1 Settembre 2024
XXII Domenica T. O.
Dt 4,1-2.6-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 14 (15): Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23
Colletta
O Padre,
che sei vicino al tuo popolo ogni volta che ti invoca,
fa’ che la tua parola seminata in noi
purifichi i nostri cuori
e giovi alla salvezza del mondo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Papa Francesco (2 Settembre 2024): In questa domenica riprendiamo la lettura del Vangelo di Marco. Nel brano odierno (cfr Mc 7,1-8.14-15.21-23), Gesù affronta un tema importante per tutti noi credenti: l’autenticità della nostra obbedienza alla Parola di Dio, contro ogni contaminazione mondana o formalismo legalistico.
Il racconto si apre con l’obiezione che gli scribi e i farisei rivolgono a Gesù, accusando i suoi discepoli di non seguire i precetti rituali secondo le tradizioni. In questo modo, gli interlocutori intendevano colpire l’attendibilità e l’autorevolezza di Gesù come Maestro perché dicevano: “Ma questo maestro lascia che i discepoli non compiano le prescrizioni della tradizione”. Ma Gesù replica forte e replica dicendo: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» (vv. 6-7). Così dice Gesù.
Parole chiare e forti! Ipocrita è, per così dire, uno degli aggettivi più forti che Gesù usa nel Vangelo e lo pronuncia rivolgendosi ai maestri della religione: dottori della legge, scribi… “Ipocrita”, dice Gesù.
Gesù infatti vuole scuotere gli scribi e i farisei dall’errore in cui sono caduti, e qual è questo errore? Quello di stravolgere la volontà di Dio, trascurando i suoi comandamenti per osservare le tradizioni umane. La reazione di Gesù è severa perché grande è la posta in gioco: si tratta della verità del rapporto tra l’uomo e Dio, dell’autenticità della vita religiosa. L’ipocrita è un bugiardo, non è autentico.
Anche oggi il Signore ci invita a fuggire il pericolo di dare più importanza alla forma che alla sostanza. Ci chiama a riconoscere, sempre di nuovo, quello che è il vero centro dell’esperienza di fede, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo, purificandola dall’ipocrisia del legalismo e del ritualismo.
Prima Lettura: Il testo contiene due raccomandazioni: quella di accogliere e di mettere in pratica «le leggi e le norme» che Dio dona per la vita del suo popolo e quella di non aggiungere e nulla togliere riguardo a quei comandi del Signore per non incorrere nella maledizione divina. Raccomandazione molto diffusa per quei tempi (cf. Ap 22,18-19). L’autore esprime anche il sentimento di fierezza che gli Ebrei hanno sempre avvertito, per essere stati i depositari e i custodi della rivelazione mosaica. Mentre le altre tradizioni del Pentateuco «sottolineano la distanza che separa Dio dall’uomo [cf. Es 33,20], il Deuteronomio insiste sulla condiscendenza che rende Dio vicino al suo popolo: egli abita in mezzo ad esso [Dt 12,5]. Il medesimo spirito deuteronomista si trova espresso nel racconto della dedicazione del tempio [1Re 8,10-29]. Si ritrova questo pensiero in Ez 48,35. L’ultima parola sarà detta dal NT [Gv 1,14]» (Bibbia di Gerusalemme).
Seconda Lettura: Giacomo mirabilmente mette in luce la vera religiosità cristiana, quella che egli chiama «religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre». Tale religiosità pura e senza macchia consta di due elementi: l’apertura verso i deboli e gli indifesi (orfani e vedove, le categorie sociali più bistrattate); il distacco dal mondo ingannevole e passeggero, il che vuol dire «intestardirsi» a cercare «le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio»; a pensare «alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2).
Vangelo
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.
Per la comprensione del Vangelo è opportuno richiamare alla memoria le norme di purità che gli Ebrei ritenevano di dover osservare prima di prestare il culto liturgico a Dio. Essi distinguevano tra cose, persone, creature, azioni pure e impure . Chi veniva a contatto con ciò che era considerato impuro doveva purificarsi, prima di entrare in contatto con Dio. Per la Bibbia di Gerusalemme, «i rabbini facevano risalire la tradizione orale, attraverso gli “anziani”, a Mosè ... A proposito dell’impurità delle mani, obiettata dai Farisei, Gesù prende in considerazione la questione più generale dell’impurità attribuita dalla legge a certi alimenti [Lev 11]
e insegna a posporre l’impurità legale a quella morale, la sola che importa veramente ([cf. At 10,9-16; 10,28 ...]».
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,1-8.14-15.21-23
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Parola del Signore.
Discussione sulle tradizioni farisaiche - Ai tempi di Gesù, i Farisei e gli scribi erano considerati i fedeli custodi della tradizione scritta ed orale per cui la loro autorità era indiscussa. Ma la tradizione orale, il cui scopo era quello di esplicitare quella scritta e così alleggerirla, in verità la rendeva insopportabile, a volte, anche per le stesse guide spirituali tanto che spesso, con mille sotterfugi, arrivavano intenzionalmente a trasgredirla: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,3).
Il tema della discussione è quello del «lavarsi le mani» che non era un norma igienica, ma una prescrizione rituale della purificazione secondo la «tradizione degli antichi».
I tutori della legge consideravano Gesù e i suoi discepoli, a motivo del loro atteggiamento insubordinato, sovvertitori della legge e questo per la nazione intera poteva avere conseguenze inimmaginabili (Gv 11,48). La loro disubbidienza, poi, era sotto gli occhi di tutti; quindi, era urgente fermarli prima che fosse troppo tardi. Così si capisce perché la «casa madre», Gerusalemme, si premura di inviare a Genèsaret alcuni esperti della legge.
Sotto il rimprovero capzioso rivolto a Gesù, si può cogliere quella mentalità dura a morire la quale nasceva dalla considerazione che la legge, e sopra tutto la sua osservanza, bastava a giustificare il Giudeo: chi non osservava la legge era gente dannata (Gv 7,49), tagliata fuori dal progetto salvifico. Gesù, agli occhi dei Farisei, non soltanto sovvertiva la tradizione degli antichi, ma fuorviava il popolo introducendolo in sentieri che lo avrebbe portato molto lontano dalla salvezza. Accuse quindi molto pesanti che andavano al di là della banalità di lavarsi le mani prima di prendere cibo.
Gesù innanzi tutto si rifà agli insegnamenti dei Profeti in eterno conflitto con il potere deviante dei governanti e con il posticcio culto che la nazione rendeva a Dio. I re, sovente idolatri, sguazzavano nella melma della sensualità (Sir 47,19) e non si facevano scrupolo di ammazzare pur di possedere la donna oggetto delle loro brame (2Sam 11,1-27).
Il popolo da par suo era abilissimo nell’ emulare le sue guide: da una parte l’incenso e dall’altra una vita scellerata (Is 1,11-13); da una parte le preghiere nel tempio e dall’altra parte le mani lorde di sangue fraterno (Is 1,15); da una parte l’osservanza del Sabato e dall’altra la bramosia che tutto passasse in fretta perché si potesse riprendere a vendere rubando e truffando sul peso (Amos 8,5-6).
La risposta di Gesù è molto aspra, la sua è infatti una controaccusa: i toni sono forti perché Egli sta rimproverando gente molto abile nell’eludere i comandamenti di Dio contrapponendovi la tradizione umana (Mc 7,9) e molto brava da apparire «giusti all’esterno davanti agli uomini» (Mt 23,28).
Per cui Gesù senza mezzi termini li taccia di ipocrisia: il termine hipokrites descrive gli attori con il volto nascosto da una maschera.
In questa prima discussione Gesù non coinvolge il popolo, si rivolge solo ai Farisei e agli scribi perché tecnicamente capaci di comprendere il suo linguaggio. Poi chiama la folla e qui il discorso ha la forma di didascalia, cioè di insegnamento; un insegnamento rivolto a tutti, discepoli e no, e che da tutti doveva essere ritenuto. Gesù non è un rivoluzionario: la legge va osservata anche nei più piccoli particolari perché lui non è venuto per abolirla, ma per renderla perfetta (Mt 5,17-19).
È un invito a guardarsi dentro: la creazione di per sé è buona e c’è un solo tipo di impurità che allontana l’uomo da Dio ed è quella che scaturisce dal suo cuore, cioè dai pensieri e dalle intenzioni. È l’uomo, se non ha un cuore puro, a rendere impure anche le cose buone. E poi, ora, nella pienezza del tempo, non è la legge e la sua osservanza a giustificare l’uomo, ma la fede in Cristo (Rom 5,1s).
L’invidia - Roberto Tufariello (Invidia in Schede Bibliche): Nel Nuovo Testamento l’invidia è indicata col termine fthónos e talvolta con zêlos.
Gesù, nel corso della sua vita, è stato oggetto di invidia da parte dei sommi sacerdoti e dei farisei a causa del successo che otteneva tra le folle (Mt. 27,18; Gv. 11,45-57). Egli ha spiegato che l’origine di questa tendenza cattiva, come delle altre, è nel cuore dell’uomo; è lì quindi che bisogna vincerla: «Escono infatti dal cuore degli uomini le intenzioni cattive, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono fuori e contaminano l’uomo» (Mc. 7,21-31).
Gesù ha accennato all’invidia anche in alcune parabole. Nella parabola degli operai della vigna si rimprovera 1’«occhio cattivo» di coloro che mormorano perché i chiamati dell’ultima ora ricevono la paga dell’intera giornata. Il padrone della vigna afferma che non c’è ragione di dolersi dei doni che la sua bontà vuole elargire, oltre il giusto salario, indipendentemente dai meriti dei lavoratori (Mt. 20,13-14). Ugualmente, il figlio fedele della nota parabola lucana non avrebbe motivo di infuriarsi per il trattamento di bontà e di generosità che viene fatto al fratello prodigo, pentito e tornato alla casa del padre (Lc. 15,29-32).
Nelle lettere di s. Paolo, l’invidia compare in vari elenchi di vizi; essa è tra i peccati che caratterizzano la vita dei pagani che colpevolmente non riconoscono Dio (Rom. 1,29); è una delle «opere della carne» che possono escludere dal regno di Dio e che non si accordano con la vita «secondo lo Spirito» (Gal. 5,21.26); è una delle «opere delle tenebre» che il cristiano deve respingere (cf. Rom. 13,13).
I credenti, prima di ricevere il battesimo, vivevano immersi nella malizia e nell’invidia, odiosi, nemici a vicenda» (Tito 3,3-4). Ma poi, dopo l’immersione battesimale, hanno rinunciato a ogni forma di malizia, compresa l’invidia, per vivere una vita nuova (1Pt. 2,1-2). Anche dopo il battesimo, uno può lasciarsi prendere dall’invidia (1Cor. 3,3; 2Cor. 12,20); ma se vuole, può superarla mediante la carità, la quale sa rallegrarsi del bene altrui (1Cor. 13,4-5).
In qualche testo, l’invidia viene indicata come un pericolo anche per i pastori del gregge di Cristo.
Essa è una delle caratteristiche dei falsi dottori, la cui azione pastorale è guidata dall’orgoglio e dall’avarizia (1Tim. 6,3-5).
Alcuni predicatori annunciano il vangelo esclusivamente per spirito di rivalità e di invidia verso Paolo o altri apostoli, allo scopo di rovinarne l’autorità presso i fedeli e di soppiantarla. S. Paolo ritiene che questa motivazione faziosa non faccia perdere al vangelo il suo valore; tuttavia non può che disapprovare i predicatori che si lasciano guidare da tali sentimenti: «Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno con carità...; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Che importa? Purché in ogni maniera, sia nella ipocrisia che nella verità, Cristo venga annunciato, me ne rallegro e rallegrerò» (Fil. 1,15-18).
San Giacomo spiega che l’invidia ha un ruolo non piccolo nella genesi delle contese e delle lotte tra gli uomini (Giac. 4,1-2). Egli definisce «amaro» questo peccato, che è il frutto di una falsa sapienza, chiamata «carnale» e « diabolica» perché ha la sua origine nel padre della menzogna. A questa sapienza si contrappone quella «dall’alto», di origine divina, che porta frutti di pace, di mitezza, di misericordia: «Ma se avete nel vostro cuore dell’invidia amara e spirito di contesa, non gloriatevi e non mentite contro la verità. Questa non è sapienza che viene dall’alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c’è invidia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di male. Ma la sapienza che viene dall’alto, anzitutto è pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia» (Giac. 3,14-17).
Alberto Magno (In ev. Marc VII): Non c’è niente che possa contaminare l’uomo entrando in lui dall’esterno … : qui si parla della contaminazione dell’anima ... che non avviene a causa del cibo, ma dell’inosservanza degli insegnamenti divini, come anche Adamo fu reso impuro non dal cibo, ma dalla disobbedienza, e rese noi tutti impuri.
Il santo del giorno - 1 Settembre 2024 - San Giosuè, Patriarca: Il giovane Giosuè fa il suo tirocinio al servizio di Mosè. Accumula esperienza e conoscenza, diventa un uomo pieno dello spirito di saggezza. Per questa sua sapienza e docilità merita di diventare il successore di Mosè, che guiderà il popolo nell’ingresso nella terra promessa. Il passaggio del Giordano più che un’azione bellica è una processione liturgica da lui guidata.
Al centro dell’evento vi è l’Arca trasportata dai sacerdoti. Non appena essi toccano l’acqua, questa si divide per lasciar passare il popolo all’asciutto. Anche la conquista di Gerico viene presentata come un’azione liturgica di cui sono protagonisti i sacerdoti. Per sei giorni essi aprono il corteo intorno alle mura della città. Il settimo giorno compiono il giro per ben 7 volte, e al termine dell’ultimo, al suono delle trombe, le mura crollano. I due episodi sono accomunati da una premessa teologica: la conquista della terra è un dono di Dio, Giosuè ne è lo strumento. (Avvenire)
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.