30 MAGGIO 2025
 
VENERDÌ DELLA VI SETTIMANA DI PASQUA
 
At 18,9-18; Salmo Responsoriale Dal Salmo 46 (47); Gv 16,20-23a
 
Colletta
Esaudisci, o Padre, le nostre preghiere,
perché con l’accoglienza del Vangelo
si compia in ogni luogo la salvezza acquistata dal sacrificio di Cristo,
e la moltitudine dei tuoi figli adottivi
ottenga la vita nuova promessa da lui, Parola di verità.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
La vera gioia: Paolo VI (Udienza Generale, 19 aprile 1972): Il cristiano non conosce la disperazione; non conosce l’angoscia, la quale sembra essere il traguardo della psicologia moderna, quand’è cosciente di sé, sia essa una «dolce vita», o anche una vita intensa e sofferta, ma senza ideali e senza fede. Si può dire che la gioia, la vera gioia, quella della coscienza, quella del cuore, è un tesoro proprio del cristiano, proprio di colui che veramente crede in Cristo risorto, a Lui aderisce, di Lui vive. Una gioia limpida, che pur troppo non sempre troviamo in coloro che interpretano l’esigenza del Vangelo, come oggi spesso è di moda, quasi un atteggiamento critico ed aspro verso la Chiesa di Dio, e le offrono, invece del franco e lieto saluto della fraternità, lo sfogo acerbo d’un qualche rimprovero, talora offensivo e sovversivo, dove indarno si cerca l’accento amico d’un comune gaudio pasquale. Il gaudio pasquale è lo stile della spiritualità cristiana; non è spensieratezza superficiale; è sapienza alimentata dalle tre virtù teologali; non è allegria esteriore e rumorosa; è letizia che nasce da profondi motivi interiori; né tanto meno è abbandono gaudente al facile piacere d’istintive e incontrollate passioni, ma è vigore di spirito che sa, che vuole, che ama; è l’esultanza della vita nuova che invade, ad un tempo, il mondo e l’anima (cfr. Prefazio di Pentecoste).
 
I Lettura: Il Signore incoraggia Paolo nella sua missione apostolica. I Giudei sono sempre in agguato, e così riescono a trascinare l’Apostolo dinanzi a Gallione, proconsole dell’Acaia. Ma costui non è Ponzio Pilato e caccia via i Giudei i quali sfogano la loro rabbia malmenando Sostene, il capo della sinagoga, che forse è quello che viene poi nominato nell’esordio della prima lettera ai Corinzi: “Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto” (cfr. 1Cor 1,1-2). La persecuzione è un tema ricorrente nella vita della Chiesa, come ricorrente è il mettere in evidenza la forza espansiva della predicazione evangelica che non conosce sosta e ormai lambisce i più remoti confini della terra. 
 
Vangelo
Nessuno potrà togliervi la vostra gioia.
 
La vostra tristezza si cambierà in gioia: Gesù sta per essere consegnato nelle mani dei suoi nemici che lo metteranno a morte, eventi dolorosi che colmeranno di tristezza il cuore dei discepoli. Ma dopo tre giorni Gesù risorgerà e l’afflizione si cambierà in gioia, la gioia di rivedere il Cristo risuscitato: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20). Gesù per rendere più comprensibili le sue parole porta l’esempio della donna che partorisce: un’immagine che va al di là di quanto rappresenti, infatti, è un’ immagine biblica tradizionale, e che significa il doloroso avvento del mondo nuovo, messianico (cfr. Mt 24,8). La morte di Gesù e la sua risurrezione doneranno all’umanità nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre (Is 65,17-18).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,20-23a
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».
 
Parola del Signore.
 
Tristezza e gioia - Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Giovanni, Commento della Bibbia Liturgica): Una credenza molto diffusa al tempo di Cristo era che l’ultimo tempo sarebbe stato preceduto da grandi tribolazioni e violenze. Il gaudio e la gioia dell’«età futura» sarebbero venuti dopo un periodo di sofferenze tali che non avrebbero avuto precedenti. Per descrivere questo tempo, si ricorse all’immagine della partoriente: dolori intensi, poco durevoli e compensati dalla gioia che li avrebbe seguiti.
Questa breve sezione stabilisce un contrasto assai forte tra «voi», la Chiesa e il «mondo». Gli uni soffrono e gli altri godono. Perché? La causa della tristezza è la solitudine. Solitudine in mezzo al mondo di coloro che, non essendo del mondo, devono vivere nel mondo. Solitudine che nasce anche dall’odio del mondo. II mondo non può amare coloro che non sono suoi, che non pensano come il mondo. che contraddicono la sua sicurezza e autosufficienza.
Odio che divampa nel cuore del mondo, anche se dovuto al semplice fatto di trovarsi di fronte una comunità o
Chiesa che contraddice il suo modo di considerare la vita.
Di fronte alla tristezza della Chiesa abbiamo la gioia del mondo. Il mondo si rallegra per la partenza di Gesù, perché la sua predicazione e la sua presenza costituivano un attacco alla sua sicurezza e alla sua autoaffermazione. Si rallegra per il dolore, la tribolazione e la persecuzione della Chiesa e dei credenti semplicemente perché sono la continuazione di quello che era Cristo.
Ma la tristezza si trasformerà in gioia; non solo perché dopo la tempesta torna il sereno, ma la gioia nasce dalla
stessa causa da cui nasce la tristezza. L’allontanamento «interno» dal mondo produce la tristezza e, allo stesso
tempo, è causa di gioia. Questa gioia ha le sue radici nel fatto che, in questo allontanamento «interno» dal mondo, si ottiene la vera libertà (8,32), libertà che, a sua volta, è prodotta dall’incontro con Cristo. E poiché questo incontro è «spirituale» e non avviene solo col Gesù di Nazaret, tangibile, abbordabile e condannabile, ma col Cristo risuscitato, nessuno potrà togliere loro la gioia.
D’altra parte questa gioia riposa sulla base della riconciliazione fra l’uomo e Dio, riconciliazione ottenuta dal­
l’opera di Cristo ed espressa in modo particolare nella preghiera comunitaria, espressione di gioia.
La tristezza trasformata in gioia si vedrà nei capitoli 20-21: la Maddalena e i discepoli si rallegreranno vedendo il Signore. È, quindi, una gioia che dipende dala presenza di Gesù e dalla sua vittoria. «In quel giorno non mi domanderete più nulla », semplicemente perché lo Spirito li avrà portati alla verità completa. Sarà cessata l’incomprensione. Gesù cesserà di essere per essi sconcertante. come era stato fino a quel momento.
Questa piena comprensione caratterizza la situazione escatologica. Non vi saranno più domande da fare. Il mistero dell’esistenza umana è chiarito definitivamente alla luce della fede. Questo spiega come la naturale tristezza del passato sia sostituita dalla gioia, caratterizzata dalla mancanza di ogni interrogativo o dalla risposta a tutti gli interrogativi che vi potrebbero essere.
 
Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia - Giuseppe Barbaglio (Tristezza in Schede Bibliche Pastorali - Vol. VIII): Il quarto evangelista definisce la tristezza lo stato necessario e ineludibile del cristiano privo della presenza visibile di Gesù e confrontato con un mondo ostile. Ecco infatti la trafila delle riflessioni meditative dell’evangelista messe in bocca a Cristo nel discorso di addio. Anzitutto Gesù dice che sta per andare da colui che lo ha mandato e ciò provoca tristezza nell’animo dei discepoli (Gv 16,5-6). Eppure la sua dipartita costituisce un vantaggio per loro, che solo così riceveranno da lui lo Spirito della verità (16,7-15). Quindi ripete che ancora un poco ed essi non lo vedranno più, ma queste parole sono oscure ai discepoli che lo interrogano in proposito (16,16-19). La risposta di Cristo: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia» (16,20).
Gesù continua illustrando il suo punto di vista con il paragone della partoriente che soffre durante il parto, ma alla fine è lieta perché sta nascendo una creatura: «Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (16,21-23).
Ci basta citare in merito l’ottima interpretazione di R. Bultmann: « ... la lype in cui piombano i discepoli per la partenza di Gesù non può essere fraintesa in senso psicologico o novellistico. Essa caratterizza piuttosto lo stato di solitudine di quanti sono stati chiamati da Gesù a uscire dal mondo (15,19; 17,16) e tuttavia si trovano ancora nel mondo (17,11), dal quale sono odiati (15,18ss). A questa lype corrisponde la chara del kosmos (16,20). Il kosmos, minacciato nella sua sicurezza dall’apparizione di Gesù, gioisce per la sua scomparsa e odia i «suoi», poiché con la loro esistenza lo pongono continuamente in questione.
Ma i «suoi», accettando di appartenere a Gesù, devono pure accettare di essere soli nel mondo e di venir odiati da esso, proprio perché non appartengono più al mondo, ma a Gesù (15,19). Ciò comporta anzitutto turbamento (tarache, 14,1), tribolazione (thlipsis, 16,33) e lype, giacché la loro situazione non è affatto naturale, devono farsene una ragione... Essi, proprio per rimanere uniti a lui, devono isolarsi. Ma appunto per questo dalla loro lype sgorga la loro gioia (chara, 16,21s). Nel distacco dal mondo sperimenteranno la comunione con lui e proveranno quindi una gioia che dura eternamente (16,22) poiché non proviene dal mondo, sul quale egli ha riportato la sua “vittoria” (16,33)» (GLNT, VI 867-868).
Per completezza diciamo che anche 1Pt valuta la tristezza come condizione del credente quaggiù, per la sua estraneità al mondo. «È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente ... A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (2,19.21). Si veda pure, nello stesso scritto, 1,6-7: «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede» sia impreziosito dalla prova superata, come l’oro passa attraverso il crogiuolo.
 
Non aver paura - L’incoraggiamento divino a continuare la predicazione - Didimo il Cieco (Catena sugli Atti degli Apostoli 18,9-11): A Corinto Dio apparve in forma di visione all’ Apostolo e lo invitò a non aver paura di insegnare, e rese chiara a lui la ragione per cui doveva parlare e non rimanere in silenzio; infatti in quella città vi erano molti che Dio sapeva avrebbero accolto la proclamazione dell’ Apostolo.
Così giacché era naturale che Paolo, essendo uomo, temesse gli attacchi, vedendo che molti erano ancora pagani, Dio incoraggia e stimola l’insegnante ad essere forte, dicendo: Sono con te e nessuno cercherà di farti del male.
 
Il Santo del Giorno - 30 maggio 2025 - San Giuseppe Marello Vescovo (Torino, 26 dicembre 1846 - Savona, 30 maggio 1895): Giuseppe Marello nacque a Torino il 26 dicembre 1846, dove suo padre gestiva un negozio ed era amico di don Giuseppe Cottolengo al quale regalava lenzuola per gli ospiti della «Piccola Casa». A dodici anni andò in pellegrinaggio al Santuario della Misericordia di Savona e qui, nella cripta davanti all’altare di Maria riconobbe la sua vocazione. Fu ordinato sacerdote nel 1868 ad Asti dal vescovo Carlo Savio che lo nominò suo segretario. Diventato vescovo di Acqui nel 1872, partecipò ai lavori del Concilio Vaticano I e si sentì particolarmente felice per la proclamazione di san Giuseppe a patrono della Chiesa universale. A lui si ispirò per gli Oblati di San Giuseppe, congregazione religiosa che sorse nel 1878. Sin dagli inizi del suo sacerdozio aveva intuito i bisogni della gioventù e dei poveri. Ai suoi preti chiedeva di essere «certosini in casa, apostoli fuori». Morì, quasi cinquantenne, a Savona il 30 maggio 1895. È santo dal 2001. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai fatto partecipi della tua mensa,
concedi ai tuoi servi di esserti sempre fedeli
e di annunciare il tuo nome ai fratelli.
Per Cristo nostro Signore.