IL PENSIERO DEL GIORNO
1 Ottobre 2017
Oggi Gesù ci dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27).
Dal Vangelo secondo Matteo 21,28-32: La parabola dei due figli denuncia la mancanza di docilità da parte d’Israele. È da collegarsi alla precedente discussione su Giovanni, il precursore del Cristo, nel corso della quale le guide spirituali d’Israele, per timore della folla, avevano rifiutato di pronunziarsi sulla autenticità della missione del Battista. La parabola è una risposta chiara alla loro albagìa smascherandoli palesemente come disobbedienti alla volontà di Dio.
Ilario di Poitiers (Commento al Vangelo di Matteo): Occorre ricordare che il tema di questa parabola discende dalla conversazione che ha avuto inizio da Giovanni, dal fatto che la lezione proposta in questa maniera condanna l’indugio dell’incredulità e l’obbligo del silenzio che ne deriva. Ma come noi l’abbiamo indicato in altri luoghi, è necessario che anche qui ricordiamo che la spiegazione degli avvenimenti presenti offre talvolta delle deficienze, perché l’immagine dell’avvenire si realizzi senza alcun danno di una realtà prefigurata. Il primo figlio è il popolo derivato dai Farisei e ammonito da Dio nel presente per mezzo della profezia di Giovanni, affinché obbedisse ai suoi precetti. Questo popolo è stato arrogante, disobbediente e ribelle agli avvertimenti pressanti, perché poneva la sua sicurezza nella Legge e disprezzava il pentimento dei peccati per la gloria che gli derivava dalla prerogativa di nobiltà di Abramo. Questo popolo poi in seguito, per i miracoli operati dopo la risurrezione del Signore, credette al tempo degli Apostoli, ritornando, in seguito alla realtà dei fatti, alla volontà di agire secondo il Vangelo, pentendosi della colpa dell’arroganza precedente.
Catechismo della Chiesa Cattolica
546 Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario “vendere” tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al cuore delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per “conoscere i Misteri del Regno dei cieli” (Mt 13,11). Per coloro che rimangono “fuori”, tutto resta enigmatico.
Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): La parabola si riferisce ... secondo l’espressive parole di Gesù, alla differenza tra i farisei e gli scribi da una parte e i pubblicani e le meretrici dall’altra.
I capi spirituali d’Israele persistono nel contegno sbagliato, presuntuoso, distolto da Dio e rivolto soltanto al loro io. Dicono si a Dio e alla sua parola. Si attengono a Mosè, alla legge e alle sue imposizioni come il secondo figlio di fronte alla volontà del Padre. Ma non appena le leggi non corrispondono più alle loro idee, alle loro concezioni e ai loro desideri, non ne vogliono più sapere. Nel momento in cui la volontà di Dio si annunzia, per mezzo di Giovanni il Battista, con l’appello alla penitenza, alla conversione e al mutamento della vita, cessano d’occuparsene. Non vogliono convertirsi, non vogliono dare un nuovo orientamento alla vita.
Pubblicani e meretrici seguivano una direzione sbagliata, non obbedivano alla volontà del Signore, perché la loro vita era peccato. Non appena però li raggiunge il richiamo al mutamento e alla penitenza, si convertono e arrivano così al regno di Dio. Vera disposizione alla fede significa dunque prontezza ad accogliere e a rispondere alla chiamata di Dio. L’uomo non deve attenersi strettamente a un determinato corso di vita, perché se gli giunge l’appello di Dio, ch’esige qualcos’altro, deve mutarlo. È questo ciò che conta. Ai farisei vien detto: «Non vi siete convertiti e non gli avete creduto (al Battista)».
Ortensio da Spinetoli (Matteo): La storia dei due figli fa parte di una trilogia di «parabole di rottura» (22,28-36; 33-36; 22,1-4). La vigna è l’immagine tradizionale del popolo di Dio, ma nel caso presente è forse un elemento coreografico. La lezione emerge dal diverso comportamento dei figli nei confronti della volontà del padre. Questi è egualmente legato a entrambi e assume con loro un eguale contegno.
Nella sua ambientazione storica i due figli rappresentano due gruppi di ascoltatori di Gesù: quelli che sembrano assentire e poi in pratica non assentono; quelli che vogliono dissentire e in realtà poi ascoltano. L’autore non analizza il perché di questo strano comportamento, solo pone davanti ai fatti. Tra i due gruppi vi è anche la categoria di coloro che ascoltano ed eseguiscono la volontà paterna senza tergiversazioni, ma il parabolista ha preso in considerazione solo i primi due. Nel contesto attuale l’identificazione dei due figli è agevolata dal commento o dall’aggiunta di Gesù (vv. 31-32). Gli esecutori pratici della volontà di Dio sono i pubblicani e le meretrici, gente per sé ribelle e lontana da lui, mentre coloro che sono stati sempre vicini e che ufficialmente hanno detto sempre di sì ai suoi comandi, sono attualmente contro il vangelo che è pure sua parola. La loro colpevole defezione data dai tempi di Giovanni Battista e si protrae ostinatamente anche davanti all’annuncio dei predicatori evangelici. Le figure di Gesù e del precursore si richiamano come il tipo e l’antitipo (cfr. Mt. 3,2-7; 4,17; 11,18; 14,13 ecc.).
L’attacco del salvatore non è diretto contro i connazionali in genere ma le autorità giudaiche con le quali è entrato in polemica fin dall’inizio del capitolo (21,15.23).
Sono essi gli interlocutori e per questo i primi destinatari della parabola. La vigna è il regno di Dio, l’invito del padre non riguarda la semplice accettazione del messaggio evangelico ma la collaborazione alla sua diffusione e sviluppo. Il «va’ oggi a lavorare» sottolinea l’intenzione del padre di affidare al figlio la coltivazione e la manutenzione della vigna. Erano i giudei, che nella logica dei fatti, avrebbero dovuto portare avanti l’evangelizzazione, ma la storia dimostrava che la loro opera veniva, invece, svolta dai pagani, cioè dai peccatori e dai pubblicani. L’evangelista guarda agli ascoltatori di Gesù, ma anche ai suoi contemporanei. L’«ancorché vedeste non vi siete affatto pentiti in modo alla fine da credergli» è un rimprovero ai giudei e agli increduli di tutti i tempi. Matteo unisce in un medesimo rifiuto il Battista, Gesù, la chiesa; il precursore, il messia e i suoi continuatori. I profeti non sono inviati solo a scuotere i peccatori ma anche i giusti, i sicuri, coloro che confidano nel loro abituale o abitudinario contatto con Dio. Per tutti la parabola è un ammonimento a temere e tremare per la propria continuità e perseveranza.
Tutti possono diventare figli ribelli, come tutti i ribelli possono tornare docili. Non ci sono posti o posizioni di
privilegio nel conseguimento della salvezza. Occorre essere desti e impegnati ininterrottamente.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? - Gaudium et spes, 93: I cristiani, ricordando le parole del Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà nell’ultimo giorno. Non tutti infatti quelli che dicono: «Signore, Signore», entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono. Perché la volontà del Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la parola e con l’azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero dell’amore del Padre celeste. Così facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella patria che risplende della gloria del Signore. «A colui che, mediante la potenza che opera in noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen» (Ef 3,20-21).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Tutti possono diventare figli ribelli, come tutti i ribelli possono tornare docili. Non ci sono posti o posizioni di privilegio nel conseguimento della salvezza. Occorre essere desti e impegnati ininterrottamente.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù. Egli è Dio, e vive e regna con te...