2 Maggio 2024
 
Sant’Atanasio, Vescovo e Dottore della Chiesa
 
At 15,7-21; Salmo Responsoriale 95 (96); Gv 15,9-11
 
 Sant’Atanasio di Alessandria: Benedetto XVI (Udienza Generale, 20 Giugno 2007): Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati. Ma soprattutto questo grande Santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, che - come dice il prologo del quarto Vangelo - «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, riducendolo ad una creatura «media» tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia, e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi [...] L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato su L’incarnazione del Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice in quest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio «si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimo un’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noi ereditassimo l’incorruttibilità» (54,3). Con la sua risurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire la morte come se fosse «paglia nel fuoco» (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente «Dio con noi».
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che hai suscitato nella Chiesa il vescovo sant’Atanasio,
insigne assertore della divinità del tuo Figlio,
fa’ che, per il suo insegnamento e la sua intercessione,
cresciamo sempre più nella tua conoscenza e nel tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
I Lettura: Ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio: è la certificazione che ormai la salvezza è per tutti i popoli: lo Spirito Santo, concesso anche ai pagani, supera e cancella gli angusti spazi del popolo d’Israele. Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. Giacomo così detta le norme entro le quali i credenti dovranno muoversi in piena libertà e in perfetta sintonia con Cristo Gesù, il Fondatore della Chiesa. Le note peculiari contenute nella lettera pastorale - astenersi dal sangue - sono da addebitare alla sensibilità semitica che vedeva nel sangue il principio della vita e la vita apparteneva a Dio (Lev 17,14). Ma l’astensione potrebbe essere stata anche dettata «da una pratica precedente, di indicibile crudeltà. Poiché la carne non si conservava, gli appartenenti ad alcune tribù mutilavano un animale, che poi mantenevano in vita fino a quando non avevano bisogno di altra carne. Lo scolare via il sangue impediva tali usi. La proibizione potrebbe anche aver costituito una legge sanitaria per impedire la diffusione di infezioni trasmesse attraverso il sangue» (Ralph Gower).
 
Vangelo
Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena.
 
La pericope evangelica odierna è tratta dai «discorsi dell’addio»: Gesù, prima della morte, rivela ai discepoli i misteri più grandi della vita divina. Il brano svolge il tema della carità fraterna, dell’osservanza dei comandamenti, della gioia che ne deriva nell’osservarli e dell’elezione divina.
 
Dal Vangelo secondo  Giovanni
Gv 15,9-11
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
 
Parola di Dio.
 
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 9 Come il Padre ha amato me così anch’io ho amato voi; il testo rileva la caratteristica dell’amore (ἀγαπάω) che Gesù nutre per i suoi discepoli: quest’amore di Cristo per i credenti trova il suo esemplare nell’amore che intercorre tra il Padre ed il Figlio (cf. 3, 35; 5, 20; 10, 17; 18, 24, 26); tale amore del Maestro per i discepoli trova la sua origine nel mistero della vita trinitaria. Evidentemente a tale amore vanno ricollegate tutte le iniziative che il Padre ed il Figlio hanno avuto per l’attuazione del piano della salvezza. Il Padre manifesta il suo amore per il Figlio inviandolo nel mondo (cf. 3, 17 ss.); il Figlio a sua volta manifesta il proprio amore per i discepoli eleggendoli (vers. 16) e comunicando loro la rivelazione divina (cf. vers. 15 b). L’evangelista segnala più volte che Gesù ha amato i discepoli, cf. 13, 1, 34; 15, 12-13; 17, 23. Rimanete nel mio amore; i discepoli devono vivere in questo amore, mantenendosi in comunione vitale con Cristo e soprattutto lasciandosi amare da lui. Il motivo dottrinale «rimanere nell’amore» caratterizza questa sezione (verss. 9-17) e la rende parallela alla precedente (verss. 1-8); nei verss. 1-8 la nota dominante era: «rimanete in me» (vers. 4); nei verss. 9-17 questa nota è spiegata ulteriore mente e precisata nel suo senso: il rimanere in Cristo equivale al rimanere nel suo amore.
10 Se voi osserverete i miei comandamenti...; per poter rimanere nell’amore di Cristo occorre osservare i comandamenti; questa è la condizione richiesta (cf. 1 Giov., 3, 23-24). Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio; il Maestro richiama ai discepoli il suo comportamento nei confronti del Padre; è più esatto parlare di comportamento che di esempio esterno, poiché si tratta sempre di rapporti tra due Persone divine (Padre e Figlio); il Figlio compie con perfetta obbedienza i voleri (comandamenti) del Padre. I discepoli vedono soltanto gli effetti esterni di questa perfetta obbedienza di Cristo al volere del Padre, poiché per tale obbedienza il Figlio di Dio si fa uomo ed offre la propria vita per la salvezza del mondo.
11 Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia sia in voi; per la formulazione della frase cf. 16, 33. Qui Gesù parla di «gioia» (χαρά); altrove parla di «pace» (cf. 14, 27; 16, 33); la gioia come la pace sono due doni messianici, anzi sintetizzano i beni apportati dal Messia. «La mia gioia»; la gioia che è propria di Gesù gli deriva dal suo amore, dalla sua obbedienza, dalla sua andata, dalla sua «dimora» nel Padre; questa gioia quindi si ricollega al mistero della vita trinitaria del Figlio. E la vostra gioia sia piena; l’avvento dell’èra messianica riempie di gioia tutti coloro che l’hanno attesa (cf. 3, 29). La gioia dei discepoli è piena, perché è perfetta, ed è perfetta, perché accordata da Cristo stesso, che è Messia. Gesù vuole che i suoi discepoli partecipino alla sua gioia nella misura più ampia (cf. 16, 24; 17, 13).
 
La gioia della salvezza annunziata agli umili - A. Ridouard e M.-F. Lacan (Gioia in Dizionario di teologia Biblica): La venuta del salvatore crea un clima di gioia che Luca, più degli altri evangelisti ha reso sensibile. Ancor prima che ci si rallegri della sua nascita (Lc 1, 14), quando viene Maria, Giovanni Battista sussulta di gioia nel seno della madre (1, 41. 44); e la Vergine, che il saluto dell’angelo aveva invitato alla gioia (1, 28: gr. chàire = rallégrati), canta con gioia pari all’umiltà il Signore che è divenuto suo figlio per salvare gli umili (1, 42. 46-55). La nascita di Gesù è una grande gioia per gli angeli che l’annunziano e per il popolo che egli viene a salvare (2, 10. 13 s; cfr. Mt 1, 21); essa pone termine all’attesa dei giusti (Mi 13, 17 par.) che, come Abramo, esultavano già pensandovi (Gv 8, 56). In Gesù Cristo il regno di Dio è già presente (Mc 1, 45 par.; Lc 17, 21); egli è lo sposo la cui voce colma di gioia il Battista (Gv 3, 29) e la cui presenza non permette ai suoi discepoli di digiunare (Lc 5, 34 par.). Questi hanno la gioia di sapere che i loro nomi sono scritti in cielo (10, 20), perché rientrano nel numero dei poveri ai quali appartiene il regno (6, 20 par.), tesoro per il quale si sacrifica tutto con gioia (Mt 13, 44); e Gesù ha insegnato loro che la persecuzione, confermando la loro certezza, doveva intensificare la loro letizia (Mt 5, 10 ss par.). I discepoli hanno ragione di rallegrarsi dei miracoli di Gesù che attestano la sua missione (Lc 19, 37 ss); ma non devono porre la loro gioia nel potere miracoloso che Cristo comunica loro (10, 17-20); esso non è che un mezzo destinato non a procurare una vana gioia a uomini come Erode, amanti del meraviglioso (23, 8), ma a far lodare Dio dalle anime rette (13, 17) e ad attirare i peccatori, al salvatore, disponendoli ad accoglierlo con gioia ed a convertirsi (19, 6. 9). Di questa conversione i discepoli si rallegreranno da veri fratelli (15, 32), come se ne rallegrano in cielo il Padre e gli angeli (15, 7. 10. 24), come se ne rallegra il buon pastore, il cui amore ha salvato le pecore smarrite (15, 6; Mt 18, 13). Ma per condividere la sua gioia, bisogna amare com’egli ha amato.
 
Il frutto più bello che scaturisce dalla profonda comunione di amore con il Cristo è la gioia: la gioia «è un segno messianico-escatologico della salvezza presente, ed è conseguenza della pace. La reciproca immanenza porta nel discepolo la stessa gioia di Gesù, la sicurezza della salvezza, la liberazione da ogni schiavitù e da ogni ansia: una sicurezza posta totalmente nella esperienza cosciente dell’amore di Dio in Cristo. Così l’uomo diventa libero di amare [cfr. Gv 8,32] da schiavo che era di se stesso e della sua angoscia. Anche la gioia arriva alla perfezione come dono interiore partecipata da Cristo, che la trasforma in sua, pur rimanendo nostra» (Adalberto Sisti).
Nella Sacra Scrittura la gioia può sgorgare dalla benedizione di Dio che rende fecondo il lavoro dell’uomo (Dt 12,7), dal ritrovamento di cose perdute (cfr. Lc 15,4ss.), dal culto (cfr. Sal 43,4), dalla Legge (cfr. Sal 119,109), ma, alla fine, la vera gioia proviene da Dio (cfr. Sal 65,9; Lc 1,47). Con l’incarnazione del Verbo la gioia fa irruzione nel mondo.
Giovanni Battista esulta di gioia nel seno di Elisabetta (cfr. Lc 1,44), Maria canta i suoi sentimenti di lode, di gratitudine in un inno gioioso, che celebra Dio salvatore degli umili (cfr. Lc 1,46-49), ai pastori viene annunciata «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). La gioia straripa nei cuori degli uomini perché «l’attesa della redenzione è ormai imminente nel Cristo [Lc 2,36-38]. Giovanni Battista già sente la voce dello sposo, che lo riempie di gioia [Gv 3,28-29]. Gesù stesso si manifesta come lo sposo presente, che non permette ai suoi amici di digiunare, poiché è tempo di festa [Lc 5,34-35]. Ormai, in Gesù, il Regno di Dio è in mezzo agli uomini: esso è il tesoro per il quale si è disposti a dare tutto gioiosamente [Mt 13,44]» (Giuseppe Manzoni).
Senza la gioia tutto inaridisce, tutto diventa opaco, per questo motivo la gioia è il dono che la Chiesa, senza posa, deve portare al mondo: la gioia è “la testimonianza più credibile e avvincente. La gioia che emana dal cristiano non può essere un fatto eccezionale, come un abito che si indossa nelle feste solenni: deve essere un fatto quotidiano, feriale, perché Dio, nostra gioia, è con noi e dentro di noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo [Mt 28,20]” (Lino Pedron).
 
Il frutto della gioia: «Certo, lo sai: con il fiore tu dividi la caducità, e con la vite tu dividi la gioia; da essa infatti deriva il vino, che rallegra il cuore dell’uomo. Oh, potessi tu riprodurre questo esempio, producendo in te stesso il frutto della gioia e della letizia! In te stesso è la soavità di ogni tuo incanto: da te fiorisce, in te resta, nel tuo intimo la possiedi, in te tu devi cercare la letizia della tua coscienza. Da qui l’ammonimento: Bevi l’acqua dal tuo vaso, dall’ampolla della tua fontana! [Pr 5,15]» (Ambrogio, Esamerone, 3,49).
 
Il Santo del Giorno - 2 Maggio 2024 - Sant’Atanasio. Pagò di persona la difesa della vera fede: Sant’Atanasio fu come un ponte per la Chiesa antica: sulle spalle, infatti, portò il “peso” della retta dottrina, dell’ortodossia, traghettandola attraverso un periodo difficile, nel quale sembrava che l’eresia ariana dovesse trionfare. Era nato ad Alessandria nel 295 e nel 325 era al Concilio di Nicea come diacono del vescovo Alessandro. Lì si stabilì che il Figlio era della stessa sostanza del Padre, Cristo non era “come” Dio, ma era Dio. Una verità che gli ariani tentavano di negare, mettendo in campo una lotta aspra, spesso fatta di calunnie e strategie politiche. Nel 328 la gente volle Atanasio come nuovo vescovo di Alessandria e lui, nei suoi 46 anni di episcopato, si dimostrò un saldo difensore della verità. Ma dovette subire attacchi personali e anche esili prima di essere riabilitato. Ebbe come maestro sant’Antonio abate di cui scrisse una Vita. Morì nel 373. (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
la vera divinità del tuo Figlio unigenito,
che in comunione di fede con sant’Atanasio
fermamente professiamo,
per la grazia di questo sacramento
ci dia sempre forza e ci protegga.
Per Cristo nostro Signore.