4 Luglio 2024
 
Giovedì XIII Settimana T. O.
 
Am 7,10-17; Salmo Responsoriale Dal salmo 18 (19); Mt 9,1-8
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gesù rivela il Padre misericordioso: Catechismo degli Adulti n. 197: Gesù sa di essere in totale sintonia con la misericordia del Padre. Dio ama per primo, appassionatamente; va a cercare i peccatori e, quando si convertono, fa grande festa: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta» (Lc 15,4-6). L’unità di Gesù con il Padre è tale, che egli si attribuisce perfino il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di riprovazione e l’accusa di bestemmia: «Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua» (Mc 2,9-11).
 
I Lettura: Amasia paragona Amos ai profeti di carriera che vivono della loro professione (Cf. 1Sam 9,7), ma non lo accusa d’essere un falso profeta; anzi, il suo intervento e la sua denunzia di cospirazione mostrano che egli teme le conseguenze della predicazione del profeta. La fedeltà di Amos alla vocazione divina rende efficace e veritiero il suo annunzio, purtroppo foriero di crudeli sventure: morte di spada per Geroboamo, esilio per Amasia e per tutto Israele, disonore e morte per donne e bambini.
 
Vangelo
Resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
 
Il paralitico e coloro che lo portano chiedono a Gesù la guarigione del corpo perché attratti dalla sua misericordia usata nei confronti dei malati e degli ossessi. Gesù dona al paralitico la salute fisica e contemporaneamente il perdono dei peccati, ma non dobbiamo credere che quel paralitico fosse più peccatore che malato: Gesù «fa intendere che in quell’uomo si sono rese evidenti in modo particolare le conseguenze di quella separazione tra Dio e uomo nella quale risiede la radice del male. Gesù richiama i presenti a questa considerazione affinché non si fermino alla esteriorità del miracolo. E ai versi 10-11 “affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati... ti ordino... alzati” chiarisce la verità opposta, cioè che il perdono non resta mai un fatto puramente interiore, psicologico, ma riconduce anche l’aspetto corporale dell’uomo sotto la sovranità di Dio» (P. Antonio Di Masi).

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,1-8
 
In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati».
Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire: “Àlzati e cammina”? Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati - disse allora al paralitico -, prendi il tuo letto e va’ a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua.
Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
Parola del Signore.
 
Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Dopo una nuova traversata, verso la riva occidentale del lago, dov’è Cafarnao (cf 4,13), avviene un nuovo fatto. Un paralitico mene portato a Gesù, e già questo manifesta la fede di quella gente.  La novità del questo miracolo sta in ciò che lo precede. Finors Gesù ha guanto la gente colpita da ogni tipo di infermità. qui invece è lui che prende l’iniziativa e dice: «Ti sono rimessi i tuoi peccati». Ciò non va interpretato nel senso che Gesù riconosca un supporto causale e immediato tra la malattia e il peccato; anzi altrove respingerà esplicitamente l’opinione dei dottori della legge per i quali ogni malattia è la conseguenza di un peccato personale. Certo è che l’uomo soffre di due malattie: la malattia del corpo caduco e mortale e la malattia del peccato, che lo rovina interiormente. La malattia del peccato è la più grave, perché nessun medico umano è capace di guarirla, ma soltanto Dio.
Allora alcuni scribi cominciarono a pensare «Costui bestemmia» ...  Gli scribi riconoscono - in sé giustamente - che qui viene pronunciata una bestemmia. Chi può arrogarsi la potestà di perdonare i peccati, del momento che ciò appartiene soltanto a Dio? Il peccato infatti è contro Dio, è una negligenza colpevole, una trasgressione deliberata di un suo comandamento. Soltanto Dio, quindi, è competente in questo campo!
Ma qui non siamo di fronte a un uomo qualunque. Gesù lo dimostra con un ragionamento logico e stringato: sapete benissimo che è più difficile rimettere i peccati che guarire il corpo, ma chi può la cosa più difficile, non potrà anche la più facile? E viceversa: voi vedete con i vostri occhi che io posso eliminare le malattie fisiche; non è questa una prova che poso rimuovere anche l’infermità spirituale? Se vi manca la buona volontà di comprendere, non vi piegherà almeno la forza della logica?
L’autorità sovrana del Figlio dell’uomo all’inizio si era manifestata nel suo insegnamento e le folle l’avevano constatato con stupore (7,28). Qui si estrinseca nella capacità di togliere il peccato, adesso, sulla terra, nel presente tempo messianico. Ciò significa che quanto viene perdonato sulla terra è perdonato anche in cielo, presso Dio. Ciò che il Figlio dell’uomo compie ora con autorità divina, più tardi sarà compiuto anche dai suoi apostoli, ai quali trasmetterà lo stesso potere. Qui irrompe il regno di Dio: la vita e la salvezza riconquistano e compenetrano completamente l’uomo, corpo e anima.
Ed egli si alzò e andò a casa. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini. Che l’infermo si alzi realmente e vada a casa, appare una semplice e naturale conseguenza del fatto che era stato guarito nello spirito. Così la storia termina senza scalpore. La cosa principale per la gente non è la guarigione miracolosa, ma che Dio abbia «dato un tale potere agli uomini». Come deve essere grande Dio, proprio per questa liberalità, che non tiene gelosamente per sé il suo tesoro. L’accento, quindi, viene posto su quanto Dio fa: egli trasmette agli uomini i suoi poteri. Qui, ora, è stato il Figlio dell’uomo in persona, ma ciò non viene sottolineato; in seguito saranno degli uomini semplici ad avere il potere di rimettere i peccati in nome di Dio, un miracolo che si rinnova ogni volta che veniamo perdonati. Siamo consapevoli che Dio mette a nostra disposizione qualcosa di esclusivamente suo e dona a un uomo la sua stessa autorità? Siamo coscienti che si tratta di una grazia concessa liberamente?
 
Il peccato nei sinottici - Giuseppe Ghiberti: La natura del peccato secondo i sinottici è rappresentata ancora sovente con le cate­gorie antico testamentarie. Tipica categoria ripresa da quell’ambiente è quella del peccato inteso come «debito», secondo Mt 6,12: «e rimetti a noi i nostri debiti», dove Lc 11,4 ha: «rimetti a noi i nostri peccati». Il termine «debito» indica quanto noi dobbiamo a Dio e suggerisce quanto più grande sia la colpa del peccato (Cf. la specificazione del parallelo di Luca!), quando provenga da debitori quali siamo noi. Il concetto del debito torna spesso nell’insegnamento di Gesù, per esempio nella parabola del servitore spietato (Mt 18,23-35), del grande e piccolo debitore (Lc 7,41ss), ecc. Pur essendo apparentato con l’antica economia dell’alleanza, si tratta di un concetto chiarificatore, perché aiuta a superare l’idea d’un peccato ristretto solo all’ambito degli ordinamenti pur complicati della legge. E intanto esso serve a esprimere una giustificazione della necessità del perdono reciproco.
Dall’aspetto di «bene sottratto ingiustamente», inerente al concetto di peccato, si passa a quello di ostilità a Dio: non solo egli ha tutti i diritti verso di noi, ma ci ha fatto il dono della sua parola, dei suoi comandi, e noi gli rifiutiamo adesione e ubbidienza. Siamo pertanto iniqui e ci allontaniamo da lui.
Un recupero dei suoi beni, particolarmente della sua amicizia, sarà possibile solo con la conversione. I passi che documentano queste idee sono numerosi. In Mt 7,21-23 leggiamo che nel giudizio finale Cristo allontanerà da sé per sempre quanti non hanno fatto la volontà del Padre suo, siano essi carismatici straordinari. In 23,28 il primo evangelista testimonia che Cristo ha messo sotto denuncia l’ipocrisia dei farisei, giusti solo in apparenza. Dalla parabola del figlio prodigo emerge soprattutto la descrizione della situazione miserevole in cui si trova chi ha abbandonato Dio (Cf. Lc 15,11-25).
Noteremo che, in base a quanto s’è detto precedentemente, tutto il bene a cui il peccato si oppone è considerato in categorie di Regno. E siccome il Regno viene attraverso Gesù, già si intravede che commettere il peccato è prendere posizione contro l’opera di Gesù. Non farà stupire che, per contropartita, il peccato porti schiavitù nei riguardi di Satana. Il caso più evidente è rappresentato da Giuda che secondo Lc 22,3 ha tradito Gesù perché Satana entrò in lui; ma la legge generale è espressa da Gesù nella parabola del seminatore: chiunque ascolta la parola di Dio senza comprenderla (comprensione pratica) si vede derubato dal maligno del seme seminato nel suo cuore (Mt 13,19).
Le conseguenze del peccato, secondo i sinottici, possono essere accennate brevemente.
Avendo sottolineato che tra gli aspetti del peccato, il più doloroso è la delusione data all’amore di Dio e l’abbandono e allontanamento da lui, si comprende ora come gli effetti vengano nuovamente segnalati come infelicità nell’uomo causata dall’assenza di Dio. E ciò non solo nelle tipiche «parabole della misericordia» (e in particolare nel figlio prodigo), ma anche nell’«andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato al diavolo» (Mt 25,41), dove l’accento è posto, più che sul fuoco terrificante, sull’impossibilità di rima­nere con Dio e sul cambio della sua compagnia con quella del demonio. Restano certo valide molte cose della riflessione veterotestamentaria, ma le novità non sono meno rilevanti. Così effetto del peccato sarà la necessità del perdono; ma Gesù avverte che la grande remissione sarà lui a effettuarla (Cf. sopra Mt 26,28).
L’origine del peccato non è fatta oggetto di particolare attenzione nei sinottici, che si preoccupano solo di sottolinearne la natura intima all’uomo. Il peccato ha le sue radici nel cuore dell’uomo e non in tanti aspetti secondari, esterni e formalistici, suggeriti dalla mentalità legalistica farisaica (Cf. Mt 15,10-20 e Mc 7,14-23).
Quando però si sia insistito sull’interiorità e volontarietà dell’atto peccaminoso, non si è ancora chiarito se questa interiorità sia universalmente toccata da una presenza o predisposizione al male.
 
Pietro Crisologo, Sermo, 50, 3-6: “Figlio”, dice, “ti sono rimessi i tuoi peccati.” Dicendo questo, voleva esser riconosciuto Dio, quale ancora non appariva agli occhi umani a causa della [sua] umanità. Per le facoltà ed i miracoli, infatti, era paragonato ai profeti, i quali, da parte loro, per mezzo di lui avevano compiuto prodigi; il rimettete i peccati, invece, dato che non spetta all’uomo e costituisce segno distintivo della divinità, ai cuori degli uomini lo dimostrava Dio.
Lo prova il livore dei farisei; infatti quando ebbe detto: Ti sono rimessi i tuoi peccati, risposero i farisei: “Costui bestemmia: chi infatti può rimettere i peccati, se non Dio solo?” (Mt 9,3).
 
Il Santo del giorno - 4 Luglio 2024 - Santa Elisabetta di Portogallo, Regina: Nacque a Saragozza, in Aragona (Spagna), nel 1271. Figlia del re di Spagna Pietro III, quindi pronipote di Federico II, a soli 12 anni venne data in sposa a Dionigi, re del Portogallo, da cui ebbe due figli. Fu un matrimonio travagliato dalle infedeltà del marito ma in esso Elisabetta seppe dare la testimonianza cristiana che la portò alla santità. Svolse opera pacificatrice in famiglia e, come consigliera del marito, riuscì a smorzare le tensioni tra Aragona, Portogallo e Spagna. Alla morte del marito donò i suoi averi ai poveri e ai monasteri, diventando terziaria francescana. Dopo un pellegrinaggio al santuario di Compostela, in cui depose la propria corona, si ritirò nel convento delle clarisse di Coimbra, da lei stessa fondato. Dopo la morte avvenuta nel 1336 ad Estremoz in Portogallo, il suo corpo fu riportato al monastero di Coimbra. Nel 1612 lo si troverà incorrotto, durante un’esumazione, collegata al processo canonico per proclamarla santa. Fu canonizzata a Roma da Urbano VIII nel 1625. (Avvenire)
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 3 Luglio 2024
 
San Tommaso, Apostolo
 
Ef 2,19-22; Salmo responsoriale Dal Salmo 116 (117); Gv 20,24-29
 
Colletta
Esulti la tua Chiesa, Dio onnipotente,
nella festa del santo apostolo Tommaso;
ci sostenga la sua protezione
perché, credendo, abbiamo vita nel nome di Gesù Cristo,
tuo Figlio, che egli riconobbe come suo Signore e suo Dio.
Egli vive e regna con te.
 
Tommaso, Apostolo - Benedetto XVI (Udienza Generale, 27 Settembre 2006): Sempre presente nelle quattro liste compilate dal Nuovo Testamento, egli nei primi tre Vangeli è collocato accanto a Matteo (cfr Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15), mentre negli Atti si trova vicino a Filippo (cfr At 1,13). Il suo nome deriva da una radice ebraica, ta’am, che significa “appaiato, gemello”. In effetti, il Vangelo di Giovanni più volte lo chiama con il soprannome di “Didimo” (cfr Gv 11,16; 20,24; 21,2), che in greco vuol dire appunto “gemello”. Non è chiaro il perché di questo appellativo.
Soprattutto il Quarto Vangelo ci offre alcune notizie che ritraggono qualche lineamento significativo della sua personalità. La prima riguarda l’esortazione, che egli fece agli altri Apostoli, quando Gesù, in un momento critico della sua vita, decise di andare a Betania per risuscitare Lazzaro, avvicinandosi così pericolosamente a Gerusalemme (cfr Mc 10,32). In quell’occasione Tommaso disse ai suoi condiscepoli: “Andiamo anche noi e moriamo con lui” (Gv 11,16). Questa sua determinazione nel seguire il Maestro è davvero esemplare e ci offre un prezioso insegnamento: rivela la totale disponibilità ad aderire a Gesù, fino ad identificare la propria sorte con quella di Lui ed a voler condividere con Lui la prova suprema della morte. In effetti, la cosa più importante è non distaccarsi mai da Gesù. D’altronde, quando i Vangeli usano il verbo “seguire” è per significare che dove si dirige Lui, là deve andare anche il suo discepolo. In questo modo, la vita cristiana si definisce come una vita con Gesù Cristo, una vita da trascorrere insieme con Lui. San Paolo scrive qualcosa di analogo, quando così rassicura i cristiani di Corinto: “Voi siete nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere” (2 Cor 7,3). Ciò che si verifica tra l’Apostolo e i suoi cristiani deve, ovviamente, valere prima di tutto per il rapporto tra i cristiani e Gesù stesso: morire insieme, vivere insieme, stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro.
 
I Lettura: Paolo porta al nostro cuore la buona nuova: nel cristianesimo non vi sono stranieri né ospiti ma concittadini dei santi e familiari di Dio. La Chiesa è una casa aperta a tutti i popoli, e la sua fede è veritiera e non conosce vacillamenti perché è  fondata sulla fede degli Apostoli.
 
Vangelo
Mio Signore e mio Dio!
 
Il credente nel leggere il racconto delle apparizioni del Risorto potrebbe porsi una domanda: Cosa vuole svelare il racconto evangelico? Innanzi tutto, l’identità tra il Risorto e il Crocifisso. Colui che viene, a porte chiuse, e sta in mezzo agli Apostoli è il Gesù crocifisso sul Calvario. Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova. Poi, Gesù è Dio. Gesù venendo incontro alla pretesa di Tommaso lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Mio Signore e mio Dio”. L’esatto sfondo per capire tale risposta è quello dell’Antico Testamento, dove le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim”. Con il metodo, abituale nel Nuovo Testamento, di trasferire su Cristo quanto l’Antico Testamento dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Infine, vuole indicare il cammino della fede e lo fa ricordando le parole di Gesù: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Una pagina densissima, dunque, da chiudere nel cuore perché la mente si dilati sempre più nella conoscenza del mistero del Cristo.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv  20,24-29

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
 
Parola del Signore.
 
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v. 27 L’apparizione otto giorni dopo ai discepoli con la presenza di Tommaso risulta una riedizione di quella precedente: il v. 26 ricalca quasi letteralmente il v. 19. Gesù invita Tommaso a fare la verifica con le medesime parole che il discepolo incredulo aveva pronunziato otto giorni prima dinanzi agli altri condiscepoli.
v. 28 Vedendo Gesù risorto, Tommaso fa «la più bella confessione di fede di tutto il quarto vangelo: “Mio Signore e mio Dio”» (I. de la Potterie, p. 208). «È la suprema dichiarazione cristologica del quarto vangelo..., strettamente parallela a “La Parola era Dio” del verso iniziale» (Brown, II, pp. 1320-1321).
Probabilmente abbiamo qui l’eco di una dossologia della comunità cristiana primitiva, che professava la divinità di Cristo e l’adorava con queste formule stupende di fede, che si riallacciano alla più ardita affermazione del prologo: «Il Verbo era Dio» (cf. Maggioni, p. 1698).
v. 29 Gli dice Gesù: «Poiché mi hai visto, hai’ creduto! Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto». Gv alla conclusione del vangelo pone in bocca a Gesù questo macarismo, che ha una certa affinità con la beatitudine rivolta a Maria da Elisabetta (Lc 1,45), ugualmente connessa con il tema della fede. Gesù non muove a Tommaso nessun rimprovero, ma lo invita a credere. L’esperienza sensibile della sua risurrezione era essenziale per i primi testimoni della fede: gli apostoli dovevano avere la certezza che era veramente risorto. Tuttavia, il loro atteggiamento dubbioso di fronte alla risurrezione di Gesù, attestato anche da Mt (28,16-20) e da Lc (24,36-43), era biasimevole. L’episodio di Tommaso, narrato solo da Gv, non fa altro che drammatizzare a scopo apologetico tale situazione di perplessità e di diffidenza. Ma l’esperienza delle apparizioni era indispensabile per il futuro della chiesa. Infatti, «la fede cristiana si collega sempre all’esperienza fondante dei primi testimoni, che avevano avuto la visione di fede del Cristo glorioso». Ora la testimonianza dei discepoli, su cui si fonda la fede pasquale dei credenti, «era essa stessa basata sulla vista sensibile e sulla visione di fede che avevano avuto del Cristo risuscitato» (I. de la Potterie, p. 209). Tommaso aveva sbagliato a non credere alla testimonianza degli altri suoi compagni; perciò Gesù dichiara beati coloro che avrebbero creduto all’annunzio apostolico del kerygma senza aver visto il Risorto. Con questa beatitudine Gv non intende certo contrapporre due situazioni, quella della presenza fisica di Gesù a quella posteriore della presenza spirituale, dichiarando superiore quest’ultima. Al contrario, fu grande privilegio per i discepoli aver udito, aver visto con i loro occhi, aver contemplato e toccato con le proprie mani il Verbo della vita (1Gv 1,1; cf. Mt 13,1617; Lc 10,23-24).
Anzi, come appare da tutto il c. 20, c’è un rapporto strettissimo tra il «vedere» e «credere». Ma questo vale per l’esperienza storica degli apostoli, ormai appartenente al passato e perciò irripetibile. Nel tempo della chiesa era necessario che l’adesione di fede al vangelo prescindesse dalla visione e si fondasse unicamente sulla testimonianza apostolica.
I futuri seguaci di Gesù avrebbero dovuto credere senza vedere. Anche per la fede personale di Tommaso poteva bastare la testimonianza degli altri apostoli, senza la pretesa di vederlo di persona. Gesù stava per scomparire definitivamente dalla scena del mondo; le apparizioni sarebbero presto cessate e non sarebbe più stato possibile incontrarlo se non attraverso la fede. Aveva allora inizio il tempo della chiesa, nel quale si imponeva l’ascolto della testimonianza autorevole degli apostoli. Benché la visione storica di Gesù sia cessata per sempre, è possibile sperimentarne la presenza spirituale nella chiesa, attraverso la fede, suscitata e approfondita dall’azione dello Spirito Santo, effuso da Gesù sulla comunità messianica da lui fondata. L’esperienza forte degli apostoli per le apparizioni del Risorto non viene qui deprezzata; tuttavia coloro che non hanno visto ma hanno creduto, non saranno svantaggiati rispetto ai contemporanei di Gesù. Anch’essi potranno sperimentare la gioia, la pace, la beatitudine, offerta da Dio nel Cristo, morto e risorto per la salvezza del mondo,
 
La fede è una crescita - Achille Delgest (Il Pane della Domenica): Il racconto della seconda apparizione nel Cenacolo, presente l’incredulo Tommaso, ci interessa sotto due punti di vista. Insiste sulla realtà fisica di Gesù risorto, qualunque sia la teoria che si segue sullo stato del corpo glorioso del Signore e sottolinea l’importanza della fede e il privilegio di possederla […].
1) Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (Gv 14,l). A questa affermazione del maestro, risponde, qui, l’esclamazione di Tommaso: Signore mio e Dio mio. Tra la parola di Gesù e l’ammirabile grido di Tommaso, è stato percorso un lungo cammino; si potrebbe quasi dire che una delle vene drammatiche di tutto il vangelo di Giovanni si esprime nel difficile cammino dell’incredulità alla fede. Gli ebrei rimarranno fermi sulla loro incredulità; i discepoli, invece accederanno alla fede, ma dopo numerose difficoltà. Tommaso è uno di quelli il cui temperamento contestatario non si piega facilmente. Si ricordi che giudicava impresa disperata la visita di Gesù alla tomba di Lazzaro (Gv 11,16) e non temé di dire al Signore che si chiedeva dove andava a finire la sua avventura (Gv 14,5). Ora, è proprio lui che pronuncia l’atto di fede più splendido di tutto il nuovo Testamento. È un risultato che rivela insieme la generosità del dono spirituale offerto da Gesù e la risposta semplice di un’anima esigente, ma onesta.
Si dirà: la fede di Tommaso è stata facile perché ha avuto il privilegio di vedere Gesù. Rispondiamo: anche gli altri apostoli l’avevano. Però c’è stato un momento nel quale hanno riconosciuto in Gesù più che un uomo, Dio stesso. Nel cammino della loro adesione a Gesù Dio, si colloca la loro fede. Così è per noi. Ci è chiesto di superare ciò che conosciamo di Gesù dalla storia, per elevarci fino alla fede in Gesù Dio.
2) La fede è un divenire continuo, un progredire incessante: non si è mai arrivati alla perfezione della fede in Gesù nostro Signore e Dio. Una delle traduzioni più autorevoli del versetto 27 dice: non essere più incredulo, ma credente. L’incredulità e la fede non sono condizioni interiori inerti. Il rifiuto di credere rende la fede sempre più difficile, mentre accettare di credere rende la fede sempre più accettabile e viva. Nella fede ci si evolve: si diventa sempre più increduli oppure più credenti.
Questo fatto comporta una conseguenza. La fede viva instaura nell’uomo una crescita spirituale, che assume il movimento inverso della degradazione corporale. Il corpo, dopo un tempo di crescita, si consuma e muore. La fede, realtà spirituale, cresce e si intensifica, nella misura in cui noi vogliamo viverla; essa non si esaurisce, si sviluppa e cresce continuamente. Perché? Perché ci unisce a Dio vivente, sorgente infinita di vita. Dipende tuttavia da noi, dal nostro desiderio, dalla nostra lealtà pratica, dalla nostra accoglienza, diventare sempre più credenti.
 
Alberto Magno (In ev. Jo. exp., XX) 20,27 Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani...: Cristo non propone né mostra le ferite, ma le cicatrici... che non derivano da impotenza, perché esse sono rimaste per volere Divino e per l’arte dell’ottimo Medico, così come il soldato valoroso ferito per la patria vuole essere risanato dal medico in modo però che rimangano i segni del suo valore.
20,29 Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto ...: bisogna fare attenzione che Egli dice: Perché mi hai veduto, e non perché mi hai toccato. Perciò alcuni dicono che, pur avendo il Signore offerto le mani e il costato perché fossero toccati, tuttavia l’Apostolo non osò farlo, in segno di rispetto.
 
Santo del giorno - 3 Luglio 2024 - San Tommaso, Apostolo: Chiamato da Gesù tra i Dodici. Si presenta al capitolo 11 di Giovanni quando il Maestro decide di tornare in Giudea per andare a Betania, dove è morto il suo amico Lazzaro. I discepoli temono i rischi, ma Gesù ha deciso: si va. E qui si fa sentire la voce di Tommaso, obbediente e pessimistica: «Andiamo anche noi a morire con lui», deciso a non abbandonare Gesù. Facciamo torto a Tommaso ricordando solo il suo momento famoso di incredulità. Lui è ben altro che un seguace tiepido. Ma credere non gli è facile, e non vuol fingere che lo sia. Dice le sue difficoltà, si mostra com’è, ci somiglia, ci aiuta. Dopo la morte del Signore, sentendo parlare di risurrezione «solo da loro», esige di toccare con mano. Quando però, otto giorni dopo, Gesù viene e lo invita a controllare esclamerà: «Mio Signore e mio Dio!», come nessuno finora aveva mai fatto. A metà del VI secolo, un mercante egiziano scrive di aver trovato nell’India meridionale gruppi inaspettati di cristiani e di aver saputo che il Vangelo fu portato ai loro avi da Tommaso apostolo. (Avvenire)
 
O Dio, che in questo sacramento
ci fai comunicare realmente
al Corpo e al Sangue del tuo Figlio unigenito,
concedi a noi di testimoniare con le opere e con la vita
colui che, insieme all’apostolo Tommaso,
riconosciamo nella fede nostro Signore e nostro Dio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
 
 
 
 2 Luglio 2024
 
Martedì della XIII Settimana T. O.
 
Am 3,1-8; 4,11-12: Salmo Responsoriale Dal Salmo 5; Mt 8,23-27
 
Colletta
O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa cattolica - Miracoli di Cristo e loro significato come segni 547 Gesù accompagna le sue parole con numerosi «miracoli, prodigi e segni» (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato.
548 I segni compiuti da Gesù testimoniano che il Padre lo ha mandato. Essi sollecitano a credere in lui. A coloro che gli si rivolgono con fede egli concede ciò che domandano. Allora i miracoli rendono più salda la fede in colui che compie le opere del Padre suo: testimoniano che egli è il Figlio di Dio. Ma possono anche essere motivo di scandalo. Non mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico. Nonostante i suoi miracoli tanto evidenti, Gesù è rifiutato da alcuni; lo si accusa perfino di agire per mezzo dei demoni.  
549 Liberando alcuni uomini dai mali terreni della fame, dell’ingiustizia, della malattia e della morte, Gesù ha posto dei segni messianici; egli non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani.
515 I Vangeli sono scritti da uomini che sono stati tra i primi a credere e che vogliono condividere con altri la loro fede. Avendo conosciuto, nella fede, chi è Gesù, hanno potuto scorgere e fare scorgere in tutta la sua vita terrena le tracce del suo mistero. Dalle fasce della sua nascita, fino all’aceto della sua passione e al sudario della risurrezione, tutto nella vita di Gesù è segno del suo mistero. Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che «in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). In tal modo la sua umanità appare come «il sacramento», cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al mistero invisibile della sua filiazione divina e della sua missione redentrice.
1335 I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il Signore pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li distribuì per mezzo dei suoi discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo unico pane che è la sua Eucaristia. Il segno dell’acqua trasformata in vino a Cana annunzia già l’Ora della glorificazione di Gesù. Manifesta il compimento del banchetto delle nozze nel regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo divenuto il Sangue di Cristo.
 
I Lettura: Dio, per benevolenza e amore, ha scelto il popolo d’Israele tra tutte le nazioni, stringendo con esso una relazione di amore e di salvezza: Dio è lo sposo, Israele la sposa. Dall’elezione divina scaturisce una grande responsabilità, alla quale Israele è venuto meno. Apostata, il popolo d’Israele, si prostituito alle divinità pagane, attirando su di sé il castigo di Dio. Castigo che non ha radici nell’ira, ma nell’amore, è purissima pedagogia divina: “Di’ loro: Com’è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio -, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o casa d’Israele?” (Ez 33,11).
Amos, profeta sulle cui labbra riposa la parola di Dio, denuncia al popolo d’Israele i disordini morali e la falsa religiosità del regno del nord (3,9-4,5). Una serie di castighi avrebbe dovuto piegare Israele, e indurlo alla penitenza e alla conversione: ma la pedagogia divina è stata inutile. Si prepari perciò a incontrare Dio. L’incontro con Dio giudice coinciderà con l’abbattersi della sciagura estrema: “«Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sòdoma e Gomorra, eravate come un tizzone strappato da un incendio; ma non siete ritornati a me». Oracolo del Signore. Perciò ti tratterò così, Israele! Poiché questo devo fare di te: prepàrati all’incontro con il tuo Dio, o Israele!” (Am 4,11-12)
 
Vangelo
Si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
 
L’evangelista Matteo, rispetto all’evangelista a Marco, introduce anche l’aspetto ecclesiale: la comunità dei discepoli è in difficoltà nelle tempeste della storia, le persecuzioni sconquassano la Chiesa in tutto l’impero romano, perché essi sono di poca e debole fede: «Perché avete paura, gente di poca fede?». 
Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia: il verbo minacciò ha qui lo stesso senso di Mt 17,18, dove Gesù «minaccia» un demonio, perché il mare per i contemporanei di Gesù era la sede dei demòni e il vento rappresentava a volte, nel linguaggio biblico, le potenze che si oppongono a Dio.
 
Dal  Vangelo secondo Matteo
8,23-27
 
In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

Parola del Signore.
 
 
Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono? - Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): Il miracolo dev’essere inteso come predicazione, annunzio del vangelo, e quindi, nel suo racconto, l’essenziale non è la riproduzione esatta di quello che è avvenuto.
Basta raccogliere il fatto nei suoi tratti essenziali e scoprirne la dimensione rivelatrice. La storia può restare alquanto sfumata, scompare il quando e il dove e altre circostanze che sono tanto importanti nella narrazione storica. Il racconto viene stilizzato perché l’evangelista ottenga, nel miglior modo possibile, lo scopo che si è proposto. Così avviene nel nostro racconto che, essenzialmente, dipende dal racconto di Marco.
Che Gesù abbia sedato la tempesta sul mare non è l’elemento veramente imporrante per l’evangelista. Dietro il Fatto vi è la sua intenzione di presentarci Gesù, i suoi  discepoli e la Chiesa. Il testo dice che «i suoi discepoli lo seguirono». Questa frase, che non si trova in Marco, ha una grande importanza nel racconto di Matteo: presenta il tratto essenziale che definisce il discepolo di Gesù: seguirlo. E come quei discepoli. così tutti i discepoli, la Chiesa.
Effettivamente nei vangeli il verbo «seguire» è usato unicamente quando l’oggetto del verbo è Gesù, e sta a indicare l’unione del discepolo col Gesù della storia, la partecipazione al suo destino, l’entrata nel regno mediante l’appartenenza a Cristo attraverso l’ubbidienza e la fiducia.
La fiducia nasce dalla fede o, forse meglio, la fede ha una dimensione essenziale nella fiducia. I discepoli che si trovano sulla barca non hanno fiducia. Sono «uomini di poca fede». Ma il racconto non raccoglie solo quel momento: tiene conto anche del tempo in cui Matteo scrive. La Chiesa era perseguitata, lottava coraggiosamente come la barca fra le onde d’un mare infuriato per non andare a fondo; e in molte occasioni si fece sentire lo scoraggiamento, la sfiducia e giunse persino la defezione. Essendo parola di Dio, il racconto, partendo da quello che avvenne, continua a parlare in tutti i tempi e in tutte le circostanze a ognuno dei discepoli.
L’atteggiamento dei discepoli è sconcertante. Da una parte, credono che Gesù ha il potere di calmare il mare e impedire che inghiottisca la barca: dall’altra, temono di affondare. Il potere di Dio è in Gesù: essi lo sanno, e tuttavia si meravigliano quando si manifesta. Questo non è il modo di comportarsi del discepolo. Forse per questo Matteo cerca di attenuare l’antinomia nella condotta dei discepoli e, al termine del suo racconto, parla di «quegli uomini», e non dice «discepoli». Lo stupore e lo sconcerto di fronte a un fatto che non si attendevano - e che, tuttavia, sapevano che poteva avvenire - non sono l’atteggiamento del discepolo, bensì di chi ha poca fede o di colui che vive praticamente lontano da Dio. Il potere di Dio agisce in Gesù, ma essi non sono uomini aperti a questo potere di Dio.
Caratteristica del discepolo è la fede, la fiducia e il coraggio di fidarsi del potere di Dio, che è al di sopra del furore del mare. Così questo miracolo afferma che Dio è presente, particolarmente in Gesù, con tutto il suo potere di vittoria sulla morte e sui pericoli mortali. È la convinzione profonda che devono avere i discepoli di Gesù e la Chiesa come tale.
L’interrogativo finale: «Chi è mai costui?» sta a indicare l’atteggiamento d’incredulità di colui che vuole spiegare tutto razionalmente. O forse l’evangelista intendeva dire che chi interrogava aveva la risposta dall’insieme del racconto. In questo caso sarebbe una confessione di fede.
 
Paul Ternant - Segni efficaci della salvezza. a) Con i suoi miracoli Gesù manifesta che il regno messianico annunziato dai profeti è giunto nella sua persona (Mt 11,4s); attira l’attenzione su di sé e sulla buona novella del regno che egli incarna; suscita un’ammirazione ed un timore religioso che inducono gli uomini a chiedersi chi egli sia (Mt 8,27; 9,8; Lc 5,8ss). Con essi Gesù attesta sempre la sua missione e la sua dignità, si tratti del suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12 par.), o della sua autorità sul sabato (Mc 3,4s par.; Lc 13,15s; 14,3ss), della sua messianità regale (Mt 14,33; Gv 1, 9), del suo invio da parte del Padre (Gv 10,36), della potenza della fede in lui (Mt 8,10-13; 15,28 par.), con la riserva che impone la speranza giudaica di un messia temporale e nazionale (Mc 1,44; 5,43; 7,36; 8,26). Già in questo essi sono segni, come dirà S. Giovanni. Se provano la messianità e la divinità di Gesù, lo fanno indirettamente, attestando che egli è veramente ciò che pretende di essere. Perciò non devono essere isolati dalla sua parola: vanno di pari passo con l’evangelizzazione dei poveri (Mt 11,5 par.). I titoli che Gesù dà a sé, i poteri che rivendica, la salvezza che predica, le rinunzie che esige, ecco ciò di cui i miracoli fanno vedere l’autenticità divina, a chi non rigetta a priori la verità del messaggio (Is 16,31). In tal modo questo è superiore ai miracoli, come lascia capire la frase su Giona secondo Lc 11,29-32. Esso si impone come il segno primario e solo necessario (Gv 20,29), per la ineguagliabile autorità personale del suo araldo (Mt 7,29) e per la sua qualità interna, costituita dal fatto che, realizzando la rivelazione anteriore (Lc 16,31; Gv 5,46s), corrisponde negli uditori all’appello dello Spirito (Gv 14,17.26); proprio esso, prima di essere confermato ed illustrato dai miracoli, li dovrà distinguere dai falsi segni (Mc 13,22s; Mt 7,22; cfr. 2Tess 2,9; Apoc 13,13). Qui, come in Deut, «i miracoli discernono la dottrina, e la dottrina discerne i miracoli» (Pascal).
b) I miracoli non apportano la loro attestazione dall’esterno, come segni arbitrari ed ostentatori: realizzano in modo incoativo ciò che significano, apportano il segno della salvezza messianica che avrà il suo termine nel regno escatologico; perciò i sinottici li chiamano potenze (dynàmeis: cfr. Mt 11,20-23; 13,54. 58;14,2). Con essi di fatto Gesù, mosso dalla sua pietà umana (Lc 7,13; Mt 20,34; Mc 1,41), ma più ancora dalla sua coscienza di essere il servo promesso (Mt 8,17), fa effettivamente indietreggiare la malattia, la morte, l’ostilità della natura contro l’uomo, in breve tutto il disordine che ha la sua causa più o meno prossima nel peccato (Gen 3,16-19; cfr. Mc 2,5; Lc 13,3b e Lc 13,2-3a; Gv 9,3), e che serve al dominio del demonio sul mondo (Mt 13,25; Ebr 2,14s). Perciò rifiuta di compiere per Satana (4,2-7), per i maldisposti (12,38ss; 16,1-4), per i gelosi (Lc 4,23), per i frivoli (23,8s), delle prodezze gratuite che non avrebbero efficacia salvifica, ed è significativo che prodigi cosmici - dipendenti del resto, a quanto pare, più dalle immagini profetiche che dalla storia (Atti 2,19s) - non siano segnalati che al momento in cui, sfidato a salvare se stesso mediante un miracolo, egli muore per salvare tutti gli altri (Mt 27,39-54; cfr. 1Cor 1,22ss). I prodigi che sembra promettere in Mt 17,20 par., non sono che immagine della potenza della fede. Acquista così tutto il suo senso il nesso frequentissimo tra guarigioni ed esorcismi (Mt 8,16; ecc.). La liberazione degli indemoniati è un caso privilegiato di questa vittoria del «più forte» (Lc 11,22) su Satana, che tutti i miracoli realizzano a modo loro. Essa mette Gesù direttamente alle prese con l’avversario, in un duello che, incominciato nel deserto (Mt 4,1-11 par.), avrà il suo episodio decisivo sulla croce (Lc 4,13; 22,3.53) e non terminerà che nel giudizio universale (Apoc 20,10), ma in cui è già evidente la sconfitta diabolica (Mt 8,29; Lc 10,18). L’esorcismo è il segno efficace per eccellenza della venuta del regno (Mt 12,28).
 
Per quale motivo Gesù dormiva? - Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 28, 1: Il Salvatore, inoltre, compie questo miracolo lontano dalla folla, perché i suoi discepoli non siano accusati di scarsa fede li rimprovera quando sono soli con lui. E ancor prima della tempesta che sconvolge le onde, placa la tempesta delle loro anime, rivolgendo loro questo rimprovero. Disse loro: «Perché siete paurosi, o uomini di poca fede?». Quindi alzatosi, sgridò i venti e il mare, e si fece gran bonaccia. In tal modo Cristo insegna che il timore e il turbamento non derivano dalle prove, ma dalla debolezza della nostra anima. Se qualcuno, a questo punto obiettasse che non per viltà o per scarsa fede gli apostoli si avvicinarono al Signore e lo svegliarono, io risponderei che gli apostoli, comportandosi così, mostrarono in modo evidente di non avere ancora una giusta idea di Cristo: pensavano infatti ch’egli se fosse stato sveglio poteva placare la tempesta, ma che non lo potesse fare essendo addormentato. Ma perché stupirsi se ora manifestano tale incredulità, quando vediamo che dopo molti  altri prodigi si dimostrano ancora più imperfetti? Questo procurerà loro frequenti rimproveri, come quando Gesù dirà: Fino a tal punto siete anche voi senza discernimento?
 
Il Santo del giorno - 2 Luglio 2024 - Beata Agata Han Sin-ae, Martire: Agata Han Sin-ae venne introdotta al cattolicesimo dagli insegnamenti della catechista Colomba Kang Wan-suk. Insieme a lei, formò una comunità femminile e si diede a sua volta a diffondere il Vangelo tra le famiglie che conosceva e tra i suoi servi, incontrando non poche resistenze. Arrestata nel corso della persecuzione Shinyu del 1801, venne decapitata il 2 luglio 1801, insieme ad altri sette fratelli nella fede, comprese le sue compagne della comunità. Inserita con loro nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stata beatificata da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
 
Il santo sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto, o Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.