano intorno al Logos. La proposizione è ridondante e sovraccarica; le parole: «e noi abbiamo veduto... dal Padre» costituiscono una parentesi. «Pieno di grazia e di verità»; i due sostantivi designano in modo compendioso tutti i benefici che il Verbo incarnato comunica agli uomini (cf. vers. 17). La formula espressiva «grazia e verità» deriva dal Vecchio Testamento (cf. Esodo, 34,6); tuttavia nel Prologo il senso della frase è molto più ricco; infatti là grazia e la verità (hesed we’emeth) non significano soltanto il favore e la fedeltà di Dio, ma il dono della vita e della verità sostanziale, fonte della rivelazione cristiana, dono che viene elargito ai credenti dal Verbo fatto uomo. La «grazia» (χάρις), termine frequentissimo in San Paolo, non ricorre più nel quarto vangelo; la «verità» (ἀλήθεια) invece diverrà uno dei temi più cari a Giovanni.
 
A quanti però lo hanno accolto - Bibbia di Navarra (nota a Gv 1,12): Accogliere il Verbo vuol dire riceverlo con la fede, poiché è per mezzo della fede che Cristo dimora nei nostri cuori (cfr Ef 3,17). Credere nel Nome suo significa credere nella sua Persona, in Gesù che è il Cristo, il Figlio di Dio. In altri termini, i credenti nel suo Nome sono coloro che serbano integro il nome di Cristo, in maniera tale da non sottrarre alcunché alla sua natura divina o alla sua umanità” (SAN TOMMASO D’AQUINO, In Evangelium Ioannis expositio et lectura).
«Ha dato potere» equivale a dire “ha concesso” in virtù di un dono: la grazia santificante; infatui “non è in nostro potere diventare figli di Dio” (Ivi). Per mezzo del Battesimo questo dono viene esteso a tutti gli uomini senza limitazione di razza, di età, di cultura o altro (cfr At 10,45; Gal 3,28). L’unica condizione richiesta è la fede.
«Il Figlio di Dio si fece uomo - osserva sant’Atanasio - perché i figli dell’uomo, cioè i figli di Adamo, potessero diventare figli di Dio [...]. Cristo è Figlio di Dio per natura, mentre noi lo siamo per grazia» (De Incarnatione contro arianos, 8). Si tratta della nascita alla vita soprannaturale, nella quale “tutti fruiamo della medesima dignità: schiavi e liberi, Greci e barbari, sapienti e ignoranti, uomini e donne, fanciulli e vecchi, ricchi e poveri... Tanto grande è la forza della fede in Cristo, così possente è la grazia!» (Omelia sul Vangelo di san Giovanni, 10,2).
«L’unione di Cristo «con l’uomo è la forza e la sorgente della forza, secondo l’incisiva espressione: di san Giovanni nel prologo del suo Vangelo: “Il Verbo ha dato potere di diventare figli di Dio”. Questa è la forza che trasforma interiormente l’uomo, quale principio di una vita nuova che non svanisce e non passa, ma dura per la vita eterna (cfr Gv 4,14)» (Redemptor hominis, n. 18).
 
Betlemme ha riaperto l’Eden: “Betlemme ha riaperto l’Eden, vedremo come. Abbiamo trovato le delizie in un luogo nascosto, nella grotta riprenderemo i beni del Paradiso. Là, è apparsa la radice da nessuno innaffiata da cui è fiorito il perdono. Là, si è rinvenuto il pozzo da nessuno scavato, dove un tempo David ebbe desiderio di bere. Là, una vergine, con il suo parto, ha subito estinto la sete di Adamo e la sete di David. Affrettiamoci dunque verso quel luogo dove è nato, piccolo bambino, il Dio che è prima dei secoli. Il padre della madre è, per sua libera scelta, divenuto suo figlio; il salvatore dei neonati è un neonato egli stesso, coricato in una mangiatoia. Sua madre lo contempla e gli dice: «Dimmi, figlio mio, come sei stato seminato in me, come sei stato formato? Io ti vedo, o carne mia, con stupore, poiché il mio seno è pieno di latte e non ho avuto uno sposo; ti vedo avvolto in panni, ed ecco che il sigillo della mia verginità è sempre intatto: sei tu infatti che l’hai custodito quando ti sei degnato di venire al mondo, bambino mio, Dio [che sei] prima dei secoli»” (Romano il Melode, Carmen X, Proimion, 1, 2)
 
Il Santo del Giorno - 31 Dicembre 2024 - San Silvestro I. Testimoni di frammenti d’Amore anche nell’anno che comincia: Un anno si chiude e ci regala ricordi ed esperienze preziose, ma anche la sensazione di avere ancora tanta strada da fare, non per arrivare alla perfezione, ma essere sempre più testimoni dell’amore nella storia. Un passaggio, quello del salto nel nuovo anno con il cuore pieno di propositi, che trova in san Silvestro I il giusto “patrono”: fu, infatti, il primo Pontefice a dover “gestire” la libertà di culto concessa alla Chiesa nel 313 dopo secoli di persecuzioni solo pochi mesi prima che lui salisse al soglio pontificio. Insomma, fu la guida della comunità dei cristiani in un momento in cui il suo cammino assumeva una nuova luce e tutto andava riorganizzato e ripensato in base alla libertà trovata. Prete romano, Silvestro fu Papa dopo l’africano Milziade, al quale succedette nel 314, trovandosi a cercare di contenere, per quel che poteva, l’enorme influenza dell’imperatore Costantino anche sulle questioni interne della Chiesa per 21 anni, fino alla morte nel 335. Finita l’era dei martiri della persecuzione anticristiana dell’Impero Romano, Silvestro fu tra i primi testimoni della fede ai quali venne attribuito il titolo di «Confessore della fede», cioè un testimone del Vangelo fino alle estreme conseguenze, anche se non martire. La sua eredità spirituale oggi ci guida verso il 2025 con un profondo senso di gratitudine e la speranza di essere sempre più frammenti di eternità nelle nostre vite e per coloro che amiamo, anche quando sono lontani da noi. (Avvenire)
 
Sostieni, Signore, con la tua provvidenza
questo popolo nel presente e nel futuro,
perché con le semplici gioie
che disponi sul suo cammino
aspiri con serena fiducia
alla gioia che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 DICEMBRE 2024
 
VI Giorno fra l’Ottava di Natale
 
1Gv 2,12-17; Salmo Responsoriale Dal Salmo 95 (96); Lc 2,36-40
 
Colletta:
Dio grande e misericordioso,
la nascita del tuo Figlio unigenito
nella nostra carne mortale
ci liberi dalla schiavitù antica
che ci tiene sotto il giogo del peccato.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Il tempio: Giovanni Paolo II (Omelia 2/2/1994): I personaggi, che prendono parte all’evento oggi commemorato, sono tutti compresi in un grande simbolo: il simbolo del tempio, il tempio di Gerusalemme, costruito da Salomone, i cui pinnacoli indicano le vie della preghiera per ogni generazione d’Israele. Il santuario è in effetti il coronamento del cammino del popolo attraverso il deserto verso la Terra promessa, ed esprime una grande attesa. Di questa attesa parla tutta la liturgia odierna. Il destino del tempio di Gerusalemme, infatti, non si esaurisce nel rappresentare l’Antica Alleanza. Il suo vero significato era sin dall’inizio l’attesa del Messia: il tempio, costruito dagli uomini per la gloria di Dio vero, avrebbe dovuto cedere il posto ad un altro tempio, che Dio stesso avrebbe edificato lì, a Gerusalemme. Oggi, viene al tempio colui che dice di compierne il destino e lo deve “riedificare”. Un giorno, proprio insegnando nel tempio, Gesù dirà che quell’edificio costruito dalle mani dell’uomo, già distrutto dagli invasori e ricostruito, sarebbe stato distrutto di nuovo, ma tale distruzione avrebbe segnato come l’inizio di un tempio indistruttibile. I discepoli, dopo la sua risurrezione, capirono che egli chiamava “tempio” il suo corpo (cfr. Gv 2, 20-21).
 
I Lettura: Il mondo da cui il cristiano deve allontanarsi non è il mondo creato da Dio, ma il mondo ostile a Dio. Di questo mondo l’apostolo Giovanni ricorda tre aspetti fondamentali dai quali il credente si deve allontanare: la concupiscenza della carne, cioè  dai disordini sessuali; la concupiscenza degli occhi, cioè dalla brama ossessiva dei beni terreni sui quali l’uomo crede di poter edificare la sua vita e la sua felicità, quindi il suo benessere carnale e la sua sicurezza; la superbia della vita, la luciferina arroganza di sopraffare il prossimo imponendo la propria volontà. Tutto questo è effimero, e gli uomini che si ancorano a questo mondo malvagio come l’erba presto appassiranno; come il verde del prato avvizziranno, solo chi fa la volontà di Dio rimane in eterno.
 
Vangelo
Anna parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione.
 
La profetessa Anna loda Dio e manifesta Gesù come redentore di Gerusalemme. L’anziana donna appartiene alla tribù di Aser, l’ultima nel tradizionale elenco delle tribù d’Israele: in questo modo «tutte le tribù d’Israele, anche l’ultima, almeno nelle anime ben disposte e pie», riconoscono «in Gesù bambino il redentore di Israele» e ne divengono «apostole. Ecco il tocco finale di Luca in questo secondo trittico: è un monito a tutti gli israeliti ad aprirsi al Signore, e a noi cristiani a non stimarci sicuri della salvezza per il solo fatto che siamo nati nel nuovo Israele» (Giovanni Leonardi). La conclusione ricorda ancora una volta la fedeltà dei genitori alla legge.
Poi c’è il ritorno in Galilea, a Nazaret, dove il bambino Gesù cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,36-40
 
[Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore.] C’era una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.
Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
 
Parola del Signore.
 
Il bambino cresceva - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Il vangelo ci mostra, a sua volta, una donna molto avanzata negli anni, la profetessa Anna, che seppe aspettare l’ora di Dio e alla fine vide compiuta la sua speranza e premiato il suo costante servizio al Signore con digiuni e preghiere. Anna e Simeone hanno molto in comune. Entrambi erano laici, cioè non appartenevano al ramo sacerdotale, ma al gruppo dei semplici ai quali il Padre rivela il mistero di Cristo e del regno e che sanno leggere in segni tanto comuni la presenza di Dio nella figura umana di suo Figlio, Gesù Cristo.
Per questo lo scoprono e lo comunicano agli altri, come i pastori di Betlemme o i magi venuti dall’Oriente, mentre il mistero resta nascosto ai sapienti, ai superbi e agli autosufficienti.
Il testo evangelico si conclude con un riassunto di Luca: « Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui ». L’incarnazione continua il suo cammino normale. Gesù è un bambino come gli altri, non un superuomo né un eroe mitologico. Nacque e crebbe in seno a una famiglia, come tutti noi.
Nell’ambiente intimo del Natale acquista attualità la famiglia, con i suoi valori fondamentali e permanenti, come cellula della società e della Chiesa. La famiglia è una di quelle strutture sempre perfettibili e in costante evoluzione, ma di fatto insostituibili perché è il clima migliore e più adeguato per la crescita e la maturità personale di tutti i suoi membri attraverso l’amore e la donazione. Questo è il cammino evangelico nel quale si realizza l’essere umano come persona e come credente. L’amore fu, e sarà sempre, l’origine e l’anima della famiglia, come riflesso dell’amore di Cristo per il suo popolo, la Chiesa, e della forza creatrice di Dio, visibile nella paternità e maternità umana.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): ...il bambino intanto cresceva...; il versetto riecheggia quanto lo scrittore aveva già affermato a proposito di Giovanni il Precursore (cf. Lc., 1, 80) e questo stesso rilievo sarà ripetuto nell’ultimo versetto del presente capitolo (cf. vers. 52), che concluderà l’intero racconto del vangelo dell’infanzia. La constatazione dell’evangelista, oltre a richiamare l’attenzione sul fatto dello sviluppo fisico e intellettuale di Gesù, serve come premessa psicologica dell’episodio che segue, dove si avrà una manifestazione sorprendente della «sapienza» di Gesù giovanetto. «Cresceva»: indica lo sviluppo fisico del bambino, comune ad ogni fanciullo normale. Si sviluppava: letteral.: si fortificava; l’autore non vuole aggiungere una nuova idea ma rafforzare quella già espressa; il bambino si sviluppava armoniosamente nell’organismo e nell’energia fisica; i due verbi quindi vanno considerati come una forma di endiadi. Vari manoscritti per distinguere più nettamente lo sviluppo fisico da quello psicologico hanno inserito un sostantivo prima del secondo verbo e leggono: «si sviluppava nello spirito»; questa determinazione è una glossa originata dal testo parallelo Lc., 1, 80; essa quindi non va accolta; inoltre il versetto parla esplicitamente dello sviluppo psicologico poiché aggiunge: e si riempiva di sapienza. Il participio passivo πληρούμενον, che la Volgata traduce con l’aggettivo «plenus (sapientia)», va inteso nella forma media (= si riempiva) e non già in quella passiva (riempito, pieno), poiché qui si considera l’aspetto umano di Cristo; Gesù infatti come vero e perfetto uomo cresceva in saggezza, cioè in maturità psicologica. L’affermazione dell’autore sacro ha un’importanza teologica fondamentale per la Cristologia, poiché constata la realtà umana di Gesù, negata o attenuata dal docetismo in tutte le sue forme. Cristo, che è in pari tempo vero Dio e vero uomo, se viene considerato secondo questo ultimo aspetto, cioè come vero e perfetto uomo, ha tutte le proprietà positive inerenti alla natura umana, le quali evidentemente non ripugnino, né siano in contrasto con quelle derivanti dalla sua natura divina. Il suo sviluppo fisico e morale non è quindi apparente, ma reale, segue cioè le leggi della natura umana; di conseguenza come Cristo cresceva somaticamente, cosi anche si sviluppava psicologicamente cioè accresceva le sue conoscenze pratiche (aveva la così detta scienza sperimentale, come viene indicato con termine teologico questo genere di conoscenze, che gli provenivano dal contatto con le persone e le cose) e progrediva nell’esercizio delle virtù e delle perfezioni umane (cf. Summa Theologiae, III, q. 12, a. 2). Logicamente il rilievo dell’evangelista non va considerato soltanto come l’affermazione di uno storico, ma come quella di un teologo, cioè di uno scrittore che non si limita alla constatazione del fenomeno, ma si apre ad una riflessione più profonda e penetrante di esso.
Questo sviluppo del corpo e della mente di Gesù non era affatto turbato da fattori negativi, come l’inclinazione al male, il peccato, o alterazioni di altro genere, ma si attuava in forma armonica che attestava la perfezione della sua natura umana. La grazia di Dio era sopra di lui: la grazia indica la compiacenza (cf. Atti, 4, 33) con la quale Dio guardava Gesù che si sviluppava perfettamente nella parte fisica e spirituale. La dichiarazione dello storico accentua fortemente l’aspetto religioso dell’adolescenza di Cristo; l’evangelista non si limita a dire che il bambino, crescendo armonicamente, si riempiva di «sapienza», termine questo che nella letteratura biblica racchiude già una prospettiva religiosa, ma colloca in primo piano questo elemento religioso; egli infatti, con la sua affermazione, vuole indicare l’aspetto misterioso dello sviluppo psicologico e spirituale di Cristo; in verità la crescita di Gesù si compiva sotto lo sguardo compiacente di Dio ed all’ombra misteriosa della sua «grazia» (compiacenza).
 
C’era una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser - Paolo Curtaz: Come Simeone, anche Anna, un’anziana vedova a servizio del tempio, vede il bambino, e il suo cuore si riempie di gioia. Simeone e Anna rappresentano tutte le persone che, con semplicità e fedeltà, seguono il Signore, nelle nostre parrocchie, prestando qualche servizio, partecipando ogni giorno alle celebrazioni. Il Signore accetta anche questo tipo di presenza, gradisce queste persone che rappresentano lo zoccolo duro delle nostre povere comunità. E dice: anche vivendo la fedeltà con abitudine, senza grandi eventi, possiamo accogliere il Signore nel suo Natale. Dio chiede di essere accolto, di nascere nel cuore di ogni discepolo, di ogni uomo: i giorni che stiamo vivendo ci aiutano a spalancare il nostro cuore e la nostra vita alla fede del Dio che viene. Paradossalmente, dopo duemila anni di cristianesimo, il rischio è quello di anestetizzare il Natale di stravolgerne il significato, di renderlo insopportabile, inutile. Le persone che soffrono, che vivono sole, vivono il Natale come una festa infinitamente dolorosa. A loro, invece, Dio dice che sono i privilegiati, i prescelti, coloro che possono riconoscere il Dio fattosi povero.
 
La profezia di Anna dimostra che le donne saranno salvate - Origene, Omelie sul Vangelo di Luca 17, 9: Poiché era necessario che anche le donne fossero salvate, dopo Simeone giunse là una donna che era una profetessa. La Scrittura dice di lei: E Anna era una profetessa, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Come è bello quest’ ordine! La donna non è venuta prima dell’uomo: prima è giunto Simeone che ha preso il bambino e lo ha tenuto fra le sue braccia, poi è giunta la donna, le cui parole esatte non sono ricordate; ma il racconto dice in termini generali che lodava Dio e parlava di lui a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
 
Il Santo del Giorno - 30 Dicembre 2024 - San Lorenzo da Frazzanò Monaco: Nacque probabilmente intorno al 1116, nella piccola borgata di Frazzanò. I suoi genitori morirono nel giro di un anno, lasciando orfano il figlio. Lorenzo venne così affidato alla giovane nutrice Lucia, una vicina di casa. A sei anni, dopo i primi approcci con la liturgia e le scritture, Lorenzo chiese a Lucia di potere studiare le lettere umane e divine. Fu così indirizzato al monastero basiliano di San Michele Arcangelo a Troina, dove il giovane stupì tutti per le sue doti umane e religiose. Lo stesso vescovo di Troina lo invitò a vestire l’abito monacale basiliano e a ricevere gli ordini minori e maggiori. A soli 20 anni Lorenzo era già sacerdote e la sua fama andava diffondendosi nella regione. Si recò presso il monastero di Agira e qui i fedeli andavano per sentire la parola del santo. Nel 1155 circa Lorenzo entrò nel monastero di San Filippo di Fragalà. In questo periodo, Lorenzo si adoperò per fare edificare a Frainos (Frazzanò) una chiesetta dedicata a San Filadelfio. Nell’autunno del 1162 si conclusero i lavori della nuova chiesa di Tutti i Santi, da lui desiderata «ad honore della Santissima Trinità». Morì il 30 dicembre dello stesso anno. (Avvenire)
 
O Dio, che vieni a noi nella partecipazione al tuo sacramento,
rendi efficace nei nostri cuori la sua potenza,
perché il dono ricevuto ci prepari a riceverlo ancora.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 
 
 29 DICEMBRE 2024
 
SANTA FAMIGLIA DI GESU’, MARIA E GIUSEPPE

1Sam 1,20-22.24-28; Salmo Responsoriale Dal Salmo 83 (84); 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
 
Colletta
O Dio, nostro creatore e Padre,
tu hai voluto che il tuo Figlio crescesse in sapienza,
età e grazia nella famiglia di Nazaret;
ravviva in noi la venerazione
per il dono e il mistero della vita,
perché diventiamo partecipi della fecondità del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Festa della Santa Famiglia di Nazaret - Benedetto XVI (Angelus, 30 dicembre 2007): Celebriamo oggi la festa della Santa Famiglia. Seguendo i Vangeli di Matteo e di Luca, fissiamo lo sguardo su Gesù, Maria e Giuseppe, e adoriamo il mistero di un Dio che ha voluto nascere da una donna, la Vergine Santa, ed entrare in questo mondo per la via comune a tutti gli uomini. Così facendo ha santificato la realtà della famiglia, colmandola della grazia divina e rivelandone pienamente la vocazione e la missione. Alla famiglia ha dedicato grande attenzione il Concilio Vaticano II. I coniugi - esso afferma - sono l’uno per l’altro e per i figli testimoni della fede e dell’amore di Cristo (cfr. LG, 35). La famiglia cristiana partecipa così della vocazione profetica della Chiesa: con il suo modo di vivere “proclama ad alta voce le virtù presenti del Regno di Dio e la speranza della vita beata” (ibid.). Come ha poi ripetuto senza stancarsi il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, il bene della persona e della società è strettamente connesso alla “buona salute” della famiglia (cfr. GS, 47). Perciò la Chiesa è impegnata a difendere e promuovere “la dignità naturale e l’altissimo valore sacro”- sono parole del Concilio - del matrimonio e della famiglia (ibid.)
 
I Lettura: Anna dà lode a Dio offrendo il frutto del suo grembo: solo chi sa riconoscere che tutto è dono sa donare tutto. 
 
II Lettura: Come Samuele, anche noi, figli di Dio, siamo offerti e consacrati alla santissima Trinità: immersi nelle acque del battesimo, contrassegnati dal sigillo dell’amore, veniamo inabitati dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.
 
Vangelo
Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri.
 
C’è un legame che unisce la prima lettura e il Vangelo, il figlio di Anna e il figlio di Maria. Come Samuele è il dono di Dio ad una donna sterile, così Gesù è il dono del Padre ad un’umanità smarrita, sterile a motivo del peccato. Samuele viene offerto e consacrato al Signore, anche Gesù viene portato al tempio e offerto da Maria al Padre celeste perché lo accetti come vittima di espiazione per la salvezza del mondo. La famiglia di Nazaret, come quella di Anna, è il modello di tutte le famiglie aperte all’incontro con il Signore, nella accettazione della sua volontà, nell’osservanza dei suoi comandamenti e nell’ascolto sapienziale della sua Parola.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,41-52
 
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
 
Parola del Signore.
 
Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? - L’evangelista Luca ama presentare Giuseppe e Maria fedeli osservanti della Legge del Signore: così ricorda la circoncisione di Gesù (1,21), la presentazione del bambino al tempio e l’offerta dei colombi per la purificazione della madre (1,22).
Era anche scritto nella Legge di Mosè: «Tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che Egli avrà scelto» (Dt 16,16). Giuseppe e Maria compivano questo pellegrinaggio ogni anno, così anche quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa.
All’interno della famiglia c’erano quattro eventi che segnavano il procedere della vita: la nascita, il raggiungimento della maturità, il matrimonio e la morte. Questi eventi erano sottolineati con particolari riti sociali. Quando poi si credeva che Dio fosse coinvolto nel processo della vita, l’evento assumeva anche un carattere religioso. Tali riti sono conosciuti con il nome di riti di passaggio. A 12 anni Gesù, come tutti i ragazzi ebrei, si preparava ad acquistare la condizione di adulto in seno alla comunità religiosa, il viaggio a Gerusalemme rivestiva perciò un significato speciale per il “figlio di Maria” (Mc 6,3). Questo è il primo episodio che ci mostra come Gesù fosse cosciente della sua particolare relazione verso Dio.
Si preferiva viaggiare in gruppi, cioè in carovane, per tanti motivi ed uno era costituito dalla pericolosità del viaggio. I viaggiatori temevano soprattutto i banditi e gli animali feroci. Non di rado ci si poteva imbattere in famelici leoni che si aggiravano anche nelle valli (Cf. Is 30,6).
Nel loro pellegrinaggio, Giuseppe e Maria «viaggiavano con i parenti e conoscenti. Ce n’era un numero sufficiente per far sì che non lo vedessero per un’intera giornata, e Maria e Giuseppe erano in rapporto sufficientemente stretto con questi membri della famiglia allargata, tanto da non preoccuparsene» (Ralph Gower).
Perché mi cercavate? La risposta di Gesù alla domanda della Madre, espressa anche a nome di Giuseppe, contiene una esplicita rivelazione della sua identità: egli è il Figlio di Dio in modo trascendente. Manifesta, molto chiaramente, la consapevolezza che Gesù aveva di se stesso fin da allora.
Nell’Antico Testamento «sono chiamati con il nome e il titolo di “figlio di Dio” tutto il popolo eletto, e, nel suo seno, in modo particolare, il giusto, il re, il messia. Il modo però con cui Gesù all’età di dodici anni denomina Dio suo Padre, e pone tale Padre in distinzione rispetto a colui, che Maria nell’interrogazione aveva chiamato padre secondo la legge, cioè Giuseppe, è un fatto unico. Perciò nella parola di Gesù che chiama Dio suo padre occorre vedere la iniziale rivelazione contenuta in tutta la serie dei testi nei quali Gesù parla di Dio denominandolo sempre “il Padre mio” e distinguendolo sempre dal “Padre vostro”» (Giuseppe Ferraro).
Non sapevate che io devo occuparmi... A Maria che parlava dei “doveri filiali” pensando al quinto comandamento (Cf. Es 20,12), Gesù risponde rimandando al primo: il dovere verso Dio (Cf. Es 20,3-6), egli è il figlio obbediente del suo Padre celeste. È da notare anche che in questa risposta risuona il verbo “devo”, che troveremo in altri nove casi, ciò dimostra che la missione di Gesù (Cf. Lc 4,43), e soprattutto la sua passione-resurrezione (Cf. Lc 9,22; 24,26), rientrano nel piano divino della salvezza che egli accetta sovranamente libero.
Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Pur non comprendendo non ostacolano la volontà del Figlio: sua Madre, custodendo tutte queste cose nel suo cuore, attende fiduciosa di comprendere per aderire al progetto con generosità e maggiore responsabilità. Imitando Giuseppe e Maria, i genitori cristiani non devono soffocare la volontà di Dio, ma devono formare i figli a rispondervi con grande maturità: «I figli poi, mediante l’educazione, devono essere formati in modo che, giunti alla loro maturità, possano seguire in pieno senso di responsabilità la loro vocazione, compresa quella sacra, e scegliere lo stato di vita; e se sceglieranno lo stato di vita coniugale, possano formare una propria famiglia nelle condizioni morali, sociali ed economiche per loro veramente favorevoli» (GS, 52). Questa è la famiglia pensata da Dio: una fucina di apostoli, costruttori di un mondo nuovo nella pace e nella giustizia. Anche nella docilità di Maria nell’accogliere la parola del Figlio, la famiglia cristiana trova un suo tratto peculiare che la contraddistingue da tutti gli altri nuclei familiari e la segna profondamente nel suo cammino e impegno terreno: essa è essenzialmente un nucleo familiare costituito da uomini e donne che accolgono la Parola in un ininterrotto ascolto obbedienziale, ma soprattutto è una famiglia che rivela Gesù. Lo porta nel grembo della sua esperienza quotidiana e lo dona agli uomini perché nei loro cuori venga piantato ed edificato il regno di Dio.
Luca dopo aver rilevato l’incapacità di comprendere dei genitori, mostra Gesù, rientrato a Nazaret, che torna a una scrupolosa osservanza della pietà filiale in conformità alla legge. Maria, intanto, continua la sua riflessione nel mistero che si concluderà, come per i  discepoli, solo dopo la luce pasquale con il dono dello Spirito Santo (Cf. At 1,14; 2,1ss).
 
Gesù e la famiglia - Bruno Liverani (Famiglia in Schede Bibliche Pastorali, Vol. III): Gesù radicato nella famiglia: Lo stile dell’azione di Dio si riconferma nel momento decisivo della storia. Trascendenza dell’intervento divino e assunzione dei determinismi della natura e della storia si trovano compenetrati nella nascita di Gesù di Nazaret. Il Figlio di Dio si inserisce nella famiglia umana nascendo da una donna, accettando i legami di sangue e i condi­zionamenti del suo popolo (Gal 4,4-5). La tradizione sinottica testimonia in modo evi­dente questo realizzarsi della pienezza dei tempi. Paradossalmente, sono gli increduli nazaretani a confessare il mistero che si sta svolgendo sotto i loro occhi: l’entrata in scena di Gesù come profeta potente in parole ed opere li stupisce: non è uno come loro costui, i cui legami familiari sono noti a tutti? (Mc 6,1-3).
L’assunzione piena dei legami del sangue è espressa ancora una volta col genere letterario della genealogia, che ci mostra il dispiegarsi nel tempo della famiglia. La redazione lucana fa risalire gli antenati di Gesù fino ad Adamo, inserendolo in tal modo nel quadro universale della famiglia umana, di cui Dio assume i ritmi biologici e storici per elevarli a segno del suo piano salvifico (Lc 3,23-38).
La redazione di Matteo inserisce Gesù nei vincoli di solidarietà che fanno di Israele una sola famiglia a partire da Abramo, la cui storia converge nella comparsa del Messia (Mt 1,1-17).
Nelle tradizioni riferite da Luca, Gesù viene presentato nel quadro della sua famiglia naturale. Solidale coi suoi e col suo popolo, partecipa alle feste liturgiche in cui Israele si trova riunito come un’unica «casa» per ricordare i grandi gesti della misericordia di Dio. Ma nello stesso tempo, per quanto fanciullo, afferma con gesto di sovrana libertà la trascendenza del piano di Dio che per lui si compie, mettendo a disagio la sua famiglia naturale (Lc 2,41-50). Nondimeno è lo stesso evangelista a concludere il racconto dell’infanzia con una nota che ci mostra Gesù reintegrato nella sua famiglia in una totale accettazione dei rapporti che in essa si determinano (Lc 2,51-52). Troviamo riaffermati questi lega­mi familiari al momento della sua morte, secondo quanto ci trasmette Giovanni, quando sua madre è presente sotto la croce. Ma anche allora il gesto di Gesù supera la visuale umana e apre la prospettiva di una famiglia più ampia, introduce già il tempo della chiesa (Gv 19,25-27). Non a caso, la storia della chiesa comincia attorno a Maria e ai fratelli di Gesù, a coloro, cioè, che hanno offerto a Gesù una «casa» che diventa, così, il seme di una famiglia più ampia e definitiva (At 1,14).
La famiglia nell’azione e nella parola di Gesù: Nato e vissuto in una famiglia umana, Gesù ne rispetta la struttura e le leggi che le tradizioni del suo popolo avevano formato. Più volte egli deve intervenire in un quadro familiare. Lo vediamo insieme a sua madre e ai discepoli partecipare al momento in cui nasce una nuova famiglia, alle nozze di Cana (Gv 2,1-12). Interviene nella famiglia degli amici, per ristabilire la serenità e la pace compromessa dalla malattia e dalla morte. Così guarisce la suocera di Pietro (Mc 1,29-31) e risuscita l’amico Lazzaro, restituendolo all’affetto delle sorelle Marta e Maria (Gv 11,1-44). Anche altre famiglie vengono a conoscere l’intervento salvifico di Gesù: la figlia di Giairo (Mc 5,35-42) e il figlio della vedova di Naim (Lc 7,11-15) sono riconsegnati alla vita e all’affetto dei loro cari. Ancora, la sua azione non conosce limiti di appartenenza etnico-religiosa: la donna siro-fenicia, per la sua fede, ottiene la guarigione della figlia (Mt 15,21-28).
La parola di Gesù è sovente carica di riferimenti al modo di concepire la famiglia tipico del suo popolo. Anzitutto è vivo il rispetto della legge nelle sue esigenze più profonde. Nella polemica coi farisei, richiama il comandamento che impone il rispetto dei genitori, rifacendosi alle origini stesse dell’etica giudaica. In particolare, rinfaccia loro il costume ipocrita di dichiarare «korban», cioè offerta sacra, determinati beni, qualora ciò diventasse solo un pretesto per esonerarsi dal dovere di soccorrere i propri genitori. La lettera e lo spirito del comandamento, riproposti con forza da Gesù, im­pongono come primario il rispetto di ciò che è dovuto ai genitori, dal quale nessun accorgimento giuridico può dispensare (Mc 7,9-13). Anche nella parola di Gesù emerge la figura del padre, come garante fondamentale della famiglia. Il rispetto e l’obbedienza sincera nei confronti del padre servono a Gesù come parabola sull’atteggiamento del popolo d’Israele nei confronti di Dio (Mt 21,28-31). In molte parabole, il protagonista è il capo della «casa», il paterfamilias.
La chiamata ad entrare nel regno è assimilata all’invito che fa un padre che prepara le nozze del figlio (Mt 22,2); la vigilanza nell’attesa del regno ha come riscontro l’atteggiamento del padre che veglia sulle sorti della sua casa (Mt 24,43), e il giudizio escatologico è paragonato ad un padre che trae dal patrimonio familiare cose vecchie e nuove (Mt 13,52). Il rapporto padre-figli sta al centro anche della parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32)
 
Santa Famiglia - Nella lingua ebraica, la famiglia è chiamata ordinariamente «casa del padre». Essa, per l’Israelita, è tutto. È il luogo dove si vivono le gioie del quotidiano e dove, insieme, perché uniti dai legami della più stretta solidarietà, si affrontano le difficoltà e le prove che la vita largamente dona ad ogni uomo. La famiglia è anche un’entità politica ed allo stesso tempo una associazione religiosa dove si celebrano le feste del Signore. Il padre ne era in un certo senso il sacerdote (Cf. Gb 1,5). Nato «e vissuto in una famiglia umana, Gesù ne rispetta la struttura e le leggi che le tradizioni del suo popolo avevano formato. Più volte egli deve intervenire in un quadro familiare. Lo vediamo insieme a sua madre e ai discepoli partecipare al momento in cui nasce una nuova famiglia, alle nozze di Cana [Gv 2,1-2]. Interviene nella famiglia degli amici, per ristabilire la serenità e la pace compromessa dalla malattia e dalla morte. Così guarisce la suocera di Pietro [Mc 1,29-31] e resuscita l’amico Lazzaro, restituendolo all’affetto delle sorelle Marta e Maria [Gv 11]. Anche altre famiglie vengono a conoscere l’intervento salvifico di Gesù: la figlia di Giairo [Mc 5,35-42] e il figlio della vedova di Naim [Lc 7,11-17] vengono riconsegnati alla vita e all’affetto dei loro. Ancora, la sua azione non conosce limiti di appartenenza etnico-religiosa: la donna siro-fenicia, per la sua fede, ottiene la guarigione della figlia [Mt 15,22]» (Bruno Liverani).
La festa della “Santa Famiglia” vuole sottolineare un dato fondante della famiglia: essa è associata alla missione apostolica della Chiesa, missione che è «radicata nel battesimo e riceve dalla grazia sacramentale del matrimonio una nuova forza per trasmettere la fede, per santificare e trasformare l’attuale società nella quale è inserita» (Familiaris consortio n. 52).
È soprattutto il Nuovo Testamento a mostrarci la famiglia come «comunità credente ed evangelizzante» (Familiaris consortio n. 51), al servizio del Vangelo e dell’uomo.
Spesso l’accoglimento del Vangelo da parte del capofamiglia comportava l’entrata di tutto il nucleo familiare nella salvezza (Cf. At 10,2; 16,1ss). A Tiro, Paolo, in viaggio verso Gerusalemme, viene accompagnato dai discepoli «con le mogli e i figli sin fuori della città» (At 21,5-6). Stefana riceve dall’apostolo Paolo il battesimo con tutti i suoi (Cf. 1Cor 1,16). Anche Lidia, una credente in Dio, «commerciante di porpora, della città di Tiàtira» (At 16,14-15), viene battezzata da Paolo insieme alla sua famiglia.
Una volta accolta la fede da parte della famiglia, è in essa che si sviluppa e matura. Ed è proprio per questo motivo che i pericoli che minacciano la fede dei singoli, minacciano anche la pace e l’unità della famiglia, che rischia di essere trascinata e coinvolta nell’errore, così come, unita era arrivata alla fede: «Vi sono infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti spiriti insubordinati, chiacchieroni e ingannatori della gente. A questi tali bisogna chiudere la bocca, perché mettono in scompiglio intere famiglie, insegnando per amore di un guadagno disonesto cose che non si devono insegnare» (Tt 1,10-11). La famiglia che accoglie il Vangelo a sua volta diventa missionaria; così la famiglia di Stefana che diventa un vero centro di irradiamento del vangelo nell’Acaia, un punto di riferimento per i “fratelli” che vogliono impegnarsi in tale opera missionaria: «Fratelli: conoscete la famiglia di Stefana, che è primizia dell’Acaia; hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli; siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro» (1Cor16,15-16). Aquila e Priscilla, dopo aver ascoltato Paolo, lo accolgono nella loro casa e gli espongono con «maggiore accuratezza la via di Dio» (At 18,26).
Quindi, la missione è stata sempre un dato costitutivo della famiglia. Un dato sempre accolto e sollecitato dal magistero della Chiesa: «La famiglia come la Chiesa deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell’intimo di una famiglia cosciente di questa missione tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente nel quale è inserita» (Evangelii nuntiandi n. 71).
È urgente, quindi, che la famiglia scopra la sua dimensione missionaria e per fare questo è necessario superare «la concezione che una famiglia è “buona”, quando tutto va bene al suo interno, ma è chiusa verso l’esterno. Si può trattare di un “egoismo comunitario” invece che semplicemente individuale. L’amore non può essere consumato tutto solo fra i componenti della famiglia. La famiglia non è un mondo a sé stante, ma cellula del mondo e della Chiesa» (Costanzo Donegana).
 
Il bambino cresceva, pieno di sapienza: «… anche a proposito di Giovanni leggiamo: “E il bambino cresceva e si fortificava...”, non si aggiunge però: era ricolmo di sapienza... Non appartiene alla natura umana essere ricolmati di sapienza prima di dodici anni. Una cosa è possedere parzialmente la sapienza, un’altra essere ricolmati di sapienza. È evidente dunque che qualcosa di divino si manifestò nel corpo di Gesù, qualcosa che supera non solo gli uomini, ma qualsiasi creatura razionale» (Origene).
 
Il Santo del Giorno - 29 Dicembre 2024 - San Tommaso Becket, Martire: Nato a Londra verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell’arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, Tommaso fu nominato cancelliere da Enrico II, con il quale fu sempre in rapporto di amicizia. Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury. Ma occupando questo posto Tommaso si trasformò in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa, inimicandosi il sovrano. Fu ordinato sacerdote e vescovo nel 1162. Dopo aver rifiutato di riconoscere le «Costituzioni di Clarendon» del 1164, però, Tommaso fu costretto alla fuga in Francia, dove visse sei anni di esilio. Ma al rientro come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, il quale, si dice, arrivò a esclamare: «Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?». Fu così che quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L’arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto; accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri e si lasciò pugnalare senza opporre resistenza. Era il 23 dicembre del 1170. (Avvenire)
 
Padre clementissimo, che ci nutri con questi sacramenti,
concedi a noi di seguire con fedeltà gli esempi della santa Famiglia,
perché, dopo le prove della vita,
siamo associati alla sua gloria in cielo.
Per Cristo nostro Signore.