1 Maggio 2024
San Giuseppe lavoratore
Gen 1,26-2,3 Oppure Col 3, 14-15.17.23-24; Salmo Responsoriale 89 (90); Mt 13,54-58
Il 1° maggio, prima di diventare in Europa la “Festa del Lavoro”, fu per lungo tempo, alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, una giornata di rivendicazioni e spesso di lotte per la promozione della classe lavoratrice. A questo richiamo non poteva rimanere insensibile la Chiesa, che i papi Pio IX e Leone XIII col loro magistero via via aprivano ai problemi del mondo del lavoro. Pio XII istituì questa memoria liturgica, per dare una dimensione cristiana a questo giorno, mettendola sotto il patrocinio di S. Giuseppe lavoratore (1955). San Giovanni XXIII rese omaggio a san Giuseppe, all’esemplare maestro di vita cristiana, all’uomo laborioso, onesto, fedele alla parola di Dio, obbediente, virtù che il Vangelo sintetizza con due parole: “uomo giusto”. “I proletari e gli operai - scriveva Leone XIII - hanno come diritto speciale a ricorrere a S. Giuseppe e a proporsi la sua imitazione. Giuseppe infatti, di stirpe regale, unito in matrimonio con la più grande e la più santa delle donne, considerato come il padre del Figlio di Dio, passa ciò nonostante la sua vita a lavorare e chiede al suo lavoro di artigiano tutto ciò che è necessario al mantenimento della famiglia». Il lavoro nell’insegnamento della Chiesa non è un castigo, eleva l’uomo riconducendolo nella vocazione primaria voluta dal suo Creatore. L’uomo infatti, “creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riferire a Dio il proprio essere e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all’uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra” (Gaudium et spes 4).
Colletta
O Dio, che hai chiamato l’uomo a cooperare con il lavoro
al disegno della tua creazione,
fa’ che per l’esempio e l’intercessione di san Giuseppe
siamo fedeli ai compiti che ci affidi,
e riceviamo la ricompensa che ci prometti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
I Lettura: Dio crea l’uomo e lo pone in “vetta alla piramide. Se così immaginato il mondo, l’azione creatrice di Dio è rappresentata in un movimento ascendente per culminare in lui. L’uomo è la creatura più vicina a Dio; è detto a sua «immagine e somiglianza» nel mondo per il suo essere personale, per la sua capacità creatrice, perché può prendere coscienza della presenza e dell’azione di Dio e perché può interpretare il mondo come opera sua, e così elevare sacerdotalmente questo riconoscimento verso di Lui” (Angel González).
Vangelo
Non è costui il figlio del falegname?
Gesù è a Nazaret, porta ai suoi compaesani l’annuncio tanto desiderato: il compimento delle Scritture. Ma i nazaretani prima “ancora di afferrare il suo messaggio, lo rifiutano perché non vogliono riconoscere il Messia nell’umile figlio dell’ artigiano. Gesù diventa per loro motivo di scandalo: la sua provenienza modesta, comune a tutti loro, era incompatibile con la concezione corrente del Messia glorioso. La gelosia, l’invidia, l’aspettativa di un Messia politico impediscono ai nazaretani, come alla maggioranza dei giudei, di accogliere il Salvatore del inondo, predetto dai profeti. L’origine umana di Gesù era ben nota anche nelle comunità giudeocristiane di Mt. Tale conoscenza poteva provocare disagio e distogliere dalla fede qualche cristiano immaturo.
L’evangelista intende conferire al racconto un valore parenetico per ravvivare l’adesione a Cristo di questi fedeli titubanti” (Angelico Poppi, I quattro Vangeli).
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13,54-58
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
Incredulità a Nazaret - Felipe F. Ramos: La presentazione «ufficiale» di Gesù nella sinagoga del suo paese, a Nazaret, fu un insuccesso. Dalla sorpresa iniziale per i suoi insegnamenti i suoi conterranei giunsero fino allo scandalo; e la loro incredulità tagliò tutte le vie alla parola e persino al miracolo.
Il nostro racconto è parallelo a quello di Marco (6,1-6) dal quale dipende. Matteo introduce due cambiamenti: a) invece di chiamare Gesù «carpentiere», lo presenta come «figlio del carpentiere», forse per conferire maggior dignità a Gesù affermando che, dal momento in cui cominciò a predicare, cessò d’essere un lavoratore del legno; b) attenua la frase di Marco: «non vi poté operare nessun prodigio» dicendo che «non fece molti miracoli». Questa differenza fra i due evangelisti si può giustificare tenendo conto dei loro diversi punti di vista. Marco raccoglie la mentalità, generalizzata nella Bibbia, secondo la quale Dio è vicino a coloro che lo invocano, e quindi il suo inviato può agire solo là dove trova la fede. Per Matteo, questo vorrebbe dire condizionare eccessivamente il potere di Gesù, il quale può compiere miracoli indipendentemente dai condizionamenti che l’uomo gli può imporre.
La frase più significativa di tutto il brano evangelico è la seguente: si scandalizzavano per causa sua. Con essa l’evangelista ci introduce nel mistero di Gesù. L’atteggiamento dei nazaretani è rappresentativo di tutti coloro che cercano di comprendere Gesù partendo unicamente da quello che si può sapere di lui: è del nostro stesso paese, è figlio del carpentiere, conosciamo la sua famiglia, non ha frequentato l’università... Tentar di spiegare il mistero di Gesù, partendo da tutte le possibilità e da tutti gli aspetti umani vuol dire cacciarsi in un vicolo chiuso. Quello che è detto dei suoi concittadini, è già stato detto anche dei «suoi»: lo considerarono come pazzo (Mc 3,21). La stessa cosa e detta anche dei discepoli, e la ripeterà san Paolo parlando dello scandalo della croce (Mc 14,27-29; 1Cor 1,23). Gesù fu incompreso e disprezzato (Is 50,6: Mt 27,27-31.39-4,4; Eb 12,2). Non avrebbe avuto una sorte migliore, se si fosse tenuto al semplice livello dei profeti. Il profeta porta con sé l’incomprensione. Tanto più la porta in sé il profeta (Dt 18,15) che in più è il servo di Yahveh. Ma anche qui si dovrebbe ricordare la sentenza di Gesù: «Alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere» (11,19).
Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Davanti a Gesù ci sono unicamente due possibilità: aprirsi nella fede o chiudersi nello scandalo. I suoi concittadini si scandalizzano per causa sua; esattamente l’opposto di un comportamento di fede. Lo scandalo viene dal basso, dall’uomo e dal male; distrugge la fede, anzi neppure la lascia nascere. Gesù diventa occasione di scandalo senza avervi, in alcun modo, contribuito. È nell’intimo dell’uomo che si decide quale via e verso quale direzione si orienterà la nostra vita. La domanda: «Da dove» è occasione di scandalo per molti, anche oggi, particolarmente per chi ha studiato, conosce la storia e crede di “sapere”; per costoro Gesù non è che il fondatore di una religione, come Budda o Maometto; la sua dottrina, un sistema religioso o un’esperienza originale di un genio; i suoi discepoli, un gruppo di seguaci entusiasti, come ne pullulano sempre tanti intorno agli innovatori in campo religioso, nulla di più! Alla domanda: «Da dove» si crede di poter rispondere: dall’Antico Testamento, dalla tradizione religiosa dei popoli vicini, dal movimento innovatore della comunità di Qumran, dalla letteratura del giudaismo tardivo e dalla tradizione delle scuole rabbiniche, e null’altro. Lo ripetiamo: non ha senso porre la seconda domanda senza aver prima veramente ascoltato ciò che ci viene detto! Gesù stesso cita un proverbio, secondo il quale nessun profeta vale qualcosa «nella sua patria e in casa sua». Sembra quasi di norma che lo scandalo debba sorgere proprio là dove meno lo si aspetta. L’uomo viene meno più facilmente nel suo ambiente, dove è più difficile distinguere ciò che viene dal basso, dalla tradizione familiare e locale, da ciò che entra nel mondo dall’alto. Questo atteggiamento è già, in radice, incredulità. Per la loro incredulità - e non per la propria impotenza - Gesù non può compiere miracoli a Nazaret. il miracolo è legato alla fiducia e alla disponibilità dell’uomo. Solo chi fa il primo passo e adempie la condizione fondamentale - quella di un ascolto volonteroso e aperto -, viene raggiunto da tutto il resto. Anzi, questi «compirà opere più grandi» di quelle del suo Maestro (Gv 14,12).
San Giuseppe custode di Maria, di Gesù, della Chiesa: Papa Francesco (Omelia, 19 Marzo 2013): Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!
“Non è il figlio dell’artigiano?: gli increduli giudei andavano spargendo interrogativi sul Figlio di Dio, che essi credevano figlio di un artigiano e ciò per diminuire il suo prestigio. Ma assai spesso l’ignoranza degli ingegni ha saputo anche profetizzare. In verità il Signore e Salvatore nostro era figlio dell’artigiano, ma di quell’“Artigiano”, e cioè di Dio Padre, il quale, mediante il Figlio, si è degnato di costruire il Cielo, la terra e l’universo intero. Questi è il figlio dell’Artigiano, il quale - per inchiodare il legno con il ferro, allo scopo di rendere fecondi i cuori degli uomini - si è lasciato inchiodare sulla croce ... Egli è certamente il vero figlio dell’Artigiano, perché è riuscito a intenerire i cuori degli uomini, cuori duri come il ferro, per orientarli alla grazia della Fede, rendendoli malleabili con il fuoco dello Spirito” (Cromazio di Aquileia, Comm. in Matth., 51,4).
Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita - Pietro Crisologo (Sermoni 48, 2): Egli insegnò nella loro sinagoga. Non potevano essere «sue» le sinagoghe, nelle quali si radunava la folla dell’incredulità, non della fede; nelle quali si incontrava il popolo dell’invidia, non dell’amore; nelle quali aveva sede il concilio dei malvagi, non il consiglio della buona regola di vita. Insegnava nelle loro sinagoghe, così che rimanevano stupiti. Rimanevano stupiti per lo sdegno, non per la benevolenza; erano stupiti per il livore, non per l’ ammirazione; erano furibondi, perché l’umiltà ritta in piedi insegnava ciò che non potevano sapere le cattedre superbe. Così che rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli viene questa sapienza?».
Parla così chi non conosce Dio, dal quale deriva la sapienza, deriva la virtù. Parla così chi non sa che Cristo è la apienza di Dio, è la potenza di Dio. Donde venga la sapienza lo dimostra Salomone: egli, avendo ricevuto il potere regale ancora fanciullo, volle, chiese e ricevette da Dio la sapienza per governare il popolo affidatogli con la virtù non col fasto, con la sapienza non con l’alterigia, col cuore non col suo potere di re. Donde gli vengono questa sapienza e questi prodigi? Che la potenza, la quale dà gli occhi che la natura non ha dato; che restituisce l’udito otturato dalla malattia; che nei muti scioglie il legame della parola; che fa correre di bel nuovo gli zoppi; che costringe a ritornare nei propri corpi le anime già imprigionate negli inferi: che tale potenza derivi da Dio non negherebbe se non chi è invidio a della salvezza.
Il santo del Giorno - 1 Maggio 2024 - San Giuseppe. Il lavoro genera Dio nelle pieghe della storia - In un tempo in cui la visibilità, lo slogan urlato, il messaggio “di pancia” sembrano essere l’unica arma per costruire la storia, la figura di san Giuseppe lavoratore ci riporta all’umile impegno di chi fa della propria professione lo strumento più efficace per costruire la pace. A mettere al centro della liturgia odierna la figura di Giuseppe lavoratore nel 1955 fu Pio XII su richiesta delle Acli, che sentivano la necessità di coniugare la festa dei lavoratori con il messaggio cristiano. Fu così che questa ricorrenza diventò l’occasione per ricordare a tutto il mondo, che l’orizzonte ultimo di ogni opera umana, fine nelle pieghe più recondite della storia, è Dio stesso. Il lavoro, spiega papa Francesco nella Lettera apostolica «Patris Corde», è «partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione». Inoltre, nota ancora il Pontefice, «il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia». (Avvenire).
O Signore, che ci hai nutriti con il pane del cielo,
fa’ che, sull’esempio di san Giuseppe,
conserviamo nei nostri cuori
la memoria del tuo amore,
per godere il frutto della pace senza fine.
Per Cristo nostro Signore.