1 Maggio 2025
 
San Giuseppe Lavoratore - Memoria
 
At 5,27-33; Salmo Responsoriale Dal Salmo 33 (34); Gv 3,31-36
 
Colletta
O Dio, che hai chiamato l’uomo a cooperare con il lavoro
al disegno della tua creazione,
fa’ che per l’esempio e l’intercessione di san Giuseppe
siamo fedeli ai compiti che ci affidi,
e riceviamo la ricompensa che ci prometti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA - ARTICOLO 12 - «CREDO LA VITA ETERNA»: 1020 Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l’ultima volta, le parole di perdono dell’assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l’ha segnato, per l’ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:
« Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno ».
V. Il giudizio finale 1038 La risurrezione di tutti i morti, « dei giusti e degli ingiusti » (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà « l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna » (Gv 5,28-29). Allora Cristo « verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli [...]. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [...] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46).
 
I Lettura: Pietro dinanzi al sommo sacerdote ripercorre le vicende del Cristo senza tema di annunziare la sua risurrezione e di accusare il sinedrio di aver ucciso l’Autore della Vita. La Risurrezione di Gesù è l’evento capitale al quale tutto deve essere subordinato e orientato. A queste parole i sinedriti si infuriano e vogliono mettere a morte gli Apostoli, la Verità ha trovato ancora una volta cuori colmi di pregiudizi umani, praticamente impenetrabili.
 
Vangelo
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa.
 
Per volontà del Padre, ogni cosa è in mano del Figlio, cioè tutto è in suo potere (Gv 3,35; 10,28.29; 13,3; 17,2; cfr. Gv 6,37-39; Mt 11,27; 28,18). Da qui il fondamento della sua regalità (Gv 12,13-15; 18,36-37) che egli inaugurerà il giorno della sua esaltazione (Gv 12,32; 19,19; At 2,33; Ef 4,8), quando il regno del principe di questo mondo avrà fine (Gv 12,31). Il brano evangelico è «un’esaltazione della figura di Gesù: solo colui che “viene dal cielo”, può rivelare il mistero di Dio, perché a lui il Padre ha concesso lo Spirito senza misura (i profeti dell’antica alleanza e Giovanni Battista disponevano dello Spirito di Dio, ma la pienezza della rivelazione di Dio si ebbe soltanto in Cristo, cfr. 3,16; 10,17; 15,9). L’opera di Cristo è sotto ogni aspetto l’opera di Dio perché il Padre ha rimesso tutto nella mano del Figlio. La scelta di fede nei suoi confronti genera nell’uomo “la vita eterna”, cioè la stessa vita divina; la scelta del rifiuto è, invece, radice di perdizione” (Don Antonio Schena).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,31-36
Chi viene dall’alto, è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): I verss. 31-36 costituiscono una sezione a parte che non presenta dei legami logici con quanto è stato detto precedentemente (verss. 25-30). Numerosi esegeti ritengono che in questi verss. siano contenute delle riflessioni dell’evangelista, aggiunte dopo che egli ha riferito la testimonianza del Precursore. Come si è già accennato, vari studiosi pensano che la presente sezione (verss. 31-36) vada congiunta con i verss. 16-21 e che formi con essi un unico blocco letterario. In tal modo si otterrebbe il seguente ordine di fatti: a) l’incontro di Gesù con Nicodemo (3,1-15); b) il commento dell’evangelista sul mistero dell’incarnazione (3,16-21,31-36); c) la disputa dei discepoli di Giovanni con il giudeo (3,22-30); d) la partenza di Gesù per la Galilea (4,1-4).
Non si può negare che i verss. 31-36 tocchino un argomento differente da quello sviluppato nei versetti precedenti (verss. 27-30), ma è difficile imporre dei rigidi criteri di logica ad uno scrittore come Giovanni, che ha un suo genio letterario e segue un proprio metodo personale e indipendente; egli infatti ama ripetersi ritornando su quanto ha detto, così come ama compiere delle digressioni.
Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; l’espressione indica chiaramente Gesù, colui che viene dall’alto (ἄνωθεν) e dal cielo (ἐκ τοῦ οὐρανοῦ)
Chi è dalla terra appartiene alla terra...; abbiamo tradotto fedelmente il testo greco che ripete tre volte l’espressione ἐκ τῆς γῆς (resa in italiano differentemente: dalla terra; alla terra; della terra). Gli esegeti non sono concordi nell’indicare la persona o le persone a qui alludono le parole: «chi è dalla terra». Molti ritengono che l’espressione designi il Battista, che è considerato come un semplice uomo; sembra tuttavia poco verosimile che il quarto evangelista si esprima in tal modo per indicare il Precursore, di cui riconosce la posizione privilegiata di inviato di Dio e di testimonio del Messia. Altri pensano che l’autore voglia accennare ai discepoli di Giovanni, i quali hanno mostrato di essere «della terra», perché non hanno afferrato il senso della testimonianza del loro maestro. Probabilmente l’espressione va intesa come una formula indeterminata con la quale l’evangelista designa gli uomini in generale; in tal modo si distingue nettamente l’origine celeste di Gesù e l’origine terrestre di tutti gli uomini.
Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; la seconda parte della proposizione manca in alcuni manoscritti; alcuni critici la omettono e traducono: «Chi viene dal cielo attesta ciò che ha veduto ed ascoltato» (così traduce la Bible de Jérusalem). Altri critici, al contrario, accolgono la ripetizione «è al di sopra di tutti», perché è dello stile del quarto evangelista ripetersi ed amare le ridondanze espressive.
 
L’ira di Dio - Liselotte Mattern: L’Antico Testamento parla molto spesso dell’ira, poiché essa caratterizza proprio il Dio santo e ardente. L’ira non è, tuttavia, un ribollimento iracondo; è ben lontana anche da una passione o un’eccitazione. È piuttosto la reazione alla disubbidienza dell’uomo. Essa non è in contraddizione con la giustizia, ma designa il giusto giudizio di Dio. L’ira è rivolta soprattutto contro Israele. L’elezione del popolo e l’alleanza di Dio con esso non garantiscono a Israele la sicurezza della salvezza, ma lo impegnano alla fedeltà, all’alleanza e all’obbedienza. I profeti mettono continuamente in guardia dalla mormorazione contro la guida di Dio, soprattutto da una caduta nell’idolatria, dalla disubbidienza verso i comandamenti, la quale può esprimersi anche come comportamento ingiusto in campo sociale, economico e politico. Il giorno di JHWH atteso da molti israeliti come giorno di gioia si rivolterà altrimenti, come giorno dell’i., contro il proprio popolo disubbidiente. [...] Per il Nuovo Testamento l’idea dell’ira, è ovvia; essa è la definizione del futuro giudizio di Dio. Non si tratta certo del fatto che nel Nuovo Testamento al posto dell’ira, subentri un amore di Dio “a buon mercato”. Nei Vangeli, tuttavia, il concetto di ira si trova solo raramente. Secondo Giovanni Battista soltanto la conversione può ormai salvare dall’ira imminente. In bocca a Gesù la parola “ira” si trova solo nell’allusione alla distruzione di Gerusalemme in Lc21,23. Paolo invece parla molto spesso dell’ira. Anche per Paolo ira esprime il giudizio universale. Alla fine del tempo, il giorno dell’ira porta con sé il giusto giudizio su tutti i popoli. Tutta l’umanità vive nell’empietà e nell’ingiustizia e pertanto è sottoposta già oggi al giudizio che viene Soltanto la  fede giustifica e può salvare il cristiano dall’incombente giudizio dell’ira e della distruzione. Secondo Gv 3,36 il non-credente sottostà all’ira, il credente invece possiede già oggi la vita. L’Apocalisse parla con colori sfavillanti della futura ira. Nel giorno della grande ira si berrà dalla coppa del vino dell’ira; sarà il giorno dell’ira dell’agnello (Ap 14,10; 6,16).
 
Chi crede nel Figlio ha la vita eterna - Benedetto XVI (Udienza Generale, 2 novembre 2011): L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr. Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha at­traversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare senza alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità.
 
Chi crede nel Figlio ... - Alberto Magno (In ev. Jo. ex p ., III): Mediante la virtù della fede formata e dell’amore che ne deriva, e tende a Lui, ha ora nella speranza e nella causa, poi nella realtà e nell’effetto, la Vita eterna; chi invece non ha fede nel Figlio, così che non tende, per mezzo della fede a Lui, che è Vita e Luce degli uomini, non vedrà la Vita, poiché vivere significa vedere la Vita per mezzo dell’intelletto, e la condanna di Dio, cioè il peccato che è la causa della condanna di Dio, incombe su di lui, schiacciandolo come un peso.
 
Il santo del Giorno - 1 Maggio 2025 - San Giuseppe Lavoratore - Il lavoro genera Dio nelle pieghe della storia - In un tempo in cui la visibilità, lo slogan urlato, il messaggio “di pancia” sembrano essere l’unica arma per costruire la storia, la figura di san Giuseppe lavoratore ci riporta all’umile impegno di chi fa della propria professione lo strumento più efficace per costruire la pace. A mettere al centro della liturgia odierna la figura di Giuseppe lavoratore nel 1955 fu Pio XII su richiesta delle Acli, che sentivano la necessità di coniugare la festa dei lavoratori con il messaggio cristiano. Fu così che questa ricorrenza diventò l’occasione per ricordare a tutto il mondo, che l’orizzonte ultimo di ogni opera umana, fine nelle pieghe più recondite della storia, è Dio stesso. Il lavoro, spiega papa Francesco nella Lettera apostolica «Patris Corde», è «partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione». Inoltre, nota ancora il Pontefice, «il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia». (Avvenire).
 
O Signore, che ci hai nutriti con il pane del cielo,
fa’ che, sull’esempio di san Giuseppe,
conserviamo nei nostri cuori 
la memoria del tuo amore,
per godere il frutto della pace senza fine.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Aprile 2025
 
Mercoledì della II Settimana di Pasqua
 
At 5,17-26;  Salmo Responsoriale Dal Salmo 33 (34); Gv 3,16-21
 
Colletta: O Padre, che nella Pasqua del tuo Figlio
hai ristabilito l’uomo nella dignità perduta
e gli hai dato la speranza della risurrezione,
fa’ che accogliamo nell’amore
il mistero celebrato ogni anno nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Lumen gentium - Missione del Figlio 3: È venuto quindi il Figlio, mandato dal Padre, il quale ci ha scelti in lui prima della fondazione del mondo e ci ha predestinati ad essere adottati in figli, perché in lui volle accentrare tutte le cose (cfr. Ef 1,4-5 e 10). Perciò Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ci ha rivelato il mistero di lui, e con la sua obbedienza ha operato la redenzione. La Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo. Questo inizio e questa crescita sono significati dal sangue e dall’acqua, che uscirono dal costato aperto di Gesù crocifisso (cfr. Gv 19,34), e sono preannunziati dalle parole del Signore circa la sua morte in croce: « Ed io, quando sarò levato in alto da terra, tutti attirerò a me » (Gv 12,32). Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato (cfr. 1 Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si rinnova l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata ed effettuata l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cfr. 1 Cor 10,17). Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a lui siamo diretti.
 
I Lettura: La missione degli Apostoli si muove tra il successo e la persecuzione scatenata dal Sinedrio che ritiene il cristianesimo un serio pericolo per il giudaismo ufficiale. Tradotti in carcere gli apostoli vengono  liberati miracolosamente dall’Angelo del Signore. Non capacitandosi dell’accaduto il Sinedrio ordina di riprenderli, un arresto fatto senza violenza perché la soldatesca teme di essere lapidata dal popolo. Un indizio della buona fama che godevano i credenti presso il popolo.
 
Vangelo
Dio ha mandato il Figlio nel mondo, perchè il mondo sia salvato per mezzo di lui.
 
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito…, Dio dà il massimo donando il Figlio e non poteva né dare né fare di più. L’umanità poteva essere salvata in altri modi. Ma Dio ama gli uomini in modo infinito, perciò ha voluto dare e fare il massimo possibile. In questo modo, la croce è il segno dell’amore smisurato di Dio: nel mistero della croce l’albero della vita ritorna a fiorire e si manifesta pienamente l’amore dello Sposo alla sposa (cfr. Ef 5,25); attraverso il cuore trafitto di Cristo Gesù, l’uomo può attingere alle «imperscrutabili ricchezze» (Ef 3,8) dell’amore di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,16-21
 
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
 
Parola del Signore.
 
A Nicodèmo, Gesù fa una rivelazione, densissima di significato teologico: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito. Le parole di Gesù «esaltano l’immensa carità di Dio verso l’umanità; egli ha amato per primo, ha avuto l’iniziativa nell’amore, ha amato gli uomini che l’avevano offeso e si trovavano immersi nel peccato; ha amato fino al punto di donare il suo stesso Figlio unigenito: lo ha dato nel senso che lo ha abbandonato alla passione e alla morte» (Giuseppe Ferraro).
Lo ha consegnato alla passione e alla morte per la salvezza degli uomini: una salvezza che inizia già qui nel cammino terreno e che troverà pienezza di beatitudine nel Regno dei Cieli. Gesù è il dono dell’amore di Dio per l’umanità peccatrice, il dono perfetto che viene dal Cielo (Gc 1,17).
Non è registrato, ma possiamo pensare che Gesù, con questa affermazione, voglia porre a Nicodèmo la stessa domanda che più avanti porrà alla donna samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio (Gv 4,10). Il più prezioso dono di Dio all’umanità al momento è velato agli occhi degli uomini, sarà svelato soltanto quando il Figlio si sarà assiso sul trono della Croce: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono» (Gv 8,28; cfr. Gv 12,32).
Dio ha dato il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna:   l’aggettivo eterna «nella traduzione è inevitabile, ma non rende bene il senso della soggiacente espressione ebraica. Parlare di “vita eterna” significa parlare di quella vita che è la sola vera, perché possiede il carattere della “definitività”. Si tratta di quella vita indistruttibile la cui sorgente è in Dio. Chi la possiede, anche se materialmente muore, in realtà non perisce: continua a vivere la vita di Dio che è in lui» (Mario Galizzi).
E poi al maestro d’Israele (Gv 3,10), Gesù rivela la segreta intenzione del Padre: Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Se Israele attendeva un Messia giudice e vendicatore nei confronti dei pagani, qui viene rivelato il vero Cuore di Dio che nel Figlio suo Unigenito indica l’àncora della salvezza: Chi crede in lui non è condannato. Solo chi rifiuta questa àncora (cfr. Gv 3,18) viene condannato: non è Dio a prendere l’iniziativa, ma è l’uomo, con tutta la sua capacità di intendere e volere, a determinare il suo ultimo destino: solo chi accetta di credere nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio può entrare nel numero dei salvati (cfr. Ap 7,13-17).
L’uomo è arbitro della sua sorte eterna. Ha intelletto e discernimento, può scegliere o la salvezza o la perdizione. Può e deve, nessuno può sostituirsi a lui. Possiamo ricordare le parole che Dio rivolge al suo popolo: «Vedi, io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male... Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30,15ss). Nella Nuova Economia accedere alla salvezza dipende dalla fede in Gesù: tutto è grazia, la salvezza un dono da accogliere. Gesù è la via (Gv14,6), solo chi pone i propri passi su questa via raggiungerà la vita, quella vera che non tramonta mai.
 
Cristo, luce del mondo - André Feeuillet e Pierre Grelot  (Dizionario di Teologia Biblica): Compimento della promessa. - Nel NT la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26, 23).
Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18).
Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significate particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo » (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8, 12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (1,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
Cristo trasfigurato. - Finché Gesù visse quaggiù, la luce divina che egli portava in sé rimase velata sotto l’umiltà della carne.
C’è tuttavia una circostanza in cui essa divenne percepibile a testimoni privilegiati, in una visione eccezionale: la trasfigurazione. Quel volto risplendente, quelle vesti abbaglianti come la luce (Mt 17,2 par.), non appartengono più alla condizione mortale degli uomini: sono un’anticipazione dello stato di Cristo risorto, che apparirà a Paolo in una luce radiosa (Atti 9,3; 22,6; 26,13); provengono dal simbolismo proprio delle teofanie del VT.
Di fatto la luce che risplendette sulla faccia di Cristo è quella della gloria di Dio stesso (cfr. 2Cor 4,6): in qua­
lità di Figlio di Dio egli è «lo splendore della sua gloria» (Ebr 1,3). Cosi, attraverso Cristo-luce, si rivela qualcosa della essenza divina. Non soltanto Dio «dimora in una luce inaccessibile» (1Tim 6,16); non soltanto lo si può chiamare «il Padre degli astri» (Giac 1,5), ma, come spiega S. Giovanni, «egli stesso è luce, ed in lui non ci sono tenebre» (1 Gv 1,5). Per questo tutto ciò che è luce proviene da lui, dalla creazione della luce fisica nel primo giorno (cfr. Gv 1, 4) fino alla illuminazione dei nostri cuori ad opera della luce di Cristo (2 Cor 4,6). E tutto ciò che rimane estraneo a questa luce appartiene al dominio delle tenebre: tenebre della notte, tenebre dello sheol e della morte, tenebre di Satana.
 
Compostella (Messale per la Vita Cristiana): Il Dio di cui parla il nostro testo di oggi non ha niente di comune con gli antichi dèi. Dio ha effettivamente amato il mondo. E non solamente il mondo ebraico, ma tutto il mondo.
In san Giovanni, il concetto di «mondo» ingloba l’insieme delle creature. L’amore di Dio si è quindi giustamente rivolto verso coloro che non appaiono in nulla come membri della sua comunità. Tra di loro, ci sono anche quegli uomini che resistono al bene. È il mondo nella sua completa secolarizzazione, tale quale lo si può osservare oggi. Ed è certo anche il mondo del tempo di Gesù, con le sue implicazioni morali, politiche e religiose, un mondo che allontana Gesù dalla sua sfera di influenza, perché non sopporta che Dio si impicci dei suoi affari. San Giovanni dice che Dio ha amato molto tutti coloro che facevano il male. Dio non si limita quindi a rendere migliori coloro che sono già buoni. Dio non prende le distanze nei confronti del male. Non osserva dall’alto tutte le cose così poco appetitose che sono nel mondo. Dio si identifica assolutamente con il mondo cattivo!
 
Efrem (Diatessaron, 21,7): Dio ama infinitamente il mondo. Abramo aveva molti servitori; perché Dio non gli dice di sacrificare uno di loro? Perché l’amore di Abramo non si sarebbe rivelato attraverso un servitore; occorreva per questo il suo stesso figlio [cfr. Gen 22,1-18]. Parimenti c’erano molti servitori di Dio, ma egli non mostrò il suo amore verso le creature tramite nessuno di loro, bensì tramite il proprio Figlio, grazie al quale fu proclamato il suo amore per noi: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” [Gv 3,16]»
 
Il Santo del giorno - 30 Aprile 2025 - San Pio VI Papa (dal 17/1/1566 al 1/05/1572): Antonio Michele Ghislieri, religioso domenicano, creato vescovo e cardinale, svolse compiti di alta responsabilità nella Chiesa. Divenuto papa col nome di Pio V, operò per la riforma della Chiesa in ogni settore, sulle linee tracciate dal Concilio tridentino. Pubblicò i nuovi testi del Messale (1570), del Breviario (1568) e del catechismo romano. Preoccupato delle mire geopolitiche dei turchi, promosse la «Lega Santa» dei principi cristiani contro la mezzaluna, unendosi in alleanza con Genova, Venezia e Spagna. Le forze navali della Lega si scontrarono, il 7 ottobre 1571, con la flotta ottomana nelle acque al largo di Lepanto, riportando una memorabile vittoria, che si verificò grazie, soprattutto, alla crociata di Rosari che erano stati recitati per ottenere l’aiuto divino. La vittoria venne comunicata “in tempo reale”: Pio V ebbe, infatti, una visione, dove vide cori di Angeli intorno al trono della Beata Vergine che teneva in braccio il Bambino Gesù e in mano la Corona del Rosario. Dopo l’evento prodigioso - era mezzogiorno - il Papa diede ordine che tutte le campane di Roma suonassero a festa e da quel giorno viene recitato l’Angelus a quell’ora. Due giorni dopo un messaggero portò la notizia dell’avvenuto trionfo delle forze cristiane. Il 7 ottobre del 1571 venne celebrato il primo anniversario della vittoria di Lepanto con l’istituzione della «Festa di Santa Maria della Vittoria», successivamente trasformata nella «Festa del Santissimo Rosario». Morì il primo maggio del 1572. La sua salma riposa nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.
 
Concedi, o Padre,
che, nutriti con il sacramento
del Corpo e del Sangue del tuo Figlio,
cresciamo nella comunione del suo Spirito
e nell’amore dei fratelli,
fino a raggiungere nella carità operosa
la pienezza del Corpo di Cristo.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
 29 APRILE 2025
 
SANTA CATERINA DA SIENA, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA,
 
PATRONA D’ITALIA E D’EUROPA – FESTA
 
1Gv 1,5-2,2; Salmo Responsoriale Dal Sal 102 (103); Mt 11,25-30
 
Colletta
O Dio, che in santa Caterina [da Siena],
ardente del tuo Spirito di amore,
hai unito la contemplazione di Cristo crocifisso
e il servizio della Chiesa,
per sua intercessione concedi al tuo popolo
di essere partecipe del mistero di Cristo,
per esultare quando si manifesterà nella sua gloria.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me … - Catechismo della Chiesa Cattolica 459 Il Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di santità: « Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me ...» (Mt 11,29). «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). E il Padre, sul monte della trasfigurazione, comanda: «Ascoltatelo» (Mc 9,7). In realtà, egli è il modello delle beatitudini e la norma della Legge nuova: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Questo amore implica l’effettiva offerta di se stessi alla sua sequela.
520 Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: è «l’uomo perfetto » che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, con la sua preghiera, attira alla preghiera, con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni.
521 Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi c in tutta la sua Chiesa. [ ... ] Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso suoi misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi».
 
I Lettura: L’unione con Dio, che è luce, amore e verità, si riconosce dalla fede e dall’amore fraterno. Il peccato che assedia l’uomo non deve essere una forza destabilizzante: il cuore dell’uomo deve aprirsi alla certezza che Dio è fedele e giusto tanto da perdonargli i peccati e purificarlo da ogni iniquità. Giovanni parla qui di mancanze passeggere, sebbene la comunione con Dio comporti di per sé una vita santa e senza peccato.
 
Vangelo
Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.
 
Bibbia di Gerusalemme: 11,25 Poiché questo brano (vv 25:27) è senza un chiaro nesso con il contesto in cui Matteo l’ha inserito (cf. il suo posto diverso in Luca), queste cose non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei «misteri del regno» in generale (13,10, rivelati ai piccoli, i discepoli (cf. 10,42), ma tenuti nascosti ai «sapienti», i farisei e i loro dottori.
11,27 La professione di relazioni intime con Dio (vv 26-27) e l’invito a diventare discepoli (vv 28-30) evocano parecchi passi dei libri sapienziali (Pr 8,22-36: Sir 24,3-9.19-20; Sap 8,3-4: 9,9-18: ecc.). Gesù si attribuisce anche il ruolo della sapienza (cf. 11,19+), ma in una maniera eminente, non più come una personificazione, ma come una persona; il «Figlio» per eccellenza del «Padre» (cf. 4.3+), Questo passo, di tono giovanneo (cf. Gv 1,18; 3,11.35; 6,46; 10,15; ecc.), esprime nel fondo più primitive della tradizione sinottica, come in Giovanni, la coscienza chiara che Gesù aveva della sua filiazione divina. La struttura di questo passo potrebbe essere stata influenzata da Sir 51 sul tema delle relazioni privilegiate con Dio (cf. anche Es 33,12-23).
11,28 stanchi e oppresse allusione alla Legge, il cui «fardello» è talvolta appesantito da alcune osservanze aggiunte successivamente (soprattutto dai farisei). Il «giogo della Legge»  è una metafora frequente presso i rabbini (cf. già Sof 3,9 LXX; Lam 3,27; Ger 2,20; 5,5; Is 14,251; Sir 6,24-30; 51,26-27) l’utilizza già in un contesto di sapienze. con l’idea di lavoro facile e riposante.
11,29 mite e umile di cuore: epiteti classici dei «poveri» dell’AT (cf. Sof 2,3+; On 3,87). Gesù rivendica per sé il loro atteggiamento religioso e se ne avvale per farsi loro maestro di sapienza, come era annunciato del «servo» (Is 61,1-2: Lc 4,18: cf. ancora Mt 12,18-21; 21,5), Per essi infatti egli ha pronunciato le beatitudini (5,3+) e molte altre istruzioni della buona novella.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
 
Parola del Signore.
 
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra... - L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno conosce il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... nessuno conosce il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
Venite a me... Gesù nell’offrire ai suoi discepoli il suo giogo dolce fa emergere la «nuova giustizia» evangelica in netta contrapposizione con la giustizia farisaica fatta di leggi e precetti meramente umani (Mt 15,9); una giustizia ipocrita, ma strisciante da sempre in tutte le religioni. Il ristoro che Gesù dona a coloro che sono stanchi e oppressi, in ogni caso, non esime chi si mette seriamente al suo seguito di accogliere, senza tentennamenti, le condizioni che la sequela esige: rinnegare se stessi e portare la croce dietro di lui, ogni giorno, senza infingimenti o accomodamenti: «Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”» (Lc 9,23). È la croce che diventa, per il Cristo come per il suo discepolo, motivo discriminante della vera sapienza, quella sapienza che agli occhi del mondo è considerata sempre stoltezza o scandalo (1Cor 1,17-31). Un carico, la croce di Cristo, che non soverchia le forze umane, non annienta l’uomo nelle sue aspettative, non lo umilia nella sua dignità di creatura, anzi lo esalta, lo promuove, lo avvia, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito Santo» (2Cor 3,18) ad un traguardo di felicità e di beatitudine eterna. La croce va quindi piantata al centro del cuore e della vita del credente.
Invece, molti, anche cristiani, tendono a porre al centro di tutta la loro vita, spesso disordinata, le loro scelte, non sempre in sintonia con la morale; o avvinti dai loro gusti e programmi, tentano di far ruotare attorno a questo centro anche l’intero messaggio evangelico, accettandolo in parte o corrompendolo o assoggettandolo ai propri capricci; da qui la necessità capricciosa di imporre alla Bibbia, distinguo, precetti o nuove leggi, frutto della tradizione umana; paletti issati come muri di protezione per contenere la devastante e benefica azione esplosiva della Parola di Dio (Cf. Mc 7,8-9).
Gesù è mite e umile di cuore: è la via maestra per tutti i discepoli, è la via dell’annichilimento (Cf. Fil 2,5ss), dell’incarnarsi nel tempo, nella storia, nel quotidiano dei fratelli, non come maestri arroganti o petulanti, ma come servi (Cf. 1Cor 9,22).
 
Il dono delle lacrime: Un tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. Esse «esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 21: Ad uno il cui nome si tace). Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363). Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa» (Benedetto XVI Udienza Generale, 24 Novembre 2010).
 
Cirillo di Alessandria (Frammento 148):  Chi vede il Figlio, che ha in sé l’immagine del Padre, vede proprio il Padre. Infatti il Figlio rivela il Padre in quanto si mostra a lui con la sua prima rappresentazione e insieme fa vedere nella propria forma il modello archetipo. Tali concetti devono essere intesi in modo degno di Dio.
Quanto poi a dire: Ogni cosa mi è stata data, affinché non sembri di essere di altro genere e inferiore rispetto al Padre, ha aggiunto tale affermazione, per mostrare che la sua natura è nascosta e incomprensibile come quella del Padre.
Solo la natura divina della Trinità conosce se stessa. Solo il Padre conosce il Figlio, frutto della sua stessa natura. Solo colui che è stato divinamente generato conosce colui dal quale è stato generato, solo lo Spirito Santo conosce «la profondità di Dio», cioè il pensiero del Padre e del Figlio.
 
Il Santo del giorno - 29 Aprile 2025 - Santa Caterina da Siena. Portare il «fuoco» in tutta Italia, profezia e missione affidata alla Chiesa - Mettere «fuoco in tutta Italia»: non è una minaccia ma l’auspicio che la patrona del nostro Paese, Caterina da Siena, oggi consegna in modo particolare alla comunità dei credenti. Chi, se non i cristiani, testimoni del Vangelo del Risorto, infatti, sa riconoscere le «cose grandi»? «Non accontentatevi delle piccole cose. Dio le vuole grandi», ci ammonisce ancora oggi santa Caterina. Era nata nel 1347 e non aveva frequentato scuole, anche se fin da piccola aveva coltivato un’intensa vita spirituale. Rifiutò il matrimonio cui voleva destinarla la famiglia e chiese solo di poter avere una stanzetta, la sua “cella” dove viveva da terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero). Lì si ritrovavano artisti, intellettuali, religiosi (che poi si chiamarono «Caterinati») trasformando quel luogo in un “cenacolo”. Lì arrivavano persone in cerca di ascolto, consolazione e incoraggiamento. Con i suoi messaggi (che venivano dettati, anche se lei aveva imparato a leggere e a scrivere) raggiungeva tutti: i potenti, così come i semplici, il popolo, gli ultimi, come i carcerati. Fu anche ambasciatrice presso il Papa ad Avignone per conto dei fiorentini e poi fu chiamata a Roma, dove morì nel 1380. Fu canonizzata da papa Pio II nel 1461 e nel 1939, per iniziativa di Pio XII, fu proclamata patrona principale d’Italia. Paolo VI nel 1970 la annoverò tra i dottori della Chiesa e nel 1999 Giovanni Paolo II la dichiarò compatrona d’Europa, indicandone così l’esempio a tutto il Continente. (Matteo Liut)
 
O Signore,
questo cibo spirituale,
che fu nutrimento e sostegno di santa Caterina nella vita terrena,
comunichi a noi la tua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 

28 Aprile 2025
 
Lunedì II Settimana di Pasqua
 
At 4,23-31; Salmo Responsoriale dal Salmo 2; Gv 3,1-8
 
Colletta
Dio onnipotente,
a noi che, rinnovati dai sacramenti pasquali,
abbiamo abbandonato la somiglianza con il primo uomo,
concedi di essere conformati alla tua immagine di creatore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Lo Spirito santificatore della Chiesa - Lumen gentium 4: Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cfr. Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa e affinché i credenti avessero così attraverso Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr. Gv 4,14; 7,38-39); per mezzo suo il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cfr. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1Cor 3,16; 6,19) e in essi prega e rende testimonianza della loro condizione di figli di Dio per adozione (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù: «Vieni» (cfr. Ap 22,17). Così la Chiesa universale si presenta come « un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».
 
I Lettura: Pochi giorni di serenità e già la tempesta della persecuzione sembra spazzare via la nuova fede.
Speranza, fiducia, buoni sentimenti accompagnati e sostenuti dalla preghiera, sorreggono la Chiesa. E il Cielo non si fa attendere nel rispondere: Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza. Fare ricorso alla preghiera nei momenti del pericolo non è una evasione ma un ritrovare lo  “spirito di forza” che Dio ha donato a tutti i credenti: “Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza” (1Tm 1,7).
 
Vangelo
Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio.
 
Nicodomeno, uno dei capi dei Giudei, va incontro a Gesù, non è spinto dalla curiosità, ma dal desiderio di approdare alla verità. L’insegnamento di Gesù Maestro si presenta oscuro per Nicodemo e così, alla fine, è costretto confessare la sua ignoranza di fronte al Cristo. Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio: il riferimento è il battesimo, immerso nelle acque salutari del fonte battesimale l’uomo riceve lo Spirito Santo che lo riveste di luce indirizzando i suoi passi verso il Cielo.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,1-8
 
Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
 
Parola del Signore.
 
La Bibbia per la formazione cristiana: Con una finalità ecclesiale molto concreta, in questa passo l’evangelista trasforma il dialogo di Gesù con Nicodèmo in una catechesi battesimale.
Nicodèmo è un membro del sinedrio, il consiglio supremo dei giudei. È un uomo colto. Ha dedicato molti anni allo studio e alla ricerca sincera della verità.
Una notte va a consultare Gesù.
Comincia a parlare, ma non formula nessuna domanda. Lo saluta rispettosamente come «maestro», quindi afferma senza mezzi termini: «Sappiamo che sei venuto da Dio». Il discorso di Nicodèmo viene interrotto inaspettatamente da Gesù: la verità che egli porta non è una teoria, ma una vita nuova. Deve nascere un uomo nuovo, con atteggiamenti nuovi. Forse Nicodèmo non capisce, o forse si sente troppo vecchio per intraprendere l’avventura di cambiare radicalmente il proprio modo di essere.
Gesù gli spiega che ciò che sembra impossibile all’uomo non è impossibile a Dio. In questa occasione tuttavia Nicodèmo non compie il passo definitivo.
«Nascere» è un avvenimento unico, ma anche un processo.
Significa intraprendere un cammino sconosciuto e avanzare in esso.
Letta alla luce del Nuovo Testamento, l’espressione «nascere da acqua e da Spirito» allude al battesimo. Quest’ultimo ci comunica la forza di Dio, necessaria per abbandonare il mondo del peccato ed entrare nella vita nuova del Cristo. La «carne» (cioè le possibilità naturali dell’uomo) non serve per rinascere.
 Ma non basta. entrare nella vita nuova, bisogna anche progredire in essa. Abbiamo una guida: lo Spirito. Abbiamo una una stella polare, un punto di riferimento: Gesu, il Messia, il Figlio dell’uomo innalzato sulla croce.
Nessuno può morire al peccato e progredire nella vita nuova senza abbracciare la croce.
 
Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del vangelo di Giovanni): La rinascita - La tematica della rinascita forma l’argomento principale del dialogo vero e proprio tra Gesù e Nicodemo (Gv 3,3-9). Or bene, per quanto concerne questo soggetto, si può trovare un forte parallelismo nella teologia giudaica che legava la rinascita dell’uomo all’accettazione della thòrah.
« L’idea della “generazione” o della “rinascita” è corrente presso i rabbini, come indicazione della conversione al giudaismo. In Cant. r. I a I, 3 si legge: Se uno porta una creatura (un uomo) sotto la protezione della Shekinà (cioè, secondo Cant. r. I a I, I, lo converte al giudaismo) Dio fa conto che lo abbia creato, educato e formato. Inoltre in b.leb. 22 a ecc. si dice che un proselito convertito somiglia ad un fanciullo appena nato ».
Per i rabbini infatti il pagano che abbracciava la legislazione mosaica era come un bambino appena nato. Il seguente passo del trattato Yebamot della Mishnah è molto chiaro in proposito: “R., Yosé: chi è appena divenuto
proselito, è come un bambino appena nato”. “Guadagnare alla fede un proselito è pertanto un’opera tanto grande da poter essere paragonata soltanto all’azione creatrice di Dio”.
Non è improbabile che il quarto evangelista nel dialogo con Nicodemo alluda implicitamente a questa tematica giudaica, allorché lega la rinascita alla fede in Gesù, figlio di Dio e non all’osservanza della legge mosaica.
Non appare quindi inverosimile che Giovanni qui polemizzi con il giudaismo che faceva dipendere la rinascita dall’abbracciare la thòrah.
 
Terminata la preghiera, tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza - Il Sinedrio ha dalla sua parte la forza della autorità politica, i sinedriti sono investiti di imperio per governare, ma nel loro cuore tracima l’arroganza, la superbia, la velleità di essere giusti dinanzi a Dio e agli uomini. I sinedriti restano sconcertati dinanzi alla testimonianza di Pietro e di Giovanni, ma non sono umili, e non possono accettare la lezione da due individui ignoranti e sprovveduti di ogni elementare nozione scritturistica. Pietro e Giovanni sanno cogliere realmente le minacce velate del Sinedrio, ma non sono terrorizzati: sanno di essere nella verità perché hanno veduto il Risorto, hanno mangiato con Lui, e hanno goduto della luce della sua parola. Non possono avere paura. La Chiesa per vincere la minaccia degli uomini non ha altra difesa se non quella di testimoniare con la preghiera la sua fiducia nell’assistenza divina: gli Apostoli sanno che saranno trascinati dinanzi ai  tribunali degli uomini, lo sanno perché lo ha detto loro il Maestro, ma sanno anche che in quei momenti perigliosi saranno assistiti fortemente dallo Spirito Santo. La preghiera della Chiesa è come fare memoria di queste “parole” di Gesù, non per trovare coraggio dinanzi al pericolo, ma “gridare con forza” la loro fede. Attendono, hanno fiducia, e il Cielo non li delude: lo Spirito Santo li investe ancora una volta come nel giorno di Pentecoste, e come in quel giorno ancora una volta si ritrovano sulle vie del mondo per attendere con gioia alla loro missione nonostante le minacce degli uomini: proclamare il Vangelo della salvezza, far conoscere a tutti gli uomini la volontà salvifica di Dio, gettare nel cuore degli sfiduciati il seme della speranza e della gioia, la gioia del Risorto.
 
Il Battesimo è necessario alla salvezza - Catechismo degli Adulti 675: Il battesimo è necessario alla salvezza: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Chi dunque lo rifiuta colpevolmente non può salvarsi. Per quanto riguarda coloro che non hanno avuto la grazia di conoscere il vangelo, si deve ricordare che sono stati creati anch’essi con un orientamento implicito a Gesù Cristo. Se vivono secondo i giusti dettami della propria coscienza, anche a loro è donata da Dio in Cristo la possibilità di raggiungere la salvezza in una forma di battesimo, che possiamo qualificare come battesimo di desiderio, sia pure inconsapevole. A maggior ragione si deve pensare a un battesimo di desiderio per i catecumeni che si preparano ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. Se poi uno di loro dovesse morire martire per Cristo, riceverebbe un battesimo di sangue, che lo assimila al Signore crocifisso e risorto e lo introduce nella gloria. Riguardo ai bambini che muoiono prima di arrivare all’uso di ragione senza essere battezzati, la Chiesa, sicura com’è che Dio vuole la salvezza di tutti e che Cristo è morto per tutti, confida nella loro salvezza, ma non sa in che modo possano arrivare a beneficiarne. Per questo fin dai primi tempi ha avvertito il dovere di battezzare i bambini, specie in pericolo di morte.
 
Alberto Magno (In ev. Jo. exp., III): Quel che è nato dalla carne, è carne; quel che è nato dallo Spirito, è spirito: nessuno quindi può raggiungere il Regno se non diventa spirituale; ma non si diventa spirituali se non per mezzo dello Spirito Santo; perciò nessuno può entrare nel Regno di Dio, se non è rinato dallo Spirito Santo ... La nascita carnale fa nascere all’esistenza carnale ... mentre la nascita dallo Spirito, cioè per virtù dello Spirito Santo, è vita spirituale.
 
Il Santo del Giorno - 28 Aprile 2025 - Santa Gianna Beretta Molla. Curare i fragili è la strada che ci rende veri testimoni: Ciò che ci rende davvero umani fino in fondo, quindi testimoni dell’Assoluto è la capacità di prenderci cura di coloro che abbiamo accanto. È questo il potente messaggio profetico che oggi ci consegna santa Gianna Beretta Molla. Nata a Magenta il 4 ottobre 1922, Gianna, decima di 13 figli, crebbe alla luce della fede cristiana. Visse tra Milano, Bergamo e Genova. Studiò medicina a Milano e Pavia, laureandosi nel 1949, per specializzarsi poi in pediatria nel 1952. Nel 1954 conobbe l’ingegnere Pietro Molla: si sposarono il 24 settembre 1955. Gianna, pediatra con uno studio a Mesero, curava tutti, specialmente i più fragili: «Chi tocca il corpo di un paziente – diceva – tocca il corpo di Cristo». Amava lo sport, lo sci, e la musica; dipingeva, portava a teatro e ai concerti il marito, grande dirigente industriale sempre occupato. A Ponte Nuovo di Magenta, dove si stabilì, Gianna si impegnò anche nell’Azione cattolica femminile. Dal matrimonio nacquero Pierluigi nel 1956, Maria Rita (Mariolina) nel 1957, Laura nel 1959. Nel settembre 1961, alla quarta gravidanza, scoprì un fibroma all’utero: per non morire avrebbe dovuto rinunciare alla maternità. Gianna decise, però, di far nascere Gianna Emanuela. La mamma morì il 28 aprile 1962 ed è santa dal 2004. (Avvenire)
 
Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo
che ti sei degnato di rinnovare
con questi sacramenti di vita eterna,
e donagli di giungere alla risurrezione incorruttibile del corpo,
destinato alla gloria.
Per Cristo nostro Signore.