7 Marzo 2025
 
Venerdì dopo le Ceneri
 
Is 58,1-9a; Salmo Responsoriale Dal Salmo 50 (51); Mt 9,14-15
 
Colletta
Accompagna con la tua benevolenza,
Padre misericordioso,
i primi passi del nostro cammino penitenziale,
perché all’osservanza esteriore
corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano? - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 21 Marzo 1979): Perché il digiuno? A questa domanda bisogna dare una risposta più ampia e profonda, perché diventi chiaro il rapporto tra il digiuno e la “metànoia”, cioè quella trasformazione spirituale, che avvicina l’uomo a Dio. Cercheremo quindi di concentrarci non soltanto sulla pratica dell’astensione dal cibo o dalle bevande – ciò infatti significa “il digiuno” nel senso comune – ma sul significato più profondo di questa pratica che, del resto, può e deve alle volte essere “sostituita” da qualche altra. Il cibo e le bevande sono indispensabili all’uomo per vivere, egli se ne serve e deve servirsene, tuttavia non gli è lecito abusarne sotto qualsiasi forma. La tradizionale astensione dal cibo e dalle bevande ha come fine di introdurre nell’esistenza dell’uomo non soltanto l’equilibrio necessario, ma anche il distacco da quello che si potrebbe definire “atteggiamento consumistico”. Tale atteggiamento è divenuto nei nostri tempi una delle caratteristiche della civiltà e in particolare della civiltà occidentale. L’atteggiamento consumistico! L’uomo orientato verso i beni materiali, molteplici beni materiali, molto spesso ne abusa. Non si tratta qui unicamente del cibo e delle bevande. Quando l’uomo è orientato esclusivamente verso il possesso e l’uso di beni materiali, cioè delle cose, allora anche tutta la civiltà viene misurata secondo la quantità e la qualità delle cose che è in grado di fornire all’uomo, e non si misura con il metro adeguato all’uomo. Questa civilizzazione infatti fornisce i beni materiali non soltanto perché servano all’uomo a svolgere le attività creative e utili, ma sempre di più... per soddisfare i sensi, l’eccitazione che ne deriva, il piacere momentaneo, una sempre maggiore molteplicità di sensazioni. Alle volte si sente dire che l’incremento eccessivo dei mezzi audio-visivi nei paesi ricchi non sempre giova allo sviluppo dell’intelligenza, particolarmente nei bambini; al contrario, talvolta contribuisce a frenarne lo sviluppo. Il bambino vive solo di sensazioni, cerca delle sensazioni sempre nuove... E diventa così, senza rendersene conto, schiavo di questa passione odierna. Saziandosi di sensazioni, rimane spesso intellettualmente passivo; l’intelletto non si apre alla ricerca della verità; la volontà resta vincolata dall’abitudine, alla quale non sa opporsi. Da ciò risulta che l’uomo contemporaneo deve digiunare, cioè astenersi non soltanto dal cibo o dalle bevande, ma da molti altri mezzi di consumo, di stimolazione, di soddisfazione dei sensi. Digiunare significa astenersi, rinunciare a qualcosa.  
 
I Lettura: Il digiuno era prescritto dalla legge solo per la festa dell’espiazione (Lv 23,26-32), ma in certe epoche si sono moltiplicati i giorni di digiuno, sia per commemorare anniversari di lutto (Zc 7,1-5, Zc 8,18-19), sia per implorare la misericordia divina (Ger 36,6, Ger 36,9, Gn 3,5; cf. 1Re 21,9, 1Re 21,12).
L’oracolo di Isaia (58,1-12) reclama una interiorizzazione delle pratiche religiose secondo lo spirito dei grandi profeti (cf. Is 1,10, Am 5,21).
I versetti 5-7, È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?, costituiscono il centro dell’oracolo.
Con questo oracolo, il profeta Isaia spazza via ogni falsa interpretazione del culto da prestare a Dio. Esso non è la somma asfissiante di cerimonie, ma l’esercizio concreto della carità e della misericordia verso i fratelli più bisognosi. Il culto è sincero se rende il fedele attento alla presenza dell’altro, altrimenti è sterile ritualismo. Lo stesso insegnamento è presente nel Nuovo Testamento. Quando verrà Cristo a giudicare i vivi e i morti, il giudizio verterà appunto sulla carità: “Venite [...] ricevete in eredità il regno preparato per voi [...]. Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,34-36).
 
Vangelo
 
I farisei e i discepoli di Giovanni digiunavano per affrettare la venuta del Messia e per disporsi ad accoglierlo. I discepoli di Gesù sono convinti che il Messia è già con loro: è il tempo della festa, della gioia, non del digiuno. Gli invitati a nozze non possono essere in lutto finché lo sposo è con loro, digiuneranno quando lo Sposo sarà tolto: una chiara allusione alla croce, solo allora verrà il tempo del distacco, della passione e della prova, e si digiunerà. Ma sarà un digiuno diverso.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,14-15
 
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».
 
Parola del Signore.
 
Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): Come è impossibile astenersi dal cibo durante un banchetto, è difficile far digiunare i discepoli quando Gesù, sposo messianico, è ancora in mezzo a essi. I discepoli esprimeranno il loro dolore, inizieranno cioè un regime penitenziale, quando Cristo non sarà più con loro. Il digiuno diventerà come il segno del lutto che li verrà a colpire. In questa interpretazione, piuttosto parabolica, l’attenzione di Gesù rimane accentrata al digiuno materiale, cui viene data una giustificazione cristiana.
Gli annunci veterotestamentari vedono nel banchetto l’immagine dell’era messianica. Gesù assiso a tavola con i suoi amici annuncia ufficialmente l’apertura dell’era della salvezza. La sua venuta nel mondo ha posto fine alla lunga attesa e ha dato il via alle realizzazioni salutari. L’immagine dello sposo non solo serve a stringere i rapporti tra Gesù e gli uomini che egli associa a sé, ma più ancora con Jahve, lo sposo per antonomasia del popolo eletto. Gesù ne prende il posto sottolineando i rapporti intimi che lo legano all’umanità. Il raffronto tra Gesù e il Battista, vivo nei circoli giovannei, cade irreparabilmente con quest’ultima identificazione.
Gesù rivendica le sue attribuzioni, ma non manca contemporaneamente di annunciare il suo futuro destino. Nei conviti nuziali è la partenza degli ospiti che chiude la festa; qui è lo sposo che lascia improvvisamente gli amici. Anzi è tolto loro di forza. Questa anomalia fa prevedere la tragica sorte che attende il salvatore.
 
Dio ha amato Israele con un amore che travalica il sentimento umano facendosi provvidenza, misericordia, perdono. Dio celebrerà con il popolo di Israele nuovi ed eterni sponsali, dimenticando in questo modo il suo passato, gravido di peccati e infedeltà: «Come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). Ciò che Dio darà a Israele, in queste nuove nozze, non saranno «più i beni materiali dell’antica alleanza [Os 2,10], ma le disposizioni interiori richieste affinché il popolo sia d’ora innanzi fedele all’alleanza. Qui abbiamo già in germe quanto sarà sviluppato da Geremia e da Ezechiele: la nuova ed eterna alleanza, la legge iscritta nel cuore, il cuore nuovo e lo Spirito nuovo [Ger 31,31-34; Ez 36,26-27]» (Bibbia di Gerusalemme).
Gesù si approprierà di questa immagine (Mt 9,15; 22,1ss; 25,1ss;) e sarà ripresa dall’apostolo Paolo nelle sue lettere (Ef 5,22; 2Cor 11,2). Il libro dell’Apocalisse si chiude con la visione del fidanzamento dell’Agnello con la sua Sposa, la nuova Gerusalemme celeste: «Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2).
Le nozze tra l’Agnello e la Chiesa saranno celebrate alla fine dei tempi. Infatti, la Chiesa, «nel suo pellegrinare terreno, è solo la “promessa” dell’agnello: ogni tentativo, da parte della Chiesa, di vestire l’abito nuziale prima del tempo, è sacrilego. Infatti il “vestito nuziale” sta ad indicare che si celebrano le nozze. Quindi ogni volta che nel corso della storia la Chiesa veste un abito nuziale, cioè abbandona la sua condizione umile e di servizio, cerca di celebrare le nozze. E siccome l’agnello è uno sposo fedele, la Chiesa farebbe solo esperienze “prematrimoniali” con altri amanti. Si tratterebbe d’un adulterio flagrante. La fedeltà all’agnello esige la fuga della Chiesa da tutti gli amanti che la corteggiano» (José Maria González-Ruiz).

Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro - Lettera alle Famiglie 18: Parlando un giorno con i discepoli di Giovanni, Gesù accennò ad un invito a nozze e alla presenza dello sposo tra gli invitati: “Lo sposo è con loro” (Mt 9,15). Additava così il compimento nella sua persona dell’immagine di Dio-sposo, utilizzata già nell’Antico Testamento, per rivelare pienamente il mistero di Dio come mistero di Amore. Qualificandosi come “sposo”, Gesù svela dunque l’essenza di Dio e conferma il suo amore immenso per l’uomo. Ma la scelta di questa immagine getta indirettamente luce anche sulla verità profonda dell’amore sponsale. Usandola infatti per parlare di Dio, Gesù mostra quanta paternità e quanto amore di Dio si riflettano nell’amore di un uomo e di una donna che si uniscono in matrimonio. Per questo, all’inizio della sua missione, Gesù è a Cana di Galilea, per partecipare ad un banchetto di nozze, insieme con Maria e con i primi discepoli (cf. Gv 2,1-11). Egli intende così dimostrare quanto la verità della famiglia sia inscritta nella Rivelazione di Dio e nella storia della salvezza. Nell’Antico Testamento, e specialmente nei Profeti, si incontrano parole molto belle sull’amore di Dio: un amore premuroso come quello di una madre verso il suo bambino, tenero come quello dello sposo per la sposa, ma al tempo stesso altrettanto vivacemente geloso; non è anzitutto un amore che punisce, ma che perdona; un amore che si china verso l’uomo come fa il padre verso il figlio prodigo, lo solleva e lo rende partecipe della vita divina. Un amore che stupisce: una novità sconosciuta sino ad allora in tutto il mondo pagano.
19 Lo Sposo è, dunque, lo stesso Dio che si è fatto uomo. Nell’Antica Alleanza, Jahvè si presenta come lo Sposo di Israele, popolo eletto: uno Sposo tenero ed esigente, geloso e fedele. Tutti i tradimenti, le diserzioni e le idolatrie di Israele, descritte dai Profeti in modo drammatico e suggestivo, non riescono a spegnere l’amore con cui il Dio-Sposo « ama sino alla fine » (cfr Gv 13,1).
La conferma e il compimento della comunione sponsale tra Dio e il suo popolo si hanno in Cristo, nella Nuova Alleanza. Cristo ci assicura che lo Sposo è con noi (cfr Mt 9,15). È con noi tutti, è con la Chiesa. La Chiesa diventa sposa: sposa di Cristo. Questa sposa, di cui parla la Lettera agli Efesini, si fa presente in ogni battezzato ed è come una persona che si offre allo sguardo del suo Sposo: « Ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, (...) al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata » (Ef 5,25-27). L’amore, con cui lo Sposo «ha amato sino alla fine» la Chiesa, fa sì che essa sia sempre nuovamente santa nei suoi santi, anche se non cessa di essere una Chiesa di peccatori. Anche i peccatori, «i pubblicani e le prostitute», sono chiamati alla santità, come attesta Cristo stesso nel Vangelo (cfr Mt 21,31). Tutti sono chiamati a diventare Chiesa gloriosa, santa ed immacolata. « Siate santi - dice il Signore - perché io sono santo» (Lv 11,44; cfr 1Pt 1,16).
 
Il digiuno - Alcuni settori di particolare attenzione - Nota Pastorale CEI (n. 6 - 21 Ottobre 1994) n. 11: Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza spingerà i credenti non solo a coltivare una più grande sobrietà di vita, ma anche ad attuare un più lucido e coraggioso discernimento nei confronti delle scelte da fare in alcuni settori della vita di oggi: lo esige la fedeltà agli impegni del Battesimo. Ricordiamo, a titolo di esempio, alcuni comportamenti che possono facilmente rendere tutti, in qualche modo, schiavi del superfluo e persino complici dell’ingiustizia: - il consumo alimentare senza una giusta regola, accompagnato a volte da un intollerabile spreco di risorse; - l’uso eccessivo di bevande alcooliche e di fumo; - la ricerca incessante di cose superflue, accettando acriticamente ogni moda e ogni sollecitazione della pubblicità commerciale; - le spese abnormi che talvolta accompagnano le feste popolari e persino alcune ricorrenze religiose; - la ricerca smodata di forme di divertimento che non servono al necessario recupero psicologico e fisico, ma sono fini a se stesse e conducono ad evadere dalla realtà e dalle proprie responsabilità; - l’occupazione frenetica, che non lascia spazio al silenzio, alla riflessione e alla preghiera; - il ricorso esagerato alla televisione e agli altri mezzi di comunicazione, che può creare dipendenza, ostacolare la riflessione personale e impedisce il dialogo in famiglia. I cristiani sono chiamati dalla grazia di Cristo a comportarsi “come i figli della luce” e quindi a non partecipare “alle opere infruttuose delle tenebre” (Ef 5,8.11). Così, praticando un giusto "digiuno" in questi e in altri settori della vita personale e sociale, i cristiani non solo si fanno solidali con quanti, anche non cristiani, tengono in grande considerazione la sobrietà di vita come componente essenziale dell’esistenza morale, ma anche offrono una preziosa testimonianza di fede circa i veri valori della vita umana, favorendo la nostalgia e la ricerca di quella spiritualità di cui ogni persona ha grande bisogno.
 
Digiuno incompleto - Girolamo, Epist., 22, 37: Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t’arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Isaia esclama ogni giorno: Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore (Is 58,5), e ancora: “Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese; voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore?” (Is 58,3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l’ira, non dico un’intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione.
 
Il Santo del Giorno - 7 Marzo 2025 - Perpetua e Felicita. Quell’antico coraggio, profezia per l’oggi: «Fummo condotti in carcere, ed ero spaventata, perché non avevo mai avuto a che fare con una simile oscurità. Un giorno sinistro. Calore intenso a causa dell’affollamento, estorsioni da parte dei soldati. A tormentarmi era però la preoccupazione per la sorte del mio bambino»: con queste parole la giovane Tibia Perpetua, martire del III secolo, ci descrive la terribile esperienza della prigionia. Il suo diario – contenuto nella Passione di Perpetua e Felicita, opera di Tertulliano – è un documento straordinario e prezioso che ci racconta la vicenda di una giovane donna di buona famiglia, arrestata nel 203 all’età di 22 anni circa, al tempo dell’imperatore Settimio Severo, a Cartagine a causa della sua fede e poi condannata a essere sbranata dalle belve assieme a un gruppo di cristiani. Perpetua è una madre di un piccolo che ancora allatta e con gli occhi di donna racconta quelle sofferenze, condivise con la più giovane Felicita, figlia di suoi servi, che è incinta. Con loro ci sono anche Saturnino, Revocato e Secondulo che non sono ancora stati battezzati e il martirio diventerà il loro Battesimo. «Capii che non dovevo combattere con le fiere, ma contro il demonio – scrive santa Perpetua nel suo diario –. Però sapevo che mia sarebbe stata la vittoria». Una vittoria che è per i cristiani di tutti i tempi, specie quelli perseguitati, un vero incoraggiamento. (Avvenire)
 
Dio misericordioso,
il tuo popolo ti renda continuamente grazie
per le tue grandi opere,
e ripercorra nel suo pellegrinaggio le vie della penitenza,
per giungere alla contemplazione del tuo volto.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
6 Marzo 2025
 
Giovedì dopo le Ceneri
 
Dt 30,15-20; Salmo responsoriale Dal Salmo 1; Lc 9,22-25
 
Colletta
Ispira le nostre azioni, o Signore,
e accompagnale con il tuo aiuto,
perché ogni nostra attività
abbia sempre da te il suo inizio
e in te il suo compimento.
Per il nostro Signore Gesù Cristo
 
Papa Francesco (Angelus, 30 agosto 2020): «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 24). In questo modo Egli indica la via del vero discepolo, mostrando due atteggiamenti. Il primo è «rinunciare a sé stessi», che non significa un cambiamento superficiale, ma una conversione, un capovolgimento di mentalità e di valori. L’altro atteggiamento è quello di prendere la propria croce. Non si tratta solo di sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane, ma di portare con fede e responsabilità quella parte di fatica, quella parte di sofferenza che la lotta contro il male comporta. La vita dei cristiani è sempre una lotta. Lottare contro il Male. Così l’impegno di “prendere la croce” diventa partecipazione con Cristo alla salvezza del mondo. Pensando a questo, facciamo in modo che la croce appesa alla parete di casa, o quella piccola che portiamo al collo, sia segno del nostro desiderio di unirci a Cristo nel servire con amore i fratelli, specialmente i più piccoli e fragili. La croce è segno santo dell’Amore di Dio, è segno del Sacrificio di Gesù, e non va ridotta a oggetto scaramantico oppure a monile ornamentale. Di conseguenza, se vogliamo essere suoi discepoli, siamo chiamati a imitarlo, spendendo senza riserve la nostra vita per amore di Dio e del prossimo.
 
I Lettura: La Bibbia di Navarra: Il finale del discorso rivolge questo solenne e commosso appello a Israele, mettendolo davanti alle proprie responsabilità: è pienamente libero di scegliere tra il bene e il male; ma dalla fedeltà o dalla infedeltà dipenderanno le benedizioni del Signore o i suoi castighi.
L’esortazione conclusiva (vv. 19-20) è particolarmente toccante: «Scegli dunque la vita», vivendo nell’ amore per il Signore, «perché è Lui la tua vita». Nel Nuovo Testamento vi sono passi in cui risuonano le medesime parole: «Io sono la Vita», dirà il Signore (Gv 14,6); e san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20); «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21).
Si tenga presente che, all’inizio del v. 16, la Neovolgata (come peraltro la versione della Cei) ha seguito il teste più ampio della traduzione greca dei Settanta. Nel testo ebraico non si rinvengono le parole: «… di osservare i suoi comandi», che tuttavia sottolineano il contrasto con quanto si dirà al v. 17.
 
Vangelo
Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.
 
Chi vuole salvare la propria vita, la perderà... Gesù deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso per giungere alla risurrezione. Il discepolo di Cristo non può pensare di percorrere un cammino diverso. Anche lui, come il suo Maestro, deve portare ogni giorno la sua croce, continuando in sé il martirio e la passione del Signore: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 2,24).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,22-25
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete: 22 Il figlio dell’uomo deve soffrire molto; per la profezia della passione … Luca si attiene a Marco … Luca scrive «al terzo giorno», correggendo così l’espressione di Marco «dopo tre giorni» che sembra essere la primitiva e che dipende da Giona, 2, 1. Su questa predizione del destino doloroso riservato al Messia, l’evangelista ritornerà più volte in seguito (cf. Lc., 9, 44; 12, 50; 17, 25; 18, 31-33) per dar rilievo al significato che hanno la passione e morte di Gesù nell’economia divina; cf. Lc., 24, 7, 25-27. Dopo questa predizione i primi due Sinottici riferiscono il duro rimprovero che il Maestro indirizza a Pietro, il quale, nel suo zelo intemperante, desiderava allontanare da lui il penoso ed umiliante destino della passione (cf. Mt., 16, 22-23; Mc., 8, 32-33). Luca omette questo episodio, poiché egli, per il suo carattere dolce ed umano, tratta con rispetto i discepoli di Gesù passando sotto silenzio le parole severe rivolte ad essi.
23 Poi disse a tutti; la pericope, comune ai tre Sinottici (si veda il commento ai testi di Mt., 16, 24-27 e di Mc., 8, 34-38), è introdotta da Luca con una espressione con la quale dichiara che il suo contenuto interessa «tutti» (contrariamente a Matteo che scrive: «disse ai discepoli»; Marco invece abbina «la folla con i... discepoli»). Per l’evangelista non vi è dubbio che gli ammonimenti riferiti nel presente passo interessano indistintamente tutti. La sua formula, come quella di Marco, riflettono chiaramente la convinzione della primitiva comunità cristiana per la quale il seguire Gesù implicava per tutti, e non già per il ristretto numero dei discepoli, l’imitazione della vita del Maestro, anche nei suoi aspetti più dolorosi. Due sono i doveri di chi vuol seguire Gesù; rinunzi a se stesso, cioè: non pensi a sé, né ai suoi particolari interessi, bensì guardi a colui che intende seguire, e prenda... la sua croce (il verbo greco ἀγάτω può avere anche un senso più forte e realistico e, conseguentemente, va tradotto con: «si carichi della sua croce»). L’espressione è molto ardita anche per i discepoli; infatti la profezia della passione, riportata nel vers. precedente, non accennava alla crocifissione; la croce tuttavia era un’immagine nota ai discepoli, perché questo supplizio veniva inflitto dall’autorità romana soprattutto contro i sudditi ribelli. Luca inserisce nella frase l’espressione «ogni giorno»; tale determinazione accentua il senso spirituale dell’ammonimento ed in pari tempo illustra la portata di esso. La prontezza al sacrificio e l’intera dedizione della vita costituiscono un dovere abituale di ogni giorno, non già rappresentano un atteggiamento eccezionale per qualche circostanza particolarmente difficile. Mi segua; l’espressione riprende il concetto già indicato all’inizio della frase («chi vuol venire dietro a me»), perciò non designa una terza condizione per essere discepoli di Gesù.
24 Per me, oppure: per causa mia; la precisazione è determinante per il senso dell’intero vers. che compie l’idea espressa antecedentemente; lo spirito di rinunzia si deve spingere fino al sacrificio della vita per Cristo. Luca omette l’aggiunta di Marco: «(...per causa mia) e del vangelo», poiché la considera come una spiegazione.
25 Se poi si perde o danneggia se stesso; non sembra che l’evangelista voglia considerare due eventualità (una rovina totale ed un’altra parziale), ma soltanto intende esprimere la stessa idea con due verbi distinti («si perde o danneggia»). In Luca al termine del vers. è omessa la dichiarazione riferita dagli altri due Sinottici, che suona: «poiché qual cosa può dare l’uomo in cambio della propria anima?» (Mc., 8, 37; cf. Mt., 16, 26).
 
Chi vuole essere mio discepolo prenda la sua croce ogni giorno e mi segua - Gesù annunciando la sua futura passione, morte e risurrezione si compromette con gli uomini per la loro salvezza e lo fa nel modo più pieno: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto… esser messo a morte». Si fa solidale con l’uomo attraversando la via della croce in pienezza di libertà (Cf. Gv 10,18), portando nel suo corpo le stigmate del peccato e della follia omicida degli uomini. Prendere la croce di Cristo, in questa visuale, significa essere sollecitati a dichiarare fino a che punto si è disposti a compromettersi con lui, il Messia trafitto per la salvezza degli uomini. Si tratta di assumere esistenzialmente il destino di Gesù come destino proprio.
Il discepolo deve accettare senza scandalizzarsi che Gesù porti la croce; ma deve a sua volta portare la croce con Gesù; deve rinnegare se stesso e quindi smettere di porre se stesso al centro delle sue attenzioni e delle sue preoccupazioni; deve assumere la sua croce ogni giorno se vuol seguire davvero il suo Signore, il quale «si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia» (Eb 12,2).
Prendere la croce di Cristo, per l’uomo è una dolorosa e difficile vocazione da assumere e accettare di prenderla significa interrogarsi sulla “quantità e qualità” del proprio amore verso Cristo Gesù e se questo amore lo attira alla croce e gli fa desiderare di percorrere lo stesso cammino.
Gesù esige una risposta dai suoi amici mostrando loro un orizzonte di sofferenza e di morte perché capiscano che il vero valore della croce va colto nella perseveranza e nella fedeltà, e anche questo è un compromettersi per Dio: “ogni giorno”, senza lasciarsi sedurre dalle promesse del mondo o spaventare dalle sue minacce.
Gesù vuole che la risposta sia data in una visione di un destino di dolore e di morte perché i discepoli capiscano che il legame con Gesù deve mostrarsi indissolubile in un sì pieno e totale, un sì che deve essere rinnovato “ogni giorno”, di fronte a ogni nuova situazione di ostacolo o di prova o di tentazione diabolica, un sì pieno che nasca dall’amore e dalla profonda convinzione che perdere la propria vita per Gesù non si rivelerà una perdita ma un autentico guadagno.
 
Il Figlio dell’uomo..., è spesso usato nel Nuovo Testamento e Gesù amava riferirlo a stesso, «ora per descrivere le sue umiliazioni [Mt 8,20; 11,19;  20,28], soprattutto quelle della passione [Mt 17,22, ecc.], ora per annunziare il suo trionfo escatologico della risurrezione [Mt 17,9], del ritorno glorioso [Mt 24,30] e del giudizio [Mt 25,31]. Questo titolo infatti, di sapore aramaico e che in origine significa “uomo” [Ez 2,1], per l’originalità della locuzione attirava l’attenzione sull’umiltà della sua condizione umana; ma nello stesso tempo, applicato da Dn 7,13 e in seguito dall’apocalittica giudaica [Enoch] al personaggio trascendente, d’origine celeste, che riceve da Dio il regno escatologico, esso suggeriva, in maniera misteriosa ma sufficientemente chiara [cfr. Mc 1,34; Mt 13,13], il carattere del suo messianismo» (Bibbia di Gerusalemme).
 
L’Imitazione di Cristo (Libro II, Cap XII, 2): Ecco, tutto dipende dalla croce, tutto è definito con la morte. La sola strada che porti alla vita e alla vera pace interiore, è quella della santa croce e della mortificazione quotidiana. Va’ pure dove vuoi, cerca quel che ti piace, ma non troverai, di qua o di là, una strada più alta e più sicura della via della santa croce. Predisponi pure ed ordina ogni cosa, secondo il tuo piacimento e il tuo gusto; ma altro non troverai che dover sopportare qualcosa, o di buona o di cattiva voglia troverai cioè sempre la tua croce.

Il Santo del Giorno - 6 Marzo 2025 - San Marciano, vescovo e martire - Marciano (o Marziano) è indicato dalla tradizione come protovescovo di Tortona (Alessandria), diocesi di cui è patrono. Di famiglia pagana, sarebbe stato convertito da san Barnaba, compagno di san Paolo e confermato poi nella fede da san Siro, vescovo di Pavia. Per 45 anni pastore di Tortona, sarebbe morto martire sotto l’imperatore Adriano tra il 117 e il 138. Da alcuni documenti del secolo VIII che ne parlano, non risulta vescovo. È Valafrido Strabone che, in occasione della costruzione di una chiesa in onore del santo, lo indica come primo vescovo della comunità derthonese e martire. Le reliquie, ritrovate sulla riva sinistra della Scrivia dal vescovo sant’Innocenzo (suo successore del IV secolo), sono nella cattedrale di Tortona. L’osso di un indice è conservato dalla fine del XVII secolo a Genola (Cuneo), di cui è anche patrono. (Avvenire)

Il pane del cielo che abbiamo ricevuto,
Dio onnipotente, ci santifichi
e sia per noi sorgente inesauribile
di perdono e di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 
 5 Marzo 2025
 
Mercoledì delle Ceneri
 
Gl 2,2-18; Salmo responsoriale Dal Salmo 50 (51); 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
 
 
La parola di Dio ci dà il giusto orientamento per vivere bene la Quaresima. Quando facciamo qualcosa di bene, a volte siamo tentati di essere apprezzati e di avere una ricompensa: la gloria umana. Ma si tratta di una ricompensa falsa perché ci proietta verso quello che gli altri pensano di noi. Gesù ci chiede di fare il bene perché è bene. Ci chiede di sentirci sempre sotto lo sguardo del Padre celeste e di vivere in rapporto a Lui, non in rapporto al giudizio degli altri. Vivere alla presenza del Padre è una gioia molto più profonda di una gloria mondana. Il nostro atteggiamento in questa Quaresima sia dunque di vivere nel segreto dove il Padre ci vede, ci ama, ci aspetta. Certo, anche le cose esteriori sono importanti, ma dobbiamo sempre scegliere e vivere alla presenza di Dio. Facciamo nella preghiera, nella mortificazione, e nella carità fraterna quello che possiamo, umilmente, davanti a Dio. Così saremo degni della ricompensa di Dio Padre.
 
Colletta
O Dio, nostro Padre,
concedi al popolo cristiano
di iniziare con questo digiuno
un cammino di vera conversione,
per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza
il combattimento contro lo spirito del male.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Audiomessaggio “Keeplent”, 10 febbraio 2016): Oggi con l’imposizione delle ceneri, inizia la Quaresima, tempo di penitenza, revisione e introspezione di sé. Ed è il tempo propizio per maturare, nella preghiera, propositi e decisioni che ci permetteranno di pronunciare il nostro si alla volontà di Dio e alla sua Legge, preparandoci in questo modo fruttuosamente alla Pasqua. Ecco perché è importante per noi cristiani accostarci alla Liturgia della Ceneri, poiché ci invita a riflettere sulla nostra condotta di vita e ci spinge a intraprendere un cammino più adatto all’essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio. Le ceneri poste sul nostro capo ci ricordano la potenza creatrice di Dio: noi eravamo polvere che l’Onnipotente ha plasmato e a cui ha dato vita, attraverso il suo soffio generatore (Gen 2,6). Ma ci ricorda anche la nostra contingenza: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai» (Genesi 3,19). La Quaresima ci ricorda il nostro peccato, e la vita nuova che ci è stata donata in Cristo. Ci ricorda la misericordia di Dio, e, allo stesso tempo, il nostro impegno per conquistare, con l’aiuto della grazia divina, la vita eterna.
 
I Lettura: La prima lettura è un invito alla penitenza. Un invito fatto tramite una serie di imperativi: ritornate … proclamate ... convocate. Un invito che vuole andare in profondità: bisogna ritornare al Signore non con un semplice atto di culto, ma lacerando il cuore per spurgarlo dal peccato, pus velenoso che appesta la vita dell’uomo: in altre parole mettere in moto un serio cammino di conversione rinunciando decisamente al peccato.
 
II Lettura: È Dio stesso che esorta attraverso la predicazione degli Apostoli. Fedeli al Vangelo, gli Apostoli annunciano la riconciliazione operata da Cristo. Non bisogna far cadere nel vuoto la predicazione degli Apostoli perché è scoccata l’ora della salvezza, infatti, ora, questo momento, è il tempo favorevole per carpire la salvezza offerta dall’amore di Dio a tutti gli uomini.
 
Vangelo
Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
 
Per cogliere in profondità il tema del brano evangelico è necessario collocarlo all’interno di quella magna charta  del cristianesimo che è il Discorso della Montagna (Mt 5-7). La liturgia odierna ritaglia da questo Discorso un sostanzioso programma quaresimale attorno a tre temi: l’elemosina, la preghiera, il digiuno. La novità cristiana sta nel fatto che l’elemosina, la preghiera e il digiuno, esercizi ascetici tanto cari ai pii israeliti, sono stati purificati da quella ritualità esteriore che facilmente li fanno precipitare nelle acque paludose dell’ipocrisia. Gesù introduce come cardine di queste necessarie pratiche penitenziali il segreto e l’intimità, lasciando così il giudizio e la ricompensa al Padre che vede nel segreto.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 6,1-6.16-18
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
 
Parola del Signore.
 
Elemosina, preghiera e digiuno - Era già stato sancito da Gesù il principio: la legge dev’essere osservata dai discepoli con una perfezione superiore a quella degli scribi e dei farisei (5,20). Ora giunge il momento di applicare il principio ad alcune delle pratiche religiose più importanti in quei tempi: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Gesù conserva, di fronte a queste pratiche, l’atteggiamento che aveva assunto di fronte alla legge: non le critica in sé, ma nel modo e con le finalità con le quali sono compiute particolarmente dai farisei, ipocriti, i quali su queste pratiche insistevano maggiormente. Le pratiche religiose sono presentate in base al principio della retribuzione: chi le compie per gli uomini, per essere stimato e lodato per esse, ha già ricevuto la sua ricompensa; chi le compie per Dio, riceverà la ricompensa da lui.
L’elemosina era tenuta in onore fra i giudei come opera di carità. Gesù è d’accordo con questa mentalità. Al suo tempo era divenuto generale l’uso di annunziare nelle riunioni della sinagoga e persino per le strade qualsiasi elemosina importante. Il «suonare la tromba» sarebbe una metafora per indicare la pubblicità fatta alle elemosine. Invece di invanirsi per le proprie opere buone e di farne pubblicità, Gesù comanda di conservarne il segreto. Questo è il significato delle parole: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra».
La stessa norma è data per la preghiera. 1 sacrifici nel tempio erano accompagnati da preghiere pubbliche. Le sinagoghe erano considerate come un prolungamento del tempio agli effetti della preghiera; quando giungeva l’ora della preghiera, si usava pregare anche per le strade. Questo si prestava all’ostentazione, specialmente per il fatto che si potevano ammirare coloro che sapevano recitare lunghe formule a memoria. Di fronte a questa usanza Gesù comanda che i suoi discepoli si rivolgano al Padre con preghiere semplici, in segreto, senza ostentazione. Naturalmente, queste affermazioni non privilegiano assolutamente un atteggiamento di Gesù che sarebbe contrario al. culto pubblico: egli stesso vi prendeva parte nel tempio di Gerusalemme.
Lo stesso schema è seguito per il tema del digiuno, che era considerato una concretizzazione o manifestazione della penitenza-conversione. Già nell’Antico Testamento vi era stata una distinzione tra il digiuno vero e il falso (Is 58,5-6). Il vero comporta l’autentica conversione a Dio; e questo, per Gesù, è un motivo di gioia, poiché la conversione stessa è una gioia. Il digiuno dev’essere praticato come fa intendere il testo, in modo festivo e gioioso. E poiché la conversione di cui si parla è un rapporto personale fra Dio e il peccatore, dev’essere conservato segreto, con la certezza che Dio ricompenserà quello che nessuno conosce fuori di Dio e dell’interessato.
 
Penitenza, una parola che oggi suscita qualche perplessità ed in molte menti evoca fantasmi medioevali. Per evitare tale disagio la si è cancellata, quasi del tutto, anche dal linguaggio cristiano. Al dire di Paolo Evdokimov, l’ascesi del nostro tempo «consisterà più che altro nel riposo imposto, nella disciplina della quiete e del silenzio, dove l’uomo ritrova la facoltà di concentrarsi per la preghiera e la contemplazione» e il digiuno, al posto «della macerazione inflitta, sarà la rinuncia gioiosa al superfluo, la sua spartizione con i poveri, un equilibrio sorridente, spontaneo, pacato». Occorre anche questo. Ora, l’uomo non deve convertirsi soltanto dalle notti sregolate passate al bar, ma, innanzi tutto, dal peccato. Non deve astenersi soltanto dal fumo o da qualche spettacolo indecente, ma deve fare molto di più: deve convertirsi dal peccato, rinunciare al male, riprendere la strada della santità. Spostare l’asse di attenzione sarebbe un enorme errore. La sacra Scrittura, il cui Magistero è infallibile, insegna che «Dio non ha dato a nessuno il permesso di peccare» (Sir 15,20), ma, se malauguratamente dovesse succedere di cadere nelle sabbie mobili del male, Dio concede all’uomo, dopo il peccato, la possibilità di pentirsi (cfr. Sap 12,19). È il momento di cambiare mente, di fare ritorno nella casa del Padre celeste, di fare penitenza chiudendosi in un amplesso amoroso tra le braccia di Dio. E alla penitenza si deve assommare la vigilanza e la preghiera (cfr. Mt 26,41); la fede e la grazia di Dio (cfr. Ef 6,16; Rom 7,25); la fiducia in Dio, il quale, non permettendo che i credenti siano tentati oltre le loro forze, con la tentazione darà loro anche la via d’uscita e la forza per sopportarla (cfr. 1Cor 10,13; 2Pt 2,9; Rom 16,20; Ap 3,10). Deve soprattutto impugnare «la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio» (Ef 6,17). Per quanto riguarda la sua efficacia, lo suggerisce incautamente lo stesso tentatore quando oserà tentare nel deserto il Figlio di Dio. Satana sbaragliato dalla Parola di Dio fa ricorso alla stessa per tentare di limitare la disfatta. La vita cristiana è fondata sul progetto salvifico di Dio e soltanto edificandola sulla Parola di Dio avrà stabilità imperitura (cfr. Mt 7,24-5). Inaugurando l’itinerario quaresimale, «guardiamo a Cristo che digiuna e lotta contro il diavolo. Anche noi, infatti, nel prepararci alla Pasqua, siamo “condotti” dallo Spirito nel deserto della preghiera e della penitenza, per nutrirci intensamente della Parola di Dio. Anche noi, come Cristo, siamo chiamati a una lotta forte e decisa contro il demonio. Solo così, con una rinnovata adesione alla volontà di Dio, possiamo restare fedeli alla nostra vocazione cristiana: quella di essere araldi e testimoni del Vangelo» (Giovanni Paolo II, 2004). Resistere allo Spirito Santo sarebbe pura e semplice follia con irreversibili conseguenze!  
 
L’elemosina per il Regno dei Cieli - I. Roncagli: Il motivo per cui l’elemosina costituisce la chiave del regno viene esposto dallo stesso Gesù nel grande discorso escatologico (Mt 26,31-40) in cui egli ci insegna a scoprire e a servire la sua stessa persona in tutti i fratelli che invocano il nostro aiuto.
La rinuncia completa ai beni terreni, distribuendoli ai poveri, diviene quindi lo strumento ideale per il conseguimento dell’unione con Cristo. Ecco la richiesta che Gesù rivolge al giovane ricco desideroso di avere la vita eterna: «Una cosa ancora ti manca; vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Lc 18,22).
Chi ha compreso queste parole è come l’uomo che ha scoperto il tesoro nascosto in un campo e, «pieno di gioia, vende tutto il suo avere» per comprarlo (Mt 13,44).
Evidentemente siamo ben lontani dall’interpretazione corrente della parola «elemosina»; la scala dei valori è completamente capovolta, e il cosiddetto «benefattore», che con la rinuncia sia pure integrale a dei beni perituri consegue il possesso del bene eterno, è in realtà il vero «beneficato». O meglio, nella rispettiva donazione e accettazione, sono beneficati entrambi dal dono incomparabile della divina carità che lo Spirito santo diffonde nei loro cuori (cf. Rm 5,5).
 
Una lacrima di pentimento cancella ogni capo d’accusa: «Senza che l’uomo lo noti, gli sta incessantemente al fianco un annotatore invisibile dei suoi discorsi e delle sue azioni, che appunta per il giorno del giudizio. Chi potrà soddisfare le esigenze severe della giustizia, dato che chiederà conto di ogni battito degli occhi, dato che ogni sguardo non passa inosservato? E tuttavia, venite e incoraggiatevi: per quanto il conto della giustizia sia così severo, quando l’uomo fa penitenza una sola sua lacrima cancella tutto l’elenco delle sue colpe. Ma venite, vedete quest’altro e stupite: anche se dalla misericordia la grazia trabocca come un mare, a colui che non si converte nessuno potrà far giungere la grazia nel giorno del giudizio» (Efrem Siro, Esortazione alla penitenza, 11,5).
 
Il Santo del giorno - 5 Marzo 2025 -  San Foca l’Ortolano, Martire: Accanto ai grandi martiri dei primi anni del secondo secolo come Ignazio di Antiochia e Simeone di Gerusalemme, ultimo dei parenti immediati di Gesù, troviamo anche un ortolano, di nome Foca, abitante a Sinope, nel Ponto Eusino. Era apprezzato e benvoluto da tutti per la sua generosità e la sua ospitalità e di queste sue virtù diede una commovente dimostrazione agli stessi carnefici, incaricati di eseguire la sentenza capitale pronunciata contro di lui. Evidentemente i carnefici non lo conoscevano di persona, perché, entrati in casa sua per avere delle indicazioni, furono generosamente invitati a pranzo dall’ortolano. Mentre i due si rifocillavano, Foca andò nell’orto a scavarsi la fossa; quindi tornò in casa e dichiarò la propria identità ai carnefici, pregandoli di non porre indugi all’esecuzione della sentenza. Fu accontentato e pochi istanti dopo il suo corpo cadeva nella fossa appena scavata. (Avvenire)
 
Questo sacramento che abbiamo ricevuto, o Padre,
ci sostenga nel cammino quaresimale,
santifichi il nostro digiuno
e lo renda efficace per la guarigione del nostro spirito.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 4 Marzo 2025
 
Martedì VIII Settimana del Tempo Ordinario
 
Sir 35,1-15; Salmo Responsoriale Dal Salmo 49 (50); Mc 10,28-31
 
Colletta
Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Santa Marta, 26 maggio 2015): Seguire Gesù dal punto di vista umano non è un buon affare: è servire. Lo ha fatto Lui, e se il Signore ti dà la possibilità di essere il primo, tu devi comportarti come l’ultimo, cioè nel servizio. E se il Signore ti dà la possibilità di avere beni, tu devi comportarti nel servizio, cioè per gli altri. Sono tre cose, tre scalini che ci allontanano da Gesù: le ricchezze, la vanità e l’orgoglio. Per questo sono tanto pericolose, le ricchezze, perché ti portano subito alla vanità e ti credi importante. E quando ti credi importante ti monti la testa e ti perdi (…) È brutto vedere un cristiano, sia laico, consacrato, sacerdote, vescovo, è brutto quando si vede che vuole le due cose: seguire Gesù e i beni, seguire Gesù e la mondanità. E questo è una contro-testimonianza e allontana la gente da Gesù. Continuiamo adesso pensando alla domanda di Pietro. ‘Abbiamo lasciato tutto: come ci pagherai?’, e pensando alla risposta di Gesù. Il prezzo che Lui ci darà è la somiglianza a Lui. Questo sarà lo ‘stipendio’. Grande ‘stipendio’, assomigliare a Gesù!
 
I Lettura:  L’autore non si limita ad enumerare un certo numero di sacrifici e di offerte, ma a collocare gli uni e le altre all’interno di un discorso religioso ed etico complessivo: vale a dire a considerare queste oblazioni efficaci soltanto se accompagnate da un cuore retto e puro. Se non si possiede questo fondamentale requisito, è come presentarsi davanti al Signore “a mani vuote”, anche se si offrono abbondanti sacrifici. L’offerta che sale a Dio e che gli giunge gradita è, infatti, soltanto quella del “giusto”, che ha fatto prima di tutto della sua vita un atto di culto al Signore, custodendo la sua legge e mettendola in pratica. Sotto questa luce, anche l’offerta assume un significato tutto interiore, come gesto che esprime la generosità e la letizia del cuore di chi vuol ringraziare e rendere gloria al Signore.
 
Vangelo
Riceverete in questo tempo cento volte tanto insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
 
Pietro vuole essere assicurato sulla ricompensa. Lui ha lasciato tutto e adesso vuole sapere cosa gli toccherà come compenso.
Gesù rispondendo - In verità vi dico - si impegna solennemente nelle sue parole. La ricompensa, solo per coloro che lasciano tutto per il Vangelo, è già donata al presente. Quindi, il centuplo promesso non è solo per la vita futura. È già per adesso. La nuova famiglia è la Chiesa dove i discepoli del Cristo si trovano uniti da un mutuo aiuto e dalla carità. A questi beni si assommano le persecuzioni.
Non verranno mai meno i beni e non cesseranno le ostilità: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Soltanto nel futuro sarà donata la vita eterna.
È il percorso tracciato per ogni discepolo che vuole avere la vita eterna. Altre strade, o peggio ancora scorciatoie, non esistono. Ancora una volta nel messaggio evangelico si impone la radicalità.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,28-31
 
In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».
 
Parola del Signore.
 
Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Marco, seguito in ciò da Luca, ci ha conservato la risposta del Salvatore in una forma chiara e distinta. Per causa mia e per quella del Vangelo; il Maestro pone in particolare rilievo la sua persona ed il Vangelo. Luca ha invece: «per causa del regno di Dio», poiché dà all’espressione un senso più universale, che abbraccia tutti i seguaci di Cristo. Marco predilige la formula: «a causa del Vangelo», che ricorre otto volte nel suo scritto, mentre Matteo l’usa soltanto quattro volte e Luca mai. L’evangelista distingue chiaramente tra: in questo tempo e nell’èra futura. La ricompensa consiste nel promettere ai discepoli il centuplo in questa vita; evidentemente l’espressione non va presa in senso quantitativo o matematico, ma in quello qualitativo e spirituale. Il Salvatore non fa una transazione commerciale tra ciò che si dà e ciò che si deve avere. Chi entra nella società di Cristo gode di tutto quello che hanno portato con sé coloro che già vi appartengono. Nel regno di Dio, cioè nella Chiesa, che è la società dei credenti vi è una comunicazione di beni e di aiuti. Il seguace di Cristo è sicuro di trovare nella Chiesa il regno della carità per cui quello che hanno gli altri può essere considerato come proprio. Nella Chiesa primitiva questo era un fatto assai frequente e visibile perché le comunità cristiane erano ristrette ed i suoi membri, vivendo in centri pagani o ebraici, si sentivano molto più vicini e solidali. Gli Atti (2, 4; 4, 2) ricordano che molti cristiani mettevano i propri beni in comune; testimonianze antiche elogiano la carità che regnava nei seguaci della nuova religione predicata da Cristo. Le parole del Maestro accentuano l’aspetto spirituale della ricompensa; esse quindi vanno considerate e spiegate in questa prospettiva. Si osservino due fatti: Cristo non promette come ricompensa delle mogli, eppure parla di fratelli, sorelle, madri e figli, né una vita umanamente tranquilla e beata. Il seguace di Cristo non avrà il centuplo in mogli, perché il termine non si presta per una prospettiva spirituale (Luca nel passo parallelo accenna alla moglie abbandonata a causa del regno di Dio, cf. Lc., 18, 9), né vivrà pacifico e beato perché dovrà sostenere delle persecuzioni. L’allusione alle persecuzioni (insieme con persecuzioni) indica chiaramente che il discepolo subirà nell’esistenza terrena delle prove nelle quali dovrà mostrare il suo spirito evangelico.
Questa promessa quindi non prospetta una felicità terrena, né l’instaurazione di un regno beato, quasi nuovo paradiso terrestre, come pensavano i Millenaristi.
 
 
In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato - Enzo Bianchi (Evangelo secondo Marco, 177 Ed. Qiqajon): “Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o figli o campi a causa mia e a causa dell’Evangelo che non riceva il centuplo adesso in questo tempo in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi insieme alle persecuzioni e la vita eterna nel secolo futuro.”. Non è un semplice annuncio ma anche un impegno del Kyrios nei confronti dei suoi discepoli e servi. Ciò che colpisce in questa promessa è innanzi tutto il dipendere della salvezza da una adesione, un coinvolgimento con la persona di Gesù: “a causa mia”. Nessun uomo di Dio, nessun profeta dell’A.T. e del NT. ha fatto dipendere la salvezza da un legame personale, Gesù invece sì e lo dichiara con forza, avendo piena coscienza della sua qualità e della sua missione. Qui va detto chiaramente: o Gesù davvero era il Messia, il Figlio di Dio oppure era un pazzo, un presuntuoso arrogante! Nessun uomo può, se è in senno, pensare che un altro determini la propria vita in base a lui e che da questo dipenda la salvezza, la vita eterna, l’entrata nel Regno. Gesù invece pretende questo a causa sua e dell’Evangelo, intimamente associato a lui, perché egli è araldo della buona novella, ma anche contenuto di essa. Gesù dice che chi ha lasciato la casa - cioè la patria, la propria terra -, chi ha lasciato le sorelle, i fratelli, la madre e il padre - cioè la famiglia, lo spazio dei vincoli di sangue - , chi la lasciato figli abbandonando la prospettiva del matrimonio, chi ha lasciato i campi quali segno del mestiere e della professione per essere coinvolto nella sua storia e per le esigenze dell’Evangelo, costui otterrà fin da ora il centuplo di tutto questo. Per alcuni discepoli questa lista di abbandoni e rinunce non è stata una eventualità ma un fatto che è diventato la loro situazione concreta, visibile e quotidiana: costoro però non conoscono solo l’aspetto negativo di questo lasciare tutto ma anche l’aspetto positivo della fecondità dell’amore cristiano, della moltiplicazione dei legami di fraternità, dell’abbondanza di paternità e maternità che procedono in terra da Dio (cfr. Ef 3.14- 15), della gioia di essere al servizio pieno del Signore attendendo solo a lui.
 
... insieme a persecuzioni - Raymond Deville: a) La persecuzione degli amici di Dio non è che un aspetto della guerra secolare che oppone Satana e le potenze del male a Dio ed ai suoi servi, e che si risolverà con lo schiacciamento del serpente. Dall’apparizione del peccato (Gen 3) fino alla lotte finali descritte nell’ Apocalisse, il dragone «perseguita» la donna e la sua discendenza (Apoc 12; cfr. 17; 19). Questa lotta si estende a tutta la storia, ma si amplifica sempre più a mano a mano che il tempo avanza. Raggiunge il vertice al momento della passione di Gesù, che è nello stesso tempo l’ora del principe delle tenebre e l’ora di Gesù, l’ora della sua morte e l’ora della sua glorificazione (Lc 22,53; Gv 12,23; 17,1). Nella Chiesa, le persecuzioni sono il segno e la condizione della vittoria definitiva di Cristo e dei suoi. A questo titolo hanno un significato escatologico, perché sono un prodromo del giudizio (1Pt 4,17ss) e della instaurazione completa del regno. Legati alla «grande tribolazione» (Mc 13,9-13.14-20), esse preludono alla fine del mondo e condizionano la nascita di una nuova era (Apoc 7,13-17).
b) Se i perseguitati rimasti fedeli nella prova (Apoc 7,14) sono fin d’ora vincitori e «sovrabbondano di gioia», la loro sorte gloriosa non deve far dimenticare l’aspetto tragico del castigo dei persecutori. L’ira di Dio, che si rivela fin d’ora nei confronti dei peccatori (Rom 1, 18), alla fine dei tempi cadrà su coloro che si saranno induriti, specialmente sui persecutori (1Tess 2,16; 2Tess 1,5-8; Apoc 6,9ss; 11,17s; 16,5s; 19,2). La loro sorte era già annunziata nella fine tragica di Antioco Epifane (2Mac 9; Dan 7,11; 8,25; 11,45) che quella  Dan 7, il; 8,25; 11,45) che quella di Erode Agrippa ripete (Atti 12, 21 ss). Questo nesso delle persecuzioni con il castigo escatologico è sottolineato nelle parabole dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-46 par.) e del banchetto nuziale (22,1-14). L’ultimo delitto dei vignaioli ed i cattivi trattamenti subiti dagli ultimi servi costituiscono l’anello finale di una serie di oltraggi e scatenano l’ira del padrone o del re. «Poiché hanno versato sangue dei santi, sangue ha dato loro da bere; ne sono meritevoli» (Apoc. 16,6; 19,2).
 
... e la vita eterna nel tempo che verrà - Jean Radermakers: La reazione di Pietro permetterà a Gesù di approfondire ulteriormente questo punto: la vita eterna è una grazia; non c’è dunque bisogno di «fare» delle cose straordinarie ma di «ricevere» e accettare tutto ciò che viene dato. Pietro suppone che il problema sia ormai risolto per il gruppo dei discepoli: non hanno forse accettato le rinunce necessarie per seguire il Cristo? Le sue parole esprimono una presa di coscienza che costituisce un nuovo inizio (érxato léghein: 10,28; cf. 4,1; 8,31.32; 10,32,41), una comprensione più profonda della rinuncia accettata teoricamente nella risposta alla prima vocazione (1,16-20), anche se questa rinuncia non ha ancora stabilito una rottura definitiva col loro ambiente familiare e professionale, come dimostrano la visita di Simone alla suocera (1,29) e il continuo uso di una barca da parte dei discepoli (3,9; 4,1.36). Matteo insiste sulla ricompensa della loro decisione, che Gesù sviluppa nella promessa di associarli al giudizio escatologico delle dodici tribù d’Israele (Mt 19,27-28). Marco preferisce sottolineare la situazione concreta in cui li pone la chiamata di Gesù, confrontando ciò che hanno lasciato col centuplo che riceveranno, «ora, fin da questo momento» (l0,30), «con persecuzioni», che sono il test di fedeltà alla o f. 4,7). Perciò aggiunge, come aveva fatto citando il loghion sul senso della vita umana: «a causa di me e del lieto annunzio» (10,29; cf. 8,35); poiché l’impegno nei confronti del vangelo è l’unica via che permetta di ricevere la vita eterna nel mondo futuro.
In tal modo Gesù si dimostra d’accordo con Pietro, che scopre la gioia della rinuncia, nel centuplo che riceve come promessa di vita eterna. Situate in questo contesto, le persecuzioni non sono più l’ostacolo che lo faceva recalcitrare in occasione del primo «annunzio» della passione (8,32). In questo pegno gratuitamente offerto egli scorge in anticipo la potenza trasformante della risurrezione, che finora aveva omesso di considerare.
 
La verginità per il Regno - Catechismo della Chiesa Cattolica 1618: Cristo è il centro di ogni vita cristiana. Il legame con lui occupa il primo posto rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali. Fin dall’inizio della Chiesa, ci sono stati uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del matrimonio per seguire “l’Agnello dovunque vada” (Ap 14,4), per preoccuparsi delle cose del Signore e cercare di piacergli, per andare incontro allo Sposo che viene. Cristo stesso ha invitato certuni a seguirlo in questo genere di vita, di cui egli rimane il modello: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Mt 19,12).
1619: La verginità per il Regno dei cieli è uno sviluppo della grazia battesimale, un segno possente della preminenza del legame con Cristo, dell’attesa ardente del suo ritorno, un segno che ricorda pure come il matrimonio sia una realtà del mondo presente che passa.
1821: Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da Dio a coloro che lo amano [Rm 8,28-30] e fanno la sua volontà. In ogni circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di perseverare “sino alla fine” e ottenere la gioia del cielo, quale eterna ricompensa di Dio per le buone opere compiute con la grazia di Cristo. Nella speranza la Chiesa prega che «tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4). Essa anela ad essere unita a Cristo, suo Sposo, nella gloria del cielo: «Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l’ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotterai, tanto più proverai l’amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in un’estasi che mai potranno aver fine».
 
Tommaso d’Aquino (Super ev. Matth., XIX, 1619): E molti fra l primi saranno ultimi, e molti fra gli ultimi saranno primi: cioè quelli che sono venuti a Cristo, anche rinunciando a qualcosa, se vivono nell’errore non saranno primi, ma ultimi. Inoltre coloro che sono primi per superbia saranno ultimi ... La frase può anche essere riferita agli uomini e agli Angeli, poiché i primi nell’ordine degli Angeli sono diventati ultimi a seguito della loro caduta, mentre gli ultimi, cioè gli uomini, sono diventati primi e superiori a loro.
 
Il Santo del giorno - 4 Marzo 2025 - San Casimiro, Principe polacco: Nasce a Cracovia, nel 1458. Figlio del re di Polonia, appartenente alla dinastia degli Jagelloni, di origine lituana. Quando gli Ungheresi si ribellarono al loro re, Mattia Corvino, e offrirono al tredicenne principe Casimiro la corona, questi vi rinunciò appena seppe che il papa si era dichiarato contrario alla deposizione del regnante. Impegnato in una politica di espansione, re Casimiro IV (1440-1492) diede al terzogenito l’incarico di reggente di Polonia e il principe, minato dalla tubercolosi, svolse il compito senza lasciarsi irretire dalle seduzioni del potere. Non si piegò alle ragioni di Stato quando gli venne proposto dal padre il matrimonio con la figlia di Federico III, per allargare i già estesi confini del regno. Il principe Casimiro non voleva venir meno al suo ideale ascetico di purezza per vantaggi materiali cui non ambiva. Di straordinaria bellezza, ammirato e corteggiato, Casimiro aveva riservato il suo cuore alla Vergine. Si spegne a 25 anni a Grodno (in Lituania) il 4 marzo 1484. Nel 1521 papa Leone X lo dichiarò patrono della Polonia e della Lituania. (Avvenire) 
 
Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.