8 Aprile 2025
 
Martedì V Settimana di Quaresima
 
Nm 21,4-9; Salmo Responsoriale dal Salmo 101 [102]; Gv 8,21-30
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda perseveranti nel tuo servizio,
perché anche nel nostro tempo
la tua Chiesa si accresca di nuovi membri
e si rinnovi sempre nello spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Io Sono: Catechismo della Chiesa Cattolica N. 211Il nome divino «Io Sono» o «Egli È» esprime la fedeltà di Dio il quale, malgrado l’infedeltà degli uomini e il castigo che il loro peccato merita, «conserva il suo favore per mille generazioni» (Es 34,7). Dio rivela di essere «ricco di misericordia» (Ef 2,4) arrivando a dare il suo Figlio. Gesù, donando la vita per liberarci dal peccato, rivelerà che anch’egli porta il nome divino: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che “Io Sono”» (Gv 8,28).
Gesù è Dio: Catechismo della Chiesa Cattolica N. 653: La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua risurrezione. Egli aveva detto: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). La risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente «Io Sono», il Figlio di Dio e Dio egli stesso. San Paolo ha potuto dichiarare ai Giudei: «La promessa fatta ai nostri padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato» (AT 13,32-33). La risurrezione di Cristo è strettamente legata al mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Ne è il compimento secondo il disegno eterno di Dio.
In perfetta comunione con il Padre: Catechismo della Chiesa Cattolica N. 1693: Cristo Gesù ha sempre fatto ciò che era gradito al Padre. Egli ha sempre vissuto in perfetta comunione con lui. Allo stesso modo i suoi discepoli sono invitati a vivere sotto lo sguardo del Padre «che vede nel segreto» (Mt 6,6) per diventare «perfetti come è perfetto il Padre [...] celeste» (Mt 5,47).
 
I Lettura: L’episodio narrato dal Libro dei Numeri “deve essere in relazione con le miniere di rame dell’Araba, dove il metallo era già sfruttato nel XIII sec. a.C. A Meneijeh (oggi Timna) si sono rinvenuti parecchi piccoli serpenti di rame che forse erano utilizzati, come quello di Mosè, per proteggersi contro i serpenti velenosi. Questa regione mineraria dell’Araba si trova sulla via da Kades ad Aqaba” (Bibbia di Gerusalemme). Al di là di ogni puntualizzazione storica il brano mette in evidenza la fede del popolo nell’onnipotenza di Dio che attraverso un “segno” dona abbondantemente la salvezza agli Ebrei. Il serpente di bronzo, la cui vista guarisce dai morsi dei serpenti brucianti, diventa il simbolo di Cristo, Colui che è morto per il mondo e la cui contemplazione dona a tutti gli uomini vita e grazia: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15).
 
Vangelo
 Avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono.
 
Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo, con queste parole Gesù svela la sua identità che trascende l’orizzonte terreno perché le sue origini sono oltre il tempo e lo spazio. Ma i Giudei non hanno occhi per vedere al di là del velo della carne del Cristo, perché non hanno fede. Gesù così indica loro un percorso che inevitabilmente dovrà giungere alla sommità del Calvario: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono. Inchiodato sulla Croce, svelerà a tutti la sua divinità e solo questa grande rivelazione sarà capace di suscitare la fede nel cuore degli uomini. Chi non accetterà questa testimonianza, chi non saprà cogliere il mistero della sua Persona morirà nei suoi peccati; è la morte eterna che porta con sé l’eterna separazione da Colui che è la risurrezione e la vita (Gv 11,25): Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati.
 
Dal Vangelo secondo  Giovanni
Gv  8,21-30
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?».
E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».
Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.
 
Parola del Signore.
 
La dipartita di Gesù - Felipe F. Ramos (Commento della Bibbia Liturgica): Ritroviamo il tema dell’incomprensione: una nuova controversia nella quale ciascuna delle parti contendenti si attesta su un terreno diverso. Un’ottica puramente umana di Gesù fa sì ‘che il suo linguaggio risulti incomprensibile e scandaloso.
Gesù parla della sua dipartita, e lo fa per la seconda volta. In un primo tempo avevano intuito che sarebbe andato « all’estero », fuori della Palestina (7,35). Questa volta, pensano che voglia uccidersi. Nei due casi si tratta d’una incomprensione totale, incomprensione- inevitabile finché, non si conoscono la vera origine e il destino di Gesù.
Origine e destino di Gesù, realtà misteriosa, difficile da sondare. L’evangelista la descrive ricorrendo nuovaente a - categorie spaziali: « di laggiù - di quaggiù ». E queste categorie spaziali non corrispondono alla forma mentis dei giudei. Essi esprimevano queste realtà con categorie temporali: il mondo o l’era presente e il mondo o l’era futura.
Quello che essi attendevano per il futuro espresso nel quarto vangelo con la categoria spaziale « di lassù» è già avvenuto; è una realtà presente, sebbene essi non lo credano, perché non ne hanno esperienza. E non hanno questa esperienza; perché non appartengono al mondo di lassù, a quello di Dio, ma a quello di quaggiù, a quello degli uomini. Il loro atteggiamento d’incredulità li esclude da questo mondo di lassù. Per il loro razionalismo religioso, continuano ad appartenere al mondo di quaggiù, dove la morte continua ad avere piena giurisdizione.
Tu chi sei? È l’eterna domanda di chi si trova con Gesù. Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell’uomo? Le risposte date dall’uomo sono state molteplici e logiche almeno fino a un certo punto. Ma la domanda, così come è formulata, manca completamente di senso, semplicemente perché Gesù si è già presentato. Egli è di lassù, viene da Dio, è la luce, il pane della vita... La vera presentazione di Gesù può avvenire solo in questi termini o in altri simili. Chi non accetta questa presentazione che Gesù, fa di sé, come facevano i giudei, si chiude completamente alla comprensione del mistero implicito, nella persona di Gesù.
Per questo, Gesù risponde: « Proprio, ciò che vi dico ».
Il peccato dei giudei consiste nel non credere. Morirete nei vostri peccati-, perché non credete che « Io sono »: frase enigmatica e straordinariamente frequente nel quarto vangelo. Che significa e di dove viene?
a) In molti passi della letteratura antica, è usata dagli dèi, per esempio, dalla dea Iside, per descrivere le proprie virtù e i propri attributi: « Io sono la bontà... ».
b) La frase compare nell’AT per presentare la maestà e la personalità del Dio unico (Es. 3,14; Is -51,12) ed è messa anche in unione con la sapienza.
c) Questa formula caratteristica di Giovanni ha un punto di riferimento in altre espressioni che troviamo nei sinottici: Io sono venuto... Io dico... Il regno dei cieli è... Giovanni formula e raccoglie in questa frase tutti i possibili significati di Gesù.
La frase più vicina dell’AT e più atta a chiarire la nostra si trova in Is 43,11: « Io, io sono il Signore; fuori di me, non vi è salvatore ». Il verbo « essere » nella prima persona singolare, « sono », dev’essere inteso qui in senso stretto. Indica qualcosa o qualcuno che non ha principio, né fine. Quindi, è collocato al livello di Dio, di colui che attendevano per il futuro e che è già presente in mezzo a loro.
Gesù continua a parlare dell’unità del Padre e del Figlio. Il Padre ha inviato il Figlio. E parla anche dell’impossibilità di comprenderlo da parte dei giudei. Lo conosceranno quando innalzeranno il Figlio dell’uomo.
Quando questo avverrà, Gesù apparirà come il ponte fra i due mondi: quello di quaggiù e quello di lassù. In questo modo, si potrà vedere o almeno intuire che Gesù appartiene ai due mondi.
In conseguenza di queste parole, molti credettero in lui; ma la debolezza e l’insufficienza della loro fede si sarebbero rivelate assai presto.
 
Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite: La Bibbia di Navarra: «Colui che mi ha mandato»: è un’espressione che si rinviene assai di frequente nel Vangelo di san Giovanni per indicare Dio Padre (cfr Gv 5,37; 6,44; 7,28; 8,16).
I Giudei che ascoltavano Gesù non capivano a chi il Signore si riferisse nel dire “colui che mi ha mandato”; san Giovanni però, narrando l’episodio, spiega che Cristo parla di Dio Padre, dal quale procede.
«Parlava loro del Padre»: è la lettura proposta dalla maggior parte dei codici greci. Tra cui quelli più importanti. Altri codici e alcune versioni, come la Vulgata, leggono “chiamava Dio Padre suo”.
«Le cose che ho udito da lui»: Gesù ha del Padre una conoscenza connaturale, ed è alla luce di tale conoscenza che parla agli uomini; non conosce per rivelazione o per ispirazione, come i profeti o gli autori sacri, ma secondo una modalità infinitamente superiore. Perciò può affermare che nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (cfr Mt 11,27).
 
Conoscerete, troverete la risposta...: Giovanni Paolo II (Omelia, 30 marzo 1982): Cristo dice: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete...”: conoscerete, troverete la risposta a questo interrogativo che ora ponete a me, non fidandovi delle parole che vi dico. “L’innalzare” mediante la Croce costituisce in un certo qual senso la chiave per conoscere tutta la verità, che Cristo proclamava. La Croce è la soglia, attraverso la quale sarà concesso all’uomo di avvicinarsi a questa realtà che Cristo rivela. Rivelare vuol dire “rendere noto”, “rendere presente”. Cristo rivela il Padre. Mediante lui il Padre diventa presente nel mondo umano. “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28). Cristo si richiama al Padre come all’ultima fonte della verità che annunzia: “Colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui” (Gv 8,26). Ed infine: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,29). In queste parole si svela davanti a noi quella illimitata solitudine, che Cristo deve sperimentare sulla Croce, nella sua “elevazione”. Questa solitudine inizierà durante la preghiera nel Getsemani – la quale deve essere stata una vera agonia spirituale – e si compirà nella crocifissione. Allora Cristo griderà: “Elì, Elì, lemà sabactàni”, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Ora, invece, come se anticipasse quelle ore di tremenda solitudine, Cristo dice: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo...”. Come se volesse dire, in primo luogo: anche in questo supremo abbandono non sarò solo! adempirò allora ciò che “Gli è gradito”, ciò che è la Volontà del Padre! e non sarò solo! - E, inoltre: il Padre non mi lascerà in mano alla morte, poiché nella Croce c’è l’inizio della risurrezione. Proprio per questo, “la crocifissione” diventerà in definitiva la “elevazione”: “Allora saprete che Io sono”. Allora, pure, conoscerete che “io dico al mondo le cose che ho udito da lui”.
 
... e morirete nel vostro peccato - Origene (In Jo., XIX.): il Medico disse queste parole perché li vedeva mortalmente infermi e disperava della loro salvezza. Abbiamo detto che la loro infermità era per la morte, in quanto abbiamo appreso da Gesù che c’è una differenza tra le infermità. Anche Lazzaro era infermo, ma quel Medico sapeva che la sua infermità non era per la morte per questo dice: Questa malattia non è per la morte (Gv. 11 ,4). E pertanto, anche se ci rendiamo conto di essere infermi, facciamo attenzione a non ammalarci per la morte, essendo la nostra infermità diventata da curabile, incurabile.
 
Il Santo del giorno: 8 Aprile 2025: Sant’Agabo, Profeta: Si tratta di uno dei personaggi citati dagli Atti degli Apostoli. Vissuto a Gerusalemme nel I secolo. Negli Atti compare la prima volta al capitolo 11, collocato in una più ampia categoria di “profeti” giudeo-cristiani, come erano note alcune figure carismatiche. Questo il racconto: «Alzatosi in piedi, egli annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l’impero di Claudio» (11,28). L’annuncio di Agabo aveva una finalità di solidarietà: la più ricca comunità cristiana di Antiochia, infatti, si autotassò per sostenere i fratelli della Giudea (11,29). Agabo riappare poi a Cesarea: «Presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà consegnato quindi nelle mani dei pagani» (At 21,11-13). (Avvenire)
 
Concedi, Dio onnipotente,
che l’assidua partecipazione ai tuoi misteri
ci avvicini sempre più ai beni eterni.
Per Cristo nostro Signore.
 
ORAZIONE SUL POPOLO ad libitum

O Dio, lento all’ira e grande nella misericordia
verso coloro che sperano in te,
concedi ai tuoi fedeli di piangere i mali commessi,
per ottenere la grazia della tua consolazione.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 7 Aprile 2025
 
Lunedì V Settimana di Quaresima

Dn 13,1–9.15–17.19–30.33–62; Salmo Responsoriale Dal Salmo 22 (23); Gv 8,12-20 (Anno C)
 
Colletta:
O Padre, che con il dono del tuo amore
ci riempi di ogni benedizione, trasformaci in creature nuove,
per esser preparati alla Pasqua gloriosa del tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Diffondere Cristo, Luce delle genti: Benedetto XVI (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2009): Alle Chiese antiche come a quelle di recente fondazione ricordo che sono poste dal Signore come sale della terra e luce del mondo, chiamate a diffondere Cristo, Luce delle genti, fino agli estremi confini della terra. La missio ad gentes deve costituire la priorità dei loro piani pastorali [...]. La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità delle nostre Chiese (cfr. Redemptoris missio, 2). È necessario, tuttavia, riaffermare che l’evangelizzazione è opera dello Spirito e che prima ancora di essere azione è testimonianza e irradiazione della luce di Cristo (cfr. Redemptoris missio, 26) da parte della Chiesa locale, la quale invia i suoi missionari e missionarie per spingersi oltre le sue frontiere. Chiedo perciò a tutti i cattolici di pregare lo Spirito Santo perché accresca nella Chiesa la passione per la missione di diffondere il Regno di Dio e di sostenere i missionari, le missionarie e le comunità cristiane impegnate in prima linea in questa missione, talvolta in ambienti ostili di persecuzione. Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un segno credibile di comunione tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta attraversando l’umanità, per mettere le giovani Chiese locali in condizione di illuminare le genti con il Vangelo della carità. Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza “sino all’estremità della terra” (At 13,47).
 
I Lettura: Susanna non cede ai due anziani, e preferisce andare incontro alla morte anziché esporsi all’infamia. Preferendo «“cadere innocente” nelle mani dei giudici, testimonia non solo la sua fede e fiducia in Dio, ma anche la sua obbedienza alla verità e all’assolutezza dell’ordine morale: con la sua disponibilità al martirio, proclama che non è giusto fare ciò che la legge di Dio qualifica come male per trarre da esso un qualche bene. Essa sceglie per sé la “parte migliore”: una limpidissima testimonianza, senza nessun compromesso, alla verità circa il bene e al Dio di Israele; manifesta così, nei suoi atti, la santità di Dio» (Veritatis splendor 91).
 
Vangelo
Io sono la luce del mondo.
 
Le parole di Gesù lo autorivelano come luce del mondo e come Dio: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. I farisei non conoscendo Gesù automaticamente si accusano di non conoscere il Padre, perché Gesù e il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 10,30).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 8,12-20
 
In quel tempo, Gesù parlò [ai farisei] e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».
Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera.
Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me».
Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».
Gesù pronunziò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora.
 
Parola del Signore.
 
I farisei provano astio verso Gesù perché comprendono bene le sue affermazioni. Innanzi tutto, Io Sono è la stessa espressione con la quale Dio si rivelò agli Israeliti, quando inviò Mosè a liberarli dal paese di Egitto (Es 3,14). Proclamarsi luce del mondo nel contesto della festa delle Capanne assume, infine, un significato particolarissimo. Alla sera dell’ultimo giorno della festa delle Capanne, il popolo con una grandiosa luminaria, faceva memoria della nube luminosa che aveva accompagnato Israele nel deserto. Era il segno della presenza del Signore, Luce di Israele, che di notte indicava la via da percorrere (Es 13,20-22). Ma non era solo memoria di un passato, era anche un’esperienza perenne per il popolo eletto: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36,9); ed era anche struggente attesa (cfr. Mt 4,16), e  Gesù da Simeone era stato indicato «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). In questo contesto, appare chiaro che Gesù era cosciente di portare a compimento le antiche profezie e che sarà la sua luce a fugare le tenebre in chi lo accoglie. I farisei vogliono prove, e soltanto una testimonianza solida, così come sta scritto nella loro Legge, può provare la sincerità delle affermazioni di Gesù. I farisei non possono penetrare il mistero di Gesù, il Figlio di Dio, perché non conoscono il Padre, non conoscono Gesù, il Figlio di Dio, perché giudicano secondo la carne. I farisei sono nell’errore perché giudicano Gesù dall’apparenza, che è quella di un uomo comune; «essi non vedono risplendere nella carne la gloria del Figlio di Dio» (sant’Agostino) perché accecati dall’odio e dalla vanagloria. Un errore che si perpetua ancora oggi in molte menti che credono di essere illuminate.
 
Lumen gentium 1: Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. [...].
3. È venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale ci ha scelti in lui prima della fondazione del mondo e ci ha predestinati ad essere adottati in figli, perché in lui volle accentrare tutte le cose (cfr. Ef 1,4-5 e 10). Perciò Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ci ha rivelato il mistero di lui, e con la sua obbedienza ha operato la redenzione. La Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo. Questo inizio e questa crescita sono significati dal sangue e dall’acqua, che uscirono dal costato aperto di Gesù crocifisso (cfr. Gv 19,34), e sono preannunziati dalle parole del Signore circa la sua morte in croce: « Ed io, quando sarò levato in alto da terra, tutti attirerò a me » (Gv 12,32). Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato (cfr. 1Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si rinnova l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata ed effettuata l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cfr. 1Cor 10,17). Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a lui siamo diretti.
 
Io sono - Paolo VI (Omelia 30 Giugno 1968): Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri (Dz-Sch. 150); e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità (Cfr. Dz.-Sch. 76), ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature ma per l’unità della persona (Cfr. Ibid.).
Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in Sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo Comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri com’Egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo Sangue Redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risolto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al Cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all’Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all’ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto.
 
La fede nell’Io sono - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Nel dramma grandioso di Gv 8,12-59, Gesù si rivela come il Signore, il vero Dio. I piloni portanti di questo dialogo, dalle scene così vive e polemiche, sono costituiti dalle. tre proclamazioni del Maestro di essere l’IO SONO (Gv 8,24.28.58). In questi passi, il Maestro si rivela come il Signore, per invitare i suoi interlocutori a una fede esistenziale nella sua persona divina. Questo è l’elemento essenziale e caratterizzante della fede cristiana. I giudei purtroppo si ostinano nel rifiuto della luce, preferiscono le tenebre dell’incredulità, si lasciano soggiogare completamente dal padre dell’odio e della menzogna; quindi rigettano il loro Dio, l’IO SONO. Il tentativo di lapidazione sigilla bene questo atteggiamento ostile dei nemici del Cristo (Gv 8,59). Noi, pur condannando l’incredulità dei giudei, pur aderendo con la mente alla verità rivelata dal Verbo incarnato, con la nostra vita pratica tante volte rigettiamo il Signore.
 
Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. exp., VIII): ... se infatti non crederete che IO SONO ... : usa l’espressione “Io sono”, per affermare la propria eternità. Infatti in tutte le cose che hanno un inizio c’è una certa mutabilità, e una certa potenza a non essere, per cui si può riscontrare in esse il passato e il futuro: mancano quindi del vero essere per se stesso. Al contrario in Dio non c’è nessuna potenza a non essere, né Egli inizia mai ad essere; perciò è l’Essere stesso, che viene designato dal verbo al presente.
 
Il Santo del giorno - 7 Aprile 2025 - San Giovanni Battista de la Salle: Nasce a Reims il 30 aprile 1651 da genitori nobili, ma non ricchi, e con dieci figli. Si laurea in lettere e filosofia; è sacerdote nel 1678, e a Reims assume vari incarichi, collaborando anche all’attività delle scuole fondate da Adriano Nyel, un laico votato all’istruzione popolare. Scuole gestite però da maestri ignoranti e senza stimoli. E proprio dai maestri parte la sua opera. Riunisce quelli di Nyel in una casa comune, vive con loro, studia e li fa studiare, osserva metodi e organizzazione di altre scuole. Insegna un metodo e abolisce le lezioni in latino, introducendo in ogni disciplina la lingua francese. Nel 1680 nasce la comunità dei «Fratelli delle Scuole Cristiane». In genere non sono preti, vestono una tonaca nera con pettorina bianca, con un mantello contadino e gli zoccoli, e sotto la guida del La Salle aprono altre scuole. Nel 1687 hanno già un loro noviziato. Nel 1688 sono chiamati a insegnare a Parigi dove in un solo anno i loro allievi superano il migliaio. A causa di critiche e ostacoli esterni da Parigi dovrà portare la sua comunità nel paesino di Saint-Yon, presso Rouen, dove morirà il 7 aprile 1719. (Avvenire)
 
Rinvigoriti dalla benedizione dei tuoi sacramenti,
ti preghiamo, o Signore:
la loro forza ci purifichi sempre dal male
e la sequela di Cristo affretti i nostri passi verso di te nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.
 
Orazione sul popolo ad libitum

O Signore, libera dai peccati il popolo che ti supplica,
perché conduca una vita santa
e non sia oppresso da alcuna avversità.
Per Cristo nostro Signore.
 
 6 Aprile 2025
 
V Domenica di Quaresima

Is 43,16-21; Salmo Responsoriale Dal Salmo 125 (126); Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
 
Colletta:
Dio di misericordia,
che hai mandato il tuo Figlio unigenito
non per condannare ma per salvare il mondo,
perdona ogni nostra colpa,
perché rifiorisca nel cuore
il canto della gratitudine e della gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 7 Aprile 2019): E Gesù congeda la donna con queste parole stupende: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (v. 11). E così Gesù apre davanti a lei una strada nuova, creata dalla misericordia, una strada che richiede il suo impegno di non peccare più. È un invito che vale per ognuno di noi: Gesù quando ci perdona ci apre sempre una strada nuova per andare avanti. In questo tempo di Quaresima siamo chiamati a riconoscerci peccatori e a chiedere perdono a Dio. E il perdono, a sua volta, mentre ci riconcilia e ci dona la pace, ci fa ricominciare una storia rinnovata. Ogni vera conversione è protesa a un futuro nuovo, ad una vita nuova, una vita bella, una vita libera dal peccato, una vita generosa. Non abbiamo paura a chiedere perdono a Gesù perché Lui ci apre la porta a questa vita nuova. La Vergine Maria ci aiuti a testimoniare a tutti l’amore misericordioso di Dio che, in Gesù, ci perdona e rende nuova la nostra esistenza, offrendoci sempre nuove possibilità.
 
I Lettura: Il vaticinio è rivolto a Israele, popolo «sordo» e «cieco» (Cf. Is 43,8), perché si affranchi dalla paura e si apra alla speranza. La «cosa nuova» che Dio sta preparando per il suo popolo è la fine della prigionia. Con potenza Dio trasformerà interiormente Israele e lo renderà capace di dargli gloria: «Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». Come Dio, ai tempi dell’esodo, rese asciutto il Mar Rosso per far transitare Israele, così ora aprirà «nel deserto una strada»; immetterà «fiumi nella steppa», che serviranno a dissetare il suo popolo. Il Signore Dio, per tale prodigio, sarà glorificato dalle bestie selvatiche della steppa e lodato dal suo popolo. Tale unisono di lodi sta a significare che la salvezza del popolo eletto coin­volge l’intero universo.
 
II Lettura: Agli eterni litigiosi, Giudei e Giudeo-cristiani, incapaci di staccarsi dall’osservanza della Legge, Paolo dichiara che per lui ormai conta solo Gesù Cristo, la sua «sublime conoscenza», la fede in lui, «la comunione alle sue sofferenze... nella speranza di giungere alla risurrezione dei morti». Paolo poggia la speranza di giungere alla risurrezione dei morti su due preziosi elementi: da una parte, perché, per pura benevolenza, è stato conquistato da Cristo Gesù; dall’altra lui, l’apostolo, si sforza di correre «verso la mèta» per conquistare Cristo. Una somma di sforzi: tutto è grazia, tutto è generosa adesione umana.
 
Vangelo
Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.
 
Da molti esegeti, per motivi di critica testuale e letteraria, la storia dell’“adultera perdonata” è ritenuta un masso erratico proveniente dalla tradizione sinottica. La pericope, al di là della questione dell’adulterio, mette in risalto la misericordia di Gesù perfettamente in sintonia con l’amore misericordioso del Padre celeste: «Io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva» (Ez 33,11). Gesù non è venuto «per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47; Cf. Gv 8,15): l’invito perentorio rivolto alla donna adultera di non peccare più è una forte spinta a uscire fuori dalla miseria del peccato per incominciare una vita nuova. In questa luce, il racconto giovanneo, è un appello rivolto a tutti gli uomini perché, smettendo di giudicarsi a vicenda, sentano il bisogno di essere salvati da Dio.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adultèrio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adultèrio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
 
Parola del Signore.
 
Gli conducono una donna sorpresa in adulterio - Il conflitto tra i farisei, gli scribi e Gesù non è ancora esploso in tutta la sua violenza, sarà la risurrezione di Lazzaro a fare precipitare irreversibilmente la situazione: «... quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11,53). Pur tuttavia i rapporti sono molto tesi e i sinedriti tallonano il giovane Rabbi, lo spiano per coglierlo in fallo «per poi accusarlo» (Mc 3,2). Per raggiungere il loro obiettivo, gli scribi e i farisei, conducono, quindi, a Gesù una donna sorpresa in adulterio, un reato che la Legge mosaica condannava con la pena capitale (Dt 22,22; Lev 20,10). In genere, la Legge mosaica non determinava il modo, la morte veniva inferta o per strangolamento o per spada o per lapidazione; solo per la fidanzata infedele categoricamente veniva intimata la pena della lapidazione (Cf. Dt 22,23 ss).
I farisei pongono l’adultera nel mezzo perché sia ben visibile a tutti. Mostrano in questo modo la loro poca sensibilità verso i loro simili: la donna, anche se colta in flagrante adulterio, ai loro occhi, doveva restare pur sempre una persona. Si autodenùnciano come uomini gretti, abietti, disposti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi illeciti.
La povera donna è solo un’esca, perché, come ci suggerisce il Vangelo, le reali squallide intenzioni dei farisei sono tese unicamente a cogliere in fallo Gesù, «per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (Gv 8,6).
II gioco maligno, d’altronde mai riuscito (Cf. Mt 22,15-22), era di una estrema semplicità: se Gesù avesse assolto la donna l’avrebbero accusato di infrangere la Legge di Mosè; se l’avesse condannata, oltre a perdere la sua buona fama di uomo misericordioso, avrebbe infranto la legge di Roma in quanto soltanto i suoi tribunali avevano il diritto di comminare pene capitali. In ogni caso, avrebbero avuto modo di accusarlo o al Sinedrio o a Pilato.
I farisei da Gesù già rimproverati in altre simili occasioni, avevano dimenticato prestamente il monito loro rivolto: imparate «che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13).
La lezione non l’avevano imparata tanto d’insistere in pratiche disumane come la lapidazione. Nonostante l’arroganza e l’insistenza degli interlocutori, Gesù è tranquillo, imperturbabile, lo dimostra chinandosi e mettendosi a scrivere col dito per terra (Gv 8,6). Inutile investigare per conoscere cosa scrivesse Gesù: il verbo katagraph significa tracciare segni, disegnare, ma anche mettere per iscritto un’accusa. I Padri della Chiesa interpretano questo gesto con Geremia 17,13, dove è minacciata la rovina per quanti sono infedeli a Dio: «O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva».
Poiché gli accusatori della donna non si rassegnano, Gesù dà prova della sua saggezza e della sua misericordia con una risposta lapidaria: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Se tutti siamo peccatori (Cf. Rom 3,9ss; 5,12) e «tale è la condizione dell’uomo, come può un peccatore infierire contro chi è stato vittima della stessa debolezza umana? [...]. L’espressione scagli per primo una pietra riecheggia Dt 13,1 dove si ordina che i testimoni oculari devono dar inizio all’esecuzione della condanna a morte. Dopo una risposta tanto saggia, Gesù non guarda più gli accusatori, ma di nuovo si china per scrivere sulla terra. Evidentemente il Maestro ha sconcertato gli avversari; essi aspettavano che prendesse posizione sulla questione legale; invece ha ricordato ai giudici che non sono senza peccato e quindi non possono condannare. Il gesto del Maestro, di chinarsi per non fissare gli accusatori, vuol porre i giudici dinanzi alle loro responsabilità e invitarli a una decisone sincera e libera» (S. Panimolle).
I farisei e gli scribi, disorientati e disarmati dalla sapienza divina, non possono fare altro che allontanarsi, cominciando «dai più anziani»: questo particolare sembra ispirarsi alla storia di Susanna e dei «due anziani pieni di perverse intenzioni» (Dan 13,1ss). Sgombrato il campo, Gesù rimane solo con l’adultera: è l’incontro «dell’innocenza con chi ha commesso peccato: la scena diventa una illustrazione plastica dell’invito al pentimento. Dio odia il peccato e ama il peccatore; tale atteggiamento si attua in Gesù. Il quale, benché non giudichi e non condanni, invita la donna a non peccare più [...]. La legge condanna il peccato non perché gli uomini si giudichino a vicenda, ma perché essi sentano il bisogno di essere salvati da Dio. Gesù porta in sé questa salvezza: odia infinitamente il peccato, ama infinitamente il peccatore. Questo è possibile soltanto a Dio» (P. Giuseppe Ferraro s.j.).
La storia dell’adultera, posta alla fine del cammi­no quaresimale, suggerisce ai credenti l’esperienza gioiosa che essi fanno nel sacramento della Penitenza. Un invito pressante a fare Pasqua.
 
Il perdono di Dio e il perdono dell’uomo - Giuseppe Barbaglio (Perdono, Schede Bibliche Pastorali): Nella preghiera di gruppo insegnata da Gesù ai suoi discepoli una supplica è: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12); «Perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore» (Lc 11,4).
C’è dunque un inscindibile nesso tra il perdono concessoci da Dio e il perdono nostro al prossimo.
La cosa sta particolarmente a cuore a Matteo che fa seguire al Padre nostro, in particolare all’invocazione del perdono divino, la seguente affermazione: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdo­nerà le vostre colpe» (6,14-15). Si noti che il perdono atteso da Dio e condizionato al perdono del prossimo sembra in prospettiva escatologica; in altre parole, saremo accolti misericordiosamente nel regno di Dio il giorno ultimo, se nella storia avremo perdonato i torti del nostro prossimo.
Da parte sua, Marco che non ha il Padre nostro conosce però il detto seguente di Cristo: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati» (11,25).
Si deve allora ritenere che il perdono di Dio sia in tutto condizionato al nostro perdono accordato al prossimo?
Nella parabola del servo spietato, attestata in Mt 18,23-35, Gesù illustra il dovere del perdono illimitato da concedere al fratello. Il racconto parabolico tiene dietro al dialogo tra Gesù e Pietro: alla domanda del disce­polo quante volte dovrà perdonare al fratello, sino a sette volte, il maestro risponde: sino a 77 volte (Mt 18,21-22). Il primo evangelista allude qui al feroce Lamec e alla sua vendetta indiscriminata, per dire che il comandamento di Gesù (perdono illimitato, sino a 77 volte) annulla la legge della giungla instaurata dalla stirpe dei cainiti (Cf. Gn 4,23-24). Nella versione di Luca, più fedele al detto originario di Gesù, si parla di perdono sino a 7 volte, numero simbolico di pienezza e di completezza, dunque indicante perdono illimitato (Lc 17,4).
Nella parabola poi Gesù mette in stretto rapporto il condono ricevuto e il condono da accordare. Il servo spietato, che ha ottenuto, al di là di ogni attesa, il condono di un debito enorme (il prezzo di sessanta milioni di giornate lavorative), è moralmente obbligato a condonare al suo collega un debito normale, corrispondente al prezzo di cento giornate lavorative: «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te?» (18,33).
Ma colui che è stato perdonato non sa essere «perdonatore» del fratello; perciò sarà condannato con durezza.
Ed ecco la conclusione redazionale dell’evangelista: «Così anche il Padre mio celeste farà a ciascuno di voi [= giudizio di condanna], se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (v. 35).
La prospettiva è senza dubbio quella escatologica del rendiconto, precisamente della condanna, se nella storia non si avrà perdonato di cuore al fratello.
Ma nella parabola di Gesù l’accento sta sulla connessione tra perdono ricevuto e perdono da accordare; in altre parole, chi è stato beneficiario del perdono divino dovrà coerentemente sentirsi obbligato a perdo­nare a sua volta al prossimo.
Dunque all’inizio c’è il perdono di Dio, perdono ricevuto senza alcun merito. Quest’esperienza poi suscita e fonda il dovere di perdonare al fratello e nel giudizio ultimo infine il perdono di Dio sarà condizionato dal perdono nostro al prossimo. In breve, il perdono da accordare al fratello sta tra due perdoni di Dio, quello storico e quello escatologico; dal primo esso è fondato e giustificato, riguardo al secondo si pone come condizio­ne sine qua non.
 
Non peccare più - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): La clemenza che Dio manifesta nel perdonare non deve diventare un incentivo a continuare nella vita di peccato, ma anzi rappresenta uno stimolo a mutare radicalmente condotta: è invito pressante a una conversione sincera. Gesù non minimizza la gravità della colpa dell’adultera; anzi, dopo che le ha usato misericordia, l’ammonisce a non peccare più (Gv 8,11).
Il perdono dei peccati, il giudizio di misericordia deve essere l’occasione per iniziare una vita nuova, segnata dalla fedeltà e dall’amore. Questo fatto deve farci riflettere sul modo come noi spesso ci accostiamo al sacramento della penitenza. Forse capita anche a noi di farlo con tanta leggerezza.
Quando il rito della riconciliazione non segna l’inizio di una profonda sincera conversione, vuoi dire che non è ricevuto in modo degno. Il perdono sacramentale delle colpe deve rappresentare un momento di serio ravvedimento e approdare ad un impegno concreto di vita nuova.
 
Bonaventura (In Jo., VIII): A chi chiede cosa scrivesse, Agostino risponde che scrisse quello che poi rese noto. Ambrogio dice invece che scrisse: Terra, terra, scrivi questi uomini sterili (Ger. 22,29-30); la Glossa dice che scriveva i loro peccati, e altri dicono che scriveva delle lettere nelle quali ciascuno poteva leggere i propri peccati.
 
Il Santo del giorno - 6 Aprile 2025 - Santa Nicoletta Boylet, Vergine: È nata quando ormai i genitori - il carpentiere Roberto Boylet e sua moglie Caterina - non speravano più di avere figli. L’hanno chiamata Nicoletta (familiarmente Colette) in onore di Nicola di Bari, alla cui intercessione si attribuiva la sua nascita. Colette intraprende la sua complicata esperienza religiosa a 18 anni, dopo la morte dei genitori. E la conclude a 25 su consiglio del francescano Enrico di Baume, tornando fra le Clarisse, perché si sente chiamata alla riforma degli Ordini istituiti da san Francesco. Nel 1406, a Nizza, riceve il velo da Benedetto XIII, che l’autorizza a riformare i monasteri dell’Ordine e a fondarne di nuovi. Per alcuni anni, lei vede fallire gli sforzi di riforma, e solo nel 1410 ha il suo primo monastero rinnovato a Besançon, seguito poi da altri 16. Colette muore a Gand nel 1447. (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
fa’ che rimaniamo sempre membra vive di Cristo,
noi che comunichiamo al suo Corpo e al suo Sangue.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
ORAZIONE SUL POPOLO
 
Benedici, o Signore, il tuo popolo,
che attende il dono della tua misericordia,
e porta a compimento i desideri
che tu stesso hai posto nel suo cuore.
Per Cristo nostro Signore.
 
 5 Aprile 2025
 
Sabato IV Settimana di Quaresima

Ger 11,18-20; Salmo Responsoriale Dal Salmo 7; Gv 7,40-53
 
Colletta:
La tua misericordia, o Signore, guidi i nostri cuori,
poiché senza di te non possiamo fare nulla che ti sia gradito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù: Catechismo della Chiesa Cattolica 597: Tenendo conto della complessità storica del processo a Gesù espressa nei racconti evangelici, e qualunque possa essere stato il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all’insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la pentecoste. Gesù stesso perdonando sulla croce e Pietro sul suo esempio hanno riconosciuto l’«ignoranza» degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (Mt 27,25) che è una formula di ratificazione, estendere la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio: Molto bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: «Quanto è stato commesso durante la passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. [...] Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura».
 
I Lettura: Il profeta Geremia conosce la sua sorte, il Signore me lo ha manifestato ed io l’ho saputo. Una sorte dolorosa, gravida di umiliazioni, di sangue, di cieca e violenta persecuzione. Un odio senza senso, assurdo come è assurda la stoltezza e la cecità degli aguzzini. Il profeta sarà rigettato, e le sue parole inascoltate, Gerusalemme sarà devastata dall’esercito babilonese, gli abitanti saranno deportati, Geremia si salverà da questa furia devastatrice. ma dovrà attraversare per intero il cammino del dolore. Agnello mansueto che viene portato al macello, Geremia diventa figura del Cristo, entrambi saranno perseguitati, entrambi resteranno fino alla fine fedeli alla volontà di Dio, che a volte conduce gli uomini attraverso sentieri misteriosi e ad essi ignoti.
 
Vangelo
Il Cristo viene forse dalla Galilea?
 
Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!: comunemente si credeva che il Messia si sarebbe manifestato improvvisamente e senza equivoci, ma prima di tale manifestazione egli sarebbe stato completamente nascosto e sconosciuto. Di Gesù, invece, erano ben note a tutti le sue origini galilaiche: egli pertanto non poteva essere il Messia. I pregiudizi rendono ciechi le guide spirituali del popolo eletto, i loro occhi non vedono e le loro menti, vasi colmi d’ira, partoriscono progetti infami: vogliono uccidere Gesù, ma non sanno che tutto, anche la morte in croce del Figlio di Dio, entra nel progetto salvifico di Dio. L’ora di Gesù non è nelle mani degli uomini, ad essi compete scrutare sapientemente, e, abbandonando pregiudizi e menzogne, accogliere con fede l’amore del Padre.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 7,40-53
 
In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui.
Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!».
Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.
 
Parola del Signore.
 
Bruno Maggioni (Il Vangelo di Giovanni): La reazione alla predicazione di Gesù (vv. 40-52), descritta con più ampiezza del solito, offre all’evangelista l’occasione per alcuni spunti che, se da una parte riflettono la situazione storica del Cristo, dall’altra riflettono in non minore misura le esperienze della comunità. Così, ad esempio, le obiezioni sulla discendenza davidica del Messia e sulla sua patria d’origine (vv. 41-42). L’origine nazaretana di Gesù costituì una grossa difficoltà per tutto il mondo giudaico. Rispondere a tale problema fu uno dei motivi per cui Matteo e Luca scrissero i vangeli dell’infanzia. E tra le polemiche di Gesù con gli scribi ce n’è una che riguarda precisamente il Messia figlio di Davide (Mt 22,41-46). La risposta è quasi unanime in tutte le tradizioni neostamentarie. Si afferma l’origine da Davide, ma insieme si nega il progetto messianico di restaurazione politica e religiosa che l’espressione figlio di Davide sottintendeva. Soprattutto si afferma che il Cristo trova la sua origine decisiva non nella linea davidica, ma in Dio.
Giovanni fa una distinzione tra le folle e i capi (vv. 45-49). Anche le prime spesso non comprendono, e soprat­tutto non sanno decidersi, ma hanno una sostanziale disponibilità. I capi esprimono invece un rifiuto deciso, senza appello, aprioristico, e qui sta la loro condanna.
Di fronte alla simpatia della gente per Gesù (e ancor più di fronte alla stessa parola del Messia) essi non hanno argomenti da opporre, ma solo la convinzione che il giudizio è nelle loro mani, i competenti, in nessun modo nelle mani della folla ignorante. E di fronte al sano ragionamento di Nicodemo non hanno altro che disprezzo.
 
Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 14 gennaio 1998): La grande ora nella storia del mondo è quella in cui il Figlio dà la vita, facendo udire la sua voce salvatrice agli uomini che sono sotto il dominio del peccato. È l’ora della redenzione. Tutta la vita terrena di Gesù è orientata verso quest’ora [...]. Quest’ora drammatica è voluta e determinata dal Padre. Prima dell’ora scelta dal disegno divino, i nemici non possono impadronirsi di Gesù. Parecchie volte si è tentato di fermare Gesù o di ucciderlo. Riportando uno di questi tentativi, il Vangelo di Giovanni pone in luce l’impotenza degli avversari: “Cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora” (7,30). Quando l’ora viene, appare anche come l’ora dei nemici. “Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre”, dice Gesù a “coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani” (Lc 22,52-53). In quest’ora buia sembra che il potere erompente del male non possa essere fermato da nessuno. E tuttavia anche quest’ora rimane sotto il potere del Padre. Sarà Lui a permettere ai nemici di Gesù di catturarlo. La loro opera si inscrive misteriosamente nel piano stabilito da Dio per la salvezza di tutti.  Più che l’ora dei nemici, l’ora della passione è dunque l’ora di Cristo, l’ora del compimento della sua missione. Il Vangelo di Giovanni ci fa scoprire le disposizioni intime di Gesù all’inizio dell’ultima Cena: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). È dunque l’ora dell’amore, che vuole andare “sino alla fine”, cioè fino al dono supremo. Nel suo sacrificio, Cristo ci rivela l’amore perfetto: non avrebbe potuto amarci più profondamente!
 
Rev. D. Antoni Carol i Hostench: «Oggi notiamo come si “complica” l’ambiente attorno al Signore, pochi giorni prima della sua Passione a Gerusalemme. Per causa sua si produce una sorta di discussione e controversia. Non potrebbe essere diversamente: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione» [Lc 12,51]. E non è che il Redentore desideri la controversia e la divisione, ma è che davanti a Dio non valgono i “mezzi termini”: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» [Lc 11,23]. È inevitabile! Davanti a Dio non c’è nessuna posizione neutrale: o c’è o non c’è, è il mio Signore o non è il mio Signore. Non è possibile servire contemporaneamente due padroni [cfr. Mt 6,24]. Giovanni Paolo II considerava che di fronte a Dio bisogna scegliere. La fede semplice che il nostro buon Dio chiede, implica una scelta. Bisogna scegliere perché Lui non; venne sulla terra discretamente; morì rimpicciolito, senza ostentare la sua condizione divina [cfr. Fil 2,6]. Lo esprime meravigliosamente san Tommaso D’Aquino nell’Adoro Te devote: «Nella croce si nascondeva solo la divinità, qui [nell’Eucaristia] si nasconde anche l’umanità». Bisogna scegliere! Dio non si impone, si offre. E rimane a noi la decisione di scegliere a suo favore o di non farlo. È una questione personale che ognuno di noi - con l’aiuto dello Spirito Santo - deve risolvere. A niente servono i miracoli, se le disposizioni dell’uomo non sono quelle dell’umiltà e della semplicità. Di fronte agli stessi fatti, vediamo i giudei divisi. Ed è che nelle questioni dell’amore non si può dare una risposta tiepida, a metà: la vocazione cristiana comporta una risposta radicale, così radicale come fu la testimonianza di abbandono e di obbedienza di Cristo sulla Croce».
 
E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello… Le pecore in genere fornivano materia per vestirsi e per nutrirsi. Era molto importante il possesso di greggi; essi erano anche un importante bottino di guerra (Nm 31,32). In Israele veniva attribuito grande valore religioso al sacrificio degli agnelli, sopra tutto dopo la liberazione dalla cattività egiziana; perciò l’agnello era uno degli animali più importanti per il sacrificio, e in modo particolare nella celebrazione della Pasqua. Gesù è stato proclamato da Giovanni Battista agnello di Dio (Gv 1,29.36). Il Battista parlava in aramaico del servo di Iahvè e in aramaico si ha lo stesso vocabolo per indicare servo ed agnello. Forse si tratta di una confusione involontaria o di una volontaria identificazione. Gesù “agnello” è una immagine assai cara all’iconografia cristiana. Gesù è l’agnello mandato da Dio che è offerto per il mondo e così toglie il peccato. L’agnello, inoltre, indica l’innocenza, perciò è un’immagine che richiama l’innocenza del Cristo, l’assenza in lui del peccato: “Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,14-16).  
 
Bruno di Segni (In Jo. ev. exp., I,7): Le guardie risposero quasi a dire: Magari anche voi foste stati presenti! Magari anche voi aveste udito le sue parole! Probabilmente non fareste più nulla contro di lui. Mai, infatti, un uomo ha parlato come parla quest’uomo, che sembra essere più di un uomo. Egli infatti è Dio e uomo. E se anche fossimo stati plagiati, sarebbe stato un bene, cioè lo saremmo stati per essere condotti dal male al bene.
 
Il Santo del giorno - 5 Aprile 2025 - Santa Caterina Thomas, Vergine: Caterina (Catalina) Thomas nasce il 1 maggio 1531 a Valldemoza sull’isola di Maiorca (Baleari). Cresciuta in una fede semplice ma provata in molte piccole cose, rimane orfana a sette anni. Trasferitasi dagli zii deve badare al bestiame, riducendo così la preghiera in chiesa. Per i giorni feriali costruisce dei piccoli altari ai piedi degli ulivi. La svolta nella sua vita avviene con l’incontro di padre Antonio Castaneda (1507-1583), del vicino collegio di Miramar. Grazie a lui Caterina prende la decisione di entrare in monastero. Superate tutte le difficoltà nel 1553 è accolta come corista nel monastero delle Canonichesse Regolari di Sant’Agostino di Palma. Professa i voti religiosi il 24 agosto 1555. Le sue virtù, intanto, vengono conosciute anche fuori dal monastero tanto che il vescovo di Maiorca sovente le chiede consiglio. Trascorre la sua vita sempre più spesso in periodi di estasi mistiche fino all’ultima che termina il 4 aprile 1574. Morirà il giorno dopo. (Avvenire)   
 
Ci purifichino, o Signore, i tuoi sacramenti
e nella loro forza salvifica ci rendano a te graditi.
Per Cristo nostro Signore.
 
Orazione sul popolo ad libitum
 
Proteggi, o Signore, il tuo popolo
che si prepara alle feste pasquali
e accompagnalo con l’abbondanza della tua grazia,
perché attraverso le consolazioni terrene
sia guidato ai beni eterni.
Per Cristo nostro Signore.