18 Maggio 2024
 
Sabato VII Settimana di Pasqua
 
At 28,16-20.30-31; Salmo Responsoriale dal Salmo 10 (11); Gv 21,20-25
 
Colletta
Dio onnipotente,
ai tuoi figli, che hanno celebrato con gioia le feste pasquali,
concedi, per tua grazia, di testimoniare
nella vita e nelle opere la loro forza salvifica.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 6 settembre 2000): La sequela non è, [...], un viaggio agevole su una strada pianeggiante. Essa può registrare anche momenti di sconforto al punto tale che, in una circostanza “molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66), cioè con Gesù, il quale fu costretto a interpellare i Dodici con una domanda decisiva: “Forse anche voi volete andarvene?” (Gv 6,67). In un’altra circostanza, lo stesso Pietro viene bruscamente ripreso, quando si ribella alla prospettiva della croce, con una parola che, secondo una sfumatura del testo originale, potrebbe essere un invito a rimettersi “dietro” Gesù, dopo aver tentato di rifiutare la meta della croce: “Va dietro a me, satana! Perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mc 8,33). Il rischio del tradimento resterà in agguato per Pietro che, però, alla fine seguirà il suo Maestro e Signore nell’amore più generoso. Infatti lungo le sponde del lago di Tiberiade Pietro farà la sua professione d’amore: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”. E Gesù gli annunzierà “con quale morte egli avrebbe glorificato Dio”, aggiungendo per due volte: “Seguimi!” (Gv 21,17.19.22). La sequela si esprime in modo speciale nel discepolo amato, che entra nell’intimità con Cristo, ne riceve in dono la Madre e lo riconosce risorto.
 
I Lettura: Paolo a Roma tenta la sua difesa, parla con schiettezza ai Giudei, conferma nella fede i cristiani romani, dopo due anni di prigionia, libero riprende la marcia, forse arriva in Spagna (cf. Rm 15,24). Presto ritornerà a Roma trascinato ancora una volta dinanzi a un tribunale, la sua vita è al termine, decollato darà la massima testimonianza al mondo pagano di Cristo.
 
Vangelo
Questo è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e la sua testimonianza è vera.
 
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera: Queste ultime parole sono state aggiunte come una specie di autenticazione del vangelo dalla comunità di Giovanni, per affermare che il discepolo che Gesù amava è proprio il responsabile del vangelo. Giovanni ha terminato la sua opera ma il vangelo rimane sempre aperto, vi sono ancora molte cose non scritte e da scoprire con l’aiuto dello Spirito Santo. Giovanni non ha scritto tutto quasi per sottolineare la perenne novità della Parola.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 21,20-25
 
In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.
 
Parola del Signore.

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 20 Pietro si voltò e vide che [li] seguiva il discepolo che Gesù amava; il participio ἀκολουθοῦντα occupa l’ultimo posto della proposizione ed è senza complemento: per questo motivo lo abbiamo riferito ai due personaggi di cui si parla (Gesù e Pietro). L’apostolo Pietro si mette a seguire il Maestro e poi si avvede che anche il discepolo prediletto si trova al loro seguito. Siccome il testo inizia a parlare del «discepolo che Gesù amava», si danno di lui più ampi particolari per identificarlo con chiarezza (quello stesso che nella cena si era chinato verso il suo petto e...; cf. Giov., 13, 25).
21 Signore, e di lui che sarà?; Pietro mostra un particolare interesse per il discepolo prediletto; siccome il Maestro ha detto soltanto a lui di seguirlo, egli desidera sapere che cosa avverrà della persona che Gesù amava. L’apostolo quindi con estremo candore e con premuroso interessamento domanda a Cristo quale sorte attenderà il discepolo prediletto; egli desidera sentire da Gesù se anche il discepolo amato avrà una sorte eguale a quella predetta a lui poco dianzi.
22 Se voglio che egli rimanga fino a quando io venga, che ne viene a te?; il Maestro non accondiscende al desiderio dell’apostolo, poiché la conoscenza della sorte concernente il discepolo prediletto non lo riguarda, cioè non ha un particolare interesse per lui; a Pietro infatti basta sapere quale sarà la fine che lo attende, a lui Gesù ha detto chiaramente di seguirlo (Tu seguimi) e su queste parole egli deve riflettere. «Fino a quando io venga»; la venuta di Cristo si riferisce alla sua parusia, cioè al suo ritorno glorioso; tuttavia il Salvatore non intende affermare che il discepolo amato rimarrà in vita fino a quel momento, ma che se egli volesse anche questo per il discepolo prediletto, ciò non avrebbe un interesse particolare per Pietro.
23 Si diffuse... tra i fratelli questa voce che quel discepolo non morirà; «i fratelli» designano i cristiani. Tra i credenti le parole che Cristo aveva dette a Pietro intorno al discepolo prediletto furono intese nel senso che questo discepolo non sarebbe morto, cioè egli sarebbe sopravvissuto fino al ritorno glorioso di Cristo nella parusia. L’autore precisa che questa credenza è fondata su una falsa conclusione tratta dalle parole di Gesù (Gesù tuttavia non aveva detto a Pietro: Egli non morrà, ma...). L’ultima parte del versetto («che te ne riguarda?») è omessa da alcuni codici; per la traduzione essa è richiesta per dare un senso compiuto alla frase. L’accento della spiegazione è posto sul fatto che Gesù si è espresso in forma condizionale (se mi piacesse farlo vivere finché io non ritorni...), non già che egli abbia manifestato una sua volontà positiva. Alcuni autori ritengono che sia stato il discepolo prediletto stesso a rettificare la falsa interpretazione data dai credenti alle parole che il Maestro gli aveva rivolto in quella circostanza; infatti il discepolo amato, una volta divenuto vecchio, non1 voleva che si pensasse che la sua longevità accreditasse tale credenza, né che si pensasse ad una parusia ormai prossima nel tempo. Di conseguenza, secondo questi interpreti, il presente testo sarebbe stato scritto quando il discepolo prediletto era ancora in vita. Altri studiosi invece opinano che il redattore di questo capitolo abbia inteso chiarire con il presente versetto che alcuni credenti erano caduti in un errore d’interpretazione delle parole rivolte da Cristo al discepolo prediletto, poiché avevano creduto che questo discepolo non dovesse morire prima della parusia, ed invece era morto. Evidentemente per questi esegeti la presente chiarificazione sarebbe stata data dopo la morte del discepolo amato.
24 Questo è il discepolo che dà testimonianza su questi fatti e li ha scritti; i verss. 24-25 formano un nuovo epilogo del vangelo, epilogo aggiunto da un gruppo di discepoli del «discepolo prediletto»; i due versetti quindi non appartengono all’autore del vangelo. Questo gruppo di discepoli si richiamano alla testimonianza del discepolo prediletto, la quale garantisce la verità dei fatti narrati, fatti che egli stesso ha trasmessi per scritto (e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera). L’epilogo rivela una preoccupazione, quella cioè di assicurare i lettori (i credenti della Chiesa primitiva) che le cose narrate sono degne di fede. Probabilmente questo versetto doveva servire di commendatizia del vangelo, quando questo incominciò ad essere divulgato tra le comunità della Chiesa primitiva.
25 Vi sono ancora molte altre opere compiute da Gesù; si richiama un’idea già espressa nella prima conclusione del vangelo (cf. 20, 30-31); in tal modo si riafferma la notevole abbondanza delle opere di bontà compiute dal Salvatore. Se queste fossero scritte una per una...; la formula è manifestamente iperbolica e riflette il gusto letterario degli scrittori del tempo; essa è usata per esaltare i personaggi dei quali si ricordano le gesta compiute; cf. 1 Maccabei, 9, 22; si veda anche Filone, Legatio ad Gaium, III, § 238.
 
Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Come Gv 20 termina con una nota dell’evangelista sullo scopo della raccolta di alcuni segni operati da Gesù (Gv 20,30s), così alla fine di Gv 21 troviamo un secondo epilogo sulla veracità della testimonianza del discepolo amato (v. 24) e sul carattere incompleto del quarto vangelo (v. 25). In Gv 21,24 il discepolo amato è presentato come il testimone oculare e l’autore di ciò che è stato raccolto nel vangelo giovanneo. Chi ha aggiunto questo passo, garantisce la veracità della testimonianza di tale discepolo: questi perciò è presentato come testimone oculare delle parole e delle opere del Cristo Signore. L’espressione «e sappiamo» può essere considerata probabilmente come un plurale maiestatico riferito all’autore di Gv 21,24,24 oppure può indicare la comunità giovannea, come si costata in 1Gv 3,2.14; 5,15.18ss.25 Tuttavia il redattore finale, riallacciandosi all’epilogo di Gv 20,30, confessa che il quarto vangelo è un’opera incompleta: Gesù ha fatto molte altre cose che non sono scritte in questo libro: tali gesta fossero raccolte in volumi, questi non potrebbero essere contenuti neppure da tutte le biblioteche del mondo (Gv 21,2 ). L’iperbole è palese; con tale esagerata affermazione l’autore vuoi mettere in risalto che solo una piccola parte delle opere compiute da Gesù e dei suoi discorsi, è stata fissata per i critto. In modo altrettanto iperbolico si era espresso il rabbino Johann ben Zakkai (I sec. a.C.) in merito alla conoscenza della Sapienza divina.
 
La catechesi nell’età apostolica: Catechesi tradendae 11: Gli apostoli non tardarono a condividere con altri il ministero dell’apostolato. Essi trasmettono ai loro successori il compito di insegnare; compito che affidano, altresì, ai diaconi fin dalla loro istituzione: Stefano, «pieno di grazia e di potenza», non cessa di insegnare, mosso com’è dalla sapienza dello Spirito. Gli apostoli si associano, nel loro compito di insegnare, «molti altri discepoli»; ed anche dei semplici cristiani, dispersi dalla persecuzione, «andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio». San Paolo è per eccellenza l’araldo di questo annuncio, da Antiochia fino a Roma, dove l’ultima immagine che abbiamo di lui negli Atti è quella di un uomo che insegnava «le cose riguardanti il signore Gesù Cristo, con tutta franchezza». Le numerose sue lettere prolungano ed approfondiscono il suo insegnamento. Anche le lettere di Pietro, di Giovanni, di Giacomo e di Giuda sono altrettante testimonianze circa la catechesi dell’età apostolica. I vangeli, i quali, prima di essere scritti, sono stati l’espressione di un insegnamento orale trasmesso alle comunità cristiane, recano più o meno evidente una struttura catechetica. Il racconto di san Matteo non è stato forse chiamato il vangelo del catechista, e quello di san Marco il vangelo del catecumeno?
 
La verità in tutta la Scrittura - Come la folgore guizza da oriente e riluce fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo [Mt 24,27]. Dobbiamo sapere anche questo: non è vero che in un passo delle Scritture appare la folgore della verità, mentre per un altro passo ciò non si può asserire; al contrario, lo si può asserire per ogni passo delle Scritture, sia della legge, sia dei profeti, sia degli evangelisti, sia degli apostoli. Guizza dunque da oriente questa folgore della verità, cioè dal sorgere di Cristo, e appare fino alleconomia della sua passione, che è il suo tramonto. A tale folgore dunque è simile la venuta del Figlio delluomo, cioè del Verbo di verità... E la Chiesa soltanto non sottrae a questa «folgore» né una parola né un pensiero, ma non vi aggiunge anche nullaltro” (Origene, Commento al Vangelo di san Matteo, 47).
 
Santo del giorno - 18 Maggio 2024 - Beata Blandina Merten, Orsolina: Maria Maddalena Merten nacque nel 1883 a Düppenweiler, nella regione tedesca della Saar. Divenuta maestra elementare, a 25 anni entrò tra le Orsoline di Calvarienberg-Ahrweiler, prendendo il nome di Blandina del Sacro Cuore. Emise i voti perpetui nel 1913 e, su consiglio del gesuita padre Merk, si offrì anche come vittima espiatoria. Continuò a dedicarsi all’apostolato scolastico e all’educazione cristiana dei fanciulli. Ma la sua vita religiosa fu breve. Trasferita a Saarbrücken, nel 1916 si manifestò, infatti, una tubercolosi incurabile, malattia che la condusse a morte nel 1918 a Treviri, dove era stata portata per il clima più mite. Gli ultimi due anni la suora li passò in infermeria, vivendo la croce della sofferenza. «Io e Gesù siamo così vicini», ripeteva. Mentre lei in punta di piedi se ne andava, a soli 35 anni, sulla cittadina tedesca infuriavano i combattimenti della prima guerra mondiale. Blandina Merten è stata beatificata da Giovanni Paolo II nel 1987. (Avvenire)
 
O Signore, che hai guidato il tuo popolo
dall’antica alla nuova alleanza,
concedi che, liberati dalla corruzione del peccato,
ci rinnoviamo pienamente nel tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 17 Maggio 2024
 
Venerdì VII Settimana di Pasqua
 
At 25,13-21; Salmo Responsoriale dal Salmo 102 (103); Gv 21,15-19
 
Colletta
O Dio, che con la glorificazione del tuo Figlio 
e con l’effusione dello Spirito Santo
ci hai aperto il passaggio alla vita eterna,
fa’ che, partecipi di così grandi doni, 
progrediamo nella fede e nel tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gesù ha affidato a Pietro una missione unica: Catechismo della Chiesa Cattolica 552-553: Nel collegio dei Dodici Simon Pietro occupa il primo posto. Gesù a lui ha affidato una missione unica. Grazie ad una rivelazione concessagli dal Padre, Pietro aveva confessato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Nostro Signore allora gli aveva detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). Cristo, “Pietra viva” (1Pt 2,4), assicura alla sua Chiesa fondata su Pietro la vittoria sulle potenze di morte. Pietro, a causa della fede da lui confessata, resterà la roccia incrollabile della Chiesa. Avrà la missione di custodire la fede nella sua integrità e di confermare i suoi fratelli. Gesù ha conferito a Pietro un potere specifico: “A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19). Il “potere delle chiavi” designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa. Gesù, “il Buon Pastore” (Gv 10,11) ha confermato questo incarico dopo la risurrezione: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15-17). Il potere di “legare e sciogliere” indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina, e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesù ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno.
 
I Lettura: Nelle parole di Festo si coglie il destino che attende Paolo: andrà a Roma perché si è appellato al giudizio dell’Imperatore, e tale occasione permetterà all’Apostolo di annunciare ai Romani il Vangelo della gioia e della speranza.  Nella città eterna, che presto sarà bagnata dal sangue di innumerevoli martiri, Paolo suggellerà la sua testimonianza con il martirio.
 
Vangelo
Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore.
 
Gesù offre a Pietro, con una triplice professione d’amore, l’opportunità di controbilanciare il triplice rinnegamento (cfr. Mt 26,69-75; Mc 14,66-72; Lc 22,54-62; Gv 18,25-27). E solo alla fine di questa triplice professione di amore, Pietro, da Gesù, viene rinvestito nel suo mandato, quello di reggere e di pascere in suo nome il gregge (cfr. Mt 16,18; Lc 22,31s). È da notare che il racconto della riabilitazione di Pietro abbonda di sinonimi, due diversi verbi per amare; due verbi per pascere; due nomi per pecore e agnelli; due verbi per sapere; come a voler esaltare l’episodio dell’investitura. Ormai purificato e rinnovato nel cuore e nella mente, Pietro può conoscere «con quale morte egli avrebbe glorificato Dio»: «...quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Una profezia che si compirà a Roma, luogo della sua morte violenta: morirà crocifisso come il suo Signore.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 21,15-19
 
In quel tempo, quando [si fu manifestato ai discepoli ed essi] ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro:
«Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore».
Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse "Mi vuoi bene?", e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi».
Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
 
Parola del Signore.
 
Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Dopo aver mangiato Gesù chiede a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?». Il pasto preso insieme li ha affiatati; ha rinsaldato la loro amicizia. Gesù, il Signore risorto, si è reso a loro presente come servo e amico insieme. Ma Pietro è ora disposto ad accogliere un Signore così? Uno che ama donandosi, servendo? È disposto a corrispondere a questo amore, imitando Gesù? La domanda di Gesù va in questo senso.
Gli chiede infatti: «Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?». Lo chiama «Simone di Giovanni» come la prima volta (1,42), quando gli aveva promesso, cambiandogli il nome, di affidargli una missione. Ora, terminata la sua opera, Gesù compie la sua promessa, ma prima vuole vagliare se il discepolo è sulla stessa lunghezza d’onda. La risposta di Pietro è sfumata, umile.
Pietro non usa il verbo «amare». Dopo quanto gli è capita può affermare con sicurezza un amore incondizionato che esige un totale dono di sé? E neppure osa dire che lo ama più degli altri. Egli ha rinnegato il Maestro, gli altri no! Si limita ad usare il verbo dell’amicizia, ma anche questo con umiltà, affidandosi finalmente al giudizio del suo Signore: «Tu sai che ti voglio bene». E Gesù sapeva che ora Pietro era sintonia con lui e pronuncia quella formula che è conferimento di missione: «Pascola i miei agnelli».
Siamo in un linguaggio pastorale. Dire «pascola» significa affidargli il gregge perché vada avanti e il gregge lo segua come si segue il pastore di cui le pecore conoscono la voce (10,4); significa preoccuparsi perché non manchi al gregge il necessario, incominciando dagli «agnelli», cioè dai piccoli, dai più deboli; significa difenderli dai pericoli disposto a dare la propria vita perché abbiano la vita (10,10.11).
A questo compito è innanzitutto chiamato Pietro, e ad altro ...
Di nuovo per la seconda volta gli chiede: «Simone di Giovanni, mi ami?». Il confronto con gli altri è scomparso. Ora Gesù, gli chiede solo una totale adesione a sé, un amore davvero incondizionato, un rendersi simile a lui. Quello che Gesù gli chiede - e Pietro deve già saperlo - non è un amare che accentra, ma un’ubbidienza alla sua parola: «Chi mi ama è colui che fa suoi i miei comandamenti e li osserva ... E questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri» (14,21; 15,12). Pietro si è collocato sul piano dell’amicizia e perciò vale anche questa parola di Gesù: «Nessuno ha più amore di questo: dare la vita per i propri amici» (15,13).
Ora Gesù chiede a Pietro quello che Pietro voleva fare, ma non gli riuscì: dare la vita (13,37), darla come lui l’ha data, per gli altri, per quelli che gli saranno affidati. Gesù non ci chiede di dare la vita per lui, ma con lui e come lui, per salvare altri. A Pietro, in pratica, chiede se è disposto a fare il pastore e non il mercenario (vedi 10,11-12). E Pietro, non fidandosi delle sue forze, ma affidandosi alla conoscenza che Gesù ha di lui, risponde: «Signore, sì; tu sai che ti voglio bene». E Gesù a lui: «Pasci le mie pecore». Il verbo è cambiato. Gesù non solo gli affida il gregge, perché lo conduca al pascolo, ma gli affida il governo sul gregge; li dà pieni poteri sul nuovo popolo di Dio. Tale è nella Bibbia il senso pieno di «pascere» (Sal 78,71; Mic 5,3). E gli affida non solo gli agnelli, ma anche le pecore, cioè la totalità del gregge di Dio. Sarà lui che visibilmente, nel suo ministero, dovrà unire in Cristo tutti i figli di Dio dispersi (11,52), fare di tutti un solo gregge, un solo popolo (10,16). È l’autorità di Gesù sul suo popolo che il ministero di Pietro dovrà rendere visibile nella storia.
 
Paul Lamarche Il primato di Pietro è fondato sulla sua missione, espressa in parecchi testi evangelici.
a) Mt 16, 13-23. - Nuovo Abramo, cava da cui vengono estratte pietre viventi (cfr. Is 51, 1 ss e Mt 3, 9), fondamento sul quale Cristo edifica la propria comunità escatologica, Pietro riceve una missione di cui deve beneficiare tutto il popolo. Contro le forze del male, che sono potenze di morte, la Chiesa edificata su Pietro ha l’assicurazione della vittoria. Così la missione suprema di radunare gli uomini in una comunità, in cui ricevono la vita beata ed eterna, è affidata a Pietro, che ha riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivente. Come in un corpo una funzione vitale non può fermarsi, così nella Chiesa, organismo vivente e vivificatore, bisogna che Pietro, in un modo o nell’altro, sia sempre presente per comunicare senza sosta ai fedeli la vita di Cristo.
b) Lc 22, 31s e Atti. - Alludendo senza dubbio al suo nome, Gesù annuncia a Pietro che dovrà «confermare» i suoi fratelli, dopo essersi ravveduto del suo rinnegamento; la sua fede, grazie alla preghiera di Cristo, non verrà meno. Questa è appunto la missione di Pietro, descritta da Luca negli Atti: egli sta alla testa del gruppo riunito nel cenacolo (Atti 1, 13); presiede all’elezione di Mattia (1, 15); giudica Anania e Safira (5, 1-11); in nome degli altri apostoli, che sono con lui, proclama alle folle la glorificazione messianica di Cristo risorto ed annunzia il dono dello Spirito (2, 14-36); invita al battesimo tutti gli uomini (2, 37-41), compresi i «pagani» (10, 1- 11, 18) ed ispeziona tutte le chiese (9, 32). Come segni del suo potere sulla vita, in nome di Gesù guarisce gli ammalati (3, 1-10) e risuscita un morto (9, 36-42). D’altra parte, il fatto che Pietro sia tenuto a giustificare la sua condotta in occasione del battesimo di Cornelio (11, l-18), lo svolgimento del concilio di Gerusalemme (15, 1-35), nonché le allusioni di Paolo nella lettera ai Galati (Gal 1, 28 - 2, 14), rivelano che nella direzione, in gran parte collegiale, della Chiesa di Gerusalemme, Giacomo aveva una posizione importante ed il suo accordo era fondamentale. Ma questi fatti e la loro relazione, lungi dal creare ostacolo al primato ed alla missione di Pietro, ne illuminano il senso profondo. Di fatto l’autorità di Giacomo non ha le stesse radici, né la stessa espressione di quella di Pietro: è a titolo particolare che questi ha ricevuto, con tutto quello che ciò comporta, la missione di trasmettere una regola di fede integra (cfr. Gal 1, 18), ed è il depositario delle promesse di vita (Mt 16, 18 s).
c) Gv 21. - In forma solenne, e forse giuridica, Cristo risorto per tre volte affida a Pietro la cura di tutto il gregge, agnelli e pecore. Questa missione deve essere intesa alla luce della parabola del buon pastore (Gv 10, 1-28). Il buon pastore salva le sue pecore, raccolte in un sol gregge (10, 16; 11, 52), e queste hanno la vita in abbondanza; egli dà anche la propria vita per le sue pecore (10, 11); perciò Cristo, annunziando a Pietro il suo futuro martirio, aggiunge: «Seguimi». Egli deve camminare sulle orme del suo maestro, non soltanto dando la vita, ma comunicando la vita eterna alle sue pecore, affinché non periscano mai (10, 28). «Seguendo» Cristo, roccia, pietra vivente (1 Piet 2, 4), pastore che ha il potere di ammettere nella Chiesa, cioè di salvare dalla morte i fedeli e di comunicare loro la vita divina, Pietro, inaugurando una funzione essenziale alla Chiesa, è veramente il «vicario» di Cristo. Questa è la sua missione e la sua grandezza.
 
Sant’Agostino: Ma, prima, il Signore domanda a Pietro ciò che già sapeva. Domanda, non una sola volta, ma una seconda e una terza se Pietro lo ama, e da Pietro altrettante volte si sente rispondere che lo ama; e altrettante volte niente altro gli affida che il compito di pascere le sue pecore. Alla sua triplice negazione fa riscontro la triplice confessione damore, in modo che la sua parola non obbedisca allamore meno di quanto ha obbedito al timore, e in modo che la testimonianza della sua voce non sia meno esplicita di fronte alla vita, di quanto lo fu dinanzi alla minaccia di morte. Sia dunque prova del suo amore pascere il gregge del Signore, come rinnegare il pastore costituì la prova del suo timore (Sant’Agostino).
 
Santo del giorno - 17 Maggio 2024 - Beato Giovanni (Ivan) Ziatyk, Sacerdote e martire: Sacerdote ucraino morto nel 1952, quando la sua patria era sotto il giogo sovietico. Nato nel 1899, sacerdote a 24 anni, diventa rettore del seminario cattolico. Nel 1935 entra nei Redentoristi. Nel 1946 con 58 confratelli viene incarcerato: è il primo di una serie di periodi di detenzione, durante i quali subisce interrogatori e torture. È destinato ai lavori forzati in Siberia, a Irkutsk, dove muore e dove oggi la sua tomba è oggetto di venerazione. (Avvenire)
 
O Dio, che ci purifichi e ci nutri
con i tuoi santi misteri,
concedi che i doni di questa tua mensa 
ci ottengano la vita senza fine.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 16 Maggio 2024
 
Giovedì della Settima Settimana di Pasqua
 
At 22,30; 23,6-11; Sal 15 (16); Gv 17,20-26
 
Colletta:
Il tuo Spirito, o Signore,
infonda con potenza i suoi doni,
crei in noi un cuore a te gradito
e ci renda conformi alla tua volontà.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti - Paolo VI (Omelia 30 Giugno 1968): Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri (Dz-Sch. 150); e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità (Cfr. Dz.-Sch. 76), ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature ma per l’unità della persona (Cfr. Ibid.).
Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in Sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo Comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri com’Egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo Sangue Redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risolto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al Cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all’Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all’ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto.
 
I Lettura: Paolo è chiamato a difendersi dinanzi al tribuno dalle accuse che gli sono state mosse dai Giudei.
La difesa di Paolo si fonda sulla sua appartenenza alla fazione dei farisei e questo dato è abilmente usato per dividere gli avversari. Infatti, come oggetto della sua condanna, egli sostiene la fede nella risurrezione, sostenuta dai farisei ma negata dai sadducei. L’assemblea si spacca e il dibattito degenera al punto tale che il tribuno è costretto a riportare Paolo sotto scorta nella fortezza Antonia. Al termine di questa movimentata giornata, nella pace della notte, avviene l’apparizione di Cristo risorto, che dà coraggio all’Apostolo e gli delinea la futura missione a Roma.
 
Vangelo
Siano perfetti nell’unità.
 
Gesù prega per la Chiesa, il nuovo Israele, la comunità dei credenti riuniti dalla testimonianza degli Apostoli. Per la Chiesa Gesù chiede il dono dell’unità, cioè quella stessa comunione che lo unisce al Padre. Uniti a lui, i credenti saranno intimamente uniti al Padre, e uniti anche tra loro nell’amore. Ed è grazie a questo legame d’amore che la Chiesa sarà destinata a contemplare la gloria di Cristo e a parteciparvi. Questa è la mèta ultima dei credenti condividere, oltre la morte, la vita eterna del Padre e del Figlio. Dopo la liberazione dalla cattività egiziana e la rivelazione del Sinai, la gloria di Dio dimorava sopra il tabernacolo in mezzo a Israele (Es 40,34), ora questa gloria abita nella comunità dei credenti: Gesù è la gloria di Dio manifestata agli uomini in mezzo ai quali ha piantato la sua tenda (Gv 1,14).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 17,20-26
 
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa.
Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
 
Parola del Signore.
 
E la gloria che tu hai dato a me… - Adolf Smitmans Stuttgart: Nel Nuovo Testamento il concetto di gloria mantiene un’importanza centrale; la gloria  di Dio si rivela in  Gesù Cristo. Anche dove apparentemente manca un contesto cristologico (per es. nei racconti dell’infanzia), il discorso della gloria di Dio è uno strumento letterario usato per illustrare il significato della storia di Gesù. La gloria di Dio in Gesù Cristo viene sperimentata originariamente nelle  apparizioni del Risorto. A partire di qui per gli evangelisti si rende comprensibile il suo svelamento, con carattere di segno, già nella vita terrena di Gesù, quale gloria del messia e Figlio dell’uomo ... Per la riflessione credente, l’intera esistenza di Gesù Cristo, a partire dall’incarnazione di Dio, è infine rivelazione della gloria di Dio. Come Dio con la sua gloria aveva preso tipologicamente dimora nella tenda santa dell’antica alleanza, così in Cristo la sua gloria ha piantato definitivamente la sua tenda fra gli uomini.
“E il Verbo si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi; / e noi vedemmo la sua gloria, / gloria come di unigenito dal Padre” (Gv 1,14). Una teologia della gloria viene sviluppata, in maniera tutta propria, sia dal Vangelo di Giovanni che da Paolo. Secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù Cristo nella sua missione rivela la gloria del Padre nel mondo. Contemporaneamente, però, rifulge la sua propria gloria che aveva in precedenza presso il Padre e che aveva ricevuto da lui. Orbene, le due gloria sono una sola: la gloria di Dio intravista da Isaia è già la gloria di Gesù (Gv 12,43). Nella incarnazione del Verbo essa si rivela entrando nel mondo; essa rifulge nei segni prodigiosi di Gesù (2,11); nella morte in croce, che è al tempo stesso, l’esaltazione di Gesù verso il Padre, essa giunge al suo compimento. La gloria di Gesù è dunque il tema centrale del Vangelo di Giovanni. Tuttavia l’interrogativo in relazione al modo in cui l’evangelista abbia pensato più da vicino questa rivelazione della gloria, non viene soddisfatto in maniera unitaria. Nella vita di Gesù la gloria era manifesta al punto da oscurare la sua umanità (l’evangelista correrebbe allora il pericolo di docetismo)? Contro ciò sta il fatto che l’ora della gloria di Gesù è soprattutto quella della sua morte - un’ora la cui gloria non è affatto evidente, ma riconoscibile soltanto nella fede; e così pure i segni sono pieni di gloria soltanto per colui che crede. Bisogna prendere molto sul serio il fatto che il Vangelo di Giovanni vuole presentare la gloria del Cristo a una comunità credente. Paolo parla della irradiante manifestazione della nuova alleanza. Egli annuncia ll’evangelo della gloria di Cristo che è la gloria di Dio sul volto di Gesù Cristo (2Cor 3 e 4). Questa gloria però - e questo è l’aspetto peculiare del suo annuncio - trasforma colui che la contempla con fede, cosicché il cristiano viene lui stesso trasformato in gloria per mezzo dello Spirito del Signore (2Cor 3,13).
Questo avviene già ora, ma come il cristiano attende ancora il compimento della “beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,13), così attende anche la manifestazione della gloria dei figli di Dio e, collegata a questa, quella della nuova creazione (Rm 8). Egli è predestinato a lodare la gloria della sua grazia che risplende nelle azioni salvifiche del Cristo (Ef 1,6), una lode che Giovanni, nell’Apocalisse, vedo compiuta nella liturgia celeste. L’unità della lode della comunità con quella della liturgia celeste è, nella nuova creazione, la loro risposta alla gloria manifesta di Dio e dell’agnello.
 
Padre, voglio che quelli che mi hai dato … - Bibbia di Navarra: Cristo conclude la preghiera al Padre chiedendo la visione beatifica per tutti i cristiani. Il verbo usato dal Signore - “voglio” anziché “prego” - è indice che sta chiedendo la cosa più importante, coincidente con la volontà del Padre, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (cfr l Tm 2,4); è, in definitiva, la missione della Chiesa: la salvezza delle anime.
Fino a quando siamo in terra partecipiamo alla vita di Dio mediante la conoscenza (fede) e l’amore (carità); ma solamente nel cielo otterremo la pienezza della vita soprannaturale, contemplando Dio così com’egli è (cfr lGv 3,2), faccia a faccia (cfr 1Cor 13,9-12). Per questo la Chiesa è orientata verso l’eternità, è per sua natura escatologica; ciò vuoi dire che, possedendo in questo mondo tutti i mezzi per insegnare la vera dottrina, tributare a Dio il genuino culto e trasmettere la vita della grazia, la Chiesa mantiene viva la speranza nella pienezza della vita eterna: «La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose (cfr At 3,21), e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, avrà perfettamente ricapitolato in Cristo (cfr Ef 1,10; Col 1,20; 2Pt 3,10-13)» (Lumen gentium, n. 48).
 
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto … Giuseppe Segalla (Giovanni): versetto 25 Nella conclusione  ritorna la contrapposizione  dialettica al mondo come in 17,9.14-16. Da una parte sta Gesù che riconosce il Padre e i discepoli che riconoscono Gesù Inviato del Padre, dall’altra il mondo che non ha riconosciuto il giusto; sono così contrapposte fede e incredulità.
Versetto 26 Ed ho loro fatto conoscere ... e continuerò a farlo conoscere: i due momenti della rivelazione sono: quello della rivelazione nel Gesù storico e quello della rivelazione futura nel momento della morte-risurrezione-invio dello Spirito come guida continua a tutta la verità. Tutto ciò è definito come «rivelare il nome del Padre». Lo scopo finale è descritto con una delle sintesi più alte se non la più alta di tutto il vangelo. L’amore del Padre per il Figlio passa nei fedeli come una realtà interiore dinamica insieme alla presenza spirituale di Gesù; («io in loro»). La rivelazione quindi conduce all’amore, quando viene accolta nella fede. Non un amore, prodotto dell’uomo ma dono di Dio, trasmissione della corrente di amore dal Padre nelFiglio e attraverso di lui nell’uomo. Così si comprende come la vera unità della comunità dei credenti non è di questo mondo, non è fondata sulla psicologia, sulle strutture mondane o su ciò che ha l’uomo ma su ciò che dona il Padre nel Figlio mediante la rivelazione storica ed escatologica in lui.
 
La responsabilità dei cristiani per l’incredulità del mondo - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Gesù nella sua preghiera al Padre dichiara esplicitamente che l’unità dei suoi discepoli favorirà la fede dell’umanità nella sua missione divina e nell’amore del Padre per la chiesa (Gv 17,21.23). Ora, la conseguenza logica di questa dipendenza tra unione e fede appare con chiarezza: se il mondo non crede ancora nella divinità di Gesù Cristo e nell’amore del Padre, ciò si deve attribuire anche e principalmente alle divisioni dei credenti, alla mancanza di armonia e di amore in seno alla chiesa, all’assenza di comprensione e di unione nelle famiglie cristiane.
La controtestimonianza dei discepoli di Gesù con le loro divisioni e rivalità incide in modo fortemente negativo nell’evangelizzazione del mondo. Ma anche dei paesi che non sono terra di missione, le divisioni e l’assenza di carità fra i credenti formano un ostacolo spesso insormontabile per entrare nella chiesa.
Il decreto conciliare sull’ecumenismo cattolico fa riferimento esplicito allo scandalo delle lacerazioni del mondo cristiano e alle difficoltà che queste divisioni creano ai missionari: «Tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo ad ogni creatura» (Unitatis redintegratio, 1). La testimonianza della vita, l’impegno serio per essere operatori di unione e di pace favoriscono la fede di tante persone che non conoscono il Signore Gesù: «Tutti siano una cosa sola ... , affinché il mondo creda ... Siano perfetti per l’unità, affinché il mondo riconosca che tu mi hai inviato» (Gv 17,21.23).
 
Cirillo d’Alessandria: Perché arrivassimo all’unità con Dio e tra noi - fino ad essere uno solo, pur restando distinti gli uni dagli altri nel corpo e nell’anima - il Figlio di Dio ha escogitato un mezzo concepito dalla sapienza e dal consiglio del Padre che gli appartengono. Benedice quelli che credono in lui facendoli misticamente partecipi di un solo corpo, il suo. Li incorpora così a sé e gli uni agli altri. Chi separerà quelli che sono stati uniti da questo santo corpo nell’unità di Cristo, o li allontanerà da quella unione di natura che hanno tra loro? Infatti se abbiamo parte a un solo pane, noi diveniamo tutti un solo corpo [1Cor 10,17]. Cristo non può essere diviso. Per questo, sia la Chiesa che noi, sue membra diverse, siamo chiamati corpo di Cristo secondo l’espressione di san Paolo [cfr. Ef 5,30]. Siamo tutti riuniti all’unico Cristo per mezzo del suo santo corpo; e poiché lo riceviamo da lui, uno e indivisibile nei nostri corpi, è a lui più che a noi stessi che le nostre membra si uniscono.
 
Il Santo del giorno - 16 Maggio 2024 - San Luigi Orione, Fondatore (È stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004, data di culto in cui lo ricordano ogni anno la sua Congregazione e la diocesi di Milano. La festa liturgica cade il 12 marzo): Nacque a Pontecurone nella diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872. A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera. Nel 1886 entrò nell’oratorio di Torino diretto da san Giovanni Bosco. Nel 1889 entrò nel seminario di Tortona. Proseguì gli studi teologici, alloggiando in una stanzetta sopra il duomo. Qui ebbe l’opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non bastava, per cui il vescovo gli concesse l’uso del giardino del vescovado. Il 3 luglio 1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a san Luigi. Nel 1893 aprì il collegio di san Bernardino. Nel 1895, venne ordinato sacerdote. Molteplici furono le attività cui si dedicò. Fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità; gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine. Mandò i suoi sacerdoti e suore nell’America Latina e in Palestina sin dal 1914. Morì a Sanremo nel 1940. (Avvenire)
 
Ci illumini, o Signore, la tua parola
e ci sostenga la comunione al sacrificio
che abbiamo celebrato,
perché, guidati dal tuo santo Spirito,
perseveriamo nell’unità e nella pace.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 15 Maggio 2024
 
Mercoledì VII Settimana di Pasqua
 
At 20,28-38; Salmo Responsoriale dal Salmo 67 (68); Gv 17,11b-19
 
Colletta
Padre misericordioso,
nella tua bontà dona alla Chiesa, radunata dallo Spirito Santo,
di servirti con piena dedizione
e di formare in te un cuore solo e un’anima sola.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi - Benedetto XVI (Omelia, 1 Aprile 2010): La richiesta più nota della Preghiera sacerdotale è la richiesta dell’unità per i discepoli, per quelli di allora e quelli futuri: “Non prego solo per questi – la comunità dei discepoli radunata nel Cenacolo – ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” (v. 20s; cfr vv. 11 e 13). Che cosa chiede precisamente qui il Signore? Innanzitutto, Egli prega per i discepoli di quel tempo e di tutti i tempi futuri. Guarda in avanti verso l’ampiezza della storia futura. Vede i pericoli di essa e raccomanda questa comunità al cuore del Padre. Egli chiede al Padre la Chiesa e la sua unità. È stato detto che nel Vangelo di Giovanni la Chiesa non compare. Qui, invece, essa appare nelle sue caratteristiche essenziali: come la comunità dei discepoli che, mediante la parola apostolica, credono in Gesù Cristo e così diventano una cosa sola. Gesù implora la Chiesa come una ed apostolica. Così questa preghiera è propriamente un atto fondante della Chiesa. Il Signore chiede la Chiesa al Padre. Essa nasce dalla preghiera di Gesù e mediante l’annuncio degli Apostoli, che fanno conoscere il nome di Dio e introducono gli uomini nella comunione di amore con Dio. Gesù chiede dunque che l’annuncio dei discepoli prosegua lungo i tempi; che tale annuncio raccolga uomini i quali, in base ad esso, riconoscono Dio e il suo Inviato, il Figlio Gesù Cristo. Egli prega affinché gli uomini siano condotti alla fede e, mediante la fede, all’amore. Egli chiede al Padre che questi credenti “siano in noi” (v. 21); che vivano, cioè, nell’interiore comunione con Dio e con Gesù Cristo e che da questo essere interiormente nella comunione con Dio si crei l’unità visibile. Due volte il Signore dice che questa unità dovrebbe far sì che il mondo creda alla missione di Gesù. Deve quindi essere un’unità che si possa vedere - un’unità che vada tanto al di là di ciò che solitamente è possibile tra gli uomini, da diventare un segno per il mondo ed accreditare la missione di Gesù Cristo.
 
I Lettura: San Paolo ha compreso che la sua vita è giunta al termine, ed è il tempo di passare ad altri il testimone della evangelizzazione. Affida gli anziani della Chiesa di Efeso a Dio, e, allo stesso tempo, ricorda loro di essere vigilanti perché dopo la sua partenza si infiltreranno tra loro lupi feroci, che cercheranno di deformare la dottrina da lui annunciata.
 
Vangelo
Siano una cosa sola, come noi.
 
Gesù prega per i suoi discepoli, per coloro che ha custodito nel nome del Padre. Gesù non prega per il mondo, il mondo che giace sotto il potere d Satana, il mondo incredulo che ha rifiutato il Cristo, ma prega per i suoi discepoli, per la sua Chiesa che deve vivere nel mondo senza appartenervi. I discepoli, che avranno un bisogno speciale della protezione divina adesso che Gesù sta per lasciarli soli nel mondo, dovranno impegnarsi a stare uniti: l’unità del Padre e del Figlio è il modello e il principio dell’unità dei discepoli, e la loro unità manifesterà il mistero di comunione della Trinità
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 17,11b-19
 
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand'ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità».
 
Parola del Signore.
 
.. il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo - C. Lesquivit e P. Grelot: Il Nuovo Testamento usa abbondantemente il termine kosmos. Ma il significato che gli conferisce da tutta l’elaborazione effettuata nel Antico Testamento e già assunta nella traduzione greca. Ambiguità del mondo - 1. È vero che il mondo così designato rimane fondamentalmente la creatura eccellente che Dio ha fatto alle origini (atti 17,24), mediante l’attività del suo Verbo (Gv 1,3.10; cfr. Ebr 1,2; Col 1,16). Questo mondo continua a rendere testimonianza a Dio (Atti 14,17; Rom 1,19s). Sarebbe tuttavia un errore stimarlo troppo, perché l’uomo lo supera di molto in valore vero: che gli servirebbe conquistare il mondo intero se perdesse se stesso (Mt 16,26)? 2. Ma c’è di più: nel suo stato attuale, questo mondo, solidale con l’uomo peccatore, è di fatto in potere di Satana. Il peccato vi è entrato all’inizio della storia e, con il peccato, la morte (Rom 5,12). Per tal fatto è diventato debitore della giustizia divina (3,19), perché è solidale con il mistero del male che agisce in terra. Il suo elemento più visibile è costituito dagli uomini che levano la loro volontà ribelle contro Dio e contro il suo Cristo (Gv 3,18 s; 7,7; 15,ia s; 17,9.14 ... ). Dietro di essi si profila un capo invisibile: Satana, il principe di  questo secolo (2Cor 4,4). Adamo, stabilito capo del mondo dalla volontà del suo creatore, ha consegnato nelle mani di Satana la sua persona ed il suo regno; da allora il mondo è in potere del maligno (1Gv 5,19), che ne comunica la potenza e la gloria a chi vuole (Lc 4,6).
Mondo di tenebre, governato dagli spiriti del male (Ef 6,12); mondo ingannatore, i cui elementi costitutivi pesano sull’uomo e lo asserviscono, fin nella stessa economia antica (Gal 4,3.9; Col 2,8.15). Lo spirito di questo mondo, incapace di gustare i segreti ed i doni di Dio (1Cor 2, 12), si oppone allo Spirito di Dio, proprio come lo spirito dell’anticristo che agisce nel mondo (1Gv 4, 3). La sapienza di questo mondo, basata sulle speculazioni del pensiero umano separato da Dio, è convinta da Dio di follia (1Cor 1,20). La pace che dà il mondo, fatta di prosperità materiale e di sicurezza fallace, non è che un simulacro della vera pace che Cristo solo può dare (Gv 14,27): il suo effetto ultimo è una tristezza che produce la morte (2 Cor 7,10).
Attraverso a tutto questo si rivela il peccato del mondo (Gv 1,29), massa di odio e di incredulità accumulata fin dalle origini, pietra di inciampo per chi vorrebbe entrare nel regno di Dio: guai al mondo a motivo degli scandali (Mt 18,7)! Perciò il mondo non può offrire all’uomo nessun valore sicuro: la sua figura passa (1Cor 7,31), e cosi pure le sue concupiscenze (1Gv 2,16).
Il tragico del nostro destino proviene dal fatto che, per nascita, noi apparteniamo a questo mondo.
 
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno: Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Difendili ... C’era da aspettarsela questa seconda richiesta. Dopo aver descritto i discepoli come coloro che sono stati scelti dal mondo e hanno accolto la parola che ha comunicato loro, ora li affida al Padre: «Custodiscili».
Come Gesù con la sua parola ha suscitato contro di sé l’odio del mondo «perché testimoniava che le sue opere erano malvagie» (7,7), così coloro che hanno accolto la sua parola e da lui saranno inviati nel mondo, saranno coinvolti nello stesso odio. Gesù li ha già preavvisati: «Se voi foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; voi però non siete del mondo, ma io vi ho scelto dal mondo; per questo il mondo vi odia» (15,19).
È la situazione che ora Gesù presenta al Padre per motivare la sua richiesta: «Il mondo li ha odiati perché non sono del mondo, come io non sono del mondo» (17,14). Il pericolo in cui si trovano è perciò grande perché grande è la debolezza umana e tanto suggestive rimangono sempre per l’uomo le tentazioni del mondo. Gesù-uomo è oramai libero da ogni tentazione, perché va al Padre. Non cosi i discepoli che debbono rimanere nel mondo per continuare l’opera sua. Perciò non chiede che siano tolti dal mondo, ma solo implora: «Ti chiedo, Padre, che tu li custodisca dal Maligno» (17,15), oppure come molti traducono: «dal male». È la stessa possibilità che offre l’ultima richiesta del Padre nostro: «Liberaci dal Maligno», oppure: «dal male». La prima possibilità ci sembra più conforme al pensiero di Giovanni. Poco prima ha presentato Gesù che diceva: «Ora il Principe di questo mondo sarà cacciato fuori» (12,31); poi ha descritto come Giuda è caduto in potere del diavolo (13,2) o di Satana (13,27) e ancora ha parlato di Gesù che diceva a quelli che lo volevano uccidere di avere come padre il diavolo (8,44). Per questo ci sembra più esatto dire «dal Maligno».
Essere difesi dal Maligno comprende tutto; negativamente significa essere custoditi, difesi, da ogni forma di male che ha sempre la sua origine nel Maligno, e positivamente chiede di avere la forza di superare il male per continuare nel bene.
Il versetto 16 ripete materialmente 14b, ma forse la ripetizione serve per sottolineare quanto siano assimilati a Gesù quelli che Dio ha separato dal mondo. Sono davvero figli nel Figlio e come il Figlio totalmente donati, cioè consacrati a compiere nel mondo l’opera che il Padre ha affidato al Figlio. Di qui la terza richiesta.
 
Consacrali nella verità - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): La santificazione nella verità - Uno dei temi della preghiera dell’«ora» maggiormente impegnativi nella vita spirituale è rappresentato senza alcun dubbio dalla santificazione nella verità.
Abbiamo costatato in che cosa essa consista: si tratta dell’imitazione della vita filiale di Gesù, cioè della sua obbedienza, del suo abbandono incondizionato alla volontà del Padre. Questa santificazione è certamente opera di Dio; il Cristo infatti chiede al Padre questa grazia per i suoi discepoli (Gv 17,17.19). Essa però non può prescindere dall’impegno dell’uomo: il credente deve cooperare con lo Spirito santo per raggiungere la santità, immergendosi nella verità ossia lasciandosi trasformare dalla parola del Cristo, assimilando sempre più profondamente la rivelazione del Figlio di Dio, vivendo sempre più coerentemente secondo il vangelo.
Il concilio Vaticano II ricorda che la santità dei cristiani trova la sua origine nella Trinità (cf. Lumen gentium, 47) e consiste nella carità perfetta (cf. LG, 42; Gaudium et spes, 38). Questo santo sinodo inoltre insegna che tutti i credenti possono e debbono santificarsi: la costituzione sulla chiesa dedica un intero capitolo a questo argomento, intitolandolo «universale vocazione alla santità nella chiesa» (LG, c. V). La santità non rappresenta un privilegio dei religiosi, anche se i consigli evangelici favoriscono il raggiungimento di questa mèta: la via alla santità è aperta a tutti, laici, preti, operai, sposati. Ogni cristiano può e deve tendere alla santità, non evadendo dagli impegni del suo stato, ma nelle situazioni concrete dell’esistenza: nella famiglia, nell’ufficio, nella scuola, nella fabbrica, nel ministero.
 
Lupi rapaci - Lontani dalla contaminazione degli uomini impuri - Origene, Omelie sul Levitico 3, 3: Se toccherai la preda di una fiera (Lv 5,2), sarai impuro. Qual è la fiera? il leone o il lupo, che rapiscono gli uomini o i giumenti? Credo sia quella fiera della quale dice l’apostolo Pietro: Il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente si aggira cercando chi divorare. Resistetegli forti nella fede (1Pt 5,8-9); e ancora quelli di cui dice l’apostolo Paolo: Dopo la mia partenza, si introdurranno lupi rapaci che non risparmieranno il gregge. Se vedi uno fatto preda di queste fiere, non lo seguire, non lo toccare, per non diventare anche tu impuro.
Vi sono inoltre anche altri animali impuri dei quali si vieta di toccare il cadavere. Animali impuri sono gli uomini che sono fuori del Cristo, nei quali non è alcuna ragione e religione. Se vedi dunque i cadaveri, cioè i peccati di tutti costoro, il legislatore ti dice di non toccarli, di non mettervi sopra la mano, di non palparli.
 
Santo del giorno - 15 Maggio 2024 - Sant’Isidoro l’Agricoltore, Laico: Nacque a Madrid intorno al 1070 e lasciò giovanissimo la casa paterna per essere impiegato come contadino. Grazie al suo impegno i campi, che fino allora rendevano poco, diedero molto frutto. Nonostante lavorasse duramente la terra, partecipava ogni giorno all’Eucaristia e dedicava molto spazio alla preghiera, tanto che alcuni colleghi invidiosi lo accusarono, peraltro ingiustamente, di togliere ore al lavoro. Quando Madrid fu conquistata dagli Almoravidi si rifugiò a Torrelaguna dove sposò la giovane Maria. Un matrimonio che fu sempre contraddistinto dalla grande attenzione verso i più poveri, con cui condividevano il poco che possedevano. Nessuno si allontanava da Isidoro senza aver ricevuto qualcosa. Morì il 15 maggio 1130. Venne canonizzato il 12 marzo 1622 da Papa Gregorio XV. Le sue spoglie sono conservate nella chiesa madrilena di Sant’Andrea. (Avvenire)
 
La partecipazione a questi santi misteri
ci dia grazia su grazia, o Signore,
e con la sua forza purificatrice
ci renda sempre più degni di così grande dono.
Per Cristo nostro Signore.